CHI SONO I SUPEREROI?

Partecipano: Gabriele Dell’Otto, Fumettista e Illustratore; Franco Nembrini, Insegnante e Scrittore. Introduce Marco Saporiti, CEO & Founder DEseip s.r.l.

Chi sono i supereroi?

Ore: 21.30 Salone Intesa Sanpaolo A3
CHI SONO I SUPEREROI?

Partecipano: Gabriele Dell’Otto, Fumettista e Illustratore; Franco Nembrini, Insegnante e Scrittore. Introduce Marco Saporiti, CEO & Founder DEseip s.r.l.

VOCE:
Supereroe, cos’è un supereroe? Non esiste una definizione specifica del supereroe. Un uomo con i superpoteri, forse, o un uomo con il costume. No, non tutti ne sono provvisti. Sono uomini normali che per un caso o per una volontà si levano a un gradino più alto per difendere ciò che è il bene. Dotati, a volte, di superpoteri. Dotati, a volte, di costumi. Dotati, a volte, di un senso di sacrificio fuori dal comune. Un supereroe dà l’illusione di superare l’umanità. Tutti, però, si trovano a fare i conti con il proprio limite umano.

VIDEO

VOCE:
Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima.

MARCO SAPORITI:
Buona sera a tutti. Allora, mi hanno detto che forse non si è sentito il primo audio, è vero? Si è sentito o no? Beh, lo rileggo veloce, giusto per dare un intro. Recitava così.
«Supereroe, cos’è un supereroe? Non esiste una definizione specifica del supereroe. Un uomo con i superpoteri, forse, o un uomo con il costume. No, non tutti ne sono provvisti. Sono uomini normali che per un caso o per una volontà si levano a un gradino più alto per difendere ciò che è il bene. Dotati, a volte, di superpoteri. Dotati, a volte, di costumi. Dotati, a volte, di un senso di sacrificio fuori dal comune. Un supereroe da l’illusione di superare l’umanità. Tutti, però, si trovano a fare i conti con il proprio limite umano».
Primissima cosa che dico, prima di presentare i top player alla mia destra e alla mia sinistra, è che abbiamo pensato che siccome è un tema molto interessante che può suscitare tante domande, si possono mandare domande alla mail, che la regia dovrebbe mandare dietro, ve la dico lo stesso, supereroi2018@gmail.com, alla fine dell’incontro ne scegliamo due, tre e le diciamo. Allora, partiamo subito. Io vorrei partire con il top player cioè Gabriele. Se ci racconti un attimo, visto che probabilmente qualcuno, spero di no ma qualcuno non ti conoscerà, ci racconti un attimo chi sei, cosa fai.

GABRIELE DELL’OTTO:
Buona sera a tutti. Mi chiamo Gabriele. Sono un illustratore romano, nato a Roma, vivo a Roma, lavoro a Roma e ormai da vent’anni, nell’industria di quelli che si chiamano ormai per tutto il mondo i comics cioè i fumetti. Comics perché in realtà lavoro, quasi esclusivamente, oltre oceano, soltanto quasi esclusivamente oltre oceano, quasi esclusivamente per gli americani, sui supereroi sia Marvel che DC. In questi anni, naturalmente, dopo gli studi artistici, ho fatto un po’ di bottega, quella che all’epoca era possibile fare, presso uno studio di un illustrazione scientifica fino ad arrivare nel ‘98 a presentare i miei lavori a Expocartoon, la fiera di fumetti più importante a Roma. All’epoca conobbi Marco Marcello Lupoi, che saluto, e che ringrazio ancora oggi perché lui era, era ed è l’editor-in-chief della Marvel Italia che mi diede, per la prima volta, l’opportunità di poter pubblicare le mie cose. Da lì sono passati vent’anni e siamo arrivati fino al 2013, la faccio molto breve perché la sintesi, diciamo, non mi è proprio congeniale, fino al 2013 quando poi, per vari motivi, ho incontrato Franco a Roma durante uno dei suoi incontri su Dante. Da lì poi, naturalmente, qualcosa è cambiato, però questo magari lo raccontiamo un po’ dopo, adesso lascio la parola a Franco.

