CNEL: PIATTAFORMA DI VALORIZZAZIONE DEI CORPI INTERMEDI

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Renato Brunetta, presidente CNEL. Introduce Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà

Secondo la Costituzione, “il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) è composto di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive”. Potrebbe diventare un “forum permanente” dove le realtà imprenditoriali, sindacali e del terzo settore, potranno dialogare tra loro, con il mondo accademico e le istituzioni, su temi cruciali come le relazioni industriali, la sostenibilità del nostro mercato, la produttività, i salari, il sistema di welfare.

CNEL: PIATTAFORMA DI VALORIZZAZIONE DEI CORPI INTERMEDI

CNEL: PIATTAFORMA DI VALORIZZAZIONE DEI CORPI INTERMEDI 

Sabato 24 Agosto 2024 ore 17:00 

Sala Conai A2 

 

Partecipano: 

Renato Brunetta, presidente CNEL.  

Introduce: 

Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà. 

  

Vittadini. – 0:03:22 – Buongiorno e benvenuti a questo importante incontro che completa il ciclo di incontri che abbiamo avuto con gli organi più rilevanti della nostra vita pubblica. Abbiamo fatto un incontro con il governatore della Banca d’Italia, ieri abbiamo incontrato il presidente della Corte Costituzionale e oggi abbiamo qui con noi Renato Brunetta, il presidente del CNEL, che è l’altro organismo costituzionale. Innanzitutto, gli facciamo un grande applauso per la sua presenza. 

Allora, l’incontro si svolgerà in questo modo. Io farò un’introduzione, dopodiché il presidente Brunetta farà la sua relazione. Poi ci saranno alcune domande da parte di operatori dei corpi intermedi, che sono ormai il punto di riferimento del CNEL, perché il presidente Brunetta ha più volte detto che il CNEL è la casa dei corpi intermedi.  

Vorrei rifarmi innanzitutto a un intervento del 30 luglio 2024, pubblicato su Il Sole 24 Ore, molto importante, in cui il Presidente, parlando dell’intelligenza artificiale, ha legato questa tematica alla crisi dei corpi intermedi. Diceva che oggi questa situazione è cambiata, ma che i corpi intermedi sono stati rimotivati a operare nell’interesse di un bene superiore: la coesione sociale, valoriale, comunitaria, a tutti i livelli. Aggiungeva che è necessario un grande patto sociale per ricomporre un quadro che tenda a superare l’attuale disarticolazione sociale, perché, se non contenuta, questa avrà conseguenze negative non solo sul piano politico-culturale, ma ritarderà anche i processi di modernizzazione tecnologica del Paese. 

Mi sembra innanzitutto molto originale aver collegato il tema dell’intelligenza artificiale a quello dei corpi intermedi. Perché è evidente il significato: se ci sono corpi intermedi, l’intelligenza artificiale non è legata all’individuo, ma alle realtà sociali che la usano per il bene comune. 

Vorrei sottolineare tre punti introduttivi per provocare, in senso positivo, il Presidente. Il primo è che un corpo intermedio si devitalizza, perde la sua forza, se perdono forza gli “io” che lo compongono. C’è un’antropologia negativa che domina, l’idea che è l’egoismo dei singoli, attraverso la “mano invisibile”, a portare al benessere collettivo. Egoismo del singolo, no? Ci vuole qualcosa che è nato dalla dottrina sociale della Chiesa ma che ora è un bene laico: pensiamo quando si parla di sostenibilità, che è un “io” relazionale, un “io” positivo. Ci vuole quindi un luogo che costruisca, che valorizzi, che faccia nascere questi desideri in modo pluralistico, perché da soli, sennò, non nascono; rimane aristotelicamente una potenza che non diventa atto. I corpi intermedi, invece, fanno diventare atto e permettono di utilizzare anche gli strumenti moderni in un modo diverso. Questo, quindi, è il primo significato che attribuisco a questa ripresa dei corpi intermedi. 

Il secondo punto è che però non basta dire così, perché sappiamo tutti che noi tradiamo i nostri desideri, non siamo in grado di mantenerli. In campo cattolico lo chiamiamo “peccato”, ma anche in campo laico c’è la riduzione del desiderio. La disintermediazione non è stata solo causata da pulsioni esterne negative, ma anche da una crisi ideale di chi viveva nei corpi intermedi. Serve quindi un’educazione che corregga. Ma anche qui, pensando a Hobbes, tu puoi avere una correzione dall’alto (“homo homini lupus”, un controllo) oppure una correzione che viene da chi ti è accanto, che ti dice: “Su, ricomincia, vivi, costruisci.” Questo è il secondo punto che vedo. 

