COME CONSERVARE, UTILIZZARE E CONDIVIDERE UNA RISORSA COSÌ PREZIOSA COME L’ACQUA?

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Giuseppe Catalano, capo di Gabinetto Regione Puglia; Manuela Kron, direttore Corporate Affairs del Gruppo Nestlé in Italia; Alessio Mammi, assessore Agricoltura Regione Emilia Romagna; Giangiacomo Pierini, direttore Corporate Affairs e Sostenibilità di Coca-Cola HBC Italia; Andrea Rinaldo, professore di Costruzioni idrauliche, Università di Padova. Introduce Lorenzo Giussani, direttore Strategy & Growth di A2A

Dall’utilizzo personale a quello industriale fino alla gestione dell’acqua, bene prezioso e presente in modo non omogeneo sul territorio. A confronto testimonianze ed ipotesi di lavoro.

Con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Engineering, APT Regione Emilia-Romagna

COME CONSERVARE, UTILIZZARE E CONDIVIDERE UNA RISORSA COSÌ PREZIOSA COME L’ACQUA?

COME CONSERVARE, UTILIZZARE E CONDIVIDERE UNA RISORSA COSÌ PREZIOSA COME L’ACQUA?

Martedì 20 agosto 2024 Ore 17:00

Sala Gruppo FS C2

Intervengono
Giuseppe Catalano, capo di Gabinetto Regione Puglia; Manuela Kron, direttore Corporate Affairs del Gruppo Nestlé in Italia; Alessio Mammi, assessore Agricoltura Regione Emilia Romagna; Giangiacomo Pierini, direttore Corporate Affairs e Sostenibilità di Coca-Cola HBC Italia; Andrea Rinaldo, professore di Costruzioni idrauliche, Università di Padova. Introduce Lorenzo Giussani, direttore Strategy & Growth di A2A

Giussani. Buonasera a tutti, benvenuti. Iniziamo l’incontro dal titolo “Come conservare, utilizzare e condividere una risorsa così preziosa come l’acqua?”. Il titolo ha un punto di domanda alla fine, e il tentativo di oggi è quello di provare a lanciare qualche spunto di risposta. Inizio presentando i nostri graditi ospiti. Per primo, collegato, il professor Andrea Rinaldo, che è professore di costruzioni idrauliche all’Università di Padova. Poi qui in sala abbiamo il dott. Giangiacomo Pierini, che è il direttore Corporate Affairs e Sostenibilità di Coca-Cola HBC Italia, la dottoressa Manuela Kron, direttore Corporate Affairs del gruppo Nestlé in Italia, il professor Giuseppe Catalano, capo di gabinetto della Regione Puglia, e il dott. Alessio Mammi, che è assessore all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna.
Siamo qui al Meeting a parlare della ricerca dell’essenziale. È chiaro a tutti che l’acqua è un bene essenziale, è “il” bene essenziale. Sembra strano, ma ci siamo probabilmente accorti solo in questi ultimi tempi, in questi ultimi anni, di come questo bene essenziale sia anche un bene scarso. Scarso sia come quantità che come qualità. In Italia si fa esperienza di tutta una serie di apparenti contraddizioni. Negli ultimi anni abbiamo vissuto anni estremamente siccitosi, come ad esempio il 2022 in tutta Italia, e anni caratterizzati da elevatissima piovosità, come il 2024 in una parte dell’Italia, mentre invece ancora oggi alcune regioni del Sud sono in uno stato di grave emergenza. Questo è accompagnato anche da fenomeni estremi, di cui parleremo successivamente. Se guardiamo, ad esempio, il 2022, ci sono stati oltre mille fenomeni di piogge intense contro i 200-250 degli ultimi 10 anni mediamente. Quindi non solo poca acqua, talvolta troppa acqua, e un contesto, quello in cui viviamo noi, che è molto particolare. L’Italia è il secondo paese in Europa per consumi pro capite d’acqua, eppure quasi il 50% dell’acqua dei nostri acquedotti viene persa. Quindi è un bene che viene molto utilizzato, forse abusato. È un bene che in Italia costa molto poco. Noi siamo abituati a pagare tanto l’energia, il gas, lo smaltimento dei rifiuti, mentre l’acqua arriva da madre natura e quindi non siamo abituati a pagarla tanto. E questo comporta anche una certa carenza in termini di ricerca, sviluppo, infrastrutture e quant’altro. Un altro aspetto importantissimo è dato dal fatto che l’uso dell’acqua è ovviamente molteplice. L’acqua viene utilizzata per finalità idropotabili, nei processi di trasformazione o come prodotto nelle industrie, per uso irriguo, per produrre energia elettrica e per molte altre finalità. In alcuni casi questi utilizzi possono essere concorrenti, è possibile fare un utilizzo plurimo dell’acqua, mentre in altri casi si tratta di decidere dove allocare delle risorse che sono scarse e identificare modalità affinché l’utilizzo virtuoso di questa risorsa avvenga nella maniera più efficiente ed efficace possibile.
Un ultimo aspetto che volevo citare, prima di lasciare la parola ai nostri ospiti, è che la gestione e lo sviluppo efficiente dell’uso dell’acqua è un percorso lungo che necessita di investimenti, mentre tipicamente in Italia siamo abituati a rincorrere le emergenze. Arriva l’emergenza, se ne parla, tutti si preoccupano per trovare soluzioni di tamponamento, ma passata l’angoscia del momento, gli interventi infrastrutturali pluriennali che necessitano di una pianificazione vengono un po’ dimenticati fino all’emergenza successiva.
Oggi è un’occasione importante perché abbiamo una serie di relatori molto eterogenei, quindi ci possono dare diverse prospettive. Partirei con il professor Rinaldo, che è collegato e che ringrazio ancora per la presenza, a cui lancio due domande. La prima è legata a un contesto come quello italiano in cui il rischio di siccità è sempre più attuale e lo vediamo incidere nel nostro paese. Quale può essere l’evoluzione, guardando ad esempio il tema degli acquedotti, ma non solo, che possa aiutare a ridurre il livello di emergenza a cui siamo abituati? L’altro aspetto, che forse è il più stimolante anche per un professionista come lui, è legato al tema della frontiera della ricerca e dell’innovazione tecnologica: quale può essere il percorso di miglioramento e quali sono gli ostacoli da rimuovere e le leve da utilizzare? Le lascio la parola direttamente.

