“COSA C’È DI ALLEGRO IN QUESTO MALEDETTO PAESE?” SULLE TRACCE DI ALESSANDRO MANZONI

In diretta su Agi

Con Davide Rondoni, Poeta e scrittore; Eleonora Mazzoni, Scrittrice e autrice di Il cuore è un guazzabuglio (Einaudi Ed.), biografia di Alessandro Manzoni e Alessandro Zaccuri, Scrittore e Direttore della Comunicazione, Università Cattolica del Sacro Cuore, autore di Poco a me stesso (Marsilio Ed.), romanzo su Alessandro Manzoni.

Una serata di lettura e incontro sotto prospettive sorprendenti con la voce del più grande romanziere italiano, Alessandro Manzoni.

Con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Tracce.

“COSA C’È DI ALLEGRO IN QUESTO MALEDETTO PAESE?” SULLE TRACCE DI ALESSANDRO MANZONI

“COSA C’È DI ALLEGRO IN QUESTO MALEDETTO PAESE?”

SULLE TRACCE DI ALESSANDRO MANZONI

 

21 Agosto 2023 Ore 21:00

Auditorium isybank D3

 

Con Davide Rondoni, Poeta e scrittore; Eleonora Mazzoni, Scrittrice e Alessandro Zaccuri, Scrittore e Direttore della Comunicazione, Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

Rondoni. Buonasera a tutti, ben trovati. Grazie di essere qui a questo appuntamento che opportunamente gli amici del Meeting hanno voluto riservare ad Alessandro Manzoni, che è un genio e che continua a far parlare di sé, a far discutere.

E questa sera ho invitato due amici, due scrittori, Eleonora Mazzoni, che è autrice di un bel libro uscito da poco per Einaudi che si chiama Il cuore è un guazzabuglio, e Alessandro Zaccuri, che invece già da un po’ di tempo, ma insomma recentemente, ha fatto anche lui un libro dedicato alla figura di Alessandro Manzoni, che si intitola Poco a me stesso.

Perché parlare di Manzoni oltre alle cose ovvie e cerchiamo di lasciare da parte l’ovvio subito? Perché se il Meeting si fa, tendenzialmente, è per non dire cose ovvie, sennò basta tutto il resto.

E se si prova a dire qualcosa di originale intorno a Manzoni, è perché Manzoni credo sia uno degli autori che maggiormente fotografa e maggiormente ci dà gli strumenti per approfondire un grande disagio in cui siamo, una grande questione, non appena un grande disagio. Una grande questione che ci riguarda tutti.

Forse ricorderete che il romanzo inizia così: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere, e del rientrare di quelli vien quasi a un tratto, a restringersi, e a prendere corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte, e il ponte che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive”… sentite questo movimento.

Manzoni non ha mai visto una ripresa fatta con un drone: non c’era la revisione, non c’è il cinema. Però inizia il suo romanzo con questa sorta di sequenza lunga, che prende tutti i movimenti, ne ho appena accennati, il fiume che diventa lago, poi diventa fiume, poi questo posto, quest’altro, e poi ad un certo punto usa un’espressione meravigliosa, dice “l’andirivini dei monti”. I monti stanno fermi, no? I monti andirivengono. La natura che si muove, i sentieri, poi c’è la storia, c’erano gli spagnoli che ironicamente insegnano la modesta alle ragazze, perché anche la storia è fatta di movimenti, di cambi di potere.

In tutti questi movimenti, della natura, della storia del mondo, a un certo punto dice: “per una di queste stradicciole tornava bel bello dalla passeggiata verso casa sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato di una di quelle terre accennate di sopra. Il nome di questa nel casato del personaggio non si trova nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufficio, e talvolta tra un salmo e l’altro chiudeva il breviario, tenendovi dentro per segno l’indice della mano destra e messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguì verso il cammino guardando a terra e buttando con un piede verso il muro i ciotoli che facevano inciampo nel sentiero”.

In questo movimento che è l’universo, che è la storia, che è la natura, entra Uno. L’io. Diremmo così. In questi giorni ho sentito molto al Meeting parlare l’io o noi, l’io o noi, non basta dire questo, il problema è qual è la consistenza dell’io. Io noi, io no, lo dicevano anche i comunisti, ma non è molto originale. Io, l’io che entra nella storia, Don Abbondio che entra nella storia, si vede subito, e Manzoni è un grandissimo sceneggiatore, con tre gesti ti fa capire il personaggio, prega pigramente, lascia il dito in mezzo al breviario, dice pigramente il suo uffico, diciamo che non ha proprio una fede ardente, sposta con il piede i ciottoli. Non vuole guai, non vuole problemi.

L’io entra nella storia con quale coscienza di sé? Nel caso di Don Abbondio, che non a caso è diventato un grande personaggio, è l’uomo che non è più acceso da nulla, e che cerca di evitare i guai, sposta i ciottoli col piede. Peccato che, come sapete, da lì a poco ha un incrocio strano, dove chissà perché Manzoni lascia una piccola edicola stranamente dipinta, dove le figure dovrebbero essere nell’intenzione dell’artista, dice, le figure del purgatorio: strano, un romanzo che mi mette il purgatorio all’inizio. La vita è una penombra, è un purgatorio. Cosa dobbiamo purgare?

Peccato appunto che a quell’incrocio, don Abbondio che sposta i ciottoli, non può spostare i bravi. E Manzoni, che è un grande genio della sceneggiatura molto prima di Stephen King e altri grandi sceneggiatori americani, sa che le grandi storie vanno avanti solamente se c’è, come dicono gli americani, un grande if, se. Bella vita se non incontri bravi! Renzo vuole sposare Lucia. E se la vuole Don Rodrigo? Questo se mette in moto la storia. Tu puoi entrare nella storia, il tuo io entra nella storia con una certa disposizione, con certi gesti, con una certa libertà, diciamo, e poi c’è il fatto, gli eventi. Se. Allora, io credo che Manzoni, innanzitutto, poi, faccio la prima domanda ai miei ospiti, ai nostri ospiti, ci ponga una questione fondamentale: Tu con quale atteggiamento stai nella vita, nella storia? Entri come Don Abbondio che vuole spostare i sassi? Con quale cuore, acceso o spento, stai nel mondo, nella vita? Perché da lì dipende tutto. L’autocoscienza dell’io, prima ancora di io o noi, l’autocoscienza dell’io. Perché il noi, se esiste, come giustamente deve esistere, esiste nella coscienza dell’io. Sennò è una compagnoneria. Invece di essere un’amicizia sostanziale per l’io, diventa semplicemente compagnoneria o politica.