FRANCO NEMBRINI:
Sono Franco Nembrini, insegnante e ogni tanto vado in giro a leggere Dante. Mi è capitato di farlo in una parrocchia di Roma, alla fine di tanti incontri. Quando si fanno queste cose capita spesso che ci sia qualcuno che vien lì a dire «ho scritto questo, ho fatto questo», la maestrina che ha fatto fare Dante ai bambini della terza asilo e che ti vuol fare vedere i disegnini, interessantissimi. Insomma, c’è sempre qualcosa da fare e vedere e arriva anche questo signore, era l’ultimo incontro, l’ultimo di una serie di incontri. Arriva questo signore, timido, dice «sono un illustratore, sarei interessato a conoscerla». Io: «Piacere, grazie, ciao, arrivederci», se non che, appena andato via, i ragazzi della borgata lì intorno, miei amici, mi sono saltati addosso dicendo: «Franco, ma hai capito con chi stavi parlando?». «No, chi è?». «Gabriele dell’Otto». «Eh, e chi l’è il Gabriele dell’Otto?». «Ma come?», naturalmente mi hanno asfaltato per la mia ignoranza. Mi ha colpito l’interesse con cui questi ragazzi, che erano gli stessi che venivano a sentire Dante, seguivano quegli affari lì che a me, invece, almeno fino a quel momento, non avevano detto niente. Allora, si è rifatto avanti lui, mi sono fatto avanti io, ci siamo sfidati a vicenda. Con mia grandissima sorpresa, quando gli ho detto un po’, non per metterlo alla prova, sarebbe sbagliato, ma volevo vedere insomma quanto fosse tenace anche lui, l’ho sfidato a venire a Milano, a una rappresentazione teatrale della mia scuola su Pinocchio. Avrei giurato che non sarebbe venuto e invece, alle otto di sera, era lì al teatro Fontana, aveva preso il treno per venire a vedere questa cosa che non lo riguardava direttamente. Abbiamo passato la sera insieme e siamo diventati amici. Siamo diventati amici. Mi ha invitato nel suo studio, aveva fatto l’anno prima, credo il 2014, un manifesto per il Lucca Festival, quel posto lì dove va lui, poi mi ha invitato ad andarci anche io, un posto dove si trovano tre, quattrocentomila matti, vestiti in modo che non avete idea, ma proprio una roba, non avete idea, cioè ti può capitare di incontrare Batman per strada con una batmoglie che ci sta, condivisione. Il problema è che c’hanno anche il batbambino nel batcarrozzino. A me mi sono sembrati tutti un po’ matti, comunque, lui aveva fatto un manifesto per questo Festival di Lucca del 2014. Sono andato nel suo studio, ho aperto la porta e me lo sono trovato davanti. Credo che sia aggiunto al catalogo che distribuisce lì alla mostra e sono rimasto folgorato e gli ho detto: «Ma Gabri, cos’è?». Lui dice «è il manifesto che ho fatto l’anno scorso per il Lucca Festival» e gli dico «ma no, è di più». Ero rimasto folgorato, non so se avete presente l’immagine, ma la potrete recuperare, dall’immagine di questo bambino illuminato in mezzo a una realtà oscura, evidentemente ostile, morta, un bambino con una chiave in mano che si volta come a salutare chi lo ha educato, pronto ad aprire la porta di questa realtà apparentemente oscura ma, invece, evidentemente piena di significato, perché c’è una serratura illuminata. Vien luce dal buco della serratura. E a me che non è che invento niente, cerco solo di ricordare le cose importanti che imparo, è venuto subito in mente la poesia dei due orfani di Pascoli. Questa poesia per me definisce l’emergenza educativa in cui siamo. È la storia di due bambini che nella notte, rimasti orfani della madre, spaventati dalla realtà, si consolano l’un l’altro. Il bambino più piccolo ha paura, il grandicello cerca di consolarlo, ma tutti e due alla fine arrivano alla conclusione che anche prima noi si aveva paura ma non tanta, perché dalla serratura veniva lume. Una presenza, che era la presenza della madre, rendeva sicura la vita. Io quando ho visto quella serratura illuminata, mi si è messo in moto tutto questo ambaradan, e ho detto «ma questa è la più bella immagine che abbia mai visto sull’educazione». La realtà che sembra contro di me, invece è per me. Si tratta di aver la chiave per entrare e trovare quella luce che la può far rivivere tutta. E questo bambino in cui lui coraggiosamente, ha ritratto suo figlio Ettore, è lì davanti, appunto, a questa porta misteriosa, con una chiave in mano, che si volta come a salutare il padre, l’insegnante, l’educatore che gli dice «l’ abbiamo capito che sta succedendo questa cosa, che poi stiamo cercando di vivere sempre». Lui fa le cose e io gliele spiego. No, detto così fa schifo. No, detto così non va bene.