Il terzo punto è la costruzione sociale. Perché, diciamoci la verità, non è che stiamo vivendo un momento molto positivo. C’è l’invecchiamento della popolazione, la bassa natalità, l’aumento della povertà relativa e assoluta, una crisi giovanile caratterizzata da abbandoni scolastici. Ci sono problemi gravi che tendono a sfuggire alla mano pubblica, se questa è intesa solo come Stato, Regioni, Comuni. Nella storia d’Italia, i corpi intermedi, dal movimento cattolico al movimento operaio, hanno contribuito a rispondere ai problemi sociali e anche allo sviluppo, in termini di piccola e media impresa, oltre che nella costruzione delle istituzioni, dei partiti. Capite allora che, se ci sono corpi intermedi dove viene educato un ideale e viene corretto l’errore, questi corpi intermedi non restano fermi: si muovono, cercano di rispondere. 

C’è stato uno splendido convegno al CNEL, dopo tanti anni, sul lavoro nelle carceri, che rappresenta l’alba di un nuovo modo di pensare. Il CNEL ha preso sul serio questo progetto, dimostrando qual è il nuovo percorso, mostrando come la recidiva crolla dal 78% al 2% quando sono coinvolti i corpi intermedi. Allora, i corpi intermedi possono essere qualcosa che contribuisce a sostenere lo sviluppo, a creare lavoro, e al contempo a favorire il mantenimento del welfare universale. Perché, in Italia, siamo un’eccezione: non c’è nessuna parte del mondo dove ogni persona ha valore al di là del reddito o del censo. Ma per fare questo non basta più lo Stato, che è indebitato e ha molti problemi; serve una collaborazione, una costruzione comune. 

Concludo dicendo che tutto questo sarebbe impossibile, o comunque molto difficile, se non ci fosse qualcosa — e qui ritorno all’intuizione del presidente Brunetta — un luogo che ricominci a essere un altro tipo di Camera. Perché è giusto avere la Camera dei Deputati, il Senato e i partiti, ma, poiché l’espressione della volontà della gente è anche data da queste realtà, se queste realtà sono prive di un punto di riferimento costituzionale, si perdono. E quindi lascio la parola al Presidente Brunetta, perché, da un certo punto di vista, siamo a un passaggio, almeno per chi si batte da anni su questi temi, storico. C’è la possibilità che un ente, che doveva addirittura essere cancellato secondo una certa riforma costituzionale, riprenda coscienza e valore per le ragioni che ho detto. Grazie, Presidente. 

 

Brunetta. – 0:12:36 – Anche l’ENI doveva essere cancellato alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fu incaricato tale Enrico Mattei come liquidatore. La storia del dopo la conosciamo tutti. Quindi, questo è un buon viatico: quando qualcuno vuole cancellare una realtà, poi questa realtà si vendica e diventa un luogo potenzialmente straordinario. Ma non volevo cominciare così; ho cominciato così perché il mio amico Vittadini mi ha provocato, e lo ringrazio per questo sforzo introduttivo, così bello dal punto di vista intellettuale e talmente ammirevole dal punto di vista della fonia, della voce. 

Un’altra battuta: arrivando qui dal retro della sala, ho avuto un colpo al cuore vedendo tutte le sedie vuote. Ho pensato: “Oddio, non ci sarà nessuno!” Poi ho superato il paravento e ho visto tutti voi, e mi sono rincuorato. Evidentemente, Vittadini attrae ancora. 

Altro incipit: una sera, dopo un tour elettorale, torno in albergo all’una, l’una e mezza di notte, stanco, deluso, affaticato, un po’ puzzolente dopo una giornata passata in macchina, stringendo mani e così via. Accendo il televisore e trovo un’intervista a un prete famoso, discusso, fortemente impegnato nel mondo della sanità, che non mi era particolarmente simpatico. Con un orecchio sento l’intervista e sento una battuta che mi è rimasta poi nel cuore per sempre. Gli chiedono: “Ma perché lei si è impegnato nel mondo della sanità?” E questo prete risponde: “Dio è nelle missioni difficili.” Questa frase mi è rimasta scolpita nel cuore, io che sono laico e mangiapreti. Forse nessuno al Meeting di Rimini ha mai detto una frase del genere. 

Un’altra piccola storia. Assisto a un battesimo al Sud, nella periferia di Napoli, in un ambiente degradato. Il battesimo veniva celebrato da un salesiano. Finito il battesimo, il salesiano mi mostra le officine, i luoghi di lavoro. Sapete che i salesiani sono straordinari nella formazione professionale per i giovani. Io vedo la periferia di Napoli, questi luoghi, queste officine che odorano di grasso, di lavoro. Dico: “Bravo, straordinario, bravissimo.” E lui mi guarda e mi dice, con un gesto degli occhi che dura un millesimo di secondo: “Ho un principale esigente.” 