Ma ecco, Manzoni, la prima questione che mi pone a me, e ve la propongo, è come stai tu nel mondo, con quale atteggiamento? Lui lo fa subito, ti fa vedere Don Abbondio da subito. Si muove la storia, si muove la natura, si muovono i monti, si muove tutto apparentemente, ma tu, tu, Come entri nella storia? Con quale atteggiamento? E questo mi sembra uno dei grandi problemi che Manzoni ci pone, perché Manzoni sa che tutto dipende da questo. Tutto dipende da come l’io concepisce sé stesso nel mondo. Allora, questi due scrittori, dopo tanto tempo, sapete, quest’anno è un cento cinquantenario di Manzoni, Zaccuri è andato avanti prima, ma sapeva che sarebbe arrivata la cosa, Eleonora, che conosco da tempo, da molto tempo lavorava su Manzoni, hanno dato questi due libri.

Allora, la mia domanda è molto semplice all’inizio: volevo richiedere sia Eleonora che Alessandro, perché, sono due scrittori, hanno all’attivo molti libri di romanzi, di saggi anche, perché avete sentito la necessità di tornare a questo Alessandro Manzoni, che tra l’altro nei vostri libri è lui il protagonista, non è meno i promessi sposi, ma è proprio lui, quest’uomo. Perché siete tornati da lui?

 

Mazzoni. Allora nel mio libro diciamo intreccio sia lui Manzoni che alcune delle pagine dei Promessi Sposi e alcuni dei personaggi dei Promessi Sposi. In realtà non sono tornata da Manzoni perché Manzoni c’è sempre stato anche quando ho cominciato a pubblicare e mi chiedevano chi fossero i miei punti di riferimento e io anche per le difettose dicevo i Promessi Sposi e tutti si meravigliavano. Ricordo ancora lo stupore perché dicevano: “ma cosa c’entra?”. Però c’entrava. L’incontro con Manzoni, mio con Manzoni, è successo per caso molto precocemente perché è stata in un’estate tra la prima e la seconda media. Io vengo da un piccolo paese romagnolo di 1500 anime in cui mi sono per molto tempo annoiata, ma è stata fruttifera quella noia.

 

Rondoni. L’unica romagnola che si annoia al mondo.

 

Mazzoni. No, ho capito, però abitare a Villa Franca di Forlì. Mi annoiavo e leggevo, ho letto tanto, la lettura è stata per me una grande consolazione, anche grande possibilità di conoscenza. Avevo però finito tutti i titoli a me destinati per la mia età e sono andata per caso a frugare nella biblioteca di mio padre, tra l’altro una biblioteca che si è rivelata importante nella mia vita.

Mio padre è figlio di Mezzadri, semianalfabeti, romagnoli, e grazie alla sua maestra degli elementari che intuì un talento e un’intelligenza e che gli diede i soldi per continuare a studiare. Lui ha potuto frequentare poi il liceo classico di Forlì e è laureato in medicina, tra l’altro a 23 anni, bruciando le tappe perché aveva fretta di arrivare a quella laurea grazie alla maestra degli elementari.

Soltanto che quando arrivò al liceo classico di Forlì, che era un po’ il liceo classico dei figli di papà all’epoca, mio padre era del 35, si trovò a disagio perché lui in realtà non parlava molto bene l’italiano, era molto intelligente e sveglio ma non parlava molto bene l’italiano e l’insegnante di italiano lo rimandò quell’estate facendogli leggere I promessi sposi, alcuni libri della letteratura francese, alcuni libri della letteratura russa, che poi mi sono ritrovata in quella biblioteca che ho letto tutti, ma ho cominciato con I promessi sposi. E io a dodicenne ricordo perfettamente la sensazione che mi diedero leggendoli, innanzitutto di averli compresi completamente, perché d’altronde Manzoni scrisse un romanzo popolare che ebbe un successo popolare, trasversale, all’epoca, sia della ventisettana che della quarantana, ebbe un successo di pubblico pazzesco, questo a volte uno se lo dimentica, e venne letto e apprezzato da chiunque sapesse leggere allora, erano pochi, perché l’87% degli italiani erano analfabeti a quell’epoca, ma non era soltanto per i nobili, per i professionisti.

Come dice Carlo Dossi, un cultore di Manzoni, dall’astronomo alla portinaia, leggevano I promessi sposi e io l’ho sperimentato sulla mia pelle, a 12 anni ho capito questo romanzo e sono rimasta colpita dal fatto che quest’autore sapeva leggere così bene il cuore dell’essere umano, le contraddizioni, la psicologia, i problemi di coscienza, cioè dove sta il bene, dove sta il male, tutte cose di cui io mi interrogavo a quell’epoca.

Lo lessi e proprio me ne innamorai. Dopodiché io ho continuato a leggerlo per tutta la vita, perché dopo avendo fatto il liceo classico anch’io che aveva fatto mio padre, l’ho letto al ginnasio, ho avuto la fortuna di avere un supplente che amava I promessi sposi e quindi ha continuato a farmeli amare. Poi all’università ho incontrato Ezio Raimondi con cui mi sono anche laureata, che è stato un grande manzonista e un grande amante de I promessi sposi e di lì ho continuato a leggerli parecchie volte. A un certo punto mi è venuta la curiosità però di conoscere anche l’autore. Perché poi, anche all’università o al liceo, non è che si studia tantissimo, Manzoni come essere umano, si sanno due o tre cose e poco più e la cosa strana è che un autore così libero, così originale, così unico, abbia ricevuto poi nel corso degli anni, dei due secoli che è uscito I promessi sposi, tante di quelle etichette che l’hanno invece ingrigliato, l’hanno un po’ imbalsamato. Tanto è che io mi sono messa a leggere alcune biografie e, a parte qualche rara eccezione, ho trovato che anche le biografie su Manzoni erano piuttosto polverose e imbalsamate. Al limite, benché andasse, erano retoriche, lo monumentalizzavano.

Allora, abbiamo la fortuna di aver… Cioè, Manzoni non amava scrivere le lettere, ma ci ha lasciato un corpus di quasi 2.000 lettere. Sono andata alla fonte, sono andata alle sue lettere, che mi hanno fatto innamorare di lui anche, non soltanto dello scrittore, ma di lui come uomo. Oltretutto vedendo, appunto, tutti questi stereotipi che gli erano stati affibbiati nel tempo e che, mettendomi in ascolto profondo delle sue lettere, non riuscivo a riscontrare le etichette che gli erano state affibbiate.

