Chi siamo
COMUNICARE IL POSITIVO
In collaborazione con FERPI. Partecipano: Gianluca Comin, Presidente FERPI; Martin Sorrell, Chief Executive WPP Group. Introduce Fiorenzo Tagliabue, Presidente e Amministratore Delegato SEC.
MODERATORE:
Buon giorno a tutti. Grazie della vostra partecipazione e – soprattutto – grazie ai nostri due ospiti che hanno accolto l’invito del Meeting a confrontarsi su un tema “Comunicare il positivo” che ci suona subito come una provocazione nel contesto culturale in cui viviamo.
Vorrei innanzitutto presentarvi i nostri ospiti.
Martin Sorrell, 63 anni, inglese, sposato con tre figli, dopo alcune esperienze professionali, tra cui la direzione finanziaria del gruppo Saatchi & Saatchi, nel 1986 prende le redini di una piccola società quotata, la WPP, per farne una società di servizi di marketing e, passo dopo passo, attraverso acquisizioni ed operazioni industriali e finanziarie ne ha fatto uno dei più grandi gruppi al mondo nel campo della consulenza e dei servizi in comunicazione.
Al gruppo WPP con 110.000 addetti fanno capo agenzie che coprono tutta la filiera della comunicazione: dalla pubblicità alle relazioni pubbliche, dalle promozioni al marketing diretto.
E’ presente in 106 Paesi del mondo con 2000 sedi e un fatturato nel 2007 superiore a sei miliardi di sterline.
Gianluca Comin, 45 anni, sposato con tre figli, è presidente della FERPI, la Federazione dei Relatori Pubblici italiani, dei professionisti che si occupano di comunicazione d’impresa.
E’ ora direttore delle relazioni esterne di Enel, dopo essere stato sempre in Enel direttore della comunicazione e aver occupato la stessa carica in Telecom Itala tra il 2001 e il 2002 e dal 1999 al 2001 in Montedison a Roma dove era anche responsabile di sede.
Ha al suo attivo anche quasi 10 ani di giornalismo nella redazione di Roma del Gazzettino.
Abbiamo con noi, dunque, due personalità con una storia molto diversa, accomunati dal fatto di essere entrambi, ciascuno nel proprio ambito, due autentici protagonisti dell’industria della comunicazione.
E ora vorrei brevemente introdurre il tema cercando, innanzitutto, di definire il terreno della nostra conversazione. Come abbiamo visto nella presentazione dei nostri due ospiti il loro impegno attuale si colloca nel grande campo della comunicazione d’impresa dove agenzie e professionisti aiutano le aziende, grandi o piccole, private o pubbliche, così come le Istituzioni, a dialogare con i loro stakeholder: consumatori, comunità, istituzioni, media.
I comunicatori – agenzie e professionisti – aiutano le imprese e le Istituzioni a proporre i propri prodotti e servizi al mercato e al singolo consumatore – sfida oggi sempre più possibile grazie ai new media – e nel contempo a costruire una reputazione forte per l’impresa che la renda credibile e affidabile agli occhi di tutti coloro che ad essa si rapportano.
Dunque l’accezione a cui guardiamo parlando di comunicazione d’impresa è più larga dell’idea di informazione che vede come protagonisti, soprattutto i giornalisti e più in generale tutti coloro che si occupano di informazione in tutte le sue declinazioni, e vogliamo mettere l’attenzione verso quel mondo che parla ai cittadini-consumatori e agli altri stakeholder utilizzando anche i media, quelli classici e quelli più recenti, o attraverso l’acquisizione di spazi pubblicitari o la diffusione di notizie e informazioni relative alla vita delle aziende e dei loro prodotti.
Si dice – e non sempre a torto – che l’industria spesso condiziona anche l’informazione o che fa un uso spregiudicato della comunicazione al fine di raggiungere il proprio fine: generare profitti per gli azionisti.
Si può conciliare questo fine, legittimo, con una comunicazione positiva, in altre parole rispettosa dei destinatari?
Il cittadino-consumatore può fidarsi della comunicazione che lo raggiunge in tv, radio, per strada, sul proprio pc o fa bene a trattare i contenuti di questa comunicazione con una certa diffidenza?
Mi piacerebbe che il dialogo avesse questi temi come riferimento senza, naturalmente, voler ingabbiare la nostra discussione in uno schema troppo rigido.
Per incominciare vorrei fare una domanda di taglio più personale ai nostri ospiti. E inizierei da Martin Sorrell.
Sir Martin, parlando di leadership, lei ha detto al “Financial Times”: “io credo veramente che le persone fanno la differenza, qualsiasi cosa dicano le business school sul team building, il gioco di squadra, ecc. Non dico che queste cose non siano importanti ma alla fine della giornata la differenza decisiva tra società la fanno le persone”.