Ecco, di fronte a queste piccole storie, cosa può fare un laico e mangiapreti come il sottoscritto, a parte essere amico di Giorgio Vittadini e di Martini tanti anni fa? Può dire: “Vabbè, mi dedico alle imprese difficili.” E una delle imprese difficili è far tornare in vita i corpi intermedi, ormai desertificati. Uno potrebbe chiedersi: “Cosa sono i corpi intermedi?” È anche difficile definirli. Sono i sindacati dei datori di lavoro, i sindacati dei lavoratori, il volontariato. CL è un corpo intermedio, non so se lo sapete, ma siete un corpo intermedio. Le camere di commercio, le fondazioni bancarie, la rete delle fondazioni bancarie, la rete delle camere di commercio, le famiglie. Tutto ciò che fa società, che crea rete, che fa azione e che non è legato al mandato e al consenso politico — non sono i partiti e le loro rappresentanze — ma sono, per dirlo con una parola semplice ma in fondo onnicomprensiva e quindi banale, la società civile 

È facile dirsi società civile, difficile poi capire cosa sia realmente, ma è proprio la società civile. Bene, la società civile è quella cosa, quella realtà, quell’insieme di reti che danno significato a un territorio, a un paese, a una nazione, a un continente. Società civile. Se c’è la società civile, tutto funziona. Se non c’è, puoi investire quanto vuoi, ma questi investimenti finiranno in un buco nero. Società civile, beni relazionali, “network goods”. 

Uno potrebbe dire: “E allora?” Allora vuol dire cercare di capire cosa è successo e cosa sta succedendo. Prima frase che spero vi rimanga nella testa: oggi più che mai, chi ha una rete ha un tesoro. Chi ha più reti che dialogano tra di loro, ha un tesoro all’ennesima potenza. Chi sa usare, governare, condizionare le reti, tutte le reti a disposizione, è in grado di fare società civile. La società civile è la fertilità del terreno su cui cresce l’economia, cresce la società, crescono i valori. Senza quel fertilizzante della società civile, nulla può crescere. 

E che cosa c’entra il CNEL? Il CNEL è una grande intuizione dei nostri padri costituenti che, forse memori — ma non lo voglio nemmeno dire — delle antiche istituzioni corporative del ventennio precedente, hanno voluto mettere accanto alle due Camere, Camera e Senato, una sorta di “terza Camera”, che è quella dei corpi intermedi, che è quella della rappresentanza dei sindacati, dei datori di lavoro, dei lavoratori e poi del volontariato, successivamente. Con dei poteri, con dei compiti. Noi abbiamo il potere di iniziativa legislativa. 

Del CNEL non è fregato nulla a nessuno per tantissimi anni, fino a quando non è arrivato un presidente come Delrio, che gli ha ridato vita. Io sono onorato di aver fatto con lui dieci anni al CNEL, dal 1989 al 1999, e poi ha continuato a galleggiare. Hanno voluto cancellarlo. Devo dire con una strana lungimiranza distopica da parte di chi voleva cancellarlo, perché invece di cancellarlo, il referendum lo ha rivitalizzato. Hanno chiesto agli italiani: “Volete cancellare il Senato e il CNEL?” Naturalmente, l’obiettivo era cancellare il Senato della Repubblica, ma non tanto il CNEL, del quale non importava nulla a nessuno. Alla fine, il popolo sovrano ha detto, con un 60% a 40%, “Non vogliamo cancellare né il Senato né il CNEL,” e il CNEL è ritornato in vita. E adesso è toccato a me. 

Nulla di importante, se non cercare di capire perché. Allora, nelle transizioni in atto — si dice sempre così quando tutti vogliono parlare in maniera colta e forbita — nella transizione digitale, nella transizione energetica, nella transizione demografica, insomma, questo sconvolgimento, questo caos che ci sta scuotendo, sta sconvolgendo le nostre società, le nostre famiglie, i nostri posti di lavoro, le nostre istituzioni, sta cambiando tutto con grande intensità, con grande violenza, rimescolando tutto. Bene, in queste transizioni ci sono delle vittime designate: i corpi intermedi. Non ce ne facciamo più nulla dei sindacati, della famiglia, del volontariato, di queste aggregazioni come CL, perché conta solo la verticalizzazione, la decisione politica e l’individuo. 

