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CIBO: UN BENE PER TUTTI. DALLA LOTTA ALLO SPRECO ALLE NUOVE TECNOLOGIE
In collaborazione con Confagricoltura. Partecipano: Fabio Degli Esposti, Direttore Generale Nespresso Italiana; Maria Chiara Gadda, Deputata PD al Parlamento Italiano, promotrice della legge contro gli sprechi alimentari e farmaceutici; Massimo Goldoni, Presidente Federunacoma; Mario Guidi, Presidente Confagricoltura; Livia Pomodoro, Presidente Milan Center For Food Law and Policy. Introduce Marco Lucchini, Direttore Generale Fondazione Banco Alimentare Onlus.
CIBO: UN BENE PER TUTTI. DALLA LOTTA ALLO SPRECO ALLE NUOVE TECNOLOGIE
MARCO LUCCHINI:
Buongiorno a tutti, ben arrivati. Iniziamo immediatamente perché l’argomento di cui trattiamo oggi è un argomento che ci vede tutti protagonisti, chiunque di voi potrebbe salire su questo palco e portare la propria esperienza. Perché il cibo è un bene per tutti, fino alla persona più anziana, in qualsiasi continente, posto nel mondo il cibo è una questione che dobbiamo affrontare quotidianamente, attraverso usi, tradizioni, abitudini. Oggi abbiamo chiesto ad alcuni esperti, persone che hanno affrontato questo argomento secondo specifiche competenze, di darci il loro contributo allo scopo di sollecitare, di provocarci e così di uscire da questo incontro con domande. Una domanda è come io posso, anche se sono madre di famiglia, se lavoro, se sono uno studente, condividere il cibo, appunto perché, come ci hanno ricordato più volte Papa Francesco, il cibo c’è per tutti, spesso non è condiviso, spesso c’è chi ne ha in abbondanza e magari lo spreca, e da un’altra parte c’è chi invece non riesce a recuperarlo per poter vivere lui e i suoi famigliari. Nell’incontro di oggi sentiremo esperienze molto concrete, pratiche, competenti, di come è possibile condividere questo dono che ciascuno di noi riceve quotidianamente. Fermandomi qui io, faccio una breve presentazione di tutti i relatori e poi inizierà il dibattito. Alla mia destra la Presidente Livia Pomodoro a cui faccio i complimenti per la recentissima nomina alla Fondazione dell’Accademia di Brera, ultimo dei tantissimi incarichi che ha avuto nella sua vita. Alla mia sinistra invece l’Onorevole Maria Chiara Gadda, a cui dobbiamo un ringraziamento particolare, perché è riuscita a far approvare la legge contro gli sprechi e poi ci racconterà. Fabio degli Esposti invece è Direttore Generale se non sbaglio di Nespresso, brand che tutti conosciamo e che tutti vorremo avere nelle nostre case e ci racconterà di cose che normalmente non ci si immagina che un’azienda importante come Nespresso faccia con un’attenzione all’argomento di cui parliamo oggi. Sempre alla mia sinistra Mario Guidi, che invece è Presidente di Confagricoltura e ci racconterà cosa vuol dire, proprio nel punto iniziale, quindi nella produzione agricola, avere questa attenzione al fatto che il cibo è per tutti. In ultimo Massimo Goldoni, Presidente dell’Associazione che si occupa delle macchine agricole a livello Italiano. La prima domanda a Livia Pomodoro è uguale per tutti, poi faremo un secondo giro. Nel suo specifico campo, lei è stata Presidente del Tribunale dei Minori, cosa ha voluto dire dare un contributo perché il cibo sia veramente per tutti? Grazie!
LIVIA POMODORO:
Grazie Presidente, grazie a tutti voi per la vostra presenza. Il raccontarsi, il raccontare il perché delle proprie esperienze, è un momento straordinario, perché è il momento nel quale ci sentiamo tutti vicino l’uno all’altro e comprendiamo, io credo, come sia possibile lavorare insieme per il bene comune, essere tutti insieme. Perché io ho scelto di occuparmi del Milan Center For Food Law and Policy? Verso la fine del mio mandato come Presidente del Tribunale di Milano, mi fu chiesto dai rappresentanti della Regione dell’Expo, del Comune di Milano e della Camera di Commercio di Milano, che cosa immaginavo che potesse essere il dopo Expo. Sul momento non seppi rispondere, dissi loro che avrei pensato a questa loro richiesta e poi mi sarei messa in contatto con loro. Passò qualche giorno e cominciai a riflettere, io sono una giurista, vengo dal mondo del diritto e cominciai a riflettere su una questione di rilevanza fondamentale e mondiale. Abbiamo dovuto scoprirlo con Expo? E tutte le miserie, tutte le difficoltà del mondo che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, non le catastrofi naturali, ma quelle che noi esseri umani provochiamo, quelle che costringono tante creature a vivere nell’insufficienza o addirittura nella mancanza di mezzi di sostentamento e quelli che invece vivono in un’abbondanza tale da essere malati di abbondanza? L’obesità che cos’è se non la malattia dell’abbondanza? Dico sempre un po’ scherzando che se non avremo attenzione per questi temi, che hanno una base morale, storica e soprattutto umana molto forte, l’umanità sarà divisa tra malati per eccesso di cibo o malati o morti per mancanza di cibo. Vi sembra che sia una bella prospettiva? Certamente non lo è! Ecco perché ho pensato che si dovesse e si potesse fare qualche cosa. Devo dire che io ho una particolare gratitudine per chi ha messo in campo Expo 2015, anche se a me sembra che si sia perso di vista un obiettivo fondamentale. Noi abbiamo percorso in questi anni, insieme, tutta la storia della crescita della nascita di questa esperienza, che poi ha portato anche ai suoi risultati, non vorrei che fossero risultati solo di appartenenza e non vorrei che fossero quei famosi risultati della realtà Carsica di cui noi siamo ogni giorno spettatori, cioè quella realtà nella quale ciò che oggi ci pare importante domani lo rinchiudiamo, come mi ha detto qualcuno, in un buco nero che ricopriamo, ahimè, di sabbia e di cui forse qualche cosa verrà fuori in futuro, ma che per ora non ci interessa più, perché c’è qualcosa d’altro che ci interessa. Questo non è un tema carsico, il tema del diritto al cibo per tutti è un tema del nostro quotidiano ed è un tema di sempre ed è un tema che interpella prima di tutto le nostre coscienze, quindi ci fa crescere come umanità, e di questo bisogna essere consapevoli. Comunque sono particolarmente grata ad Expo 2015, perché è una platea molto ampia. Ha avuto la possibilità di confrontarsi con problemi che spesso erano soltanto oggetto di riflessione o scientifica o di ricerca o tra esperti dei vari settori. Si è incominciato a parlare in Italia del Millennium Goals, si è parlato della ricostruzione di questi Millennium Goals a Settembre del 2015 a New York, che arriveranno fino al 2030. Che cosa sono i Millennium Goals? Sono dei principi sui quali si fondano le attività e le esperienze che il mondo dovrà mettere in campo per lo sviluppo sostenibile, per il cibo per tutti e quindi la sradicazione della fame nel mondo e per una serie di altri come il problema dell’acqua del quale varrebbe la pena di parlare sempre molto di più e in tante più occasioni e così poter sfruttare anche tutte quelle esperienze e tutte quelle tecnologie che l’uomo ha sviluppato, ma ha sviluppato quasi prevalentemente a fini di profitto, quasi mai a fini di ridistribuzione, di produzione di beni, di produzione di alimenti, di costruzione di una piattaforma sulla quale sia possibile individuare le esigenze di tutti, diversificate fra di loro ovviamente, ma alle quali si può far fronte. Certo che se noi continuiamo a sfruttare le risorse senza essere capaci di fare in modo che queste continuino poi a mantenere il pianeta Terra nella sua consistenza, ci sarà il giorno in cui, come dice uno scrittore famosissimo, “il pianeta ci sarà ancora, ma l’uomo non ci sarà più”. Quindi sarà necessario che su questo si facciano delle riflessioni. Io sono ripartita da queste riflessioni, ho studiato molto. Comunque le considerazioni alle quali sono arrivata, sono che il cibo è un diritto per tutti. E’ il primo punto, come sapete, della Carta di Milano, ma anche lì non è stato facile introdurre questa idea del diritto come regolazione che porta a un benessere generalizzato per tutti e devo dire che sono particolarmente orgogliosa e fiera di essere riuscita ad imporre questo prologo alla Carta di Milano, non tanto per quello che ha significato, perché come tutte le Carte, è una carta di intenti e se non ha una continuità, può purtroppo finire nel nulla, ma soprattutto perché si è allargata enormemente una platea nazionale e internazionale che finalmente sa che questo è il problema dei problemi.