Poiché condivido molto questa affermazione, vorrei chiederle come nel suo gruppo essa è messa in pratica e quanto ha contribuito al vostro successo
MARTIN SORRELL:
Grazie, grazie per queste gentili parole di presentazione, e vorrei anche ringraziarvi perché mi offrite l’opportunità di parlare in questo incontro così prestigioso. È un incontro, una conferenza che ha qualche anno in più rispetto alla mia azienda, WPP, che è stata fondata circa ventitré anni fa e credo che il Meeting ormai si tenga da quasi ventinove anni, quindi diciamo che la mia società è di sei anni più giovane rispetto al Meeting. Se osserviamo la struttura del mio gruppo, il dottor Tagliabue ha parlato della struttura, della posizione della nostra azienda, però se consideriamo la nostra azienda, la capitalizzazione di mercato è pari a undici miliardi di dollari. E quando abbiamo iniziato circa ventitré anni fa la capitalizzazione era di circa due milioni di dollari e non avevamo attività in campo di marketing o comunicazione. Poi, crescendo e ampliando il nostro raggio di attività, in capitale umano investiamo circa otto miliardi di dollari all’anno. Come diceva il moderatore, ci sono circa 116.000 persone che lavorano per noi e gli investimenti fatti in queste persone è appunto di 8 miliardi di dollari. Diciamo quindi che l’investimento in termini di capitale monetario è di solo 350 milioni di dollari. Per propria natura quindi noi ci occupiamo di persone. E il capitale umano è la parte più importante di tutto questo. Tuttavia sostengo con forza che la mia azienda, ogni governo, ogni istituzione accademica dipendono nel loro nucleo più profondo dalle persone. E questa è una cosa che diverrebbe più importante in futuro, appunto addentrandoci nel terzo millennio. Ogni studio demografico che riguarda appunto l’indice di natalità, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento del numero di donne lavoratrici, e il calo della dimensione delle famiglie, l’aumento del numero di divorzi, ecco, tutto questo evidenzia l’importanza del capitale umano che diverrà sempre più difficile da reperire. Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo il problema fondamentale per i nostri clienti, le multinazionali, le nostre aziende, le aziende locali, il problema fondamentale era come erogare bene i servizi ai consumatori. Questo non è più un problema. In effetti si può addirittura dire che c’è un eccesso di offerta rispetto a beni e servizi, e magari ne parleremo anche più tardi, e l’impegno che tutti ci troviamo a dover affrontare è proprio quello di stimolare un consumo responsabile e non un consumo irresponsabile. Tuttavia l’elemento differenziale più importante tra i diversi centri ed istituzioni, che siano aziende che operano ai fini del profitto, o che siano imprese non profit, che siano amministrazioni pubbliche o università, ecco, la differenza sarà fatta dalla qualità delle persone. Oltre a questo, esiste un problema fondamentale, appena sollevato, al quale fa riferimento la citazione dal “Financial Times” che è stata menzionata. A mio avviso l’elemento differenziale importante tra le aziende e altre istituzioni è proprio determinato dai loro leader, dai loro capi. Io mi sono laureato ad Harvard, alla Business School che sta appunto festeggiando il centesimo anniversario, e sono fortemente convinto del valore dell’istituzione. A volte tuttavia ho l’impressione che la teoria del management, che le teorie dell’amministrazione, tra cui appunto il gioco di squadra, la costruzione di squadre, il mountering, ecco, questo esula, va al di là dell’aspetto pratico. E l’elemento che differenzia di più, che fa la differenza tra i diversi paesi, le città… Potrei trarre un’analogia tra quanto ho visto avvenire in Cina, a Pechino, nelle ultime due settimane, dove appunto mi sono recato due settimane fa, diciamo è una cosa un po’ controversa da affermare pubblicamente, poiché vi sono molti problemi che la Cina deve affrontare, questioni che noi in Occidente abbiamo esposto a facili critiche, forse con mancanza di fondamento, poiché anche noi abbiamo problemi simili, nel mondo occidentale, che non riusciamo ad affrontare con successo. Tuttavia se osserviamo quanto avvenuto a Pechino nelle ultime due settimane, possiamo trovare un buon esempio, forse un po’ estremo dei punti di forza da parte di una leadership che è riuscita a concentrarsi nello spiegamento di risorse, nel corretto uso del tempo. E chiunque abbia assistito alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi e alla cerimonia di chiusura a Pechino deve sicuramente rendersi conto che la Cina è una delle due superpotenze mondiali e che stiamo tornando un po’ al passato, a circa duecento anni fa. India e Cina forse per duecento anni sono state sul versante sbagliato della storia, però anche noi del WPP riteniamo che si stanno collocando sul verso giusto. Ora la leadership per me è qualcosa di leggermente diverso da quanto ritengono molte altre persone. Ventitré anni fa, quando abbiamo fondato il WPP, le cose sono cambiate, quindi io sono un fondatore della mia azienda, non sono un manager. Tra l’altro essere un manager non è una cosa negativa, tuttavia la passione, l’impegno che si devolve nelle cose quando si è un fondatore di qualcosa è una cosa che dà molto di più ed è molto diversa rispetto all’impegno e al comportamento di un dirigente o di un artista. Per concludere posso dire: c’era un procuratore sportivo molto famoso, di calcio, famoso addirittura anche in Italia, Bill Shanklin, era la persona che si occupava del Liverpool, la squadra di calcio del Liverpool, che è ancora un’ottima squadra di calcio, a onor del vero, che disse: “il calcio, che non è una questione di vita o di morte, è più importante di quella” e quindi ho cercato di adattare questo concetto al WPP, che non è una questione di vita o di morte, è qualcosa di ben più importante. E quindi io le cose le prendo in modo molto personale, e questo è in ultima analisi ciò che fa la differenza. Io ritengo e ne sono convinto che le persone, gli individui, veramente sono coloro che fanno la differenza e il successo. E indubbiamente torneremo in futuro in Italia, e la sfida fondamentale che l’Italia si trova ad affrontare, con tutte le risorse a vostra disposizione, con la storia e la cultura, è una questione di leadership e di coesione tra coloro che fanno la leadership.
MODERATORE:
Bene, grazie per questa prima risposta. Abbiamo parlato di persone, abbiamo parlato di leader. Vorrei allora chiedere a Gianluca Comin come prima domanda questo: abbiamo in sala, vedo, molti professionisti già affermati che fanno il nostro mestiere, abbiamo anche dei giovani e dei ragazzi che probabilmente alla fine dei loro studi guarderanno al mondo della comunicazione come a un possibile sbocco professionale. Ecco, che cosa fa di un professionista, un eccellente professionista nella comunicazione d’impresa?