Come sapete, nella società non possono esistere dei vuoti. Uno potrebbe dire: “Desertifico e vado avanti felice.” No, perché se desertifichi, lasci dei vuoti, e i vuoti vengono riempiti. Lo citava prima Giorgio: “E da chi vengono riempiti?” Dai mostri, come spesso succede nei riempimenti. La moneta cattiva scaccia quella buona. E sapete quali sono i mostri che oggi stanno riempiendo i vuoti lasciati dalla desertificazione dei corpi intermedi? Si chiamano TikTok, social, Telegram, che sono delle reti di solitudini, delle reti di individui aggregati da un algoritmo, da una tecnologia che ha un vertice padronale. Pensate a ciò che sta succedendo con X, ex-Twitter: almeno Twitter aveva l’uccellino che cinguettava, X mi sa tanto di incertezza, di dubbio. 

Bene, i vuoti vengono riempiti da mostri autoritari che hanno un vertice, degli algoritmi di funzionamento, e mettono insieme solitudini a produrre follie, distopie, non a produrre società civile, bontà, beni relazionali positivi, amicizia, giustizia, solidarietà. Concetti a te cari, vero? Non producono più famiglia, sindacato, rappresentanza sociale, solidarietà. No, producono solitudine. Vi racconto un mio punto oscuro. Ogni settimana mi arriva una notifica dal mio smartphone: “Le notifichiamo che nella settimana appena trascorsa lei ha passato su questo oggetto…” E lì mi sale l’ansia nel cuore, perché mi dice quante ore ho passato. Divento immediatamente triste e mi vergogno di me. Non so se è capitato anche a voi. 

Poi guardo le statistiche e vedo che la stragrande maggioranza delle persone, giovani, adulti, tolti i neonati e gli anzianissimi, a parte la notte, passano su questi oggetti più della metà del loro tempo di vita. Uno potrebbe dire: “Beh, si studia, si lavora, si parla con i familiari, si cazzeggia.” Diciamocelo a brutto muso: si scrolla. E io mi vergogno perché sono uno di quelli che, pur avendo una vita di relazione intensissima, con famiglia, lavoro, eccetera, eccetera, eppure questa cosa ti dà dipendenza. 

E i corpi intermedi? E la solidarietà? La rappresentanza non politica, ma sociale, culturale, dove sono finite? Le missioni difficili, dove sono finite? Quando uno, in solitudine, scrolla. Sapete cosa vuol dire scrollare? Vi state vergognando tutti un po’? Forse nessuno ha mai detto così, in maniera così brutale, partendo da un’autoconfessione. Bene, qui ho raccolto la richiesta del mio amico Vittadini e sono venuto a parlarvi di questo, di come si può dire “no” a questa deriva inevitabile, di come si può reinvestire nei corpi intermedi, investendo nelle reti, qualunque rete. Chi ha una rete ha un tesoro. Chi ha più reti che dialogano tra di loro e che non si guardano l’ombelico — reti distopiche, reti di solitudini — ma chi ha una rete che, per propria missione, produce beni relazionali ha un tesoro. 

Ecco, io, andando controcorrente, sto cercando di investire in queste reti, dando voce, spazio, ruolo, funzione, mercato a queste reti. E uno potrebbe dire: “Sì, ma un po’ di concretezza? Un po’ di sostanza, un po’ di contenuti?” Per esempio, nel campo dei consumi, cominciamo dall’educazione alimentare. Cominciamo a imparare cosa significa non essere succubi delle grandi industrie alimentari che ti fanno mangiare schifezze processate e che ti fanno male. E allora cominciamo a imparare, a capire, a studiare, a fare rete tra di noi, a raccontarci cosa è uno stile di vita sano. 

Altra cosa che mi riguarda da vicino, andiamo su cose super concrete: il caporalato. Recenti notizie, inaudite, strazianti. Caporalato. Ma se il caporalato significa passata di pomodoro, posso mettere in piedi una rete di consumatori in grado di leggere tutta la filiera produttiva di quella passata di pomodoro che compro al supermercato e comprare quella sostenibile dal punto di vista dei diritti del lavoro, dei diritti umani, e così via, e non comprare l’altra. E votare con il portafoglio. Citazione di Becchetti: leggetelo. Votare con il portafoglio. Non compro più la passata di pomodoro che non mi dice chiaramente, dall’inizio alla fine, come è stata prodotta quella passata di pomodoro. E voto con il portafoglio. 

Ecco, una rete di consumatori consapevoli che adotti questo comportamento, dà un colpo mortale al caporalato. Non sarà facile, certo, non accadrà da un giorno all’altro, ma è un segnale fortissimo. Come la costruzione di tutte le reti di forza solidale, di mercato, che conosciamo tutti. Ancora una citazione di Becchetti, poi non lo citerò più: Melinda, marchio, produttori, messi insieme, qualità, certificazione. Vedete quante cose si possono fare. E pensate a tutte le altre. 