GABRIELE DELL’OTTO:
Dopo io do la mia versione.

FRANCO NEMBRINI:
No, perché lui, lui fa delle cose che a me, che ho letto, insomma, mi fanno scattare tutta una serie di link e parlando capisco che anche lui scopre cose, perché questa è la magia dell’arte, sempre, letteratura compresa, scopre cose che non pensava di sapere o di saper dire in questo modo meraviglioso. E io quando parlo di Dante e gli racconto le cose, imparo da quel che lui disegna. I quindici quadri su Dante della mostra, sono lì da vedere. Imparo. da quel che disegna, quel che pensavo già di sapere e diventa un’avventura meravigliosa, perché l’altro fa capire a te quel che tu sai senza saperne la grandezza e la profondità. Allora diventa una scoperta continua e, insomma, così un’amicizia cresce. Questo è il modo con cui ci siamo incontrati e conosciuti. Ho detto l’essenziale Gabriele.

MARCO SAPORITI:
Posso chiedere la tua versione?

GABRIELE DELL’OTTO:
No, le versioni dei nostri incontri, la versione di Franco è sempre la migliore. No, veramente, è la più bella, tanto è vero che io, a un certo punto, vorrei intervenire ma dico è così e basta. No, in realtà è andata proprio così, è andata così, poi lui ha un dono, come dicevo all’inizio, che io non ho, che è la sintesi, quindi se io dovessi cominciare a raccontare una cosa… questa la dico e chiudo con una battuta. Quella sera che sono andato su, appunto, a Bergamo, prima a Milano poi lui mi ha ospitato a Bergamo, abbiamo parlato di varie cose, di varie possibilità, di venire a Lucca e mi ricordo che lui dice sempre ‘sta cosa, nel senso che la moglie gentilmente si è fatta un po’ di parte, poi lei è andata a nanna e ci ha lasciato a chiacchierare. Poi lui racconta sempre «io poi verso le tre sono andato a letto, ma secondo me, Gabriele ha continuato a parlare». Quindi questa è la sua versione, però io sono andato a letto prima.

FRANCO NEMBRINI:
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata, fino all’una. Lui fino alle tre.

GABRIELE DELL’OTTO:
Ecco, vedi, esatto. Racconta meglio lui, non c’è niente da fa’. Basta, va bene così.

MARCO SAPORITI:
Allora, è una storia che secondo me è incredibile. Quando venimmo a conoscenza di questo incontro, ne siamo arrivati a conoscenza a maggio, sapevano chi era Gabriele, sapevamo chi era Franco, non sapevamo si conoscessero. Abbiamo detto «ma dobbiamo fare qualcosa sui supereroi per forza?». Poi siamo scesi una volta a Roma, un gruppo di amici con l’Alessandra Vitez e altri ragazzi, da loro due e abbiamo detto: «Beh, ma facciamo al Meeting un incontro che parli dei supereroi». Il problema è che Franco, l’ultimo fumetto dei supereroi che ha letto, è Tex Willer, giusto? Più o meno.

GABRIELE DELL’OTTO:
Adesso ti risponde che ha lui letto Tex. Adesso, guarda.

FRANCO NEMBRINI:
Andiamo alle brutte qui. No, ma è vero, è vero.