GIANLUCA COMIN:
Grazie Fiorenzo, e buongiorno a tutti. Devo dire che vengo sempre molto volentieri al Meeting per parlare, più che per parlare, per ascoltare, incontrare, è un momento di grande formazione e relazione, quindi sono molto felice di essere qui anche quest’anno. Poi se parliamo anche di comunicazione, tema spesso un po’ Cenerentola nei vari Meeting, Congressi e quant’altro, sono ancora più felice, anche perché come presidente della FERPI il mio ruolo è anche quello di promuovere la conoscenza di questa professione, che per troppo tempo è stata considerata una professione da attribuire al parente scemo in azienda piuttosto che al raccomandato. Oggi non è più così, non è più così in molti casi, in altri il percorso è ancora da fare, e quindi per chi studia Scienze della Comunicazione o Relazioni pubbliche, è certamente un momento buono, un momento buono perché nelle aziende, soprattutto in quelle grandi, ma anche sempre di più in quelle medie, la comunicazione e le relazioni pubbliche più in generale stanno diventando o sono già diventate un elemento, un momento di sintesi delle strategie, di analisi del contesto, indispensabile per poi realizzare il piano industriale. In una società come l’ENEL, ma non è un caso isolato, chi si occupa di comunicazione partecipa ai comitati esecutivi, è tra le persone più vicine al vertice aziendale e quindi porta un contributo di conoscenza, non così scontato in passato, che serve a mio avviso a indirizzare e a orientare il business e a volte a far la differenza nel successo o meno dell’iniziativa. Questo vale per le società commerciali, ovviamente, ma vale moltissimo per società che hanno nella relazione coi cittadini, nella costruzione di infrastruttura, nell’accettazione di impianti industriali dei diversi pubblici, una loro, come dire, base forte, e quindi la capacità di capire la società, di capire il contesto, di analizzarlo in maniera corretta e di poi esprimere, comunicare nel migliore dei modi è diventata essenziale. Quindi se è diventata una professione che non si sente minore del direttore finanziario, piuttosto che del direttore del personale, in passato figure mitiche, no, alle quali tutti rispondevano, beh, allora diventa anche più divertente per chi studia potersi affacciare al mondo del lavoro. Se poi aggiungiamo che non si può essere protagonisti se non si è anche dei buoni comunicatori, e quindi anche il tema del Meeting, essere protagonisti, ha un’accezione molto larga e che comprende molti aspetti, ma certamente oggi, in questa società, con questo sistema dei media, con l’attenzione e la velocità con cui ci confrontiamo, se non conosciamo, o non accediamo ai meccanismi di comunicazione, rischiamo di non esistere, e quindi una parte importante dell’essere protagonisti, oltre ad avere gli ideali, avere le idee, avere le strategie, è avere una visione e anche la capacità poi di mostrare con dei segni e con capacità di comunicazione quello che si vuole fare. E insomma nella storia abbiamo visto molti personaggi, ultimo devo dire, Barack Obama, che, piaccia o non piaccia politicamente, oggi sta segnando un modo diverso di rapportarsi verso il pubblico, di comunicare, di usare il linguaggio, di usare i gesti, le immagini, gli stessi strumenti di comunicazione, Internet, ma poi ci torneremo. Per cui, forse esagero, ma non sarei così appassionato del mio lavoro se non vedessi in questo mestiere una grande prospettiva anche di crescita per chi ci lavora e per i giovani che entrano. Quali sono le caratteristiche, tu mi chiedevi; beh, innanzitutto oggi la comunicazione, e lo vediamo solo analizzando il gruppo che Martin guida, offre una miriade di specializzazioni, e quindi può rispondere alle voglie di ciascuno di essere un creativo, piuttosto che di essere un organizzatore, di essere locale-locale piuttosto che globale e internazionale, di occuparsi di rapporti con la politica, e capire l’andamento della politica e dei governi in diversi paesi del mondo, oppure di occuparsi solo di un prodotto…talmente vario e sfaccettato che un giovane che si affaccia a questa professione può trovare forse più che in altre professioni una risposta al proprio bisogno di realizzarsi. È certo però che è anche un mestiere che per avere questo ruolo deve avere dei professionisti sempre più preparati e maturi. Quindi l’accesso a una professione solo perché si è estroversi non è più ammissibile, non basta un buon carattere per essere un buon comunicatore, ma, lo vedo quando facciamo le selezioni, soprattutto in azienda, è necessario avere un buon corso di studi, in una buona università, sapere bene le lingue, e avere quindi una voglia di specializzazione e di conoscenza continua proprio nella propria professione. Però poi c’è un altro aspetto che, in ogni mestiere devo dire, ma che forse specialmente nella comunicazione vale, è quella luce negli occhi che ti fa dire che una persona ha una curiosità verso gli altri, verso l’esterno, verso la società, che lo rende speciale rispetto a chi ha della conoscenza. Ora questa curiosità è, nella comunicazione, il sale del lavoro, la benzina della macchina, perché se noi non abbiamo la curiosità di capire i trend, di capire i mutamenti velocissimi che la società porta, non abbiamo la curiosità di capire sempre di più il singolo come consumatore, come nostro interlocutore, beh sarà un po’ difficile poi trovare gli strumenti per parlare con lui e quindi vendergli un prodotto, un servizio, un messaggio, un valore; e quindi, qui torno e sono molto d’accordo con Martin e anche con te Fiorenzo, sul valore della persona, e su quella capacità che non si studia sui libri di scuola, che è qualcosa di innato, poi si può coltivare, maturare nelle scuole, però è innata ed è la curiosità. A fianco a questa la leadership: in azienda si tende a essere poco individualisti, e anzi è un valore il saper far team, il saper costruire e lavorare in squadra a dei progetti. Credo che questo sarà sempre più vero anche in comunicazione, perché, e qua ovviamente il mio punto di vista è un po’ diverso, lavorando in una grande azienda, sempre di più il successo di un’iniziativa, della vendita di un prodotto, sarà data dalla capacità di lavorare in maniera integrata con tutte le leve della comunicazione. Cioè, non potremmo avere dei settori pubblicità che si occupano della promozione pubblicitaria tradizionale di un prodotto, e dimenticarsi che poi ci sono media relations, public affairs, attività di social-marketing che, integrate con la pubblicità, devono spingere per la promozione del prodotto, del servizio o dell’istituzione per il quale si lavora. Quindi la capacità di lavorare in maniera integrata con la comunicazione richiede, soprattutto per chi la guida, la capacità di far lavorare tutti allo stesso progetto in maniera coesa e con una grande capacità di visione e di coagulo della squadra. Quindi individualità, dote personale, ma anche grande capacità di squadra che deve avere soprattutto il leader.
MODERATORE:
Bene, entriamo adesso un po’ più in profondità sul tema della pubblicità. Nel corso della sua pur non lunghissima storia, la pubblicità, dopo gli entusiasmi degli inizi, ha conosciuto critiche e demonizzazioni – come quella celeberrima dei persuasori occulti di Vance – per diventare poi un fattore non solo economico ma anche culturale assolutamente accettato, normale e certamente molto pervasivo. Oggi alcuni parlano di crisi, di inefficacia, addirittura di fine della sua parabola. Lo stesso Maurice Saatchi, fondatore di un’agenzia che lei conosce molto bene, in un’intervista di due anni fa al “Financial Times”, parlò di una “strana morte della pubblicità moderna”. E’ davvero così?