Poi la curiosità è andata avanti, ho letto anche le lettere di Giulia Beccaria, la madre, Enrichetta Blondel, la prima moglie, anche la seconda moglie, ha scritto delle lettere interessanti. Amici, parenti, familiari, figli, mi sono trovata ad aver voglia di tentare, mettendomi in ascolto anche con grande umiltà, cercare di capire e di restituire al lettore il suo carattere, il suo punto di vista, la sua personalità così complessa e sfaccettata, anche la sua quotidianità, perché le lettere, Alessandro Zaccuri lo sa, perché poi ha pubblicato anche un librino di lettere, una ventina di lettere, cioè tu cogli, perché nelle lettere ci sono idee, ci sono libri, c’è l’agricoltura, c’è lui che chiede sementi un po’ ovunque, ci sono i dubbi, c’è debiti da pagare, soldi da prestare, aiuti da dare, ci sono le malattie dei figli, ci sono le morti, ad esempio, ecco la questione delle malattie, non c’erano gli analgesici all’epoca e quindi ammalarsi, che era molto frequente, era anche molto doloroso.

Tu vedi una quotidianità diversa da quella che normalmente non ti viene raccontata. Allora ho cercato di ricostruire, partendo proprio dall’inizio, mettendo in scena, addirittura in maniera anche un po’ audace, il parto di Giulia Beccaria e quindi Alessandro Manzoni che nasce, con tutto quello che sappiamo anche, utilizzando – lui stesso me l’ha insegnato – una sorta di mix tra storia e invenzione. Quindi ho cercato di non tradire la storia, la storia con la S maiuscola, perché chiaramente parlando di Manzoni, che ha vissuto 88 anni, racconti anche un pezzo di storia d’Italia e di Europa fondamentale anche per noi oggi, tra l’altro, dentro cui ho sbriciolato la storia di Alessandro Manzoni e dei suoi cari con la s minuscola. quindi fedele alla storia, quello che si sa storicamente, e cercando con grande verosimiglianza di ricostruire alcuni pensieri, alcuni dialoghi, alcune cose della psicologia dei sentimenti e del cuore umano che con delicatezza ho cercato di rendere.

 

Rondoni. Manzoni aveva mani da contadino, tu hai accennato al fatto che chiedeva sementi, perché il vero mestiere di Manzoni anche lui, come tutti gli scrittori, non faceva molti soldi con i libri, anzi zero ne ha fatti, Era fare l’agricoltore, il padrone, diciamo così, il coltivatore diremm oggi, o meglio, il padrone di coltivazioni.

Alessandro, tu invece perché sei tornato, o meglio, a un certo punto hai deciso di fare un libro così su Manzoni?

 

Zaccuri. Intanto vorrei fare una piccola premessa di gratitudine verso voi che siete qua questa sera. Per me è una gioia parlare di Manzoni sempre in qualsiasi circostanza, però il fatto che dopo una giornata al Meeting, che non è mai una giornata riposante, alle 9 di sera, ci sia tutta questa gente che vuole sentire parlare di Alessandro Manzoni… Poi gioca il Milan stasera. No, queste cose non lo so, ma quello che si interessava più di calcio era Leopardi come è noto, Manzoni meno. Però è proprio una gioia, insomma, proprio una cosa bella.

Mi permetto di parlare anche a nome di Eleonora. leggete il libro di Eleonora, magari leggete anche il mio, ma leggete I promessi sposi. Questa rimane la cosa fondamentale. Non so se l’hanno fatto apposta, però mettendo insieme il mio nome proprio e il suo cognome quasi arriviamo ad Alessandro Mazzoni, quindi siamo molto vicini. Perché ho scritto questo libro? In realtà ci ho pensato per tanto tempo, è un romanzo il mio, quindi, non ha la pretesa e anche l’impegno di esattezza storica che è molto ben rispettato nel racconto di Eleonora, anche con tutte le divagazioni e, non le invenzioni, le attenzioni ai dettagli che fanno interessante la vita di ciascuno, nel mio caso a un certo punto mi è successo questo, che I promessi sposi i sono un libro inesauribile. ogni volta che lo leggi, ma ogni volta che ci ripensi anche, ti accorgi che può essere una cosa nuova, una cosa diversa.

Per un periodo io ho pensato che I promessi sposi, e lo penso ancora, e ciascuna di queste cose convive con le altre, I promessi sposi è un grande libro sull’Italia, su questo paese dove la giustizia non può essere disgiunta dalla bellezza, dove due ragazzi si vogliono sposare, ma si vogliono sposare seguendo il loro diritto.

Cioè loro potrebbero anche trovarlo uno stratagemma al di là della sfortunata nota degli imbrogli per sposarsi, ma è loro diritto sposarsi nella loro parrocchia. Lì c’è tutta la storia del concilio di Trento, c’è tutta la storia di quanto la Chiesa entra nella vita delle persone nutrendola: loro vogliono giustizia e vogliono bellezza e il paese è un racconto della piazza dove tutti sanno i fatti degli altri però finché su quel sagrato tu non esci a braccetto sposato davanti a Dio con la persona che ami, il paese non è completo, qualcosa gli manca.

Questo è un modo di leggerlo. A un certo punto però tu ti accorgi di una cosa strana che nota anche Eleonora nel suo libro che I promessi sposi assomiglia a tante altre cose. Umberto Eco diceva che la sintesi più rapida era lui che ama lei che ama un altro, che sembra un po’ Monamur di Anna Lisa. però in realtà se ci pensate è vero, cioè Don Rodrigo si innamora di Lucia che però vuol bene a Renzo e quindi già in questa cosa si capisce che Don Rodrigo non è soltanto quella figura accidentale, quell’ingombro che sembra.

Si può leggere in tanti modi appunto, quindi la storia d’amore è una grande storia d’amore, è la storia d’Italia e tante cose. Nota anche Eleonora nel suo libro che non solo assomiglia alla canzone di Anna Lisa, assomiglia anche un po’ alle storie di Walt Disney, perché nelle storie di Walt Disney, come è noto, non ci sono i genitori, ci sono solo gli zii: zio Paperone, zio Topolino, zio Paperino. Non ci sono i padri ne “I promessi sposi”.

Ce n’è uno, positivo che appare per pochi momenti, è il sarto al quale viene affidata Lucia dopo che è stata liberata dall’innominato. Ma i padri non ci sono. Renzo è orfano di entrambi i parenti, come dice Manzoni, di entrambi i genitori. Lucia il papà non ce l’ha più. La monaca di Monza il papà ce l’ha, però sarebbe meglio di no forse, con tutto il rispetto per il signore. Signor Deleuva, insomma, perché è un padre coercitivo, perché è un padre che non vuole il bene della figlia, un padre che rovina la figlia.