MARCO SAPORITI:
Quindi, probabilmente Spiderman non sa proprio benissimo chi sia. Per cui ci siamo trovati e abbiamo portato a entrambi quello che a noi colpiva dei Supereroi, perché è un tema che è affascinante, cioè è un tema che, comunque, anche solo per i film che stanno facendo uscire al cinema, più o meno li abbiamo visti tutti, ti gasano, no? Ed era interessante vedere perché. Noi siamo arrivati giù e abbiamo portato dei punti interessanti dei film Marvel e vi racconto due cose e poi do la parola a Franco e la mano a Gabriele, perché uno parlerà e l’altro disegnerà, che sono le loro due forme di comunicazione principali. Dunque, piccola parentesi, io ho sempre odiato i Supereroi fino al 2016, quindi due anni fa, non vent’anni fa, perché li pensavo un mondo un po’ di buonisti, che sono un po’ dei fenomeni. Poi mi dicono: «Vai a vedere Captain America: civil war». Non vi dico di più, però vi dico il fatto che mi ha colpito. Vado a vederlo, a me piace molto il cinema, era un film veramente fatto bene, ma c’era una tematica che mi aveva affascinato più di tutte. Facciamo finta che lo abbiate visto tutti, quindi dico degli spunti piccoli, per intenderci. Gli Avengers sono un gruppo di Supereroi che difende il mondo dal crimine, dai cattivi ecc., ad un certo punto arriva il governo degli Stati Uniti che dice: «Siete dei fenomeni, bravissimi, però quando voi agite per eliminare il cattivo e difendere il buono fate un sacco di danni, distruggete palazzi, città, insomma siete dannosi», per cui il governo dice: «Ok, facciamo che da adesso voi diventate una forza militare per cui state sotto il mio comando, vi dico io quando agire». E in questa decisione gli Avengers si dividono in due, da una parte quelli che accettano gli ordini del governo, capitanati da Iron Man, che è una persona con un ego molto grande, che ha il concetto di fare del bene però si rende conto di essere limitato. Dall’altra Captain America che dice: «Ma no, so io cosa è il bene, poi sono io che ho i superpoteri, per cui lasciatemi libero di decidere quando agire, perché se ad un certo punto il governo mi dice “fai questo” però io non sono d’accordo, perché dovrei farlo?». E da qui nasce la civil war, cioè la guerra fra queste due fazioni. Vedendo questo film, mi sono detto: «Beh, ma c’è un po’ di più che il semplice buonismo sotto i Supereroi, ci sono dei temi molto interessanti». Poi io mi sono sparato la maratona di tutti i film, sono diventato un nerd dei Supereroi, e vedevo che questa tematica del fare il bene è affrontata sotto più aspetti, perché può esserci sotto questo aspetto, oppure sotto l’aspetto di Deeadpool, che Gabriele odia.
GABRIELE DELL’OTTO:
Non l’ho mai detto.

MARCO SAPORITI:
Però, va beh, non è che l’odia però non è che gli va a genissimo. Deadpool ha una storia particolare, si definisce super ma non eroe, perché è stato sfregiato da uno che ha fatto un esperimento genetico su di lui, e dice: «Adesso che ho i super poteri voglio uccidere lui e vendicarmi». Quello è il suo concetto di bene, per cui tutto quello che capita in mezzo, chi se ne frega, quasi, anzi abusa dei suoi super poteri. O addirittura per arrivare a Ultron, Iron Man, che è un ingegnere, un miliardario, un fenomeno dell’ingegneria, dice: «Cavoli però, noi appunto Supereroi abbiamo un concetto di bene che non riusciamo a esprimere al cento per cento, costruiamo una macchina che con un algoritmo, Ultron, sappia qual è il bene assoluto». Peccato che questa macchina fa il suo ragionamento e dice: «Beh, se c’è il male è perché hanno da combattere un bene, per cui eliminiamo il bene e il male non ci sarà più», quindi uccidiamo i Supereroi. Questa tematica del bene è sfaccettata in tante maniere che non c’è mai un punto in cui ti viene da dire: «Stanno agendo per il verso giusto», c’è sempre un punto di dubbio. È interessante, però, vedere come ognuno si prodighi per questo. Poi ci sono tante tematiche, la tematica del cambiamento: tanti personaggi durante la storia cambiano e magari Gamora, che è una killer, diventa una guardiana della galassia, perché si affeziona a quelli che sono i guardiani della galassia e dicono: «Ok, combattono per un ideale più grande del mio, ci sto, ci sto anche io». O la tematica delle amicizie: Bucky, che è un amico di Captain America, a cui hanno fatto il lavaggio del cervello, è obbligato a fare del male, contro la sua volontà, e ad un certo punto dice: «La faccio finita, mi uccido, perché non ce la faccio a vivere così» e il bene che Captain America voleva per lui, l’ha invogliato a dire: «Cavoli, se mi vuol bene così, in modo anche gratuito, allora io ci sto a provare a combattere il male che faccio». Insomma ci sono un sacco di tematiche interessanti, che a me e ai ragazzi, ma penso un po’ in generale a chi è appassionato di Supereroi, colpiscono e un po’ ci rimane quella cosa che dici: «Ma perché sono così affascinanti, perché ci affascinano?». Vorrei che da questo dialogo uscisse fuori questo e so che voi due potete darci una grande mano su questo tema. Franco lascio la parola a te.