MARCO LUCCHINI:
Grazie Presidente. Ora ripropongo la stessa domanda all’Onorevole Maria Chiara Gadda con l’aggiunta di una curiosità. Con tutti i temi che la politica oggi presenta, oggi o ieri anzi, perché ha scelto di impegnarsi in un’avventura non semplice come quella di portare a termine questa legge contro lo spreco alimentare e non solo?
MARIA CHIARA GADDA:
Colgo questa occasione per ringraziare il Meeting, ringraziare il Presidente Lucchini per questo invito, ma soprattutto per rivolgere un ringraziamento nei confronti di questo anno intenso di lavoro e questo anno di incontri sul territorio nazionale, proprio per prendere atto di queste buone pratiche che negli anni si sono sviluppate. La legge nasce sicuramente da un’idea. E’ una legge, quindi non è più una proposta, qualcosa di ancora in discussione, ma da oggi in poi questa legge dovrà essere concretizzata. La legge significa anche l’aver mantenuto una promessa. Avevamo promesso che l’avremmo approvata in tempi rapidi e così è stato, perché questo tema è molto più importante di quanto ci si possa immaginare. Perché una legge su questo tema? Consentitemi di andare un po’ indietro nel tempo e di riferirmi alla fame, alla povertà alimentare, qualcosa che è stato lo scenario delle nostre comunità per tanti secoli. Da un certo punto in poi questo scenario è scomparso semplicemente alla vista, è parso qualcosa di altro da noi in termini temporali, quindi è scomparso dalla memoria e anche in termini spaziali, qualcosa di lontano, qualcosa di cui ci si doveva occupare quando si parlava dell’Africa o di altri Paesi, invece non è stato così quando ci siamo confrontati anche noi su due grandi temi. Intanto sul fenomeno migratorio, perché chiaramente questa fame e questa esigenza di risorse, di cibo, di acqua, di lavoro, lo vediamo fisicamente attraverso le persone che giungono nel nostro Continente e poi la crisi ci ha posto di fronte a tanti interrogativi e l’interrogativo stesso è legato al nome con cui abbiamo chiamato questo periodo storico, perché forse dobbiamo chiederci se è opportuno chiamarla crisi o se invece è più opportuno parlare di un sistema economico, sociale e anche forse antropologico che sta mostrando qualche criticità, qualche difficoltà. Tra i primi Paesi al mondo l’Italia è leader, è eccellenza nel recupero e nella donazione delle eccedenze, non lo è da oggi con l’approvazione di questa legge, ma lo è da tanti anni e l’esperienza del Banco Alimentare lo testimonia. La legge nasce dal basso, dal fatto che una pratica esemplare, quindi le esperienze positive, quello che noi chiamiamo le buone pratiche, le best practices, possono diventare un modello estendibile a tanti altri che si possono avvicinare a questo tema. Quindi la legge nasce da questa consapevolezza e dalla prospettiva di sollevare le buone pratiche dalla pratica quotidiana e farle diventare un modello e magari provare a fare il tentativo di cucire assieme tutte queste esperienze che ci sono state negli anni, esperienze diverse, che io ho incontrato nel territorio nazionale. Il nostro Paese è molto diverso, è molto variegato e quindi credo che la difficoltà, ma anche l’aspetto positivo di questa legge, sia stato proprio quello di incontrare, di confrontarsi con i diversi modi con cui ci si è confrontati con questo tema. L’altro aspetto che riguarda questa legge è che ha un racconto molto concreto, molto immediato, perché si tratta di recuperare quanto è in eccedenza nella filiera agro alimentare, ma non solo, perché la legge è stata estesa anche ad altri prodotti e anche ai farmaci. Devo dire, però, che l’aspetto preponderante è quello legato al cibo e non necessita di spiegazione, perché il cibo è un bisogno primario, è qualcosa che tutti noi conosciamo, il cibo è qualcosa che scandisce la nostra vita, scandisce il tempo, scandisce la nostra giornata e quindi il fatto di occuparsi di questo tema è fondamentale. L’altro aspetto su cui mi voglio soffermare è il filo rosso che ha guidato la legge, immediata nel contenuto, ma articolata, perché composta da 18 articoli, perché questo è un tema complesso anche nella sua gestione, ma soprattutto ha al centro il tema del dono, della donazione. Il dono è qualcosa di diverso dal regalo, è qualcosa che presuppone una relazione, uno scambio non economico e soprattutto credo che questa legge si sposi perfettamente con il titolo del Meeting di quest’anno. Il Meeting in questi anni ha funto da osservatore delle modifiche, dei piccoli cambiamenti impercettibili nella nostra società. Il fatto di avere messo nel titolo una parola che è il “bene”, è sicuramente pertinente con questa nuova legge, perché la legge non parla di bisogni semplicemente, ma parla di bene e il bene presuppone una relazione tra due soggetti: tra il “tu”, quindi la persona a cui si riferisce, appunto, la destinazione, il frutto del lavoro, del recupero e della donazione, ma anche il “me”, quindi presuppone una relazione e questa legge funziona, ha funzionato in questi anni, ma soprattutto funzionerà nei prossimi mesi, soltanto se tutti i soggetti che in questi hanno collaborato alla scrittura di questo testo, non soltanto il mondo del volontariato, ma soprattutto il mondo economico, il mondo della filiera agroalimentare si assumeranno le loro responsabilità. Il Parlamento, a larghissima maggioranza, consegna a ciascuno di noi e a ciascuno di voi, soprattutto, questa legge che dovrà essere messa in pratica e poi magari tra un anno faremo un punto e cercheremo di vedere cosa è ancora possibile fare, perché questo è semplicemente una tappa importante di un percorso.