C’è una sola forma di paternità vera ne “I promessi sposi” che è la paternità spirituale, è la paternità in evidenza bellissima di Padre Cristoforo, che ha questo sentimento paterno verso Lucia e di conseguenza per Renzo. Lucia è una figura molto più viva, interessante, febbrile e carnale di quanto sia stata presentata solitamente. È una persona a cui vuoi bene perché è una persona, perché è un corpo, non soltanto perché è così una figurina ritagliata a un certo punto. E poi c’è la paternità, secondo me, più strepitosa della letteratura italiana, che è la paternità dell’Innominato.

L’incontro di questa sera si ispira alla famosa Notte dell’Innominato, che è una delle grandi pagine della letteratura universale. Quando uno è un po’ giù di morale, va su YouTube cerca la Notte dell’Innominato interpretata da Salvo Randone nella famosa nella famosa versione televisiva degli anni Sessanta, di Sandro Borghi, dove gli sceneggiatori si la sono cavata con pochissimo, giusto per confermare l’intuizione di Davide. Hanno spostato dalla prima alla terza persona quello che scrive Manzoni. e Salvo Randone fa questo monologo. Quindi la nota dell’Innominato la conosciamo tutti. La conosceva bene uno dei grandi scrittori italiani, uno dei tanti grandi scrittori italiani innamorati di Manzoni, che era Carlo Emilio Gadda. Gadda non era proprio molto simpatetico rispetto alla fede, a tante cose, però sul letto di morte Gadda chiede che gli si leggano I promessi sposi. E gli amici si alternano a leggere I promessi sposi sul letto di morte. E caso vuole che Alberto Arbasino vada a leggere proprio il capitolo della notte dell’Innominato, c’è Gadda che sta morendo, che non ha più voce, che sembra che sia da un’altra parte, e che a un certo punto, quando appunto si arriva verso la fine della notte, si sente la voce di Gadda che dice: “e adesso le campane, e adesso le campane”. Quindi la capacità che ha la parola di Manzoni di aprire verso l’invisibile, lo sconosciuto, il provvidenziale. È straordinaria la notte dell’Innominato, ma sono meravigliose le giornate dell’Innominato che vengono da quel momento in poi, il dialogo con il Cardinal Federigo, e poi il momento in cui l’Innominato riceve a casa, nel Castello, Don Rodrigo, Agnese eccetera, e chiede ad Agnese “come sta la mia Lucia”. Era quella che lui doveva far fuori. Era la ragazza che gli avevano consegnato perché la facesse fuori. Come sta la mia Lucia? O la dava a don Rodrigo e la faceva fuori. Come sta la mia Lucia?

Nella letteratura di quel secolo soltanto Victor Hugo riesce a fare qualcosa di simile nei miserabili nella storia di Jean Valjean e di Cosette. solo che Victor Hugo fa quello, Manzoni dentro il romanzo mette in una frase, in due parole, in un inciso quello che Victor Hugo fa in centinaia di pagine e questo è inimitabile, quindi la giornata dell’Innominato, questo tema della paternità.

E allora anch’io quando ti accorgi che – sono un po’ come quei giochi ottici in cui devi vedere se vedi il coniglio oppure vedi l’altra figura eccetera – quando trovi questa figura strana che nei promessi sposi il padre non c’è ti domandi se per caso nella storia dell’autore non ci sia una questione col padre e in effetti c’è, e in effetti c’è. Lo spiega bene anche Leonora storicamente nel suo libro ed è la storia di un bambino di un ragazzo che molto probabilmente è cresciuto sapendo che questo molto probabilmente un eufemismo, lo sapevano tutti a Milano, piccola città pettegola, Milano non è che sia neanche adesso metropoli per estensione, erano quattro vie il centro di Milano allora, e quindi questa storia si sapeva, si sapeva che la figlia di Giulia Beccaria, che era un po’ una testa calda, aveva dovuto sposare questo Conte Manzoni, che poi neanche Conte era del tutto, era un nobilastro piccolino, più anziano di suo padre, il padre ha 43 anni, quando Cesare Beccaria ha 43 anni, Pietro ne ha 46 quando sposa Giulia, quindi matrimonio strano, bambini non arrivano, però si sa che lei come tutte le signore delle fine del settecento si è comprata la sua libertà con questo matrimonio e quindi lei ha un amante, un amante ufficiale che è Giovanni Verri.

Notate che nella storia della Colonna infame poi se la prende con i Verri, per come hanno ricostruito l’episodio, Manzoni. E a me è venuta in mente una cosa, poi chiudo, è venuta in mente una cosa, dico: se Giulia Beccaria, che era sì una donna libera, una donna… non avesse avuto il coraggio di allevarlo lei questo bambino, di farlo crescere lei, questo bambino, se avesse rifiutato, questo avrebbe potuto farlo perché era uno spirito molto forte, il matrimonio col conto di Manzoni, e però avesse continuato ad avere questa relazione con Giovanni Verri. E se questo bambino fosse nato figlio dello scandalo? Un po’ figlio dello scandalo, lui è stato lo stesso per motivi che non stiamo a dire, al posto di Alessandro Manzoni fosse nato questo bambino affidato a un collegio, affidato alla carità della città di Milano che era molto buona allora e se quest’uomo avesse avuto tutta un’altra storia che cosa ci mancherebbe a noi? Ci mancherebbe I promessi sposi, ci mancherebbe la lingua de I promessi sposi e sarebbe mancato al mondo Alessandro Manzoni; quindi, poco a me stesso è la storia di come avrebbe potuto essere questa vita che è stata in un altro modo, ma non per ingigantire i difetti di Manzoni.

La storia di Manzoni è molto strana perché va molto… cioè, parlare di un artista nevrotico, di un artista con problemi di carattere, con ossessioni, eccetera, è una cosa che sembra molto bella, insomma, quando c’è un artista tormentato, eccetera. Il povero Manzoni, che aveva un po’ le nevrosi che hanno quasi tutti gli artisti, qualcuna forse un po’ più accentuata, si è preso, come diceva Eleonora, l’etichetta del represso. Lui era così perché era represso, perché era diventato cattolico, e invece se non era cattolico, sarebbe stato felice, non è vero, lui era così fin dall’infanzia, balbettava, aveva paura degli spazi aperti e tutto il resto. Ha il suo periodo un po’ foscoliano in cui fa finta così di essere tutto ardimentoso, ha un certo successo anche con le ragazze perché è un bellissimo giovane, eccetera, però scrive attorno ai 15-16 anni questo sonetto imitando appunto l’autoritratto di Foscolo famoso, Questo sonetto in cui dice di sé che ha il capel bruno, sono un bel ragazzo, guardatemi, e poi ci sono questi due versi finali molto strani in cui dice, poco noto ad altrui, cioè gli altri mi conoscono poco, poco a me stesso. Ragazzo di 16 anni che dice, io non so chi sono, mi manca l’origine, mi manca il destino, “gli uomini e gli anni relazione con gli altri e il tempo mi dirà chi sono”.