Rinaldo. Grazie. Intanto devo dire che è una domanda interessante, però se prendiamo come riferimento quel titolo fascinoso che vi siete dati, ovvero “la ricerca dell’essenziale”, mi sento di dire che il problema non è tanto questo. Ecco, il difetto è nel manico, non è un problema di tecnologia. Il problema delle perdite delle reti, che lei ha citato, è certamente vero, ma riducendo il discorso ai problemi principali, questo non è il problema più grave, non è il problema più importante. Il difetto è nel manico perché la vera preoccupazione, che non ha ancora raggiunto i livelli virali che dovrebbe avere, è la preoccupazione per il clima che cambia rapidamente. Lei citava giustamente questa grande preoccupazione per la siccità che ci colpisce, osservando che quest’anno non ha colpito il Nord Italia. Ma ricordo che nel 2022 la grande siccità della Pianura Padana e dell’Europa centrale non ha avuto come riflesso nel Sud Italia una condizione analoga, al contrario, lì non sono mai stati così bene. Quindi questi percorsi erratici sono un problema grave, sono un problema che è qui per rimanere. Il problema non è tanto nella quantità totale della perdita, il problema generale è che la distribuzione delle reti ha a che fare con gli usi potabili urbani, che sono una frazione piccola del complessivo. Anche il discorso psicologico e civico dell’uso dell’acqua è rilevante, ma non lo è in termini assoluti. Il vero problema è un altro: altri sono i volumi di cui c’è bisogno, quelli che mancano. La produzione primaria, quali agricolture saranno possibili in futuro, quali sono le cose che noi possiamo fare per aiutare. Quindi il problema è che con il clima che cambia rapidamente le precipitazioni sono erratiche; la quantità totale non cambia in maniera sostanziale, ma cambia l’intervallo fra le precipitazioni e la loro intensità, quindi la vera fruibilità di quest’acqua.
E l’altro problema importante da tenere in conto è che dobbiamo guardare anche ad altri fenomeni legati a questi, che hanno come corollario altre cose, come il fatto che una giusta distribuzione dei privilegi e delle risorse non è mai facile da trovare. Ad esempio, nel mio Veneto, 150 metri quadrati per abitante di costruito significano che nella zona deputata, per esempio, alla ricarica delle falde profonde, questa è negata dalla presenza di quella che normalmente viene chiamata cementificazione. Quindi, in sostanza, non è una nuova tecnologia per contenere le perdite che risolverà il problema. Il problema è altro.

Giussani. Rilancio sul suo stimolo, quindi quale vede essere un po’ il tema principale e come invece può essere affrontato dalla sua prospettiva?

Rinaldo. Non pretendo di essere un oracolo, però le dico cose delle quali sono molto convinto, questo lo posso dire per certo. Il problema è che la vera preoccupazione, nella ricerca dell’essenziale, che è il titolo del vostro Meeting, è il clima che cambia con questa rapidità. È certamente vero che il pianeta ha visto temperature di questo genere in passato, ma impiegava un milione di anni ad aumentare la temperatura globale di due gradi, non cento anni come è successo con quello che documentiamo con questi diagrammi che si chiamano “ideogrammi a mazza da hockey”, quelli che mostrano che dagli anni ’50 del Novecento ad oggi è successo qualcosa che non ha precedenti nella storia del pianeta. Questo va verificato, va indagato, ma non è giustamente tenuto nella dovuta considerazione, e quindi dobbiamo aspettarci percorsi sempre più erratici. Quindi, le lezioni di siccità sono importanti. Le lezioni di Israele, per esempio, sono fondamentali nel caso della gestione delle risorse idriche; sono i migliori gestori al mondo. Quindi, l’idea di una spasmodica attenzione al consumo d’acqua, anche quando non ce ne sarebbe bisogno, perché Israele oggi esporta acqua potabile in Giordania. Il riciclo delle acque trattate, reflue urbane per le grandi quantità, la vera quantità totale che è quella che è dedicata all’agricoltura, il riciclo completo di questa che richiede attenzioni particolari e che comporta problemi di tariffazione complicati da gestire, ecc. Quindi, in pratica, quello che dobbiamo fare è sviluppare una cultura della revisione continua. Leggevo sul Financial Times di qualche giorno fa che tutto il concetto stesso di Net Zero, che è così importante oggi e di cui si parla moltissimo, questi certificati rinnovabili dell’energia, ecc., delle grandi corporazioni, non danno la misura corretta di quello che sta succedendo. Per esempio, molta enfasi c’è anche nell’intelligenza artificiale, come si vede anche nell’apertura di questo Meeting, , ma non ci si rende conto, per esempio, che l’intelligenza artificiale non può essere la soluzione dei nostri problemi, perché ciò che ancora non è stato non lo si può prevedere, ma anche, per esempio, banalmente per il fatto che il consumo d’acqua e di energia connesso con questo è aumentato in maniera esponenziale. Quindi, l’idea che ci sia un concetto dietro questo, come nell’uso, ad esempio, anche solo delle acque per il raffreddamento di questi grandi gruppi tecnologici più importanti del mondo, quelli di Microsoft, Meta, Google, è che usano due terzi di acqua in più rispetto a quella necessaria, e la usano per il raffreddamento dei sistemi senza utilizzare acqua riciclata. Quindi, stiamo arrivando al limite dello sviluppo, in cui non è nemmeno facile decidere cosa sia etico e cosa sia una giusta distribuzione dell’acqua, non è chiaro, perché il corollario, ad esempio, di un migliorato assetto economico-sociale di una comunità si riflette immediatamente nell’uso dell’acqua. Quindi, il problema è il difetto nel manico. Il problema è che questa erraticità del clima che cambia sotto i nostri piedi richiede un’attenzione e una partecipazione – lo dico proprio a voi che avete questo nel vostro DNA – che deve diventare virale, deve diventare una preoccupazione di tutti.