MARCO LUCCHINI:
Grazie. Poi magari nel secondo giro ci sfiderai con qualche obiettivo da portare avanti con questa legge. Mario Guidi: l’agricoltura è l’inizio di questo percorso che porta il cibo…
MARIO GUIDI:
Grazie di questa occasione, perché per una volta parliamo di cibo veramente, quello vero, quello che produciamo tutti i giorni, e ci estraniamo un po’ anche dai quei confronti stucchevoli sulla qualità del cibo, come se il cibo fosse qualcosa che appartiene solo alla televisione, qualcosa che viene dato per scontato. Io credo che noi, la nostra responsabilità sia quella di coniugare la capacità di impresa, il reddito, il profitto, con la responsabilità sociale ed ambientale di ciò che facciamo. E’ il nostro tempo che ce lo chiede, sono i nostri figli che ce lo chiedono e credo che noi lo possiamo fare in maniera anche efficace contando anche sulle tecnologie, sulla innovazione che il nostro tempo ci consente. Io partirei da due parole chiave che l’onorevole Gadda ha detto: consapevolezza e circolarità. Il tema dello spreco del cibo o del cibo in generale si inserisce in un contesto più ampio del passaggio tra l’economia lineare, che abbiamo vissuto fino a non tanto tempo fa e che viviamo ancora oggi, in cui un prodotto nasce, viene utilizzato, poi ”muore” e ha una destinazione non più riutilizzabile e quella che definiamo un’economia circolare, in cui il prodotto nasce dall’assemblaggio di diverse materie prime, viene utilizzato e alla fine viene disassemblato per rientrare nel ciclo produttivo. Questo è un fatto sociale ed è un fatto economico. Noi agricoltori siamo arrivati a un livello di consapevolezza molto elevato che non abbiamo sempre avuto, noi siamo stati gli spreconi per eccellenza, se ricordate, negli anni ’90 la Comunità europea ci pagava per produrre eccedenze. Qualcuno che ha la mia età si ricorderà come sprecavamo e distruggevamo agrumi, pomodori e quant’altro in una frenesia produttiva che dipendeva dalle necessità di una produzione europea che dal dopoguerra aveva bisogno di mangiare, qualsiasi cosa, prodotta in qualsiasi modo. Oggi noi abbiamo una consapevolezza molto diversa e siamo consapevoli che la sostenibilità è un valore, ancora una volta sociale ed economico, la sostenibilità declinata secondo tre principi fondamentali: ambientale, sociale ed economico. Senza uno di questi principi la sostenibilità non esiste ed è una scatola vuota, per così dire. Noi, dal punto di vista agricolo, abbiamo imparato, meglio, ci siamo ricordati, perché i nostri nonni già lo facevano, a non buttare via niente, tutto deve essere riutilizzato. Ci siamo ricordati che tutto ciò che noi facciamo in agricoltura deve avere una destinazione. Niente in agricoltura è un rifiuto, niente deve essere sprecato. Possiamo intercettare il massimo di quello che l’energia solare, l’acqua e il nostro terreno ci dà. Pensate che una pianta, che è in grado di produrre cento dal punto di vista della massa, viene da noi utilizzata per una percentuale che da noi va dal 20 al 30 %, il chicco, il granello di mais, il chicco di grano e quant’altro. Noi dobbiamo lavorare e lo stiamo facendo, affinché tutta la biomassa, tutto ciò che noi prendiamo dal sole, tutto ciò che noi prendiamo dalle nostre fatiche, dai nostri sforzi, sia valorizzato, ottenendo un risultato molteplice. Per noi, dal punto di vista economico imprenditoriale, aumentare la profittabilità della coltivazione agricola, per la società, per l’economia, per il pianeta, significa avere il massimo di utilizzo del prodotto. Per fare questo, Onorevole, ci servono, lo dico a lei come rappresentante di una politica, anche norme più adeguate, come dice anche la Comunità europea, in termini di cosa è il rifiuto, cosa non lo è, di che cosa può essere utilizzato e di che cosa non può essere utilizzato. Perché noi abbiamo necessità di coniugare questa nostra capacità di produrre con una capacità di utilizzo. Norme che sono anche recentemente uscite ci comprimono in questa possibilità. Stamattina ero con le mie donne, le collaboratrici che raccolgono la frutta, c’è mia figlia in sala, quindi volevo chiarire pubblicamente che sono le mie collaboratrici e ragionavamo con loro di come un piccolo graffietto su una splendida mela faccia sì che noi dobbiamo buttarla. In realtà io, in un gesto di magnanimità, lascio che le mie donne la portino a casa: una mela che non ha niente viene buttata, perché la nostra mania di perfezione fa sì che noi rifiutiamo qualsiasi cosa che noi sia perfetta, salvo immediatamente dopo buttarla. E’ un fatto anche culturale e di educazione questo, su cui dobbiamo sicuramente lavorare per ottenere il mondo che vogliamo. Poi sono andato al bar e una splendida signora ha ordinato una brioches, assieme a una sua amica, gli ha dato un morso e mezzo e poi l’ha buttata nel cestino. Allora la sua amica: “Perché la butti?” “Perché se no la linea…”. Ma scusa, prendi una brioches, dai sue morsi e la butti via? Voglio dire, è chiaro che sono piccole cose, ma ci fanno capire come oramai noi siamo abituati a dare per scontato, siamo abituati a fare le cose secondo un ritmo che, di fatto, non ci possiamo più permettere. Credo di non ricordare male se dico che il pianeta ha esaurito a luglio di quest’anno, circa 20 giorni fa, la sua capacità di produrre nuovi pesci, nuovi animali, nuove piante, perché abbiamo cominciato ad intaccare le riserve. Ora io sono certo che le nuove miniere del 2100 saranno le discariche di oggi, perché saremo costretti ad andare a recuperare quello che negli anni abbiamo buttato via. Occorre perciò che cambiamo profondamente l’approccio, che diamo valore a ciò che prima consideravamo rifiuto, e che entriamo in una logica di una economia circolare. L’agricoltura sta ed è pronta a farlo. Che cosa ci salverà? L’uso intelligente della tecnologia. Spesso io vedo mettere in contrasto, in conflitto, tradizione e innovazione, come se le due cose fossero in conflitto una con l’altra. No, è solo l’innovazione che ci aiuterà a salvaguardare le nostre tradizioni, noi l’innovazione la dobbiamo respirare, la dobbiamo abbracciare, la dobbiamo governare. E’ così anche nello spreco del cibo, nell’alimentazione, non dobbiamo aver paura di utilizzare ciò che altri buttano via, dobbiamo consentirlo dal punto di vista normativo, dobbiamo consentirlo dal punto di vista tecnico.
MARCO LUCCHINI:
Qua vedo che non sprecate neanche il tempo, siete tutti bravissimi. Massimo Goldoni, le macchine ci possono aiutare: possono aiutarci a migliorare produzioni, ma possono migliorare anche la vita delle persone magari in luoghi dove la natura non è così favorevole. Qual è la vostra esperienza?