Pensate alla sanità. C’era un movimento, un po’ di anni fa, sui servizi sanitari, che proponeva di dare il voto ai servizi sanitari. In fondo, diamo il voto attraverso la rete agli alberghi, ai ristoranti, alle scuole di nostro figlio, agli acquisti su Amazon. Quante stelle ha? Io, ad esempio, voglio comprarmi un misuratore di zucchero nel sangue, senza farmi il buchetto. Ho scoperto che c’è un misuratore non invasivo, senza buchetto, e aspetto di vedere le recensioni, vere o false che siano, prima di comprarlo. 

E perché non si può fare lo stesso sui servizi pubblici? Vecchia mia reminiscenza governativa: dare i voti certificati alla scuola di tuo figlio, all’asilo di tuo figlio, all’ospedale, all’INPS, all’INAIL, alle varie agenzie che ti forniscono servizi. Grazie per l’applauso tentato, ma non importa. Ecco, questo è il punto. È difficile fare questa cosa? Sì, tantissimo. Ma questa è la realtà dentro cui siamo immersi oggi, questa “placenta di cielo”. È una delle cose più difficili che la mente umana, la mente associativa, la mente cattolica, ecclesiastica — mettici tutto quello che vuoi con tutta l’ironia che vuoi — possa fare. 

Ma avete visto la luce negli occhi di tutti i ragazzi? Avete visto? E guardate che quella luce non si compra, quella luce c’è. È stato nascente, è stato nascente da tanti anni. Basta Don Giussani, basta Schultz, basta Vittadini. Ci vuole tanta roba per mettere insieme tutto questo. Come ieri, sono stato a San Patrignano, io metto insieme le mie esperienze di vita, poi che ho fatto con mia moglie. Anche lì, chissà perché metto insieme queste due storie. Anche lì, storie complicatissime, difficilissime, missioni difficili. Quella, questa, missioni difficilissime. Ma forse anche difficilissima è la storia di Mela Melinda, mettere insieme tanti produttori, singoli, egoisti, miopi, eccetera, eccetera, che producono mele che nessuno magari vuole perché la mela è uno dei frutti più semplici, più banali, eppure… 

Vero, professor Piepoli? Storia di successo: i piccoli frutti della Valle dei Mòcheni, altra storia di straordinario successo, mirtilli e tutti i piccoli frutti rossi, neri, che ora consigliano tutti per le diete. Altra storia di successo. Pensate che sia stato facile mettere insieme dal punto di vista cooperativo? È la parola più semplice: “cooperiamo, collaboriamo.” È una delle cose più difficili al mondo, vincere l’egoismo. Eppure, se riesci a vincere l’egoismo, la vita è più facile. 

Mi veniva una battuta mentre stavi introducendo, che è un vecchio modo di dire, però bellissimo anche se trito: “Se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme.” Bellissima, meravigliosa. Ma ho sentito anche recentemente: “Le carovane cercano l’utopia e non la trovano, ma senza utopia le carovane non si muovono.” E allora forza ai costruttori di società civile, forza, ne abbiamo bisogno ora più che mai, in questi momenti in cui la tecnologia ci sta sconvolgendo, in cui il gelo — non l’inverno, il gelo — la glaciazione demografica ci sta distruggendo. Quella energetica ci sta rimettendo in gioco, risvegliando in noi antiche paure, il nucleare, perché lì si andrà a finire, terza, quarta generazione, ma lì si andrà a finire. 

Allora, tutti questi sconvolgimenti hanno bisogno di società civile, partecipazione, collaborazione. La politica da sola non ce la fa. Non ce la fa. Lo vedete? Uno dice: “L’immigrazione.” Facile a dirsi, difficile a farsi. E bisogna cominciare a dirci le cose come stanno. Certo! Al gelo demografico si risponde in gran parte con l’immigrazione, però purché sia immigrazione regolare, purché ci siano percorsi di vita da favorire. Quello che gli economisti chiamano “migrazione da domanda”, non “migrazione da disperazione”, perché la migrazione da disperazione produce povertà nei paesi di origine e nei paesi di destinazione, produce reazioni negative. 

E allora, una volta che hai flussi di migrazione regolare, ti viene naturale poi anche il processo di naturalizzazione, tanto per entrare in cose concrete. Ti viene naturale. Se hai bisogno di capitale umano, più questo capitale umano è consapevole ed è voluto nei settori che ne hanno bisogno — infermieri, medici, agricoltori, mungitori del latte in Val Padana, tecnici STEM — più sei capace di attrarre i flussi, più questi flussi che hai attratto te li coccoli, te li sviluppi, te li qualifichi, qualifichi quei flussi e i loro figli. 