Giussani. Grazie, poi magari torno successivamente su qualche spunto che ci ha lanciato. Passo la parola a due esponenti del mondo dell’industria che hanno a che fare quotidianamente con l’acqua e che hanno come core business l’utilizzo dell’acqua. Rivolgo ad entrambi la medesima domanda, nel senso che mi piacerebbe capire come aziende come le vostre, parliamo di Coca-Cola e del gruppo Nestlé, che hanno a che fare appunto strutturalmente con l’acqua, che esperienza possono portare di sviluppo dell’attività che sia sostenibile da un lato ma che non sia in contraddizione con il core business. Noi siamo sempre stati un po’ abituati in passato a vedere la sostenibilità, per quanto riguarda l’ambiente, le emissioni, ma anche l’utilizzo dell’acqua, come qualcosa che dovesse comportare un qualcosa di meno. Invece, quello che stiamo vedendo come percorso di evoluzione e di trasformazione è il fatto che sostenibilità e business vanno assolutamente di pari passo. Do prima la parola al dottor Pierini per un racconto di quella che è la vostra esperienza.

Pierini. Grazie mille e buonasera a tutti. L’acqua è fondamentale per la vita, ma anche per il nostro business. Fortunatamente faccio parte di un settore industriale, quello delle bevande, che consuma poca acqua rispetto ad altri settori industriali che necessitano di maggiore acqua, anche se poi nella percezione uno vede la bottiglia, vede l’acqua, è liquido, e quindi ha la percezione di un grande utilizzo d’acqua. Negli anni abbiamo anche imparato a utilizzarla meglio. Innanzitutto, i nostri stabilimenti in Italia si trovano in zone ricche d’acqua perché è un investimento che ha senso nel medio e lungo periodo, quindi possiamo costruire i nostri stabilimenti solo là dove c’è molta acqua di falda, che è quella che noi utilizziamo, perché estraiamo l’acqua dal sottosuolo, non la prendiamo dall’acquedotto ma anche da superficie molto spesso. Il nostro più grande stabilimento di produzione in Europa e in Italia si trova a sud di Verona, a Nogara, intorno alle risaie, quindi è un territorio particolarmente ricco d’acqua. Negli anni abbiamo imparato a gestirla meglio; abbiamo investito solo in questo Paese mezzo miliardo negli ultimi dieci anni per migliorare l’utilizzo in generale delle risorse, ovviamente oltre all’energia l’acqua è fondamentale. Siamo certificati Gold nell’Alliance for Water Stewardship, che è uno degli indicatori più importanti che certifica il lavoro delle aziende nel settore idrico e l’uso che fa dell’acqua, però si può sempre migliorare, si può sempre fare di più.
Oggi l’intensità idrica per litro di bevanda prodotta misura l’acqua utilizzata per un litro di bevanda ed è di 1,56 litri, quindi mezzo litro che noi preleviamo dal sottosuolo non finisce nella bottiglia. Dove finisce? Viene depurata e ritorna nell’ambiente. Parlerò oggi di un progetto che abbiamo sviluppato in Veneto, proprio a Nogara, che citavo prima. A fianco del nostro stabilimento c’è un torrente, quel torrente riceve l’acqua in eccesso e quel torrente poi serve per le attività agricole a valle della nostra impresa. Questo per chiarire un po’ la situazione. Ci siamo posti una domanda: proprio nel 2022, quando c’è stato quel periodo di siccità in Veneto, ci siamo chiesti cosa possiamo fare di più. È giusto fare quello che facciamo a livello industriale, ma forse possiamo fare di più e meglio pensando in una dimensione di medio e lungo periodo. Ovviamente, la falda da cui noi attingiamo è monitorata, abbiamo interesse a tenerla stabile e a fare in modo che venga gestita in modo responsabile, però si può fare di più e come azienda leader sentiamo anche la responsabilità di fare qualcosa.
Ci siamo imbattuti in un bando del Consorzio di Bonifica Veronese che cercava un partner per la realizzazione di un’area forestale di infiltrazione. Cos’è un’area forestale di infiltrazione? Ve lo spiego in parole semplici perché sono quelle che ho imparato anch’io e sono laureato in legge, quindi non capisco nulla di queste cose, ma ho avuto lezioni da geologi e da ingegneri che me lo hanno spiegato. È un’area sulla quale si costruiscono dei canali, vengono piantati degli alberi, delle piante, e queste facilitano l’ingresso dell’acqua nel sottosuolo andando a ricaricare la falda, prendendo l’acqua dall’Adige. Il territorio di proprietà del Consorzio ha già una concessione per deviare 800 mila metri cubi di acqua e questa costruzione, quest’area che è di 15 mila metri quadrati, sarà sostanzialmente adibita ad area forestale di infiltrazione, andando quindi a rimettere nella falda 800 mila metri cubi d’acqua. L’idea è di estendere questo progetto e mi aspetto, da questo punto di vista, una luce verde da parte della Regione Veneto per andare a prelevare l’acqua del fiume Adige anche nella stagione invernale e arrivare a un milione e mezzo di litri d’acqua. Questo significa che andremo a più che compensare l’acqua che emungiamo dal sottosuolo. Noi siamo un po’ lontani, siamo a 30 chilometri da quest’area forestale, però poi nel sottosuolo l’acqua è tutta collegata e su questo territorio gravano, si stima, all’incirca 1900 imprese agricole che hanno i pozzi e che prelevano l’acqua da questo territorio, oltre a ripopolare un’area che in questo momento è abbandonata con circa 15.000 nuovi alberi, nuove piante che assorbiranno poi CO2 e tutto quello che ne sappiamo. Ed è secondo me un progetto che noi abbiamo abbracciato con grande positività. Mi dicono che è una tecnologia vicentina, io davvero non lo so, non posso confermarlo. Però è sicuramente un progetto, una collaborazione importante tra pubblico e privato verso un obiettivo comune che è il benessere del territorio di cui noi siamo parte. Quello stabilimento ha 50 anni, l’anno prossimo compie 50 anni, e poter fare qualcosa per il benessere di quel territorio, che è anche nostro, ovviamente ci riempie di gioia. Tra l’altro, quello stabilimento sarà lo stabilimento che produrrà le bevande che andranno a dissetare gli atleti, gli spettatori e i volontari delle prossime Olimpiadi Milano-Cortina, di cui siamo partner, e i prodotti poi partiranno per Cortina e per Milano da lì. Speriamo che, quando tutto sarà realizzato, possa essere uno stabilimento ad impatto zero. Il progetto è appena iniziato, i lavori ancora non ci sono. Speriamo che gli obiettivi che ci siamo dati insieme al Consorzio vengano realizzati. Tra l’altro, abbiamo anche gli occhi di tutte le aziende del gruppo, perché siamo i primi a partire con un’iniziativa del genere in Europa. Se darà i frutti sperati, magari potremmo replicare questo investimento anche negli altri stabilimenti, nelle altre regioni italiane dove siamo presenti.