MASSIMO GOLDONI:
Grazie e buongiorno a tutti. Credo che noi dobbiamo imparare a guardare la storia, dobbiamo imparare dalle nostre esperienze e guardare avanti sfruttando quello che abbiamo già fatto e che sappiamo fare bene. Un dato su tutti, tanto per imparare a inquadrare la cosa perché probabilmente il mondo delle macchine agricole, al di là dei nostri amici agricoltori e di pochi altri addetti ai lavori, non è poi così conosciuto. Noi siamo i secondi produttori al mondo di meccanizzazione agricola, noi italiani. Noi produciamo la gran parte delle macchine, trattori, macchine operatrici, e tutto quello che serve a lavorare in agricoltura ed esportiamo il 70% di quello che produciamo. Questo da dove viene? Non perché siamo più belli o perché ci siamo svegliati una mattina e abbiamo detto facciamo questo. Nasce dalle nostre esigenze, perché l’agricoltura è il settore primario che noi abbiamo sperimentato sulla nostra pelle nel primo dopoguerra e nel secondo dopoguerra. Abbiamo cominciato a ragionare su cosa potevamo fare per lavorare meglio, per lavorare meno, per lavorare nel modo più sicuro e più efficiente. Un parametro a spanne: ci vogliono mille uomini con una zappa a mano per fare la stessa cosa che fa un trattore. Così, tanto per avere un parametro. Il punto qual è? Noi abbiamo dovuto imparare, data anche la conformazione, l’orografia dell’Italia, molto particolare, dalle Alpi fino alla Sicilia, per valorizzare le nostre produzioni. E siamo stati molto bravi, perché abbiamo avuto la fortuna e anche la capacità, devo dire, di saper interpretare nel modo migliore tutte le coltivazioni, soprattutto quelle specialistiche, quelle che sono particolari e sono l’eccellenza dell’Italia, parlo della vigna, della frutta, degli ortaggi. Parlo di tutto quello che ovviamente viene particolarmente bene qui da noi e noi abbiamo saputo via via crescere, migliorare, sviluppare. Prima Marco citava la mia provenienza, la mia azienda. La mia azienda nasce nel 1926 da due fratelli contadini che si sono guardati in faccia e hanno detto: “Cosa possiamo fare per lavorare meglio e meno?” Hanno cominciato a fare delle pompe di irrigazione, poi hanno cominciato a mettere insieme delle macchine per aiutarsi nei lavori, poi hanno fatto le prime falciatrici, eccetera eccetera. Poi il boom del secondo dopoguerra e ovviamente ci siamo trovati con una realtà che comunque è attualissima. Teniamo anche presente una cosa, mi riallaccio a quello che hanno detto prima le relatrici: dobbiamo tener conto di vari aspetti che sono la crescita demografica, le stime sono arrivare al 2050 con 9 miliardi di persone sul pianeta, nel 2030 saranno già probabilmente 8 miliardi. Dobbiamo dargli da mangiare, dobbiamo creare le condizioni per lavorare, vivere e crescere e il volano che crea l’agricoltura e tutto quello che ad essa è connesso, è incredibile. Anche questo sarebbe sicuramente un fattore anti ciclico per tutti i fenomeni che stiamo vivendo e stiamo purtroppo patendo e che stanno patendo popolazioni intere. Noi siamo stati tra i primi a esportare in Africa facendo un piccolo errore di valutazione. Eravamo convinti che arrivare lì e portare le macchine fosse sufficiente. No. Non è sufficiente. Bisogna insegnargli a usarle, a metterle a posto, ad aggiustarle, a fare tutta una serie di operazioni che creano il volano virtuoso che dà poi i risultati. E a questo punto, io credo che dobbiamo ragionare nelle due direzioni. Poi magari nel secondo giro entriamo più nel dettaglio di quello che ci siamo detti poc’anzi. Perché da una parte ci sono Paesi evoluti che hanno eccellenze di tutti i tipi, con tecnologie incredibili. Forse non tutti voi sapere che in un trattore c’è molta più tecnologia ed è molto più avanti di qualsiasi automobile. Chi ha una bella automobile qui in sala è convinto di avere chissà che cosa. E’ una bicicletta a pedali rispetto a un trattore con caratteristiche satellitari. Adesso c’è la meccatronica che mette insieme meccanica, informatica, idraulica ed elettronica e razionalizza tutto quanto. E’ già attuale il trattore che va da solo a fare lavorazioni. Ci sono già una serie di innovazioni che sono ovviamente importantissime per un certo tipo di Paese, e poi dobbiamo pensare alla prima meccanizzazione di quelli che passano dal carretto, dalla zappetta, dalla lavorazione più semplice che ci sia, per dargli modo di crescere, di incrementare la produttività. Un esempio anche qui pratico e toccato con mano. Abbiamo realizzato una fiera molto importante, molto interessante in India, un Paese, un continente voglio dire, che ha esigenze incredibili e stanno iniziando ad approcciare l’agricoltura più moderna e hanno bisogno tra l’altro non soltanto della parte di meccanizzazione che noi possiamo dargli, ma anche di tutto quello che c’è prima e anche di tutto quello che c’è dopo. Perché è chiaro che hanno bisogno anche di conservare. Parliamo di sprechi. Il 70% di quello che viene prodotto in India come derrate alimentari viene buttato. Perché non hanno la filiera della conservazione e della trasformazione e allora abbiamo parlato, anche cogliendo l’opportunità di EXPO dell’anno scorso, con i nostri amici di Federalimentare, con i nostri amici di Federmacchine, con i nostri amici che producono tutto quello che serve per dare una base che diventi via via qualche cosa di sempre più solido, per potersi mettere in condizioni di dare da mangiare a tutta questa gente. Cambiano gli stili alimentari. La Cina: prima mangiavano il pugno di riso, quando andava bene, adesso cominciano ad avere esigenze diverse che sono la carne, piuttosto che altri cibi. E anche qui si modifica tutto quanto ed è tra l’altro anche velocissimo questo processo qui e noi dobbiamo fare in modo che tutto avvenga in modo equilibrato, in modo sostenibile, in modo etico, che è l’altra cosa fondamentale. Alla base poi di tante situazioni che si creano, e il mio amico Mario Guidi lo sa bene, ci sono delle speculazioni che niente hanno a che fare con l’agricoltura e con il cibo. Quando le derrate, le commodities, schizzano in alto, non è certo perché c’è dietro qualche cosa che riguarda l’agricoltura. Sono investimenti, sono fondi finanziari che investono. E’ chiaro che noi dobbiamo fare delle strategie che vanno al di là del nostro confine, che ormai non è più le Alpi, il nostro confine è l’Europa, dobbiamo ragionare in termini molto più ampi, dobbiamo mettere dentro tutti quelli che sono in un qualche modo abilitati a fare attività propedeutiche a questi discorsi, quindi parlo della FAO, parlo della Banca Mondiale, di tutti quelli che purtroppo fino adesso hanno fatto, ma non hanno fatto tutto quello che era possibile fare per innumerevoli problemi. Dobbiamo fare delle strategie lungimiranti, perché, anche qui, l’agricoltura non è che puoi farla pensando all’anno prossimo e basta. Devi fare delle pianificazioni che vanno avanti 20-30 anni. Mario parlava della Pac. Quelli sono fondi che ci hanno dato per anni per un eccesso di produzione che abbiamo avuto: è una cosa fuori dal mondo, anche eticamente non ci sta. Abbiamo dato soldi a chi piantava le vigne, poi abbiamo dato soldi a chi le toglieva, poi li abbiamo ridati, sono cose che veramente uno che guarda dice: ma questi cos’hanno pensato? Boh. Perché non c’è una logica dietro tutto questo. Quello che dico è: partendo dal cibo, che è un diritto di tutti, bisogna fare un ragionamento che copra tutto l’arco e che tocchi tutti questi aspetti con una politica e una strategia lungimirante, che è quello che fanno gli statisti. Non bisogna guardare soltanto l’immediato.
MARCO LUCCHINI:
Grazie Massimo. Visto che parliamo di cibo, dopo questi cinque piatti ottimi, un buon caffè possiamo permettercelo. Però, mi viene da dire: cosa c’entra un espresso con questi argomenti?
FABIO DEGLI ESPOSTI:
Visto che mi stai provocando con questa domanda, ti faccio i complimenti per la disciplina dei tempi del pane e provo a rovinarti la festa.
MARCO LUCCHINI:
Ci si aprirà la botola…e lo scopriranno.