MARTIN SORREL:
Prima di rispondere alla sua domanda vorrei fare un commento su Obama. Se da un lato è vero, come è stato detto, che Obama ha utilizzato le tecniche web a un punto molto elevato e, forse, in modo più brillante di quanto abbia fatto Hilary Clinton o John McCain, Obama, secondo me, dimostra la potenza e il potere della persona. Molti di voi siete troppo giovani per ricordare John Kennedy, JFK, però come Obama, che è riuscito veramente a stimolare un punto sensibile dell’America, JFK aveva toccato lo stesso punto debole negli anni Sessanta e vinse le elezioni contro Nixon di strettissima misura. Obama, effettivamente, è l’esempio di una macro tendenza, non di una micro tendenza e la sua debolezza principale potrebbe essere il fatto che la sua politica non è stata articolata sufficientemente, fino ad ora e, forse, non riuscirà a farcela al momento delle elezioni. Lasciamo perdere questo per un attimo e parliamo della questione della leadership. Se consideriamo il settore delle comunicazioni, come ha indicato Gianluca, la necessità di una maggiore integrazione nel settore, vi sono varie cose, sei-sette, che stanno avvenendo, che sono di grande importanza e, visto che il tempo è limitato, ne parlerò molto brevemente e poi ritornerò alle due questioni fondamentali. Se vogliamo dare un messaggio da portare a casa per stamattina, esso sarà costituito da due cose, fondamentalmente: la prima è che noi stiamo assistendo, ne ho già parlato prima quando menzionavo la Cina, a uno spostamento di potere su base geografica, una cosa che è già successa in passato, nella storia, duecento anni fa; nella Cina e l’India e quelli che oggi definiamo “mercati emergenti”, insieme sono il 50% del prodotto mondiale lordo e, ancora una volta, verso il 2020 o 2030 raggiungeranno di nuovo questo volume come era duecento anni fa e questo, effettivamente, significa l’inizio di un altro ciclo economico. Questo è il primo punto. Quindi le prospettive del mondo occidentale quali sono? Sono messe seriamente in difficoltà, a meno che non adottiamo degli interventi veramente radicali per modificare la struttura sociale e politica. Questo è un punto. Il secondo aspetto riguarda la tecnologia. La prima cosa è di facile comprensione, certo si può ben capire che vi saranno un miliardo e 300 milioni, un miliardo e 500 milioni o un miliardo e 200 milioni di indiani, che assieme costituiscono metà della popolazione mondiale. Questa è una forza in crescita nel mondo, questa è una cosa di facile comprensione per tutti noi, Asia, America Latina, Africa, Medio Oriente, Europa centrale e orientale diventeranno sempre più importanti e influenti sulla scena mondiale. La tendenza difficile, però, da capire è ciò che sta avvenendo dal punto di vista tecnologico, perché il consumatore oggi ha veramente un potere soverchiante e nell’ambito della pubblicità e del marketing, da un punto di vista storico, di solito trasmettevamo dei messaggi attraverso i mass media, in particolare la televisione e questo è, effettivamente, ancora estremamente importante in Italia grazie alla Rai, a Mediaste e ad altre reti. Tuttavia oggi, io e voi come riceviamo i messaggi? Alcune cose sono cambiate in modo sostanziale rispetto al passato: invece di stare seduti in modo passivo innanzi a uno schermo, oggi abbiamo la possibilità di controllare, di interagire sui contenuti che vogliamo ricevere, e possiamo generare noi stessi dei contenuti, quindi non dobbiamo più stare passivamente seduti innanzi a un video (ed è il video che decide cosa fare), ora siamo noi i tempi, i luoghi, possiamo mettere da parte, memorizzare i materiali e scaricarli e utilizzarli quando vogliamo, possiamo usare anche altri dispositivi, per esempio i cellulari, che diventeranno sempre più importanti visto l’avvento dell’i-phone, e quindi possiamo sviluppare, trasmettere dei contenuti, riceverli quando e come vogliamo. Forse, con mio dispiacere devo dire, la parola scritta diventerà sempre meno importante e le comunicazioni andranno attraverso il canale visivo, il visivo diventerà sempre più importante. La prossima rivoluzione cui assisteremo dopo Internet e il cellulare, è lo sviluppo dei contenuti video, l’esempio preclaro è proprio quello delle luci. È interessante notare che nel contesto delle Olimpiadi di Pechino, si sia deciso di diffondere i filmati delle Olimpiadi dopo una settimana proprio per adempiere a delle clausole contrattuali nei mercati in cui hanno scarsa penetrazione. Ora parliamo molto brevemente di sette cose importanti che risalgono all’aspetto geografico e tecnologico che ho citato: il potere delle nuove tecnologie, Google, Yahoo, Yellow, E-bay, che hanno e avranno un futuro. La prima cosa da dire è la globalizzazione, lo spostamento di potere da Occidente ad Oriente, la seconda cosa importante, che ho già citato, è la sovra capacità produttiva e la sotto capacità in termini di capitale umano. A meno che non avvenga un cambiamento sostanziale, e non si riesca a stimolare la natività, cosa piuttosto improbabile, la disponibilità di capitale umano diminuirà con il passare del tempo e l’invecchiamento della popolazione farà sì che gli anziani divengano sempre più importanti. Terza forza è il web: esso fa da intermediatore, in particolare escludendo i business tradizionali, e, naturalmente, consente di attuare modelli di business a più basso costo e, ultimo, ma non meno importante, è più interessante per i giovani rispetto a una posizione di apprendistato in grosse aziende di vecchio stampo. Un altro fattore importante è la crescita di organizzazioni di grande portata come Carrefour, Tesco, Wallmarket e altri, e il numero di persone che si reca a fare la spesa presso il Wallmarket degli Stati Uniti è maggiore del numero di persone che vanno a Messa la Domenica, è effettivamente la nuova religione, a torto o a ragione, negli Stati Uniti. Le comunicazioni interne sono un altro aspetto estremamente importante. Mettere in fila le persone in modo che seguano i principi della direzione, è una cosa molto importante per l’azienda, e questo è il ruolo del presidente e dell’amministratore delegato, quindi reclutare tutte le persone, le nostre migliaia di persone, in particolare quando siamo un’azienda molto grande, è una cosa molto difficile da farsi. Altri due punti: uno, vediamo che le aziende stanno globalizzandosi in termini esecutivi e di organizzazione, tuttavia le aziende nazionali che ruolo hanno? Diciamo, paradossalmente il loro ruolo diventerà sempre più importante in futuro e le strutture regionali diverranno meno importanti, questo sulla spinta della tecnologia, almeno parzialmente. Un altro punto, che ho già citato nel mio primo intervento, è il ruolo del consumatore e del suo consumo responsabile. La responsabilità è sociale, non è un’opera di misericordia e di beneficenza, non riguarda l’altruismo, si tratta semplicemente di una buona condotta di impresa; se ci occupiamo di marche, di servizi, dei loro sistemi nel lungo termine, di prodotti e servizi, un buon nome di impresa, che dura nel tempo, una buona reputazione, comportarsi correttamente è, diciamo, un intento redditizio, quindi rispettare l’ambiente, non abusare delle politiche di governo, lavorare con le organizzazioni non governative, avere un comportamento di responsabilità sociale significa fare bene i propri affari. Le uniche persone che a ragione, ma non certo con giustificazione morale, hanno forse un motivo giustificabile per ignorare tutto questo, sono coloro che si occupano solo dei profitti di breve termine. Noi abbiamo delle ricerche ben fondate che dimostrano che i giovani, le persone di media età, gli anziani, di tutte le fasce di reddito, prediligono prodotti e servizi che rispettano e rispondono alle esigenze ambientali e sociali. E, infine, per quanto riguarda la Cina, una cosa che non dimenticheremo di Pechino è proprio il tentativo che ha fatto l’amministrazione cinese per migliorare l’ambiente gravemente inquinato, e il valore che il governo e i cittadini hanno potuto apprezzare dopo questo operato. Secondo me la gente in futuro si chiederà sempre di più qual è il valore di una forte crescita economica del consumo, però condotto in modo da penalizzare l’ambiente e andare contro le preoccupazioni sociali.