Giussani. Grazie mille. Chiedo alla dottoressa Kron qual è l’esperienza di Nestlé in tal senso.

Kron. Buonasera. Quello che ha detto il dottor Pierini è qualcosa che ci trova totalmente allineati come grande azienda. I nostri processi, infatti, richiedono acqua per vivere, letteralmente. Quindi, l’attenzione che abbiamo per l’acqua in tutte le nostre produzioni è spasmodica. Sono entrata in Nestlé nel 2007 e, ovunque nella vecchia sede dell’azienda, vedevo uno slogan riportato ovunque: “Ogni goccia conta”. Ma cosa significava concretamente “ogni goccia conta”? Significava una grandissima tensione nel cercare progetti anche legati al mondo dell’agricoltura, perché l’agricoltura è uno degli aspetti produttivi essenziali per l’umanità e richiede molta acqua. Noi, con le nostre produzioni di seconda trasformazione, come il caffè, i pomodori, il latte – prodotti di cui facciamo ampio uso – quindi quella che era già la tensione all’epoca in Nestlé come azienda, poi andò a parlare un pochino anche dell’acqua minerale, era cercare di aiutare, e continuiamo.
Dal 2007, anno in cui ho iniziato a vedere questi processi, Nestlé ha investito letteralmente miliardi per aiutare l’agricoltura a ottimizzare i processi e le modalità produttive. Ricordo che per anni abbiamo seguito le produzioni di pomodori per vedere come potessero usare meno acqua ed essere comunque buoni. La scoperta finale è stata che, usando meno acqua, i pomodori risultavano persino più buoni, perché più zuccherini. Abbiamo un progetto mondiale, non solo italiano, sul caffè, con l’obiettivo di far sì che il caffè consumi sempre meno acqua ma mantenga, o migliori, la sua qualità. C’è dunque una spasmodica attenzione ai processi, dall’agricoltura alla produzione, con l’intento di migliorare costantemente, in modo che l’acqua venga usata e riutilizzata nel modo più efficiente possibile.

Come ha espresso prima il dottor Piedini, queste sono operazioni fondamentali. Da un lato, i progetti per risparmiare acqua sono importantissimo e possono far sentire orgogliosi chi li fa. Dall’altro, anche se l’acqua può costare meno in Italia e di più altrove, rappresenta comunque un costo. Ottimizzare i consumi d’acqua porta anche un ritorno economico interessante. Secondo me, non dovremmo mai avere paura di fare le cose meglio e, se ci rimangono anche più soldi, tanto meglio per tutti.

Per quanto riguarda l’acqua minerale, noi siamo imbottigliatori di una risorsa che esiste in natura. Se non venisse imbottigliata, rimarrebbe dov’è e non avrebbe un uso diretto, non finirebbe negli acquedotti, per intenderci. Tuttavia, per noi è un onere importantissimo, poiché ci viene affidata in concessione e dobbiamo curare le fonti, facendo in modo che rimangano intatte. Questo è uno dei doveri che ci assumiamo e su cui investiamo, essendo certificati AWS con le nostre fonti. Questa certificazione garantisce che risparmiamo e facciamo il possibile per ottimizzare i nostri processi industriali, ma richiede anche partner esterni che verifichino se stiamo andando nella direzione giusta, se stiamo usando l’acqua nella giusta quantità e se possiamo migliorare ulteriormente.

Quindi, il consumare sempre meno, consumare sempre meglio e curare sempre meglio le fonti è alla base di quello che possiamo fare. Tuttavia, ci rendiamo conto che non sempre c’è la consapevolezza di ciò che si può fare in termini di consumo d’acqua. Nel 2022, ad esempio, abbiamo dovuto ridurre le nostre quantità di imbottigliamento per evitare di mettere le fonti sotto stress. Pensate all’ironia: un’estate caldissima e la necessità di ridurre l’imbottigliamento per non danneggiare qualcosa di prezioso. Vi assicuro che in azienda c’è stata unanimità totale: non c’è stata alcuna discussione, si è deciso di fare meno perché era l’unica strada percorribile.

Inoltre, ci siamo chiesti: con le comunità dove operiamo, possiamo dare un ulteriore contributo? Possiamo lavorare con loro per bilanciare correttamente l’uso dell’acqua? E ci siamo attivati. La prima area di sperimentazione è in Valtellina, dove abbiamo una fonte, Levissima, e abbiamo iniziato a lavorare con le autorità locali per vedere dove possiamo investire, anche a livello dell’acqua pubblica, per migliorare il bilancio complessivo del bacino idrico. Quindi, non solo quello che riguarda il nostro stabilimento, ma tutta la comunità che ci circonda, investendo soldi per mantenere l’equilibrio del bacino. Perché l’acqua deve ovviamente rimanere in equilibrio.

Quello che mi piace molto di questi progetti e del lavoro che facciamo in azienda è l’entusiasmo e la volontà di tutti i colleghi di fare sempre di più e sempre meglio. Non è un’aggiunta, ma qualcosa di vissuto come essenziale: essenziale per la continuità del business, ma anche per l’orgoglio personale di fare qualcosa di utile non solo per l’azienda, ma per l’intera comunità in cui operiamo. Sono progetti in cui i colleghi lavorano con enorme dedizione, portando nuove idee e impulsi, proprio perché il concetto di “Ogni goccia conta” è profondamente radicato in tutte le persone che lavorano con noi.