FABIO DEGLI ESPOSTI:
Hai detto una cosa molto giusta nell’introduzione e anche adesso. Quando parli di Nespresso – io credo che ormai il brand sia molto conosciuto in Italia – l’aspetto della sostenibilità non è la primissima cosa che viene alla mente, perché è un brand talmente ricco di suggestioni, di qualità che si pensa ad altre cose. Però l’opportunità di oggi è importante per noi per dire che oltre a questo c’è anche un lato importante che a noi interessa far sapere. Mi chiedevano prima, me lo chiedono in tanti, perché siamo qui oggi. Mi è capitato raramente come oggi di trovare il titolo di un argomento, di un dibattito, di una conversazione, che sia così in linea con la nostra filosofia di lavoro e la nostra filosofia di fare business. Noi lo diciamo in maniera abbastanza diversa, lo chiamiamo creazione di valore condiviso. Però vuol dire una cosa molto semplice: un’azienda, per stare in un mercato di lungo termine, deve essere capace di fare i propri interessi, di perseguire un profitto, di rimunerare gli azionisti, ma deve anche essere capace, e questo è il faro che ci guida, di creare un impatto positivo sulla società. Queste sono ormai le regole del fare bene azienda per il futuro e deve farlo riguardo a due componenti. Una è la componente ambientale e l’altra è la componente delle persone. Quindi “tu sei un bene per me” è quello che noi pensiamo del consumatore nei nostri confronti, ma è quello che vorremmo che il consumatore pensasse nei confronti della nostra azienda, la capacità di rappresentare qualcosa di positivo non solo per gli azionisti e per il conto economico dell’azienda, ma anche per la società. Questo è un punto fondamentale, al di là del fatto che il Meeting è un Meeting di valori e quindi è molto interessante anche per noi essere qua. Noi siamo un’azienda relativamente giovane, rispetto ad altri produttori in Italia, abbiamo 30 anni, Il Nespresso è nato 30 anni fa in Svizzera ed è entrato nel mercato italiano nel 1999. E’ entrato con un obiettivo molto importante, quello di produrre un caffè di altissima qualità Allora la cosa fondamentale è che la percentuale del caffè che soddisfa i requisiti qualitativi per entrare nelle nostre capsule, è molto limitata, è circa l’1-2 %. Questo vuol dire che nel momento in cui abbiamo cominciato ad avere i primi successi dal punto di vista della domanda, abbiamo pensato: cosa succede nel momento in cui ci sviluppiamo, cosa succede nel momento in cui teniamo questo livello qualitativo molto alto? E abbiamo pensato una cosa moto semplice, che non ci sarebbe stata sostenibilità per il nostro business se non avessimo creato le condizioni per rendere i coltivatori di caffè che ci forniscono, sostenibili nel lungo termine. E’ una cosa molto semplice. E ci siamo chiesti cosa potevamo fare noi per loro in una comunione di intenti. Innanzitutto c’è un dato fondamentale: il mercato del caffè è un mercato molto difficile, in cui i prezzi sono molto volatili ed è un mercato agricolo. Prima si parlava di agricoltura, di raccolti. Chi coltiva la terra sa benissimo che non può contare su una garanzia di rendimento, di raccolto e questa è una sfida che riguarda i nostri farmers nell’America centrale, piuttosto che in Asia, in Africa, piuttosto che italiani. Quando vado a visitare quelle aziende, al di là del fatto che mi trovo con dei panorami diversi, con delle morfologie diverse, persone con le facce diverse, mi trovo di fronte persone che hanno le stesse sfide che hanno i coltivatori italiani che fanno l’olio, che fanno il vino, i pomodori e tutta una serie di prodotti. Quindi la prima cosa che abbiamo trovato corretto fare, visto che comunque siamo un prodotto di fascia alta, è remunerare questi raccolti con un premio di prezzo molto importante, per garantire ai coltivatori delle condizioni economiche più alte. Pensate che noi paghiamo il caffè tra il 30 e 40% in più rispetto alla media del caffè e paghiamo il caffè tra il 10 e io 15 % in più a parità della qualità del raccolto. E questa è una cosa molto importante. La sfida dei nostri caffeteros è molto semplice. Spesso sono aziende molto piccole, hanno coltivazioni di 4 o 5 ettari. C’è un capofamiglia che è preoccupato di riuscire in quell’anno ad avere un ritorno economico sufficiente per scavallare all’anno successivo. E questa è una sfida molto forte. Molto spesso questa cosa determina un’incertezza anche nella capacità di proseguire a livello familiare l’attività e queste sono cose, ripeto, che sono valide in Africa, in Kenya, sono valide anche nei Paesi europei. A fronte di questo, il fatto di essere capaci di remunerarli in maniera aggiuntiva dà loro una garanzia di avere un po’ più di disponibilità economica per stare in piedi. Però non è solo questo, perché questa può essere una motivazione di breve termine. La cosa molto importante è quella di aiutarli a capire come migliorare la produttività dei raccolti, come aumentare la qualità dei raccolti. Quello che abbiamo fatto in maniera molto felice tanti anni fa e che abbiamo anche chiesto ad associazioni che operano sul territorio, penso al Rainforest Alliance, che è il nostro partner principale in queste attività, è di aiutarci a capire come sviluppare una rete di agronomi sul territorio che potessero aiutare tutti a migliorare le produzioni fondamentalmente su tre assi. Primo: produrre di più, perché produrre di più vuol dire ovviamente avere un ritorno economico più importante; secondo: produrre una qualità superiore, tenendo presente che qualità e quantità possono esserci se i terreni sono gestiti in maniera positiva, e poi soprattutto aiutarli anche nelle piccole pratiche quotidiane, perché non tutti ovviamente hanno cognizioni di gestione di azienda, di conti economici, di come fare i conti. In Italia, cinquant’anni fa, si studiava economia domestica. Fa un po’ sorridere la cosa oggi, però queste sono ancora delle esigenze che sono vive in tanti coltivatori che sanno fare poco di conto. Quindi, questi 300 agronomi che abbiamo, visitano i produttori e li aiutano a migliorare tutto questo. Che cosa significa tutto questo? Innanzitutto che, avendo un rapporto più duraturo con gli agricoltori, noi siamo in grado di rendere tutto molto più sicuro per loro. Siamo in grado di aiutarli a produrre di più e a rendere di più e siamo in grado anche, in alcuni territori, di andare a fare delle iniziative importanti. Ce n’è una di cui mi piace parlare perché mi ha molto colpito, e riguarda il fatto che avere una pensione in America centrale e in Africa è un concetto nuovo.
Queste persone alla fine dell’attività lavorativa vivono sui risparmi o vivono sulle spalle dei figli, tenendo presente che devono cercare di tenere i figli attaccati alla terra e non farli emigrare oppure non farli andare in altre città, altrimenti non avrebbero risorse. Abbiamo fatto questa operazione in Colombia insieme a Fair Trade e insieme al Ministero del lavoro, stiamo cioè cominciando a devolvere una parte di questo extra premio di prezzo che diamo sul caffè, per finanziare i fondi pensione per i cafeteros. E questo è un primo passo. La cosa bella è che tutto questo deve essere fatto per preservare l’ambiente. Il tema delle risorse idriche che si citava prima, apparentemente può sembrare che non c’entri niente con il caffè, in realtà una delle difficoltà che incontriamo in maniera molto forte è aiutare questi coltivatori a gestire le risorse idriche, a lavorare bene su tutto ciò che riguarda la fertilizzazione del terreno, la concimazione, la rotazione delle culture, che è un concetto che noi studiamo a scuola in seconda elementare ma che magari alcune piccole aziende che fanno il caffè per tradizione non hanno mai sperimentato o non sanno esattamente come tirare fuori il meglio dalla terra. La cosa poi molto importante è che tutto questo non è uno statement o un’ambizione, tutto questo poi si traduce in risultati molto concreti, e si traduce in un miglioramento delle condizioni sociali, perché poi ovviamente noi lavoriamo molto a livello di comunità locale: nel momento in cui fai il bene delle famiglie a livello locale, c’è un ritorno anche sull’aggregazione sociale. Prendo ancora qualche minuto, due minuti, per farvi vedere un video che parla di un esperimento molto meglio di quanto lo possa fare io a voce che riguarda il Sud Sudan. Sud Sudan è un Paese massacrato dalle guerre civili, un Paese in cui abbiamo iniziato a lavorare nel 2011, e siamo riusciti, dopo trent’anni, grazie a riforestazione, grazie a piantumazioni per la prima volta a produrre del caffè destinato all’export, che finisce nelle nostre capsule e questo video lo spiega in maniera molto esaustiva. Grazie.