MODERATORE:
Quindi Maurice Saatchi aveva un po’ ragione.
MARTIN SORRELL:
Naturalmente non potrò mai smentire il mio ex capo; in effetti, forse dava una connotazione diversa a quella affermazione, parlava, in realtà, della fine degli spot pubblicitari di brevissima durata. La questione tecnologica è difficile da considerare, diciamo che Google è un amico-nemico, e la cosa difficile in Google è che controlla, in ampia misura, le informazioni e i dati sulle abitudini personali, sui nostri problemi privati, sulle nostre inclinazioni, eccetera. C’è una totale trasparenza nel mondo oggi, non vi è nulla che rimane segreto e privato, c’è un ruolo tirannico da parte della geografia e delle distanze, una cosa che c’era nel passato e che è finita per sempre. Quindi nelle aziende, le amministrazioni pubbliche la possibilità di mantenere segrete le cose, all’elettorato, alle circoscrizioni elettorali, non esiste più questo, non è più vero, anche i cinesi lo hanno capito, a seguito di quanto abbiamo visto durante le Olimpiadi.
MODERATORE:
Grazie. Gianluca, tu come vedi questo problema dal punto di vista di una grande azienda come Enel, che opera innanzitutto sul mercato italiano, oltre che su altri mercati?
GIANLUCA COMIN:
Anzitutto sono abbastanza restio a dare risposte categoriche. Ogni tanto leggiamo, nel 2030 non si stamperanno più quotidiani, e poi finirà l’attivo commerciale, Internet prevarrà nella nostra vita. Credo che il mondo vada in maniera più graduale, più, come dire, anche complicata perché poi diversi paesi hanno diverse articolazioni, hanno diversi modi di essere, più avanzati, più arretrati, certamente sta cambiando, sta cambiando molto nel gusto delle persone, nelle loro abitudini. Mi diverto molto, faccio sempre arrabbiare mia moglie quando andiamo al supermercato, perché mi incanto a vedere la gente che compra le cose, e cerco di capire. Sono state scritte biblioteche intere di psicologia del consumatore, però guardare quali sono i meccanismi che portano una massaia piuttosto che un signore distinto a afferrare un prodotto, in una certa parte dello scaffale, con certi colori, no… e io credo che non abbiamo ancora capito abbastanza – e meno male forse – la psicologia dei singoli e quindi tutti i nostri tentativi di andare sempre di più dentro il cervello di ciascuno per cercare di convincerlo a fare qualche cosa, secondo me poi, alla fine, è molto vano, quindi dobbiamo andare per tentativi. Certo sta cambiando, sta cambiando molto, e quindi quella che intendevamo come pubblicità commerciale tradizionale, oggi non è più solo così. L’altra settimana, prima delle ferie insomma, mi hanno presentato un prodotto, devo dire, abbastanza interessante: tu passi davanti al cartellone pubblicitario, sul tuo telefonino compare un messaggio, se sei ovviamente collegato con BlueTooth, ma ormai tutti quanti lo lasciano più o meno acceso, che fa partire lo spot relativo al messaggio di quel cartellone pubblicitario. In altri casi, passi davanti al computer dove c’è una videocamera, ormai insomma quasi tutti ce l’hanno anche nel proprio lap top, e di fronte a un qualsiasi simbolo, che hai sulla maglietta piuttosto che sul cappellino, parte il tuo messaggio pubblicitario. Ecco, ovviamente sono sperimentazioni in alcuni casi già avanzate.
Abbiamo un problema in più in Italia e in molti paesi occidentali: come noi, aziende, vogliamo rispondere a una crisi economica che sta prendendo molte famiglie e che induce un cambiamento di stile di consumo di queste famiglie? In Italia si è ricominciato a parlare di filiera corta e quindi di rivoluzione della larga distribuzione, cosa che comporta anche una rivoluzione nel modo di comunicare il proprio prodotto. Credo che saranno anni interessanti da questo punto di vista. Ultima considerazione. In questo clan del mondo della comunicazione, oggi già le relazioni pubbliche hanno, per investimenti, superato la pubblicità tradizionale. Ovviamente queste categorizzazioni sono sempre difficili da fare, però quasi il 60% degli investimenti sono oggi rivolti in quelle che classicamente sono relazioni pubbliche. Alcuni dati che avevamo raccolto come FERPI, anche in Italia, mostrano che vi sono fra i 90 e i 100 mila operatori delle relazioni pubbliche in questo paese e che si muove qualcosa come 12-15 miliardi di euro di valore. Quindi, insomma, stiamo parlando di cifre enormi. Credo che l’Italia, per fare un po’ l’italiano, vista la visione certamente più globale che ha Martin, l’Italia sia un po’ indietro, forse perché è un sistema televisivo un po’ congelato che non stimola la concorrenza e quindi radicalizza il messaggio e l’offerta televisiva su certi prodotti, anche molto commerciali, non aiuta le imprese a rinnovare. Mi diceva qualche tempo Vito Barbaro, con il quale commentavamo come Procfer sia molto avanti nello spostare i suoi investimenti pubblicitari dalla televisione ad altri mezzi, soprattutto all’estero, in Italia però ancora concentra 70-80% dei suoi investimenti sulla televisione, perché forse siamo ancora vicini all’India in questo campo e quindi le aziende si adeguano a un costume poi italiano in cui la televisione commerciale è poco competitiva rispetto a RAI e Mediaste.