Sono due versi secondo me di una profondità straordinaria, nei quali tu trovi quelli che noi siamo abituati a immaginare come i grandi temi della letteratura del Novecento, l’identità e Kafka e la maschera e questo, li trovi anticipati all’inizio dell’Ottocento da quest’uomo che dopo da lì in poi non farà altro che progredire su questa strada. Quindi ho immaginato una storia eventuale, diciamo, di come avrebbe potuto essere la vita di Manzoni, ma non perché la vita di Manzoni così come è stata non mi piaccia.

Io, come Eleonora, ce lo siamo confessati prima, abbiamo una grande simpatia per l’uomo, Alessandro Manzoni, perché ci assomiglia così tanto. perché è imperfetto come noi, perché è alla ricerca del vero, del bello e del buono, della profondità delle relazioni, perché fa di tutto per essere un buon padre sapendo che la cosa più impossibile al mondo, essere un buon padre perché un solo padre è buono e questo lo insegna il Vangelo.

Questo uomo non è che non mi piace come è stato, però pensarlo in un altro modo per me è uno dei piccoli privilegi che dà la letteratura. Spostare un oggetto, guardarlo da un’altra parte, spostare un ritratto, guardare nel ritratto qualcosa di nuovo. te lo rende ancora più caro, almeno per me è stato così. Io ci ho messo circa vent’anni a scrivere questo libro, ma non vent’anni a scriverlo, vent’anni a pensare se si poteva fare, come si poteva fare, alla fine l’ho fatto in questa forma, che è un po’ di un romanzo d’avventure, però veramente quello che ho provato al termine dell’avventura della scrittura è stato un sentimento di gratitudine, molto simile a quello che provo questa sera ad essere qui, e la gratitudine non è tanto di aver scritto questo libro, ma la vera profonda gratitudine è di essere un lettore de I promessi sposi.

 

Rondoni. Grazie Alessandro. Giusto questo accento di gratitudine, a volte ci dimentichiamo che bisogna essere grati a Manzoni, a Leopardi, che hanno fatto anche una vita così così, però insomma hanno lasciato qualcosa, anche perché fondamentalmente quello che tutti lasciamo sono delle storie, delle parole, dei segni e per fortuna qualcuno ha lasciato grandi segni e grandi parole.

Qualche battuta per dirci il tuo Manzoni, quello che non ti aspettavi, quello che hai trovato pur avendolo frequentato da dodicenne che capivi tutto come le forlivesi medie? Però facendo il libro avrai trovato qualcosa e dici che non me l’aspettavo, oppure non immaginavi quanto fosse così.

 

Mazzoni. Nel sottotitolo ho voluto mettere quell’aggettivo rivoluzionario che in realtà mi viene, l’idea mi è venuta sempre dal famoso Carlo Dossi che diceva Manzoni nacque rivoluzionario ma poi rimase rivoluzionario anche se tutti lo prendono per un reazionario, il controsenso assurdo. E in realtà sicuramente un uomo che è stato all’avanguardia, anticonvenzionale e in anticipo anche con i tempi un po’ in tutti gli aspetti: politici, l’agricoltura, culturalmente il romanzo è un romanzo innovativo, I promessi sposi sono stati un romanzo innovativo con una lingua innovativa che infatti ha dato del filo da torcere anche agli accademici dell’epoca, che erano loro che non accettavano questa operazione.

Però sono state tantissime, allora innanzitutto il ripercorrere la sua biografia come diceva Alessandro, cioè una cosa io non ho voluto attualizzare niente, non ho forzato e non ho messo parole di oggi perché non c’è bisogno, leggendo spero il mio libro tu hai l’idea di Manzoni nostro contemporaneo senza bisogno di forzare nulla. Però sicuramente un ragazzo che è nato in una famiglia con un padre non biologico che è stato abbandonato da sua madre innanzitutto subito appena nato dato balia per due anni ma poi quando rientrò a due anni Giulia non si occupa di lui, non è pronta per la maternità, è avida di vita, impaziente, non accetta questo matrimonio imposto dal padre, dice proprio in una lettera che gli dà ripugnanza questo uomo anziano con cui è a fianco e non le basta neanche avere ipocriticamente il cavalier servente, cioè l’ultimo dei fratelli Verri, appunto Giovanni Verri, suo amante, prima di sposarsi anche dopo, non gli basta più, lei vuole separarsi, si separa infatti dal vecchio marito, va a vivere dallo zio, dopodiché conosce quest’uomo di cui si innamora follemente, tanto che rimane poi fedele per tutta la vita a quest’uomo, anche quando lui morirà molto presto, che è Carlo Imbonati, ricco, affascinante, generoso, e va a vivere con lui a Parigi e quindi per 9 anni non vede fisicamente più suo figlio.

Quindi Manzoni ritrova la madre a 20 anni ed è un incontro che mi immagino magico di due persone che si rivedono in due fasi della vita diversa. Lei è una donna che ha più di 40 anni, bella ma sfiorita anche perché è appena morto Carlo Imbonati e quindi è prostrata da questo enorme dolore. Lui ha vent’anni quindi è un giovane uomo, lei lo ha lasciato che era un bambino e lo ritrova giovane uomo e probabilmente lasciano da parte soprattutto lui il risentimento che immagino è la rabbia o la solitudine che abbia provato in tutti questi anni di lontananza e non si lasceranno per tutta la vita cioè lui vivrà con la madre e poi con la moglie e con i dieci figli diciamo nove perché poi lui già nasce muore lo stesso giorno vivrà anche ecco qui leggo una cosa, visto anche il titolo del Meeting quest’anno, una delle etichette anche di chi ama Manzoni, oltre ad essere un nevrastenico, era anche un misantropo.

Io questa cosa non la riesco a leggere, perché se voi andate alla casa che ancora adesso è diventato un museo, si trova a Via del Morone, in centro a Milano, che è stata la casa che lui ha abitato per più tempo, fino alla fine della vita, insieme alla casa in campagna dove coltivava la terra a Brusuglio, a pochi chilometri dal centro cittadino, in quella casa lì, se voi vedete, c’è ancora lo studio con la biblioteca, il tavolo, alcuni oggetti personali di Manzoni, accanto c’era una stanza dove per 15 anni ha abitato Tommaso Grossi, che è stato uno dei suoi più cari amici. Cioè abitava in casa con la moglie, la madre, i figli e c’era un suo amico. Molti dei suoi amici del collegio, lui è stato per 10 anni in vari collegi di preti, cosa che ha subito, non è stata una esperienza facile, anche perché ha corrisposto anche con l’abbandono materno, alcuni degli amici del collegio di quando era bambino e adolescente rimangono per tutta la vita, sono suoi cari amici.