MARCO LUCCHINI:
Ottimo caffè. E dato che sono stati bravi i relatori, abbiamo un bonus di due minuti, tre minuti che regalo al pubblico. E’ arrivata una domanda che ritengo sia importante soddisfare, quindi chiedo anche ai relatori di avere questa cortesia. Mi chiedono, anzi chiedono all’onorevole Gadda se, in pochissimi minuti, riesce a dire i punti principali di questa legge, perché è una curiosità che tutti abbiamo. Prego Onorevole.
MARIA CHIARA GADDA:
Spiegare la legge in pochi minuti non è semplicissimo, perché è composta da 18 articoli, però consentitemi di dire questo: la legge oltre che dalle pratiche nasce da una analisi quantitativa e qualitativa dell’eccedenza, perché per dare una risposta efficace e concreta noi dovevamo sapere dove si genera eccedenza e in quali forme. Secondo una ricerca del Politecnico di Milano l’eccedenza per il 57% si genera nella filiera economica e per il 43% nella casa del consumatore. Quindi è uno spreco che compete a ciascuno di noi. E’ chiaro che se consideriamo questi due soggetti, le risposte devono essere differenti e la legge si concentra in particolar modo su quel 57% di spreco, lo spreco che potenzialmente può avvenire nella filiera agro alimentare. E come lo fa? Abbiamo degli interlocutore diversi, abbiamo dei soggetti economici, quindi la chiave di volta, l’elemento positivo è stato quello della semplificazione burocratica e dell’incentivazione. Questa è stata una scelta che noi abbiamo deciso di percorrere, non abbiamo deciso di percorrere la via della sanzione e della punizione, perché abbiamo visto che in altri Paesi, anche europei, è stata percorsa questa strada ma non ha poi prodotto degli effetti veri e seri. Intanto la legge stessa è un elemento di semplificazione, perché in questi anni chi si è confrontato con la donazione, con il recupero delle eccedenze, si è dovuto confrontare con normative molto diverse, molto complesse, in tema di responsabilità civile, in tema di sicurezza alimentare, in tema di questioni fiscali. Quindi la legge si concentra su questo aspetto. In un testo unico, prova ad affrontare le difficoltà che sono state incontrate in questi anni, perché l’Italia già dal 2003 ha affrontato il tema della donazione con la Legge del buon Samaritano, la legge n° 155, ma questa nuova legge, che si affianca e integra la legge del buon Samaritano, si pone appunto l’obiettivo di provare a recuperare i prodotti che nella realtà si sprecano di più e che è più difficile gestire. Sono in particolare i prodotti freschi, i prodotti freschissimi, i prodotti cotti, sono quei prodotti difficili da recuperare perché hanno un tempo di vita molto breve e necessitano anche di una gestione complessa. Poi ad esempio, nella legge, cosa vuol dire semplificazione? Chiarezza normativa vuol dire anche scrivere un caso particolare, quello del pane, perché l’Italia è bellissima, varia e purtroppo talvolta le normative si interpretano in modo diverso. Quindi abbiamo visto che nel territorio nazionale sembrava impossibile in alcune regioni recuperare il pane, quindi nel testo abbiamo scritto che sicuramente il pane, nell’arco delle 24 ore, dalla sua produzione, indipendentemente dal luogo di produzione, può essere donato. Questo è importante, perché è una pratica che si è svolta in questi anni, ma scriverla in una legge significa che è il legislatore ad assumersi la responsabilità di poter fare questa cosa e non se l’assume più chi dona, non se l’assume più nemmeno chi riceve il frutto della donazione. Un altro elemento di semplificazione che è contenuto nella legge. Intanto abbiamo ridato la differenza tra la data di scadenza e il termine minimo di conservazione, perché ci sono dei prodotti che hanno una scadenza, i prodotti freschi, freschissimi, ci sono dei prodotti che non ce l’hanno, i biscotti non hanno una data di scadenza ma hanno il termine minimo di conservazione, un’indicazione entro la quale il produttore garantisce che quel prodotto, se conservato adeguatamente, se la confezione non è stata manomessa, quel prodotto entro quell’arco temporale conserva alcune suo caratteristiche organolettiche, di friabilità, ma se consumato oltre quel periodo, rimane comunque sicuro per la salute. Quindi nella legge abbiamo ribadito la differenza tra questi due termini, ma abbiamo fatto anche un passo in avanti. Abbiamo detto che sicuramente i prodotti che hanno superato il termine minimo di conservazione, non la data di scadenza, perché superare la data di scadenza può portare invece sì un rischio per la salute, possono sicuramente essere donati e questo aprirà immagino a numerose donazioni, perché il prodotto che ha il termine minimo di consumazione superato, di fatto perde il suo valore commerciale, perché nessuno lo metterà mai a scaffale, perché nessuno lo comprerà, ma può essere consumato e quindi può essere donato. Un altro aspetto: cosa vuol dire semplificazione burocratica? Fino al 2 di agosto, chi voleva donare doveva fare una dichiarazione preventiva a tutte le autorità competenti cinque giorni prima, ad eccezione che per i beni altamente deperibili. Provate ad immaginare chi vuole donare in modo continuo: ogni qualvolta si genera eccedenza, per non farla diventare spreco a ritroso, fare una dichiarazione preventiva cinque giorni prima non è pensabile. Quindi abbiamo detto che questa dichiarazione preventiva non c’è più, si dovrà fare una dichiarazione riepilogativa a fine mese e soltanto se l’importo di ogni singola cessione supera i 15.000 euro. Quindi di fatto, per le donazioni, per le singole donazioni, al di sotto di questa cifra non si dovrà fare più questa dichiarazione preventiva ma semplicemente fornire i documenti che garantiscono la tracciabilità e la riconoscibilità del prodotto, quindi magari il documento di trasporto oppure lo scontrino fiscale che poi viene scomputato ai fini dell’IVA, e così via. Potrei addentrarmi ancora in alti elementi, cito soltanto l’ultimo perché è una notizia anche di questi giorni: sarà possibile anche donare i prodotti confiscati, purché siano sani e sicuri dal punto di vista della salute. Quindi i prodotti confiscati per diversi motivi, anziché essere buttati, potranno essere donati a chi ne ha più bisogno.
MARCO LUCCHINI:
Grazie. Mario Guidi, scusami se continuo a cambiarti il nome, quali sono i prossimi obiettivi per le vostre associazioni, per le aziende che rappresentate, perché questo tema sia un bene per tutti, diventi un mattone che va a costruire questa possibilità di condivisione e di relazione positiva con tutti? Prego Mario.