MODERATORE:
Bene. Si dice – giustamente – che la comunicazione d’impresa sarà sempre più trasformata dall’avvento dei new media e dal web in particolare, per la sua capacità di “personalizzare” la comunicazione, raggiungendo in modo mirato il singolo fruitore. Eppure se si va a vedere dentro il web si scopre che non solo quello che oggi ha più successo sono i contenuti proposti dai fruitori stessi – vedi You Tube, My Space o Face Book – ma anche che in realtà questi contenuti spesso NON comunicano, sono un gioco senza scopo, una chiacchiera, un “bavardage” che, come diceva Maurice Blanchot, è la “honte du language”, la vergogna del linguaggio. Insomma, non solo c’è poco di positivo in quello che viene comunicato, ma c’è il rischio che non ci sia più comunicazione, ma solo, come ha scritto Paolo Landi nel suo Impigliati nella rete, “un rincorrersi di migliaia di voci e di immagini che aboliscono le differenze che ancora esistono tra gi uomini perfezionando la loro omologazione”. Che cosa ci può aiutare a fare di Internet un fattore di crescita delle persone che le renda protagoniste della realtà e non in fuga da essa?
MARTIN SORRELL:
Credo sia pericoloso pontificare, diciamo così, o dire che cosa le persone dovrebbero fare o come dovrebbero avvicinarsi e utilizzare i media. Tornando all’osservazione di John Lucas e al commento del direttore della Propter & Gamble, sappiamo dalle ricerche condotte che praticamente in ogni paese del mondo senza eccezioni, senza eccezioni in termini di penetrazione di Internet o dei cellulari o dei video contenuti, il consumatore medio dedica circa il 20% del proprio tempo on line, in un modo o nell’altro. Sappiamo anche che questa percentuale sta aumentando e ovviamente ogni cambiamento richiede del tempo e la maggior parte delle imprese o delle agenzie di pubblicità, i proprietari dei media, sono gestite da persone che non dico hanno la mia età ma hanno lo stesso grado di antichità. Questo è uno dei motivi per cui le pubbliche relazioni e le questioni pubbliche stanno diventando in modo negativo meno importanti. Io sono in questo settore da ormai 35-40 anni e non ho mai visto le pubbliche relazioni essere così forti, ai giorni nostri in particolare in questa fase della congiuntura economica. E il motivo di questo credo siano principalmente due cose. Innanzitutto l’importanza delle tecniche tese a individuare e studiare i comportamenti dei consumatori, quindi le indagini. E il secondo motivo è il potere di Internet, di My Space, ecc.. Tutti questi strumenti, tutti questi siti sono fondamentalmente un modo per scambiare missive, per scrivere lettere. In passato ci scrivevamo delle lettere; ora le persone scambiano dei contenuti digitali o mantengono una comunicazione di tipo digitale. Sappiamo che il cliente medio spende circa il 10% del proprio bilancio in tutto il mondo on line. E il consumatore dedica il 90% del suo tempo, come dicevo, a navigare. E il motivo fondamentale, a mio avviso, per cui i nostri clienti non si sono ancora adeguati a questa percentuale è qualcosa che ha a che vedere con la loro età e con l’incapacità della persona più attempata a reagire prontamente al cambiamento. E’ una questione fondamentale, cioè si tratta proprio di incapacità di assumersi dei rischi. Se uno trascorre 30 anni della propria vita per raggiungere i vertici di una azienda e diventare amministratore delegato e rimangono 4-5 anni prima della pensione, perché mai uno dovrebbe rischiare. Di solito più saggio si ritiene dedicare gli ultimi 4 anni della propria vita professionale viaggiando in tutto il mondo, godendosi il frutto del proprio operato senza cambiare troppo le cose. Il cambiamento è un impegno, una minaccia se vogliamo, che compete a coloro che gli succederanno. Questo, io credo, sia il motivo fondamentale per cui non vi è stato ancora un significativo cambiamento come avrebbe dovuto invece verificarsi. Considerando l’azienda per cui lavoro, la WPP, per quanto riguarda le entrate di quest’ anno, si prevedono circa 13,5 miliardi di dollari secondo gli analisti, il 25 % sarà raccolto nei mercati emergenti, Asia, America Latina eccetera, e il 25% ci verrà dal digitale. Un altro motivo per cui è effettivamente molto difficile per le aziende media tradizionali fare questo salto in avanti, è che devono ancora comprendere che le aziende televisive di tipo tradizionale, i giornali, le riviste, l’editoria, la radio non saranno così redditizie nel mondo del digitale come lo erano nel mondo dell’analogico. Ed è quindi molto difficile per le persone che gestiscono tali aziende, diciamo così, metabolizzare e superare appunto quello che fanno. C’è un sito in America che si chiama Crakeslist, che è un ottimo esempio di questo. Crakeslist consente di fare della pubblicità, cosiddetta classificata, a noi, a me e voi a costo zero. Quindi se si è un giornale tradizionale che dipende da questo tipo di pubblicità, per essere competitivi bisogna garantire un sito che garantisca la stessa cose ai propri lettori a costo zero. E quindi praticamente bisogna superare quello che si è fatto nel passato, perché se non lo fate voi lo farà qualcun altro al posto vostro. Infine, con questo non sto dicendo che la tv è morta o che la stampa è morta o che le riviste sono morte e tanto meno la radio è morta. Quello che dico è che l’equilibrio di poteri si è spostato sostanzialmente a favore dei nuovi media e quindi per me e per voi, come consumatori, le cose sono cambiate radicalmente.
MODERATORE:
Bene.