Giussani. Sottolineo due aspetti che sono emersi. Il primo è che l’enfasi rispetto a un uso efficiente della risorsa idrica non va in contrasto, anzi favorisce, il fare impresa, il che ovviamente è una precondizione affinché questa sostenibilità possa durare nel tempo. Il secondo è un aspetto che le aziende sempre più stanno facendo proprio, ed è il tema della restituzione sul territorio. Le aziende operano come un soggetto che ha mille interlocutori, e il fatto di domandarsi come possano essere sempre più parte integrante della vita sul territorio, anche per quanto riguarda questi tipi di progetti, è un elemento fondamentale. C’è poi un accento che è stato citato da entrambi gli interventi: le iniziative in cui il privato sviluppa in accordo con il pubblico. Questo è un buon punto di partenza per lanciare qualche stimolo ai nostri due ultimi ospiti, che sono i rappresentanti delle istituzioni, ai quali chiedo in prima battuta, per quanto di loro competenza, quali siano le priorità che riguardano il nostro Paese, le vostre regioni in particolare, per un uso sempre più razionale ed efficiente della risorsa acqua e quali siano gli ambiti che favoriscono l’utilizzo plurimo, perché questo è uno degli elementi chiave. Partiamo dal professor Catalano, al quale pongo poi una domanda in particolare, considerando che la Puglia è una regione che sta vivendo in questo momento una fase di grande difficoltà, come altre regioni del sud, ma a differenza di altre regioni del sud, ha alcuni operatori con un taglio industriale che hanno la capacità di fare investimenti importanti. Preparando questo incontro, si parlava dei progetti legati ai dissalatori da un lato, ma anche a progetti di riutilizzo e riciclo dell’acqua. Le chiederei quindi un approfondimento sulla progettualità pugliese.

Catalano. Grazie, buonasera a tutti. Partirò da un fatto che è stato appena richiamato. Il 31 luglio la giunta regionale della Puglia ha dichiarato lo stato di criticità e ha varato un programma di breve, medio e lungo periodo per intervenire sul tema dell’acqua. Vorrei raccontare in 30 secondi un pezzo di storia che quelli che hanno, come me, i capelli bianchi ricorderanno. La Puglia è una regione che non ha una sola fonte di acqua degna di questo nome. Tant’è che a scuola ci insegnavano, almeno a noi pugliesi, “in Puglia della sitibonda Puglia”. Ma cosa succede nella storia di questo Paese, che spesso dimentichiamo? Si realizza una delle più grandi opere pubbliche del nostro Paese, partita alla fine del secolo scorso: il grande Acquedotto Pugliese. Un grande esempio di lungimiranza istituzionale e di intervento pubblico, che oggi si è trasformato in un’importante azienda totalmente controllata dalla Regione, che svolge con grande efficacia ed efficienza il proprio mestiere. Non dobbiamo dimenticare la storia.

La settimana prossima, il presidente della Regione Puglia dichiarerà la situazione di calamità naturale, per consentire agli agricoltori di accedere alle provvidenze statali che compenseranno la perdita di reddito, poiché in alcuni invasi è già stata disposta l’interruzione dell’utilizzo dell’acqua a scopo agricolo. Perché siamo in questa situazione? E perché se ne occupa e ve ne parla qui oggi il Capo di Gabinetto del Presidente della Regione? Uno degli elementi di debolezza nella gestione del sistema idrico a livello nazionale e locale è la frammentazione delle competenze istituzionali. Se mi è consentito, in questo ambito abbiamo diviso ciò che Dio aveva ineludibilmente unito. Ci sono quattro ministeri che si occupano di acqua, più un commissario straordinario. E di acqua si deve occupare, in regione, sicuramente l’assessorato all’agricoltura, ma anche l’assessorato allo sviluppo economico; inoltre, come è stato detto dal collega collegato a distanza da Padova, se ne deve occupare l’urbanistica, la struttura che programma le modalità di costruzione e di governo del territorio. In breve, l’acqua è di tutti e quindi non è di nessuno. Quando ci sono fenomeni trasversali come questo, nella capacità del settore pubblico di gestire i problemi vi è una debolezza intrinseca. Poi c’è, naturalmente, un altro pezzo di regione che deve sorvegliare l’attività della nostra principale partecipata, che è l’Acquedotto Pugliese.

Come si sta lavorando per cercare di superare questa situazione strutturale, che è aggravata dall’erraticità del cambiamento climatico? E per favore, facciamo che questa consapevolezza diventi ordinaria! Adesso ci sono anche i “no cambiamento climatico”, dopo i “no vax” e i “no tav”: la cecità assoluta di fronte alla criticità dei problemi è un problema serio anch’esso. Quello che dobbiamo fare, e richiamo le tre parole che sono state messe con grande lungimiranza nel titolo, è: prima di tutto utilizzare bene l’acqua, come è già stato detto. La Puglia, qui abbiamo un primato positivo, è la regione che ha il minore consumo pro-capite di acqua a uso civile, circa un terzo delle regioni che ne consumano di più. Una media europea. Perché? Perché siamo da sempre abituati alla consapevolezza della scarsità. Poi, dobbiamo ridurre le perdite. Abbiamo poca acqua e la perdiamo per strada. La Regione ha varato insieme all’Acquedotto Pugliese una straordinaria campagna per ridurre le perdite. Questo è un elemento in cui non c’è nemmeno bisogno di tanta tecnologia. C’è solo bisogno di volontà politica, di consapevolezza e di investimenti sulla rete, che in parte non possono che essere riportati sulle bollette dell’acqua.

L’acqua costa troppo poco. Non abbiamo la consapevolezza della sua importanza, della sua scarsità. Il prezzo non ci comunica la rarità, la preziosità dell’acqua. Poi dobbiamo fare un passaggio che è il cuore della domanda su cui stiamo impegnandoci moltissimo, che riguarda il tema della conservazione dell’acqua e, come ci dicevano gli amici delle imprese, del suo riuso. Noi dobbiamo consentire, in tutta la Puglia, in tutti i nostri 185 depuratori, che ci fanno fare una bella figura sulla qualità dell’acqua del nostro mare, di consentire a tutti questi depuratori di poter fare l’affinamento dell’acqua e di poterla restituire all’uso agricolo in particolare. Dobbiamo portare quello che si chiama tecnicamente il cuneo salino nei pozzi del Salento che, sulla base del principio elementare dei vasi comunicanti, laddove c’è un uso non corretto degli stessi pozzi, determina criticità significative. Abbiamo in Consiglio regionale una legge che speriamo di approvare nel mese di settembre per regolarizzare la gestione dei pozzi, sia a fini civili che agricoli. Queste sono le strategie necessarie per centellinare una risorsa scarsa: riusarla, non sprecarla e usare le buone pratiche industriali per porre delle condizioni alle imprese che vogliono venire a investire in Puglia, incentivandole in questa direzione.