MARIO GUIDI:
Grazie. Voglio confessare che se in realtà se non mi avessero chiamato Mario mi avrebbero chiamato Massimo, me lo ha confessato mia madre non tantissimo tempo fa, perché è un bellissimo nome.
MARCO LUCCHINI:
Grazie per la comprensione.
MARIO GUIDI:
Gli obiettivi che ci diamo sono quelli di sviluppare o consentire di sviluppare tecnologie e premialità per le aziende che contribuiscono a risparmiare o a non sprecare produzione e cibo. Oggi abbiamo fatto un’esperienza come Confagricoltura, un progetto che si chiama Ecocloud ovvero cloud delle idee sostenibili, abbiamo aperto un banner nel nostro sito di Confagricoltura, e le aziende di Confagricoltura hanno incominciato a dire come loro contribuiscono alla sostenibilità. Ci siamo accorti che le aziende, anche a prescindere da noi organizzazioni, stavano lavorando sulla sostenibilità. Tuttavia in questo tempo non abbiamo dato ancora regole, non abbiamo dato ancora indirizzi, non abbiamo dato ancora normative, anche se ci andrei cauto. Quindi Confagricoltura sta formando dei formatori per spiegare alle aziende come possono svolgere processi produttivi di tipo virtuoso, per auspicabilmente candidarle a delle forme di premialità, perché in una fase comunque di start up del concetto di non spreco, di risparmio o di miglior utilizzo, occorre promuovere le tecnologie e quindi questo è un tema che per noi diventa fondamentale. Cerchiamo, dicevo, di ridurre al minimo quelle che possono esser le burocrazie, perché ho ascoltato e abbiamo condiviso con l’onorevole Gadda questa legge che fa un quadro chiaro, però allo stesso tempo dico da cittadino: ma ci pensate che società abbiamo costruito? Una società in cui serva una legge per donare. Forse stiamo esagerando, abbiamo esagerato. Forse dovremmo arretrare anche come Stato, come Istituzione e lasciare un po’ più di libertà alla disponibilità tra le persone. Il titolo del Meeting è “Tu sei un bene per me”. Questo apre un sottotitolo che è quello del dire che “l’invidia deve essere bandita”, l’invidia è un tarlo che rode le persone, che crea problemi di relazioni, non occorre essere invidiosi affinché l’altro sia un bene per te. Lo possiamo fare in questo tempo proprio grazie alla tecnologia. Io non ho mai invidiato nessuno e i miei mi hanno insegnato a non invidiare. Viviamo un tempo che è nelle nostre mani molto di più di quanto noi possiamo immaginare, sta a noi costruire un mondo che sia all’altezza dei figli che abbiamo. Grazie.
MARCO LUCCHINI:
Massimo Goldoni. Abbiamo capito che da domani compreremo trattori per girare nelle città e staremo più comodi. Ma qual è il tuo obiettivo e l’obiettivo della tua associazione per dare un contributo importante a questo tema?
MASSIMO GOLDONI:
Diciamo che la nostra visione parte da alcune valutazioni, da alcuni dati, come logico che sia per un’associazione di imprese come la nostra. Un dato su tutti: nel 1950 il 70% della popolazione era dedito all’agricoltura e abitava in campagna e il 30% nelle città a livello mondiale. Adesso siamo 50 e 50. Nel prossimo futuro, nell’arco di qualche decennio, sarà completamente invertito e quindi cosa dobbiamo fare? Dobbiamo trovare il modo corretto, di nuovo insisto sull’aspetto etico e sociale, perché comunque l’agricoltura è una fonte di inizio di tutta una filiera economica e virtuosa e ovviamente dovremo farlo preservando tre direttrici principali che sono la sicurezza, l’ambiente e l’efficienza. E’ chiaro, come dicevamo prima, che tutti dobbiamo lavorare nell’ottica di preservare. Mantenere e magari migliorare tre cose fondamentali per l’uomo: acqua, terra e aria. Quelle sono necessarie, insostituibili e serviranno sempre ai figli, ai figli dei figli, quindi dobbiamo fare in modo di lasciare qualcosa di migliore rispetto a quello che abbiamo trovato. In questo senso ci sono tantissime tecnologie che stanno lavorando. Tra l’altro noi collaboriamo con quasi tutti gli istituti di ricerca, col mondo accademico, con tutto quello che può servire a mettere competenze al servizio di quello che noi dobbiamo realizzare e poi vendere sul mercato. Quindi, preservare l’ambiente.
La sicurezza: bisogna puntare su quelle tecnologie come minima lavorazione, agricoltura di precisione, tutto quello che può in qualche modo alleggerire il carico e tante tecnologie anche meccaniche possono sostituire l’utilizzo di alcuni aspetti chimici, fitofarmaci, ecc. ecc. E’ chiaro che anche quelli vanno usati cum grano salis. Quindi dobbiamo fare in modo che ci sia ovviamente una corretta applicazione di queste cose. E’ chiaro che dobbiamo fare attenzione alla sicurezza di chi opera sulla macchina agricola e di chi sta intorno all’ambiente, e soprattutto, mi ricollego a quello che diceva l’Onorevole, lavorare sulle best practices, sulle buone pratiche e ne abbiamo tante e un esempio è quello che stiamo portando avanti anche con il Ministero dello Sviluppo Economico, che ringrazio così come ringrazio il MIPAF. Ti faccio due esempi. Abbiamo creato una model farm, con l’aiuto ovviamente del Mise, e di tutte le forze che concorrono a questo discorso, in Monzambico, nella quale abbiamo collocato delle macchine, delle tecnologie italiane, abbiamo portato un’officina per poter fare la manutenzione ordinaria e straordinaria e stiamo insegnando a queste persone come si usano, come si sfruttano, come è meglio utilizzarle e ripararle per dare l’avvio a un volano anche qui importante. Stessa cosa stiamo facendo a Cuba, dove siamo andati recentemente, stiamo organizzando una model farm, anche qui dove si possono utilizzare le nostre tecnologie, perché una volta messo il seme, la possiamo replicare in tutti gli ambiti simili.
MARCO LUCCHINI:
Grazie. Fabio Degli Esposti ci ha raccontato cose che forse pochi sapevano dell’impegno vostro in Africa e in Centro America.
FABIO DEGLI ESPOSTI:
I nostri clienti chiedono due cose: chiedono di capire cosa facciamo là e cosa fate qua per noi. Faccio l’esempio di una cosa che è al centro delle nostre attività e che mi sta molto a cuore. Noi abbiamo le capsule, le capsule sono fatte di alluminio, l’alluminio è un materiale straordinario, riciclabile all’infinito ed è l’unico materiale che riesce a conservare la qualità del caffè. Quello che abbiamo fatto, semplicemente, è stato chiedere ai nostri clienti di riportarci le capsule o in boutique, ne abbiamo circa 40 oggi, o in alcune isole ecologiche. Facciamo una cosa molto semplice, prendiamo queste capsule, separiamo l’alluminio dal caffè, l’alluminio viene indirizzato all’utilizzo, il caffè viene utilizzato come concimante in alcune coltivazioni di riso nella zona di Pavia. Noi lo riacquistiamo e lo doniamo al Banco Alimentare. Questa cosa ci ha permesso negli anni di raccogliere circa 1.600 tonnellate di alluminio, 500 solo l’anno scorso, ma soprattutto di dare, l’anno scorso, circa 250 tonnellate di riso. Grazie all’impegno dei nostri clienti, grazie all’impegno del Banco alimentare, noi riusciamo poi a destinarlo a persone in stato di necessità.