GIANLUCA COMIN:
Sarò brevissimo Fiorenzo. Intanto farei ingrandire le parole di Martin sull’età, perché in Italia mi sento così giovane a 45 anni che devo aspettare che vadano in pensione i settantenni prima di prendere un posto di comando e come me molti qua in sala, ma è una caratteristica tutta italiana, molto italiana. All’estero certo, a quest’età, sono premier o no. No, io credo che tu abbia una visione eccessivamente pessimistica di Internet, Fiorenzo, perché io credo che la rete sia un grande potenziatore di democrazia e il fatto che ci sia tanta gente che ci scrive e ci opera è un elemento di, come dire, diffusione della conoscenza, dell’autodeterminazione delle persone. Dopo di che è una grande complicazione per le aziende che devono, come diceva Martin, dover rispondere a queste esigenze. Due piccoli esempi sulla mia terra, a 100 km da qua, dove Enel ha una storica risorsa che è la geotermia, cioè il vapore della terra che diventa energia elettrica, niente di più naturale e rinnovabile, ci sono 25 comitati di opposizione. Questi comitati nascono spesso in rete e si alimentano attraverso i blog. A questo noi rispondiamo, ovviamente, con strumentazioni simili alle loro, però richiede grandi competenze e capacità di innovare anche nelle pubbliche relazioni. Voglio essere brevissimo, non do dati, ma uno solo: circa il 70% delle informazioni in rete al 2010 saranno autoprodotte e questo dovrebbe farci ancora domandare se il nostro approccio comunicativo nelle aziende o nelle istituzioni è quello corretto. Ma, anche vista la sede, due parole di Benedetto XVI. Benedetto XVI in una recente anticipazione della Giornata delle comunicazioni sociali, a proposito proprio di informazione ha ricordato che l’utilizzo dei linguaggi, lo cito ovviamente come l’ha detto, “è compito che in qualche modo riguarda tutti, perché tutti nell’epoca della globalizzazione siamo fruitori e operatori di comunicazioni sociali. I nuovi media, telefonia e Internet in particolare, stanno modificando il volto stesso della comunicazione e forse è questa un’occasione preziosa per ridisegnarlo e per rendere meglio visibili i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana”. Cioè, in sostanza, Internet è un grande strumento di evangelizzazione e di diffusione di messaggi etici. Forse ci sarebbe stata molta più difficoltà e bisogno di capitale umano che girava le piazze e promuoveva nelle chiese se non ci fosse stata una diffusione dei mezzi tecnologici come oggi. L’importante è capirli e usarli.
MODERATORE:
Grazie. Solo una piccola battuta. Non sono pessimista su Internet, anzi penso che la moltiplicazione di questi mezzi, di questi strumenti sia una grande opportunità in termini politici come di sviluppo della democrazia, delle relazioni, dei mercati, di approccio fra le aziende e i consumatori e così via. Nella mia domanda intendevo in qualche modo, come dire, fare anche questa annotazione, che tutto questo implica una capacità da parte del soggetto di giudizio, di giudicare quello che vede, i mondi nei quali si inoltra. Perché se uno in casa sua vede un ragazzo di 10-12 anni, che ha una certa età, avventurarsi dentro questi mondi, è giusto avere la preoccupazione che lo faccia avendo gli strumenti per poter utilizzarli nel modo migliore e al tempo stesso giudicarli e non essere fagocitato da questi strumenti. Questa era solo la mia preoccupazione. Bene, adesso ci hanno richiamato al fatto che dobbiamo chiudere entro una certa ora. Allora vorrei fare una domanda a entrambi più di taglio personale e poi finire con un’ultima domanda a Martin. Poiché dobbiamo finire entro 20 minuti vi pregherei di contenere i tempi. Comincerei con Martin e vorrei chiedergli: dopo che ti abbiamo ascoltato nella tua esperienza professionale, capacità di analisi di quello che sta accadendo nel mondo della comunicazione, cosa che penso ci abbia colpiti tutti, io vorrei sapere da te come ha fatto Martin Sorrell a diventare Martin Sorrell.
MARTIN SORRELL:
E interessante notare che gli italiani vedono l’Italia come paese sempre con un’immagine molto forte, cosa che non deve sorprendere ovviamente, però la potenza, la forza di questa sensazione è veramente grande anche nei paesi più ammirati dall’Italia, come l’Australia, la Spagna, gli Stati Uniti. Ed è interessante notare che la percezione di sé che gli italiani hanno evidenzia le caratteristiche sociali, la responsabilità sociale degli italiani. Naturalmente il patrimonio storico culturale unico, il proprio fascino e le tradizioni. Ecco diciamo che queste sono posizioni condivise anche dagli stranieri quando valutano l’Italia, affascinante, affettuosamente amichevole, divertente, unica nel suo genere, diversa, indipendente. Ecco, queste sono caratteristiche sulle quali la leadership italiana può svilupparsi e naturalmente migliorare ulteriormente il marchio Italia e naturalmente saremmo lieti di aiutare il vostro governo a farlo. Ecco, questa non era pubblicità naturalmente. Bene, lasciatemi concludere ora rispondendo alla domanda che mi è stata posta, non alla domanda alla quale io volevo rispondere. Quindi a prescindere dal fatto di essere venuto al mondo in una famiglia che mantiene forti valori familiari, una famiglia ebrea, ero figlio unico e un po’ viziatelo, perché mio fratello era morto durante il parto. Quindi sono il classico esempio di figlio unico viziato. Tuttavia devo dire che ci sono quattro cose, anzi cinque, che hanno contribuito a fare di me quello che sono. Innanzitutto la forza, la potenza dell’individuo, del mio miglior amico, la persona con la quale ho i migliori rapporti è stato mio padre. Nei giorni più difficili, io ogni giorno dedicavo molte ore per parlare con lui. Quindi è stato molto importante per me, quindi questo è un punto. Poi l’educazione. Ritengo che quanto ho imparato a Cambridge, ero uno studente molto medio, quanto ho imparato ad Harvard, è stato fondamentale per forgiarmi. Vi sono altre due cose che io ritengo essere importanti. Innanzitutto la concentrazione, l’essere mirati e l’essere concentrati. E in ultimo, ma non meno importante, la persistenza, il perdurare. Quindi la capacità di distinguere quello che è veramente importante, stabilire un obiettivo, essere deciso a raggiungerlo, quindi perseverare, questo è un aspetto fondamentale. Non è una questione di chirurgia cerebrale o di struttura dell’encefalo; non è questione di avere un successo intellettivo, anche se naturalmente usare bene il cervello è importante. E’ una questione di traduzione pratica delle cose.
MODERATORE:
Bene, grazie. Anche tu hai un’esperienza diretta e consolidata di quello significa la comunicazione di un grande gruppo come l’ENEL, che tra l’altro in questi ultimi anni ha affrontato delle sfide come il passaggio da un regime di monopolio alla liberalizzazione, a un mercato più aperto eccetera. Che cosa ha significato per te, che governi una struttura di comunicazione abbastanza articolata, complessa, comunicare in positivo in questi anni?