In quella stanza dove ha abitato per 15 anni Tommaso Grossi si riunivano tutte le settimane Manzoni con i suoi amici che poi vai a vedere Tommaso Grossi, Luigi Rossari. Luigi Rossari faceva l’insegnante elementare, cioè lui era nobile Manzoni anche di piccola nobiltà, però poi avendo ereditato da Imbonati, Carlo Imbonati, che lascia erede universale Giulia Beccaria, avendo ereditato un patrimonio, loro erano invece dell’alta nobiltà milanese, però lui frequenta trasversalmente persone che sono i suoi amici per tutta la vita, con cui discute e crea la coscienza civile, politica, sociale, culturale di quegli anni così importanti per la costruzione dell’Italia.

Quindi si vedono tutte le settimane oltretutto parlano di cose importanti, nevralgiche, ma anche di giavanate, come lui le chiamava, cioè anche di argomenti leggeri, scherzavano, la famosa ironia che si trova nel romanzo probabilmente era anche, no probabilmente, sicuramente, c’è una lettera di Enrichetta Blondel in cui c’è anche Giulia che dice una cosa analoga, Manzoni era un affabile conversatore, era balbuziente ma sapeva tenere la conversazione, era riservato ma era generoso, stava con gli altri e nello stesso tempo era anche un timido, quindi è un uomo sfaccettato, è come una foto a cui tu ti avvicini e diventa sempre più il primo piano, ma un po’ si sfoca, cioè, tutto il tempo che tu dedichi alla conoscenza di Manzoni poi c’è sempre qualcosa che ti sfugge, come tutte le grandi personalità e come tutti i grandi romanzi, la stessa cosa con I promessi sposi, l’ho letto otto volte e diciamo che adesso devo rileggerlo perché già lo rileggerò e mi appariranno cose che non ho notato o che ho dimenticato o che mi faranno un’altra sensazione.

 

Rondoni. No, no, non so che parleresti per due ore, ma io spero che ti si possa ascoltare in tanti posti. Hai doppiato il Papa, Papa Francesco ha letto I promessi sposi quattro volte. Infatti, è un ragazzo abbastanza intelligente, si vede che si è ben coltivato e questo è un invito per chi ha bisogno di altri argomenti per leggere I promessi sposi, per rileggere, perché molti… alzate la mano chi ha letto i promessi sposi a scuola. Tutti l’avete letta a scuola. Quanti l’hanno riletto dopo? 10 anni dopo, 20 anni dopo? Beh, non c’è male, è una buona media. Insomma, se lo rileggete ancora… No, non dico avvicinandosi, però insomma fa bene sempre, diciamo.

 

Mazzoni. Che poi l’ultima volta l’ho riletto dopo aver fatto tutto questo lavoro biografico, cioè avendo cercato di ricostruire la vita di Alessandro Manzoni e mi è apparso completamente diverso, ancora più bello, perché sbriciolate dentro, cioè è chiaro che le opere si leggono a sestanti, non ti deve interessare la biografia di un autore, ma in quei casi lì a me aveva interessato e ho riletto profumi e paesaggi, anche incontri, idee che avevi visto, avevi letto nelle lettere, poi vabbè nella morale cattolica che è imprescindibile.

 

Rondoni. La Colonna Infame, avessimo libro che consiglio a tutti di leggere.

 

Mazzoni. Il Finale de I promessi sposi, la Colonna Infame in realtà.

 

Rondoni. Bisogna leggere insieme infatti. Alessandro, dici una cosa invece anche tu che ti ha sorpreso o almeno che non ti aspettavi proprio così della figura di Manzoni facendo il tuo libro.

 

Zaccuri. Ma in realtà è una cosa di cui mi sono accorto dopo perché avete capito, l’ho detto già ripetuto abbastanza spesso prima, c’è questo tema della mancanza del padre da cui parte l’invenzione del romanzo mio eccetera eccetera. Poi a un certo punto rilavorando, anch’io ho fatto una rilettura de I promessi sposi per un’antologia scolastica, tra l’altro non per i licei, per gli istituti tecnici, quindi con una sfida anche interessante, perché molti lo rileggono, ma qualcuno magari non lo legge per intero neanche una volta; quindi, andare a trovare il sugo della storia, come dice Manzoni, questa espressione bellissima, perché il sugo nutre e macchia.

Il sugo è qualcosa che non lascia indenni, insomma. La vita è così, nutre e macchia. Mi sono reso conto che è vero che c’è questa assenza dei padri, però c’è un modo di leggere che coesiste con tutti gli altri, un modo di leggere I promessi sposi, che è questo: la storia di un ragazzo senza padre, Renzo, che impara a diventare padre, cioè che incontra la provvidenza. La provvidenza è credo il più grande equivoco che perseguita Manzoni, che perseguita l’interpretazione de I promessi sposi. La provvidenza viene presentata come una specie di meccanismo che a un certo punto farraginosamente si mette in moto e sistema un po’ le cose che andavano male, poi brum, arriva giù la provvidenza come una specie di catafalco e sistema tutto. Non è assolutamente così. Tanto è vero, che ne ha la colonna infame, che anticipava giustamente Eleonora, il vero finale de I promessi sposi, io credo che tante persone rilegano I promessi sposi, perché non arrivano mai alla fine. Chi so che è la colonna infame? Quindi quando uno arriva alla fine de la colonna infame, capisce che la funzione di un romanzo non è dire l’ultima parola, ma riaprire i giochi; voi pensate che I promessi sposi è fatto così, parte da un documento storico, ora Manzoni si è posto il problema, posso raccontare una cosa che non è vera? No, ci vuole un documento storico, allora cosa faccio? Mi invento il documento, il graffiato di levato manoscritto, mi invento il documento e poi piano piano ci faccio un romanzo, la parte storica entra ed esce, però più che altro tra la storia e l’invenzione, l’invenzione prende sempre più il sopravvento.

Poi arriva la colonna infame che inizia con una scena di invenzione meravigliosa, che è la donnicciola che vede il presunto untore e lo denuncia. C’è dentro tutto, c’è dentro tutto, c’è il nazismo, ci sono le spie staliniste, c’è dentro tutto quella donna che indica: “quello, quello, è un stato lui, è stato lui” ed è un innocente. E poi l’invenzione sparisce e rimane solo il documento storico. Quindi lui fa questo cerchio, riapre tutti i giochi e riapre anche i giochi con la provvidenza ne La colonna infame, perché dice davanti a sti due innocenti condannati, massacrati in quel modo, perfino la memoria gli hanno infangato distruggendo la casa ed elevando La colonna infame. Uno ha due possibilità, o bestemmia la provvidenza oppure la nega, cioè o non esiste la provvidenza e vabbè, ma se c’è non può permettere queste cose.