E non c’è da dividersi su questo; bisogna solo guardarsi nelle palle degli occhi e dire: “Vuoi risolvere questo problema, almeno nel medio periodo?” Ma c’è la tecnologia, ci sono i robot. L’Italia è uno dei primi paesi al mondo in robotizzazione, robot nella medicina, ma non solo. E anche qui, investire. 

Poi un’altra cosa, vi faccio degli esempi brutali, magari vi faccio saltare sulla sedia. L’automotive è stata una delle industrie più belle e straordinarie che abbia coinvolto questo nostro Paese. Pensiamo alla via Emilia: straordinaria, motociclette, automobili, Ferrari, Miura, una storia straordinaria del Novecento. L’automotive? Non morirà in un colpo solo, ma è destinata a ridimensionarsi. 

L’automotive comprende tutto il sistema di produzione diretta e indiretta che porta motori, automobili, ricambi, stampi, scocche, brevetti, centinaia di brevetti, centinaia e migliaia di materiali, centinaia e migliaia di professionisti che mettono le mani in quei motori, in quei brevetti e che applicano tutto questo. La via Emilia aveva 40 case di produzione di cicli, motocicli, motociclette, nati come riparatori di trattori per l’agricoltura, e poi, e poi, e poi, e poi, e poi… Ecco, tutto questo mondo è destinato a ridimensionarsi tantissimo. Uno potrebbe chiedere: “Verso dove?” E tutte quelle migliaia di imprese, di tecnici, di meccanici, di ingegneri, di marchi, che fine faranno? Nessuno lo sa. Ma chi può deciderlo? Ci vorrebbe un piano industriale. Ci credo poco. 

Io credo molto di più, per esempio, in un corpo intermedio che ha avuto una storia quasi simile a quella del CNEL: le camere di commercio. Già saltate sulla sedia, mamma mia, anticaglia, archeologia istituzionale, le camere di commercio. Bene, le camere di commercio sono una delle strutture istituzionali di rete più totalizzanti nel territorio. Hanno dentro il loro corpo tutto il mondo delle imprese, di tutti i settori, dovrebbero sapere tutto di tutte le imprese. Ecco, le camere di commercio potrebbero essere il catalizzatore della transizione dall’automotive verso dove si sta già ragionando: l’aerospaziale. 

Chi può decidere questo? Nessuno. Nessuno ha la bacchetta magica. Ma un ragionamento di tessuto e di rete che parte dalle camere di commercio, che ascoltano il territorio e ascoltano le migliaia di operatori dell’automotive che stanno evolvendo, perché, guarda caso, l’aerospaziale è il settore più simile, più vicino all’automotive. Chi l’avrebbe mai detto? E ciascuno può pensare che se non si va per strada si va per se stesse, di aerei, spazi. 

Altro esempio, mi sono messo a studiarlo: soprattutto d’estate trovate festival, lasciamo perdere la porchetta, la melanzana e quelle che sono le sagre. Al netto delle sagre, rispettabilissime, enogastronomiche, ci sono da un po’ di anni a questa parte eventi: il festival della filosofia, il festival dell’algoritmo, il festival della matematica, festival che, guarda caso, collocati in aree periferiche, in borghi o in città un tempo fondamentali, oggi meno, vivificano quei tessuti, vivificano quelle realtà di rete. 

Festival della filosofia. Uno dice: “Non ci andrà nessuno.” Pieni così. CL è uno di questi, antesignano. A parlare di cose astruse. Pensate, secondo me hanno un genio malefico che individua normalmente gli slogan di ciascun anno: incomprensibili, bellissimi e incomprensibili. “L’essenziale” quest’anno, poi ti do la mia interpretazione sull’essenziale, no? 

Eppure, guardate la realtà di questa rete straordinaria, che mette insieme occhi che brillano, spettatori, spettacoli, eventi, libri, 150 quest’anno. 150. Cos’è questa roba? Questa roba è società civile, questa roba è rete, rete di reti, questa roba è civiltà, questa roba è una cosa per cui l’Italia è fortissima. L’Italia non ha avuto l’Igilegion, non ha avuto la disgregazione sociale. Forse anche grazie al suo municipalismo. Perché queste reti sono spesso finanziate da chi, di solito? Anche qui vi faccio saltare sulla sedia: dalle fondazioni bancarie, che hanno realtà territoriali che finanziano i vari festival della filosofia, di questo e quello. Roba inutile? Non direi, non direi. 