FRANCO NEMBRINI:
Quindi la domanda è?

GABRIELE DELL’OTTO:
Aspetta, la domanda è: ma insomma tu cosa pensi dei Supereroi?

MARCO SAPORITI:
E se ci dici anche chi è Spiderman se lo sai, se no va bene.

FRANCO NEMBRINI:
Bastardo. Perché sa che non lo so. In realtà sapevo che mi avrebbero chiesto qualcosa del genere, ovviamente, e la risposta, una mezza risposta ce l’ho, solo che sono in difficoltà, perché un’ora fa, insieme, siamo stati a vedere la mostra di Giobbe, e insomma mi ha fatto venire su un ricordo dell’infanzia che mi ha turbato e sto cercando di farlo andare d’accordo, di farlo reagire con il tema di stasera, perché non riuscirei a tacerlo. Quando nel percorrere la mostra si pone il tema del dolore, il dolore innocente, il terremoto, l’avrete vista immagino, il terremoto di Lisbona e poi Auschwitz, mi è venuto in mente un ricordo che non avevo da tanto tempo, il ricordo che da bambino, quando si è cominciato, vuoi per la scuola vuoi per l’arrivo della televisione, a vedere i primi filmati, le prime cose storiche, la guerra era finita da non tantissimo tempo, io ricevetti un’impressione così angosciosa della questione di Auschwitz, che identificavo il male del mondo con i tedeschi, per quello che avevano combinato lì, e mi sono ricordato di aver sognato tante volte da bambino di avere i super poteri per ammazzare tutti i tedeschi, perché quel male lì non ci fosse, per contribuire in qualche modo a che quel male non ci fosse. È un sogno che mi ha accompagnato a lungo, anche da grande qualche volta, e stavo riflettendo, venendo qui, all’inizio di questa chiacchierata, stavo riflettendo che forse l’entusiasmo per i Supereroi è perché danno forma, danno vita a quel desiderio lì che abbiamo tutti, perché tutti facciamo l’esperienza del bene, della speranza del bene di cui è segnata la vita, ma anche dell’esperienza del male, a volte di un male così terribile, così diffuso o così potente, così forte, che capisci che per vincerlo dovresti avere i super poteri. Siccome però ai miei tempi si leggeva Tex Willer, dove la mia cultura del fumetto si è fermata, orgogliosamente, io immaginavo di essere una specie di Tex Willer che poteva volare, poteva farne di ogni sorta, sparando a destra e a sinistra per salvare i bambini ebrei. Allora in questi mesi di dialogo con voi, nel preparare anche la mostra, mi è tornata su questa cosa, che l’idea dei Supereroi non è un’idea, non è come dicevi tu una cosa che si possa tacere, un passatempo per ragazzi giovani o non più giovani, che non hanno niente da fare, è forse proprio l’immagine di quel che desideriamo di più: che il male sia vinto e che in qualche modo ci trovi protagonisti di questa lotta contro il male, contro ogni male e contro la menzogna. E forse, la butto lì, poi se non ti convince ne parliamo, ma forse questa questione dei Supereroi è antica: per quel poco che conosco della mitologia classica, a me quelli là mi sono sempre sembrati Supereroi, uomini semidei o dei che accettano di diventare uomini in questo continuo rapporto, ricercato, immaginato, tra l’umano e il divino, perché l’umano non può rassegnarsi al banale, al particolare, ha in sé quello che ci è stato insegnato a chiamare cuore. Il cuore si sente fatto per qualcosa di grande, sempre e grande può essere solo Dio, e allora uno vuol diventare Dio, e così