GIANLUCA COMIN:
Credo che sia nell’indole delle persone tentare di pensare in positivo e quindi esprimersi positivamente e trasmettere una positività. Poi nelle aziende ovviamente la missione primaria è quella di trasformare le cose negative in positive, nascondere quelle negative e trasformare i rischi in opportunità e quindi fa parte del nostro lavoro. E’ tema del pomeriggio, lo hai detto tu prima, però non possiamo prescindere qua dal parlare seguendo il tema della comunicazione positiva dal ruolo dei media. Io credo che forse andrebbe ridiscusso il paradigma bad news good news. E’ vero, le analisi che ha portato Martin sono gratificanti, ma lui ha omesso di dire che queste si poggiano su poche cose, sul marchio Ferrari, sul marchio di Prada, forse su Armani e sul Colosseo. Di tutto il resto l’Italia ha difficoltà a portare fuori la propria immagine. Leggevo durante queste vacanze estive un bel articolo di fondo di Magdi, non so se lo avete letto, sul “Corriere della sera”, che parlava del vizio italiano del parlar male del proprio paese e di come questo sia diventato un luogo comune di tutti noi anche all’estero, con amici stranieri. Devo dire che mi ha fatto riflettere molto e che ha stimolato. Avevamo già cominciato in ENEL a fare un lavoro in questo senso e spero entro l’anno di poter mostrare i risultati di questo lavoro intorno al recupero di una visione positiva del nostro paese e quindi dell’immagine anche della mia azienda e del settore dell’energia che è così importante. Io credo che se tutti gli operatori del settore, sia chi lavora nelle aziende sia nelle istituzioni, nelle imprese di comunicazione, dedicassero 5 minuti al giorno o alla settimana per ragionare su come trasformare l’immagine di questo paese e delle tante cose che stanno dietro, farebbero una cosa buona. Forse con poco riusciremmo a fare molto e senza grandi bacchette magiche o input da Palazzo Chigi o dai governi o dalle regioni. Alla fin fine porta beneficio alle imprese, quindi non sarebbe beneficenza ma sarebbe per aumentare il business, come dicevi tu prima, Martin, riguardo alla responsabilità. Io credo che questa può essere una sfida che parte tra persone che hanno voglia di lavorare con passione e che vogliono lasciare un segno. Forse il Meeting può essere un incubatore.
MODERATORE:
Certo e un’occasione per raccoglierla. Un’ultima battuta con Martin. Ci hai già anticipato alcune cose riguardo a delle ricerche che avete fatto sul brand Italia. Il vostro gruppo ha contribuito e contribuisce ogni giorno a costruire grandi brand che sono leader sui mercati di tutto il mondo. Ora se Silvio Berlusconi, che tu certamente conosci e che un po’ di comunicazione se ne intende, chiedesse al gruppo WPP qualche consiglio per migliorare il brand Italia nel mondo, che cosa suggeriresti?
MARTIN SORRELL:
La prima cosa che faremmo, un po’ noiosetta direi, sarebbe di dire: ci vuole un’attenta indagine, utilizzando un po’ le ricerche e gli strumenti che noi utilizziamo da molti anni. Quindi un’analisi molto approfondita per individuare il ruolo del marchio, del brand Italia. Gianluca ha citato alcune delle icone italiane come appunto Ferrari, Prada ed altri, ecco questi marchi icona potrebbero sembrare un po’ limitati. Tuttavia lo sono proprio perché l’intero occidente e in particolare i big five, le principali cinque economie dell’Europa occidentale si trovano ad affrontare esattamente la stessa fine, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, forse in misura minore la Spagna perché nel periodo dopo Franco è stato un po’ come togliere un coperchio a una pentola a pressione e la Spagna è proprio rifiorita, a eccezione degli ultimi mesi e naturalmente ha avito una crescita economica molto più veloce. Tuttavia le sfide fondamentali sono le stesse. Io credo che quindi potremmo individuare queste caratteristiche che ho già citato. Una volta fatto questo andremmo a capire col Primo Ministro qual è l’elemento che deve fare la differenza. E una volta fatto questo, una volta individuati questi elementi di differenziazione, potremmo mettere in atto una struttura che ci consenta di raggiungere questi obiettivi, alla luce degli ultimi cambiamenti nella leadership in Italia, e naturalmente considerando la maggioranza che forse per la prima volta il partito che ha vinto ha, quindi una maggioranza netta, quindi la possibilità di attuare delle riforme senza scendere a compromessi. Ecco, in questo modo potrebbero avvenire i cambiamenti sociali e strutturali che sono necessari per poter far si che l’Italia e il marchio Italia possa fare un passo in avanti. Quindi, per rispondere alla sua domanda, ripeto: individuare i punti di forza, quali vogliamo che siano i punti di forza, trovare appunto lo iato, la distanza appunto e soprattutto attuare i cambiamenti che servono.
MODERATORE:
Grazie. Solo due parole per concludere. Mi hanno colpito molte cose di quello che avete detto e ne voglio ricordare due. Una è stata detta da Martin quando ci ha spiegato: io sono un fondatore, non un manager, non che abbia qualcosa contro i manager, perché mi ha colpito la decisione con cui ha detto questo e, come dire, mi sono preso fino in fondo la responsabilità di quello che sto costruendo. E l’altra cosa che mi ha colpito è stata detta da Gianluca quando ha individuato, tra le caratteristiche di un buon comunicatore, la curiosità e l’apertura verso la realtà a 360 gradi. Sono due elementi che possono fare la differenza di una persona rispetto ad un’altra e sono elementi che ci dicono come il tema proposto dal meeting di quest’anno “O protagonisti o nessuno” sia stimolante per ciascuno di noi, a prescindere dal ruolo che ciascuno di noi ha. Poi voglio finire con una piccola preoccupazione che questo incontro mi lascia, non per le cose che sono state dette naturalmente, ma che parlando di questi temi è come se la nostra vecchia Europa sia sempre stata un po’ sullo sfondo. Abbiamo parlato molto di Cina, di India, di globalizzazione e credo che questo non sia perché i nostri due eccellenti ospiti si siano dimenticati di questo ma proprio perché è il segno di un clima complessivo che sta mutando e che in qualche modo deve preoccuparci e richiamare la nostra attenzione. E questo mi permette di dire le ultimissime cose sull’Italia. Cosa fa la differenza di un paese? Questo bisogna chiedersi per rilanciare il suo brand. Io penso che uno degli elementi che fa la differenza del nostro paese rispetto ad altri sono le sue radici, la sua cultura, il fatto di essere comunque dentro una tradizione cristiana molto forte. Grazie a tutti e buon pomeriggio.
(Trascrizione non rivista dai relatori)