Allora, questo è il nostro capitale sociale, Giorgio. Questo è il nostro capitale sociale, questo è il nostro tessuto competitivo. Perché per fare un’automobile come quella del Congo, senza Stellantis, ci vuole cultura industriale, cultura relazionale, cultura ingegneristica, cultura territoriale. Per fare soprattutto l’eccellenza. Per fare il parmigiano reggiano ci vuole cultura, ci vuole storia, e la storia non si riproduce meccanicamente, ci vuole il tempo, e il tempo non è comprimibile. Se ci vogliono cent’anni, ci vogliono cent’anni, e noi di cent’anni ne abbiamo tanti. 

Per questo io dico che sono ottimista da questo punto di vista, perché abbiamo un tessuto relazionale fortissimo e noi dobbiamo investire nelle reti, in tutte queste reti che non siano reti mostruose della solitudine, della distruzione, della distopia, del pessimismo, ma che siano reti dell’accompagnamento, della vicinanza, del territorio, delle comunità. Investire in cultura comunitaria, una delle cose più difficili. 

Allora, mi ricordo quel tale in televisione: “Dio è nelle missioni difficili.” Ultima cosa. Queste nostre società ricche, piene di reti, bellissime, di festival della filosofia, di CL, “l’essenziale” — lo dico con amore e con affetto. Dopodiché, queste società hanno anche i loro angolini bui, grigi. Ogni tanto mettono la polvere sotto il tappeto. 

Nel nostro caso, ecco, per non parlare d’altro: carceri, funzionamento dell’istituzione carceraria, giustizia, carceri, recidiva, suicidi in carcere. Ce ne accorgiamo d’estate, fa caldo, le persone di buon cuore regalano ventilatori alle carceri e tutti ci sentiamo in colpa, ci vergogniamo anche un po’ perché è un argomento “polvere sotto il tappeto”. 

Ecco, abbiamo deciso tutti insieme al CNEL di impegnarci su scuola, lavoro, formazione, in carcere e fuori dal carcere. Una delle cose più difficili che abbia mai fatto in vita mia. Perché le carceri, per definizione, sono luoghi chiusi. Se non fossero chiusi non sarebbero carceri, ma sono impermeabili. Eppure, dentro ci vivono 61.000 detenuti diretti, ci sono altri 80.000-100.000 non si sa bene quanti in esecuzione esterna della pena, e ci sono altri 100.000 in attesa di esecuzione della pena, non si sa se dentro o fuori. Quindi, un panorama di 250.000 a 300.000 persone che hanno la loro vita condizionata o violentemente, nel senso della… 

A cosa serve il carcere? Ce lo dice la Costituzione: alla rieducazione. Non è mica una tortura il carcere, non può essere una tortura. Abbiamo attuato la Costituzione nel reinserimento, nella rieducazione dopo il carcere? Assolutamente no. Abbiamo tassi di recidiva altissimi. Recidiva vuol dire tornare a fare ciò per cui uno è stato in carcere, e spesso ancora di più di prima. Dove è dimostrato da tutta la letteratura scientifica che, se si danno diritti ai carcerati e si dà loro nuovamente la speranza — scuola, lavoro, formazione, in carcere e fuori dal carcere — la recidiva crolla, lo citava Vittadini. 

Uno potrebbe dire: “E perché non lo facciamo?” Un Paese di 60 milioni di abitanti, con un PIL enorme, uno dei 6-7 paesi più ricchi e industrializzati al mondo, eccetera, non è in grado di dare speranza a questa popolazione difficile, a questa umanità che però deve ricominciare a sperare? No, non ci siamo riusciti. È possibile farlo? Sì. È difficile? Difficilissimo, complicatissimo. Ecco, anche questa è società civile. Non avere polvere sotto il tappeto. E soprattutto non dividerci con le bandierine ideologiche, perché quando si tratta di questi argomenti — scuola, lavoro, formazione, in carcere e fuori dal carcere — non ci sono bandierine. 

Quando si parla di migrazioni, a partire dai nostri ragazzi che sono costretti ad andarsene perché qui non hanno futuro, i nostri giovani 100.000, 200.000, 300.000, stiamo ancora studiando quanti sono e perché. Perché in Italia non c’è il merito, perché in Italia non ci sono le occasioni di lavoro, e una volta formati scappano, così come quelli che vengono non hanno la possibilità di costruire un percorso, un futuro. 

Bene, tutte queste cose, perché non le facciamo? Visto che siamo belli, bravi, ricchi, pieni di reti, pieni di Vittadini, pieni di tutto quello che volete, di Melinda, di Parmigiano Reggiano, siamo pieni di moda, di alta moda, di haute couture, siamo pieni di tutto, pieni di Ferrari. Perché non siamo capaci di fare le cose difficili? Perché manchiamo ancora di un gradiente di civiltà. 