MARCO LUCCHINI:
Chiederei all’On. Gadda proprio un pensiero sulla creatività in politica. In cosa la vedremo impegnata nei prossimi mesi?
MARIA CHIARA GADDA:
L’auspicio, l’augurio che faccio a me stessa e alla politica in generale è quello di tenere gli occhi aperti e le orecchie sveglie, perché l’esempio di questa legge è proprio questo, che da alcune esemplarità siamo riusciti a trarre un modello. Dalle vostre esperienze, dal racconto che avete fatto si possono trarre altri spunti importanti che possono poi essere estesi in termini generali, anche a livello normativo. Io credo che l’obiettivo del prossimo futuro – poi in realtà il futuro è un concetto un po’ astratto perché il futuro è oggi e si costruisce scegliendo oggi quale futuro ci deve essere – è legato un po’ al tema dell’economia circolare. Anche il dibattito italiano ed europeo è molto concentrato e collega l’economia circolare al tema del rifiuto. Sicuramente è così ma è molto riduttivo, è soltanto una parte, quella del rifiuto, perché l’economia circolare è qualcosa di più, è qualcosa che deve coinvolgere la reingegnerizzazione del prodotto, l’ambito sociale, la cultura e deve coinvolgere il mondo del volontariato. Deve coinvolgere il fine, perché i prodotti non nascono quando arrivano nelle nostre mani o quando li compriamo, i prodotti hanno una nascita, una vita, un fine e una fine e quindi credo che l’economia circolare sia un po’ questo e questo aspetto credo debba entrare un po’ di più anche tecnicamente nelle nostre normative, nelle nostre scelte. E poi l’obiettivo, diciamo l’auspicio, è quello che chiedo a ciascuno di noi, è quello di utilizzare anche i termini corretti, perché nella legge abbiamo provato a farlo. Nella legge abbiamo definito e inserito nel nostro ordinamento la differenza tra spreco ed eccedenza: lo spreco diventa tale quando l’eccedenza non viene recuperata. In questa legge noi non abbiamo mai o quasi mai citato il termine rifiuto, perché quello che viene recuperato per le persone non è un rifiuto, ma un’eccedenza utilizzabile e questo ha un senso legato al fine di questa legge, che è il rispetto della persona che riceve questi prodotti. Quindi non parliamo di rifiuti, ma parliamo di recupero delle eccedenze.
MARCO LUCCHINI:
Grazie. Può sembrare una sottigliezza, ma quello che diceva adesso l’Onorevole è fondamentale. Quando si dialoga, usare dei termini che corrispondono alla realtà è un’attenzione anche all’altro. Presidente, Lei ha iniziato, ci ha dato il là, questo spunto fantastico è anche l’immagine dei temi carsici che spesso ci troviamo ad affrontare tutti i giorni. Grandi emozioni ma poi fumo di fuochi d’artificio. Come invece una goccia che cade tutti i giorni, cambia la realtà?
LIVIA POMODORO:
E’ un’occasione unica quella di poter dialogare con tanti soggetti diversi ma tutti interessati alla stessa finalità, che come abbiamo visto è il bene comune, è il bene dell’umanità. Naturalmente declinato in maniera molto diversa, tenuto conto delle diversità di tutti noi. Ma è giunto il momento di fare qualcosa che unifichi tutte queste esperienze. La mia proposta di questi giorni, tema che poi sarà esplicitato ulteriormente, è che proprio a partire dall’esperienza di questa legge, che è stata interessante perché ha messo insieme soggetti molto diversi tra di loro ma tutti interessati alla conservazione della natura, dell’ambiente, si è determinata la capacità di poter fornire tutto quello che è necessario e utile per color che ne hanno bisogno. Una proposta interessante può essere quella che ho cercato di fare con il Milan Center, che è un grande paniere. I miei detrattori dicono: ma perché non parli di rete? Perché la rete non mi basta più, il paniere all’interno del quale ci sono tutti i partner e sono oltre 60, nazionali e internazionali a partire dalle Nazioni Unite, che lavorano nel Milan Center, il paniere è il luogo nel quale siamo tutti vicini. Pensate un grande cesto all’interno del quale ognuno fa la sua parte ma tutti insieme cerchiamo di raggiungere un obiettivo, tenendo conto che i problemi sono tantissimi, dall’internazionalizzazione all’agro-impresa ed alle tecnologie che sono legate all’agro-impresa, con le finalità di cui abbiamo parlato; tenendo conto che noi non viviamo più in una società fatta soltanto di noi e dei nostri bisogni, anzi noi viviamo in una società così globalizzata dove non possiamo non tener conto di ricerca, di innovazione che colga, come giustamente è stato detto qui, da un lato le esigenze che sono proprie delle nostre produzioni, ma dall’altro anche la capacità di stare nel mondo. E qualche volte io dico anche di insegnare, senza essere troppo presuntuosi, ma di insegnare anche agli altri, agli altri di tutto il mondo, che può esistere un metodo, che non è quello di appropriarsi delle terre con violenza, non è quello di stuprare le donne, non è quello di fare in modo che i territori vengano sfruttati perché le donne lavorano nei campi e non hanno nessun diritto, per esempio non hanno il diritto alla proprietà nel 90% dei Paesi non evoluti, non hanno diritto a far propri i profitti dei campi, anche se servono per le coltivazioni autoctone. E vorrei dire ancora di più: che ci sono forme di sfruttamento terribile in tutto il mondo e di queste siamo anche complici, siamo complici nella misura in cui non siamo capaci di far sentire fino in fondo la nostra voce per cambiare il mondo, ma non per cambiarlo per il profitto e il vantaggio di pochi e lo svantaggio dei tanti, perché questo non è un modo di cambiare, è un modo di distruggere il mondo e tutte le risorse che la natura e il pianeta ci hanno messo a disposizione. Quanti milioni di persone sono oggi escluse da progetti che possono andare in questa direzione? Noi stiamo lavorando molto intensamente in Italia e all’estero su tutti questi temi. Una proposta che io ho fatto e che spero trovi consenziente il mondo straordinario del non profit, è quella di continuare a stare o di metterci tutti insieme in questo grande paniere, non per il potere dell’uno piuttosto che dell’altro, ma per ottenere che tutti insieme si raggiunga un obiettivo. Io voglio finire però ricordandovi che aspiro ad un’altra importante realtà. Quando ho pensato al Milan Center e quando abbiamo messo insieme tutte queste professionalità, il primo testimonial del Milan Center, lo è ancora adesso, è stata la signora Elver, che è lo special reporter delle Nazioni Unite per il diritto al cibo, che ha fatto anche la prefazione di questo libro. Qual è l’obiettivo finale? L’obiettivo finale, che non è solo nella mia testa ma che credo stia a cuore a molti in Italia e al mondo, è di riconoscere all’Italia la capacità di essere vessillifera, campione dei diritti umani e di farlo subito. Mi avete chiesto che cosa si deve fare nella vita quotidiana? Beh ricordiamocelo sempre, ricordiamoci che siamo piccolissimi soggetti, nessuno è importante se non nella relazione con l’altro, nessuno è importante se non in questo amore che dobbiamo coltivare tutti insieme per un’umanità che ci appartiene e di cui facciamo parte. Grazie.
MARCO LUCCHINI:
Grazie, Presidente, grazie On. Gadda, grazie a Mario Guidi, grazie a Massimo Goldoni, grazie a Fabio degli Espositi. Ringrazio tutti. Buona conclusione del Meeting che finirà stasera con un grande spettacolo a cui invito tutti a partecipare. Grazie e buon appetito.