E lui su questo non dà risposta, non dà risposta, sposta, e questa è la parte del cosiddetto illuminismo cristiano di Manzoni, la sposta sulla responsabilità di ciascuno, dice sì, va bene, la provvidenza, ma se quei giudici che li hanno condannati avessero seguito le leggi ingiuste della loro epoca, non li avrebbero condannati in quel modo, perché mancavano le prove, perché la tortura non poteva essere adoperata per strappare la confessione in quel modo, ecc.

I giochi con la provvidenza sono riaperti ne La colonna infame, nella vita di Manzoni, che finisce la prima volta, come suggerisce giustamente Eleonora nel suo libro, con la morte di Enrichetta Blondel nel Natale del 1833. Lui inizia a scrivere una poesia, sì che tu sei terribile, riferita a Gesù bambino, perché nella notte di Natale muore la moglie e non riesce a finirla. ed è uno dei grandi incompiuti della letteratura italiana, come I prigioni di Michelangelo, la stessa cosa, la stessa forza delle… Quindi, nella vita, nell’opera, nella vita di Manzoni, nella vita di ciascuno di noi, credo, i conti con la provvidenza a volte siano difficili da fare, però quando nei promessi sposi nel romanzo la provvidenza si manifesta come si manifesta, in tanti modi direte voi, ma la famosa frase “là c’è la provvidenza”, quando è che viene fuori, allora quando Renzo, il ragazzo senza padre, che si è impegnato in questo viaggio che è il viaggio delle fiabe, e a tutte le tappe del viaggio delle fiabe, il barcaiolo che aiuta a passare l’Adda, il bosco che parla, tutte queste cose, a un certo punto entrando e uscendo da una delle tante locande che non sono posti molto raccomandabili ne I promessi sposi, sono rimasti due soldi in tasca e trova questi tre mendicanti che gli assomigliano in maniera impressionante, perché sono una donna anziana, una donna più giovane col figlio al seno, e un uomo che probabilmente è precocemente invecchiato, il padre di quel bambino.

Ed è lì che Renzo spende i suoi ultimi denari, ed è lì che dice che c’è la provvidenza. Ragazzo senza padre, davanti alla figura del padre che lui potrebbe essere, riconosce la presenza della provvidenza. e questo secondo me è un modo, almeno, è il mio modo di leggere I promessi sposi in questo momento, che è un modo molto liberante, perché non toglie il male dal mondo, quello è insomma è difficile togliere il male dal mondo, però sposta in positivo sulla responsabilità di ciascuno, su quei soldi, quegli ultimi denari donati, il pane, il pane spezzato, il pane del perdono, di Fra Cristoforo ecc., tutta questa dimensione del dono, della condivisione, del dimenticare se stessi per un attimo.

La monaca di Monza, qual è il suo problema? Che non si dimentica mai di un attimo, un attimo di se stessa, di che cos’è, del fatto che lei è la signora, del fatto che lei è dovuto dalla vita qualcosa che la vita non le sta dando. Invece a questi piccoli momenti in cui ci si dimentica di sé, come fa Renzo, che avrebbe tutti i buoni motivi della logica e del buon senso per tenere quegli ultimi soldi in tasca e che invece li dà, secondo me Renzo è lì che diventa padre, è lì che diventa padre, perché riconosce la paternità dell’altro, riconosce questa dimensione universale.

Quindi diciamo che io ho convissuto per parecchi anni con I promessi sposi, abbacinato da questa assenza della figura paterna e poi dopo essermi, come a dire, aver attraversato la scrittura del romanzo mi sono reso conto che questa paternità c’è, che questa paternità c’è e che coincide esattamente col riconoscimento della presenza della provvidenza nella vita di ciascuno di noi. Perché la provvidenza si nasconda in maniera così complicata e a volte dolorosa? Io non lo so, però la letteratura è uno degli strumenti che gli esseri umani hanno per venire a patti con questi misteri.

 

Rondoni. Grazie, Alessandro. Ho iniziato leggendovi l’inizio de I promessi sposi. Vi leggo la fine, che più o meno conoscete tutti; quindi, non credo che di rivelarvi chissà quale segreto. Ma, appunto, voi conoscete la fine de I promessi sposi? Conoscete la fine de I promessi sposi? Sicuri? “Il bello era sentirlo raccontare le sue avventure e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate per governarsi meglio in avvenire. Ho imparato, diceva – è Renzo che parla – ho imparato a non mettermi nei tumulti, ho imparato a non predicare in piazza, ho imparato a guardare con chi parlo, ho imparato a non alzar troppo il gomito, ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte quando c’è lì intorno gente che ha la testa calda, ho imparato a non attaccare un campanello al piede prima di aver pensato a quel che ne possa nascere e tante altre cose, ho imparato, ho imparato, ho imparato. Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non era soddisfatta. Le pareva così inconfuso – bellissima questa espressione – inconfuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentire ripetere la stessa canzone e di pensarci sopra ogni volta – chi non è che risponde subito, ci pensa. – e io disse un giorno al suo moralista, – strano aggettivo, ovviamente a Manzoni aveva in mente certi moralisti francesi che aveva studiato, comunque – disse al suo moralista: cosa volete che abbia imparato? Io non sono andato a cercare i guai, sono loro che sono venuti a cercare me, quando non voleste dire, aggiunse soavemente sorridendo, che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene e di promettervi a voi. Renzo all’inizio alla prima rimase impacciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme conclusero che i guai vengono bensì spesso perché ci sia dato cagione, ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, che quando vengono o per colpa, o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, ben che trovata da povera gente, ci è parsa così giusta che abbiamo pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia”.

Il sugo di tutta la storia, intanto, ed è uno dei motivi per cui Manzoni, o meglio i promessi esposi, hanno anche cercato di ucciderli, magari obbligando i 15 anni a leggerlo, che è un po’ come ucciderlo. Uno dei motivi per cui I promessi sposi danno fastidio è che il sugo della storia non lo tira il direttore di Repubblica o del Corriere della Sera, Non lo capisce l’avanguardia, non lo capiscono i capi, non lo capiscono i presidenti: il sugo della storia la capisce la povera gente. Chiunque può capire il sugo della storia.

È chiaro che per un 900 abituato ad avere l’avanguardia che deve indicare il sugo della storia, da che parte andare, gli intellettuali che capiscono più degli altri, i capi che danno la direzione, per un 900 in cui tutte le ideologie di qualsiasi genere, anche clericali, sono state ricalcate sull’idea che c’è qualcuno avanti che capisce e il popolo bue che forse non capisce ed è meglio che segue, l’idea che un più grande scrittore italiano dica il sugo della storia lo tirano in un tinello di una casa qualunque, Renzo e Lucia.