Volevo finire con un piccolo racconto di un film, di cui non ricordo più il regista o il titolo, ma me lo ricordo ed è stato un argomento delle mie lezioni all’università. Una coppia di coniugi di città, probabilmente newyorkesi, vuole andare a vivere in campagna per far crescere i loro figli lì. Vanno in un paesino in America, fuori probabilmente nel New Jersey, trovano questa bella casa, fanno il preliminare e la comprano. Tornano in città, vendono la loro casa in città, tagliano i ponti dietro di sé e si lanciano in questa avventura. 

Tornano e trovano un ambiente nella piccola comunità. San Patrignano? CL? E questa comunità li respinge. Sono tutti scortesi, non li vogliono. Tutta la comunità si comporta male. Una settimana, due settimane, tre settimane… questi dicono: “Ma qui è impossibile vivere.” Rivendono la casa, la rimettono sul mercato. Chi va a visitare la casa si trova in un ambiente respingente: col cavolo che compra la casa, e quindi il valore della casa precipita. 

A un certo punto, lo spirito di mercato pervade la testa di questi due giovani. Chiamano il consiglio di comunità e dicono: “Volevamo venire qui, volevamo vivere con voi, volevamo far crescere i nostri figli con voi. Voi ci state respingendo. Sapete cosa vi diciamo? Andate a quel paese.” Grande applauso. “Ce ne andiamo.” Grande applauso. “Ma no, non possiamo andarcene perdendo metà del nostro capitale. Vogliamo vendere la casa al prezzo a cui l’abbiamo acquistata, e quindi non vogliamo perderci nulla. Facciamo un patto: ogni volta che viene una coppia per comprare la casa, voi vi comportate bene. Noi suoniamo una campanella e voi vi comportate gentilmente, onestamente, generosamente, solidarmente; fate buona rete sociale, comunitaria. Questi vedono che l’ambiente è accogliente, comprano la casa. A quel punto, noi recuperiamo tutto ciò che abbiamo speso, e a tutti quelli che si sono comportati bene, diamo un premio tratto dal valore aggiunto che abbiamo recuperato.” Perfetto. Applauso. Parte questa simulazione, sperimentazione. Una coppia, due coppie, la seconda coppia accetta, firma il preliminare. 

Riconvocano la comunità e dicono: “Ce l’abbiamo fatta, abbiamo rivenduto la casa e siamo qui per darvi il premio.” Si alza il capo della comunità e dice: “No, un momento. Non andatevene, perché ci siamo resi conto che, in tutti i momenti in cui ci siamo comportati bene, abbiamo migliorato anche la nostra vita. Non perché c’era l’incentivo, ma la nostra vita è migliorata perché miglioravano i nostri beni relazionali. Non andatevene, per favore, rimanete. Fare del bene fa bene.” Ho finito. 

 

Vittadini. – 0:59:47 – Il Presidente Brunetta è stato esauriente e ci ha permesso di capire qual è la prospettiva in cui muoverci. Diciamo sempre che gli incontri del Meeting non sono incontri chiusi, in cui si sa già dall’inizio cosa accadrà. Oggi abbiamo capito come la nostra piccola casa, per fare l’esempio finale, può costruire una comunità. Abbiamo visto che c’è qualcuno che è padre di questo percorso. E allora, di fronte a tanti discorsi di pessimismo che sentiamo e che abbiamo sentito anche qui dagli ospiti, c’è una possibilità di speranza; c’è una possibilità che, rispetto ai problemi che ha l’Italia, di cui parlavamo prima, un metodo che per noi è stato il metodo — il metodo della vita quotidiana — possa pian piano ricostruire un tessuto sociale ed economico. 

D’altra parte, come abbiamo imparato, la ripresa alla fine dell’Impero Romano fu così: fu merito di tanti, allora erano i monasteri. Benedetto XVI fece questo esempio per dire che occorreranno piccoli luoghi che diventino luoghi di rinascita. In termini laici, l’ex governatore della Banca dell’India, Raghuram Rajan, ha teorizzato questo, fuori dall’ambito della dottrina sociale, per dire che il futuro è proprio questo: Stato, mercato, ma con unità intermedie che, come ci ha spiegato oggi il presidente Brunetta, possono popolare questo deserto. Per questo lo ringraziamo e vogliamo continuare a collaborare con lui. Grazie. 

Finito? Sì. 

  

 

Data

24 Agosto 2024

Ora

17:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Conai A2
Categoria
Incontri

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