Voi sapete che gli alti forni dell’Ilva sono raffreddati con acqua potabile? Avete idea di quanta acqua è necessaria per questa operazione? Purtroppo, o per fortuna, secondo i punti di vista, la quantità di produzione e l’uso degli alti forni dell’Ilva è declinata negli ultimi anni in maniera molto significativa, ma non è questo il punto. Dobbiamo affrontare il tema della dissalazione. L’esperienza israeliana è fondamentale, dobbiamo copiare intelligentemente, ma abbiamo bisogno di grandi investimenti. Perché citavo l’Acquedotto Pugliese? Perché quella è stata la straordinaria visione di chi ha capito che per la Puglia era assolutamente necessario un investimento di grandi dimensioni a carico della comunità pubblica. L’ultimo tema che affronto è quello della sussidiarietà, che ha a che fare con l’articolazione dei poteri sui territori, e dovremo riflettere meno demagogicamente e strumentalmente sui meccanismi dell’autonomia. L’Acquedotto Pugliese è la dimostrazione lungimirante, in tempi non sospetti, di cent’anni fa, che la gestione del settore idrico non può essere esclusivamente regionale. È una dimensione sovraregionale che richiede un intervento forte, straordinario, come quello dell’Acquedotto Pugliese, da parte dello Stato. Altrimenti, finiremo per litigare tra i poveri, perché la Puglia beve l’acqua della Basilicata e della Campania. Dobbiamo ottenere ottimi rapporti di collaborazione per gestirla in modo intelligente, e non pensare che ognuno tutela prima i pugliesi, prima i lucani, prima i campani, come demagogicamente troppo spesso ci si presenta alle elezioni. “Prima qualcuno degli altri” è l’ossimoro del bene comune, ed è il simbolo dell’egoismo politico e istituzionale. Peraltro, in questo caso, è anche un errore culturale, perché stiamo tutti incredibilmente sulla stessa acqua, non solo sulla stessa barca.

La sfida è questa: c’è bisogno di uno straordinario intervento del settore pubblico nell’investimento infrastrutturale. Noi stiamo dedicando quasi un miliardo di euro del nostro fondo sviluppo e coesione, di cui attendiamo a giorni, speriamo, il riparto delle risorse da parte del governo, agli interventi sul nostro sistema idrico in tutte le fasce che ho citato. Ve ne dico solo una, perché sia chiara qual è la criticità e la miopia di cui paghiamo le scelte negli ultimi anni. Il nostro più grande bacino, da cui utilizziamo acqua per l’intero sud della Puglia, è il cosiddetto Sinni. L’acqua viene portata dalla Basilicata in Puglia attraverso una condotta, chiamata anche dagli stessi idraulici “canna”. La canna del Sinni è unica, funziona da 70 anni ed è difficile poter fare interventi seri di manutenzione perché bisognerebbe interrompere il flusso dell’acqua. C’era un finanziamento del CIPESS di circa 20 anni fa, mai utilizzato, per costruire la seconda canna del Sinni, per creare quel minimo di ridondanza, come dicono gli ingegneri, necessario per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento. Abbiamo molta strada da fare, ma riusciremo a raggiungere gli obiettivi solo se la consapevolezza dell’importanza di questo settore sarà più forte di quanto non sia attualmente nell’agenda politica e nella consapevolezza dei cittadini. Grazie.

Giussani. Grazie. Chiedo al dottor Mammi, assessore all’agricoltura dell’Emilia-Romagna, il suo punto di vista, anche perché sappiamo tutti bene che l’Emilia-Romagna ha vissuto un’esperienza che, per certi versi, è agli antipodi ma in realtà è la stessa identica cosa dell’alluvione dello scorso anno. Quindi volevo che ci rendesse un po’ partecipi di quello che sta succedendo da voi.

Mammi. Allora, io ringrazio ancora una volta tutti voi e anche il Meeting, non solo per l’invito ma anche perché, tra i tanti temi giusti di cui si sta discutendo, sui quali si sta riflettendo, quello di cui discutiamo oggi, secondo me, è veramente il tema dei temi. Voi l’avete detto già bene: quando parliamo di acqua, a volte sento la definizione che l’acqua è l’oro blu, e io dico che è una definizione che sminuisce il valore dell’acqua, perché l’acqua ha un valore ben superiore a qualsiasi bene e anche a qualsiasi merce di scambio. L’acqua non è l’oro blu, l’acqua è vita. È vita per il pianeta, è vita per l’uomo; l’acqua è elemento di sopravvivenza, di competitività dei sistemi sociali, democratici, produttivi. E quindi un confronto sull’acqua è decisivo e fondamentale, ed è fondamentale, io penso, una strategia nazionale sull’acqua. E quando io dico strategia nazionale, non dico che il governo deve fare, la Commissione Europea deve fare, e noi come regioni ci chiamiamo fuori e stiamo a guardare. Dico che tutti i componenti istituzionali del nostro Paese devono contribuire a una strategia nazionale sull’acqua, perché stiamo parlando di un elemento indispensabile alla sopravvivenza. Lo dico in un territorio che il problema dell’acqua lo conosce bene. Noi abbiamo conosciuto due anni di siccità drammatica: qui è stato citato l’anno peggiore, che è stato il 2022, ma anche il 2021 è stato un anno molto difficile sul piano delle precipitazioni, e poi l’anno scorso le drammatiche alluvioni che hanno devastato metà regione.