Ercole, Prometeo, Achille, ciascuno a modo suo identificava già nell’antichità questo desiderio, perciò la mitologia greca è la prima grande antologia dei Supereroi, che ahimè finiscono male, finiscono male, perché questo tentativo di mettersi al servizio del bene, della verità, nell’antichità era un tentativo disperato in qualche modo. Ho sempre detto, ho sempre ritenuto che il mito di Icaro, il fallimento di quel volo, il mito di Icaro sia un po’ la sintesi della tragedia che l’antichità sentiva, viveva: una tensione al divino, al poter essere super e non poterlo realizzare. E ogni tentativo in questo senso è destinato a fallire. Poi ho cominciato a leggere Dante, a studiare Dante, a studiare la cultura medioevale e piaccia o non piaccia, Dante è uno che vola: va come una lippa, mica come quelli lì che disegna lui. Quando parte per il Paradiso, col turbo, primo canto del Paradiso, quando lascia il Paradiso terrestre, va a una velocità tale, che si gira e dice a Beatrice: «Beatrice ma com’è che andiamo così forte?» e Beatrice: «Ma no, non ti stupire, guarda che è normale da queste parti, si va come missili, perché abbiamo i super poteri che Dio ci aveva dato all’inizio, ma poi li abbiamo persi, ora te li sei riguadagnati e quindi come due Supereroi ce ne andiamo in giro per i cieli a sistemare le cose belle». Dante in qualche modo è quello che fa il viaggio giusto verso questa possibilità per l’uomo di essere grande, e qui faccio una brevissima riflessione, poi però mi devi dire cosa ne pensi tu, perché non la lasciamo lì così. Mi veniva in mente proprio in questi giorni lì, alla mostra, mi veniva in mente che essere super, cosa vuol dire alla fine? Essere Dio, cosa vuol dire? Poter vincere i limiti. La frase con cui hai finito prima, cos’è che hai detto? «Ognuno deve fare i conti con il proprio limite umano». Essere super è superare il limite. E com’è che sperimentiamo il limite? Il limite è di tempo e di spazio, noi siamo crocifissi al tempo e allo spazio, cioè alle circostanze, perché l’incrocio tra il tempo e lo spazio è la circostanza in cui ci tocca vivere e alla circostanza l’uomo fa fatica a rassegnarsi, perché è poco, è sempre troppo poco la banalità della vita quotidiana, quella che taglia le gambe, è troppo poco per vivere, bisognerebbe bucare, ecco, bucare la circostanza, bisognerebbe spaccare quel punto lì e accedere misteriosamente all’infinito e all’eterno, cioè a tutto lo spazio possibile e a tutto il tempo possibile. Questo è il Supereroe, questo sognavano gli antichi, questo vive Dante. Dante è proprio uno che ha bucato la circostanza, l’ha fatta saltare, perché ha riconosciuto che a farla saltare è stato Uno, quando ha fatto veramente saltare il coperchio di quel sepolcro. Dante dietro a Cristo ha fatto saltare lo spazio e il tempo e quindi ha avuto accesso all’infinito e all’eterno e si è potuto permettere di guardare le circostanze tutte, quindi tutta la storia, e la storia di ogni storia, la storia umana di ognuno di noi, passato presente e futuro. Guardare ogni punto di intersezione tra il tempo e lo spazio cioè ogni circostanza dal punto di vista dell’eterno e dell’infinito. A me questa roba, a differenza di quell’altro, perché se di volo dobbiamo parlare, il Supereroe è quello che vola prima di tutto, c’è un Supereroe che non vola? No.