Dà fastidio. Dà molto fastidio. Solo che è così. Solo che veramente accade a chi incontra donne come Lucia, ma è capitato, spero anche a voi, che una ragazza dica “sì, ok”, ha imparato a evitare i guai, certo, tutti dovremo evitare i guai, ok, che bella roba, ha imparato a evitare i guai, bene, ci sono dei guai che arrivano anche se non li cerchi, e allora come si fa?

Come calcoli una vita, il valore di una vita, quando i guai arrivano anche se non li cerchi? Molti di noi, tutti noi, potremmo fare un piccolo elenco di guai che non ci siamo cercati, o noi o i nostri cari. Come fai a vivere una vita giusta al di là di quello che hai imparato a evitare come guai? Perché i guai arrivano anche se non li cerchi. Cos’è che rende una vita giusta? Manzoni era ossessionato dalla giustizia. Cos’è che rende una vita giusta?

La provvidenza, che cos’è? Non è un modo per far tornare i conti. Questo sarebbe dolciastro insopportabile, clericale e dolciastro insopportabile. La Providenza non fa tornare i conti, è un altro modo di calcolare. È un altro modo di calcolare. La giustizia della vita. Per cui anche la vita di un bambino che dura due anni perché è malato gravemente vale come quella del Presidente degli Stati Uniti. È un altro modo di valutare la giustizia della vita. che è sempre soggetta poco o tanto a guai che arrivano anche se non li cerchi. Questo è la provvidenza di Manzoni. Questo modo di calcolare la vita in un altro modo. Non è il tornare dei conti nella mentalità di tutti. Cerco di evitare i guai. Non ce la fai, la provvidenza fa tornare i conti. No, è un altro modo.

Per questo Manzoni è rivoluzionario, come diceva giustamente Eleonora prima, non solo per le grandi idee politiche e civili che incarnava, non solo aveva, perché sono bravi tutti ad avere delle idee, poi bisogna viverle. Ma è rivoluzionario perché ti propone un altro modo di calcolare le cose. E con modo che lo capisce Lucia o la nonna Peppa, non l’avanguardia. Questa è la rivoluzione che Manzoni continua a portare, per cui io mi ricordo che quando ebbi la fortuna, per una prefazione da fare di discutere con Don Giussani dei I promessi sposi, nella conversazione che mettiamo in cima un libro, diceva, ma tu cosa pensi di questo romanzo? Dice, più grande di tutti. Ma per questo, per questo strano misurar la vita in un altro modo, in un altro modo, ed è quello che la grande letteratura sa fare, non solo Manzoni, ma pochi grandi geni come Manzoni, se aiutano qualcosa a rendere più dolce la vita non è perché danno in miele, ma perché ti insegnano a calcolare le cose in un altro modo, a calcolare il giusto della vita, come avrebbe detto il nostro maestro Mario Luzzi, in un altro modo. Il giusto della vita non è che hai evitato i guai, perché c’è che non li hai evitati.

No, come fai ad essere lieto se tu li hai evitati e l’altro no? Che letizia è? È da coglioni. Che letizia potrebbe essere quella di quelli fortunati rispetto agli sfortunati. La provvidenza è l’unica cosa che permette di non dividere la vita in fortunati e sfortunati. Che invece è l’unica etica che ormai ci viene proposta. Cerca di stare dalla parte dei fortunati e gli altri si arrangino. Fortunati e sfortunati. È capitato a lui, non a me. Punto. Si può vivere così? Si può accettare umanamente vivere così? Manzoni dà un altro calcolo.

L’unica possibilità di non dividere la vita propria è il mondo in fortuna e sfortuna. Questo si chiama la provvidenza, cioè un altro modo di calcolare il giusto della vita.

Ma finendo e ringraziando con un applauso credo ai nostri amici che sono stati con noi questa sera abbiamo suggerito agli amici del Meeting in questo titolo, che tra l’altro è per coincidenza anche il titolo di un libro che ha fatto l’amico Nembrini proprio in questo tempo su Melwash, Manzoni e Leopardi, un libro che è uscito in questi giorni, che trovate anche qua, che porta lo stesso, questa frase, cosa accende, perché appunto l’Innominato si muove dietro a una cosa allegra.

Il cuore dell’uomo non si muove dietro a una cosa noiosa. Per questo Manzoni ha fatto I promessi sposi. E non è noioso. Questo modo di vedere la vita non è noioso. È molto interessante. Pochi giorni fa, una ragazza che è colpita da un guaio abbastanza serio mi diceva: “il poter vivere questa situazione con la vostra amicizia mi permette di stare attenta alle sfumature” alle sfumature alle sfumature perché la vita è fatta di sfumature e la grande letteratura come Manzoni ci fa vedere le sfumature; le sfumature della vita sono la vita e questa ragazza aveva capito che pur dentro è un grande guaio, una certa intelligenza della vita, la provvidenza, ti fa stare attento alle sfumature, ti fa gustare la vita nelle sue sfumature.

Per finire vi ricordo, come è giusto, l’avviso che qui mi hanno dettato e c’è scritto così. Ognuno di noi può dare un contributo decisivo per rendere il Meeting anche quest’anno testimonianza di un’amicizia che vuole dilatarsi fino a diventare amicizia fra i popoli e le culture. Sostenere il Meeting ovviamente è un’espressione di responsabilità, quindi per tutti nella costruzione. Una civiltà non cresce senza cultura. Dialogo e bellezza ne sono la linfa vitale. Il Meeting è da sempre luogo di cultura, ciascuno può contribuire a far continuare questa grande storia. Per cui trovate le postazioni che si chiamano Dona Ora. Si chiamano Dona ora perché non è che uno passa e Dona dopo. Dona ora si deve fermare. Sono un po’ impositive come diciamo. Dona ora, fermo lì. Sono queste postazioni con tanti ragazzi molto bravi e molto belli che chiedono ci si ricorda che la fondazione Meeting è un ente del terzo settore e quindi chi sostiene il Meeting può usufruire dei benefici fiscali al momento della dichiarazione dei redditi.

Il Meeting si fa insieme, quindi ci si può aiutare anche in questo modo. Io ringrazio ancora molto Alessandro Zaccuri che è stato con noi. Alessandro è uno scrittore, ha la responsabilità anche della comunicazione, dell’Università Cattolica, quindi ha molto da fare. Eleonora, che oltre ad essere una scrittrice di romanzi, è anche una bravissima scrittrice di sceneggiature.

Ringrazio che è stato con noi e ringrazio tutti voi per l’attenzione.

Data

21 Agosto 2023

Ora

21:00

Edizione

2023

Luogo

Auditorium isybank D3
Categoria
Incontri