Per gestire bene l’acqua, per valorizzarla bene, ci vuole una strategia, cioè un pensiero di medio-lungo periodo. Perché se noi ragioniamo del minuto dopo il minuto, del giorno dopo giorno, non daremo alle nostre comunità, ai nostri territori, quelle risposte, quei contributi che sono necessari. Innanzitutto, serve una strategia di contrasto al riscaldamento globale. È evidente, è già stato detto: chi nega il riscaldamento globale nega la realtà. Io o sono particolarmente sfortunato ad aver iniziato a fare l’assessore nel 2020, e allora ho avuto quattro anni e mezzo particolarmente difficili, oppure gli effetti del riscaldamento globale sono davanti a noi, evidenti ogni giorno. Siccità e alluvioni, tre gelate tardive in quattro anni. Le gelate tardive sono quelle gelate che arrivano ad aprile e distruggono il 90% delle produzioni vegetali; chi fa agricoltura sa di cosa parlo: fitopatie, virus che non vedevamo da anni o da decenni, il mare a temperature tali da sembrare di stare dentro un bollitore. Io qualche giorno fa ero nel mar Mediterraneo, sembrava di stare dentro un bollitore. E il granchio blu si è presentato, domani mattina sarò a Ferrara a parlare del granchio blu, che, come sapete, è questo animale alloctono che sta distruggendo le vongole nell’area del Delta. La proliferazione del granchio blu è legata al riscaldamento delle acque. Allora, prima cosa, lavorare a tutti i livelli per rallentare il surriscaldamento globale, ciascuno facendo la propria parte: nel settore dei trasporti, nel settore energetico, nel settore produttivo, anche nel settore agricolo. Noi stiamo lavorando in questa direzione. Pensate che il 40% delle risorse pubbliche che gestisce la Regione per l’agricoltura sono volte proprio a ridurre le emissioni, salvaguardare la biodiversità, trattenere il carbonio nei suoli, avere produzioni sempre di maggiore qualità per contrastare il surriscaldamento globale. All’inizio della legislatura, il presidente Bonaccini ha proposto a tutte le parti sociali di sottoscrivere un accordo che abbiamo chiamato Patto per il Lavoro e per il Clima, volto a ridurre l’impatto, ridurre il riscaldamento globale senza perdere posti di lavoro, senza colpire lo sviluppo economico, senza colpire a livello sociale i nostri cittadini, ma riconvertendo, riqualificando, creando anche nuovi lavori, nuove opportunità, perché sviluppo, lavoro e ambiente non li dobbiamo contrapporre; dobbiamo creare e fare investimenti per tenerli insieme.

La seconda cosa, però, oltre a lavorare per contenere il riscaldamento globale, è che negarlo sarebbe un grave crimine contro non le future generazioni, ma le attuali generazioni; serve una nuova stagione di investimenti pubblici e privati per l’acqua. Per fare che cosa? Vi dico qual è la nostra strategia. Prima di tutto, l’acqua che cade nell’arco dell’anno, sì, è la stessa degli anni passati, come è stato ben detto prima, ma cade in periodi più ravvicinati. Si concentra in poche ore l’acqua che un tempo cadeva in mesi interi. La Romagna e Bologna un anno fa hanno avuto 360 milioni di metri cubi d’acqua caduti in 36 ore. È l’acqua che cadeva in sei mesi. E allora, che cosa si deve fare dal punto di vista infrastrutturale? Tenere l’acqua quando c’è, per usarla nei periodi di siccità, per governarla in maniera intelligente quando abbonda. Servono quindi infrastrutture per invasare l’acqua, per stoccare l’acqua, per contrastare e prevenire i lunghi periodi di siccità ai quali siamo stati abituati negli ultimi due o tre anni e ai quali potremmo essere abituati anche in futuro. Parlo degli invasi, parlo di dighe, parlo di ovviamente sistemare e rifare infrastrutture anche obsolete che hanno bisogno di riqualificazione, ma parlo anche di un grande invaso che abbiamo candidato in particolar modo nel bacino tra Reggio e Parma, un grande invaso capace di trattenere le acque quando ci sono per usarle in periodi di siccità, ma anche invasi aziendali. Noi faremo tra un mese un bando da 30 milioni di euro per realizzare invasi aziendali, cioè per le imprese agricole, invasi fino a 250 mila metri cubi, che si possono realizzare anche in tempi molto più rapidi di quelli che servono per una grande opera, per una grande infrastruttura. Ma noi dobbiamo aumentare, come Paese, la capacità di stoccaggio, perché oggi raccogliamo poco più del 10% delle acque che cadono in Italia, e sono troppo poche.

Il secondo elemento è l’efficienza, l’efficienza delle reti. PNRR: abbiamo partecipato a molti bandi del PNRR grazie a un lavoro virtuoso di collaborazione con le bonifiche, con il sistema delle bonifiche; abbiamo realizzato opere per rifare le reti. Io qualche mese fa ero a Parma, al canale Otto Mulini, grande canale che serve 7.000 ettari di aree agricole, soprattutto vocate al pomodoro. Rifare quel canale, rimettere l’infrastruttura a nuovo, un’opera da 16 milioni di euro, ha significato un risparmio d’acqua del 30%. Dimostrazione concreta di come si può ottenere insieme produttività, risparmio, sostenibilità ambientale, efficienza. Perché hai risparmiato il 30% d’acqua, ma lì continui a produrre pomodoro; non hai chiuso la produzione perdendo posti di lavoro. Quindi, l’efficienza delle reti e l’efficienza anche dell’utilizzo dell’acqua in campo. Stiamo facendo progetti per aiutare gli agricoltori a installare centraline, a rifare le condotte, ad avere sistemi intelligenti di distribuzione puntuale dell’acqua, che indicano agli agricoltori quanta acqua va distribuita in un determinato momento della giornata, a seconda della varietà, a seconda delle esigenze. L’altro giorno ero in un’azienda agricola del Reggiano, vitivinicola: hanno una centralina finanziata dalla Regione che dà tutte queste informazioni, quindi lui usa l’acqua quando il vigneto ne ha bisogno, non quando invece non ce n’è bisogno, e questo è un risparmio, è efficienza. Usare sempre l’acqua in maniera più puntuale e precisa.

Bisogna fare, secondo me, un grande lavoro anche a livello nazionale di depurazione e riutilizzo delle acque reflue, perché una grande risorsa sono le acque reflue, quelle che piovono e che entrano nelle nostre città, che poi vengono disperse. Bisogna depurarle, bisogna anche riutilizzarle, e fare investimenti tecnologici che ci aiutino a fare tutto questo. A Castel San Pietro, grazie a un investimento pubblico, abbiamo realizzato un bacino attraverso un impianto di depurazione che raccoglie le acque reflue piovane per poterle riutilizzare. Non si potranno riutilizzare per tutte le colture agricole, non tutte le produzioni lo consentono, ma in alcuni usi si può fare. Quindi efficienza, aumento della capacità di invaso, acque reflue, qualità delle acque: anche questo è un elemento fondamentale. Stiamo investendo molto per avere acque non solo in quantità, ma anche in qualità. E poi anche il tema della ricerca, perché Emilia-Romagna sta investendo molto sulla ricerca tecnologica per sistemi precisi e puntuali di distribuzione, ma anche sulla ricerca per nuove varietà vegetali. Noi abbiamo bisogno di investire nella ricerca anche per trovare varietà più resistenti ai cambiamenti climatici, meno idroesigenti, ma anche capaci di essere produttive per continuare a garantire sicurezza alimentare e alti livelli di produttività per le nostre imprese, per le nostre industrie. Questa è un po’ la nostra strategia.

E chiudo dicendo questo: le strategie vanno bene, queste sono opere concrete, esempi concreti che ho cercato di fare nei 10 minuti, ma se l’acqua davvero è così importante, così strategica, oltre alle risorse che sono decisive per fare le opere e gli investimenti, io penso che per esempio il PNRR dovrebbe spingere, e doveva forse spingere ancora di più, sul fronte delle infrastrutture irrigue, avere più coraggio in questo. Ma oltre a questo, serve fare quello che ha fatto Alcide De Gasperi. Prima ho visto una mostra bellissima su si lui, padre della patria. Alcide De Gasperi non è solo padre della patria perché ha preso un Paese distrutto sul piano morale, sul piano politico, sul piano materiale, uscito dalla guerra e dalla dittatura, e l’ha fatto ripartire. L’ha fatto ripartire con le risorse, sì, è vero, però lui e quel governo, quei governi, le risorse le hanno sapute usare. Il Piano Marshall, che può essere paragonato al nostro PNRR, è diventato case, case popolari, reti viarie, ferrovie, invasi. E noi dobbiamo avere quella stessa capacità, quella stessa competenza come Sistema Paese. Poi ha messo in campo visione, strategia, lungimiranza, cioè la politica che non guarda alle prossime elezioni, come diceva, ma alle prossime generazioni. Di questo abbiamo bisogno quando si parla di acqua, di opere che devono parlare per secoli, non per due o tre anni, o per un tweet o per un post su Facebook. È anche una politica capace di metterci la faccia e di avere il coraggio di fare le cose, di fare le infrastrutture, di fare le opere, di spiegarle ai cittadini e di assumersi la responsabilità. Penso che occorra fare esattamente quello che in condizioni difficilissime, ancora più difficili forse di quelle nelle quali siamo noi, quella generazione meravigliosa di statisti è già riuscita a fare. Non dobbiamo inventarci nulla di nuovo, ma guardare quello che hanno fatto loro e provare sommessamente, con modestia, a rifarlo. Grazie.

Giussani. Allora, per chiudere chiederei in una battuta, un minuto, al professor Rinaldo al quale abbiamo dedicato poco tempo. Citava prima il dottor Mammi il tema della ricerca. Se lei dovesse indicare un punto su cui focalizzare il tema della ricerca sul fronte dell’acqua, su cosa si concentrerebbe?

Rinaldo. Una giusta distribuzione dell’acqua. La giusta distribuzione dell’acqua vuol dire molte cose, naturalmente, ma vuol dire un’equa distribuzione dei privilegi, delle risorse, e vuol dire che quindi, come chiave per la riduzione delle disuguaglianze su scala globale – anzi, forse l’unica vera chiave per la riduzione delle disuguaglianze su scala globale – bisogna trovare un modo. In particolare, parlando in generale, nei bilanci idrici. È un po’ il tema che è stato sollevato in modi diversi, eterogenei, ma abbastanza evidenti, secondo me. Si tratta dell’idea che, da una parte, il civismo, che il Paese sostanzialmente non ha, c’è poco da fare. Una spasmodica attenzione come quella di Israele non è verosimile, ma un po’ più di attenzione, questo sì. Da una parte, l’impulso alla desalinizzazione di poche quantità d’acqua per le comunità costiere, questo è quello che fa Israele, solo per usi potabili urbani. È un grande impegno il riciclo dell’acqua, dei trattamenti terziari che vengono iniettati in acquiferi profondi e usati per l’agricoltura, il più grande consumatore. Se lo fanno in Israele, è ragionevole immaginare che si possa fare perfettamente anche da noi. E infine decidere quali agricolture saranno possibili: sono decisioni difficili. I pompelmi Jaffa, di cui i più vecchi di noi ricorderanno l’esistenza, non ci sono più perché Israele ha deciso che, pur essendo una coltura molto redditizia, usava troppa acqua. Quindi, decisioni difficili, capacità della politica di governarle e un senso comune di questa barca comune, di cosa sia essenziale, rendersi conto dell’emergenza climatica che stiamo per vivere. Quindi le decisioni possibili sono molte, ma certamente saranno dolorose per molti. È proprio per questo che l’idea dell’equità, della distribuzione delle risorse, dei privilegi, sarà il tema centrale, a mio giudizio, dei prossimi decenni.

Giussani. Grazie mille. Io porto a casa, da quanto ho discusso oggi, cinque punti che cito telegraficamente. Il primo è il tema dell’uso efficiente della risorsa, che incrementa la produttività. Il secondo è un’attenzione sull’utilizzo plurimo: la stessa acqua può essere usata più volte se ci si muove con oculatezza. Il terzo aspetto è l’enfasi sul tema del riciclo, del recupero, degli invasi, perché l’acqua arriva quando non serve e magari serve quando non c’è, in posti diversi da dove arriva. E quindi bisogna investire anche per riuscire ad averla disponibile quando può servire. Il quarto aspetto è non aver paura di copiare da esperienze virtuose: si è citato ripetutamente l’esperienza israeliana, ma si è citata anche la storia dei nostri padri, e quindi si può copiare da Paesi stranieri, si può guardare al passato. Tutto può concorrere da questo punto di vista. E l’ultimo aspetto è lavorare affinché vengano create le condizioni che abilitano il fare. In questo, anche contesti che abilitino la partnership tra pubblico e privato sono evidentemente un elemento decisivo in tal senso. Io ringrazio i nostri ospiti, ringrazio voi di aver partecipato, e auguro a tutti un buon proseguimento del Meeting.