MARCO SAPORITI:
Sì, tendenzialmente quasi tutti.

FRANCO NEMBRINI:
Ma piantala, hai fatto vedere tutta gente che atterra sui grattacieli.

MARCO SAPORITI:
Perché saltano lungo, Hulk salta tantissimo ma non vola.

FRANCO NEMBRINI:
Ah, non vola, salta, ho capito.

MARCO SAPORITI:
Ha delle gambe così!

FRANCO NEMBRINI:
Allora ho ragione io che un po’ sono cazzate, adesso, no? Mi sembra più coerente Tex Willer, va a cavallo, quando deve correre fa correre il cavallo, Dio bon, però va bene, sembra di un realismo il mio Tex! “Quel folle volo” che è pieno di questo desiderio giusto, l’Ulisse di Dante è pieno di questo desiderio di rompere la circostanza e di andare a vedere l’infinito e l’eterno: «…né la pieta / del vecchio padre, né ’l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta…» cioè le circostanze non mi hanno potuto trattenere dalla voglia di superare le circostanze per avere accesso all’eterno. Quel volo lì, rifiutata la scommessa della circostanza, non arriva a buon fine, fallisce come quello di Icaro. Dante a cui Virgilio dice «A te convien tenere altro viaggio», fa invece un altro percorso, arriva dalla stessa parte, arrivano tutti e due là sulla spiaggia del Purgatorio ma a Dante va bene perché la circostanza la vive, la accetta, accetta la circostanza che, vissuta con fede, vissuta con Cristo, svela di essere possibilità di accesso all’eterno e all’infinito nel tempo e nello spazio. Si chiama salvezza, si chiama Cristianesimo. Un’epoca intera ha avuto accesso a questa concezione della vita, per cui ognuno poteva non sentire la malattia, l’infermità, il dolore come negazione del bene; la modernità mi sembra che abbia negato e dimenticato questa eredità, questa tradizione, ma non può negare che il suo cuore è fatto così. Allora i Supereroi diventano versione aggiornatissima, modernissima, della stessa nostalgia dell’Icaro antico, del Dante medioevale, dell’uomo moderno. Il tema è veramente quello che hai detto, il tema è sempre questo: avere accesso al bene e alla grandezza della vita in una forma che dopo – posso spezzare una lancia in favore di Tex Willer?

MARCO SAPORITI:
Puoi farlo.

FRANCO NEMBRINI:
Mi lasciate? Scandalizzo? La mia generazione, come sapete, quasi tutti quelli della mia età in Italia hanno la collezione di Tex, perché su Tex abbiamo imparato tra l’altro a leggere. La prima pagina, in prima elementare, che ho letto, leggendo le parole e non solo le figurine, era il numero 16 di Tex Willer, Il fuoco, un gigante diventato mensile due anni dopo, dato che le strisce di Bonelli avevano conseguito un successo clamoroso. Che cosa mi ha colpito negli anni nell’evoluzione del fumetto? Qui voglio veramente sentire te. Un parere, come lo vivi te! Perché c’è stato ad un certo punto un cambiamento epocale: fino a Tex, tue sai dove è il bene e dove è il male, i cattivi sono di qua e i buoni sono di là, si spara di maledetto, si corrono dei rischi, ma tendenzialmente il bene vince. Quando tu chiudi l’avventura, puoi aver passato momenti anche di confusione o di paura, ma ci sono i quattro che vanno a cavallo, ridacchiando e facendo battute, c’è certezza del significato della realtà e perciò certezza del bene o del male, perciò certezza di una amicizia invincibile. Quello che fa da spalla al protagonista, cioè Kit Carson, è addirittura depositario di una saggezza antica che si esprime in proverbi memorabili. Ai miei figli ogni tanto dicevo «chi semina vento, raccoglie tempesta», Kit Carson, numero 62. Mi è venuta su una saggezza… somigliava a mio nonno e a mio papà. Bene, l’osservazione che voglio fare è solo questa: poi è arrivato Dylan Dog. Dicono che è uscito questo fumetto bellissimo, importantissimo, nuovo nei contenuti. Ne ho preso uno, comincio a leggerlo, non capisco bene, ci sono volute cinquanta pagine per capire che non era vero un cazzo, sognava. Ma va a cagare! Io ti leggo… ma come si fa? Come si fa? Cinquanta pagine dopo, sparisce la nuvoletta, insomma, capisci che si sveglia nel letto: era un sogno. E dici: ma cosa è vero qui dentro? Provo paura. Ero grande eh. Ma mi impressionò perché intanto i miei alunni mi documentavano e mi raccontavano quella cosa lì, cioè una incertezza di fronte al reale. Lo ricorderò finché campo, quando uno studente mi disse «prof, io ho paura ad entrare al buio nella stanza dove dorme mia madre». «Perché?» «Perché nel buio mi viene il sospetto che potrebbe non essere mia madre, ma un mostro, una strega». Mi angosciò questa cosa e cominciai a capire che cosa vuol dire che l’educazione è introduzione alla realtà, affermata fino al suo significato. Se no va giù tutto, non si può diventar grandi, si va al manicomio. In una incertezza radicale di fronte al senso della realtà, si va al manicomio. A me quel Dylan Dog lì, che non si capisce se sogna o se è sveglio, con in parte quell’altro che addirittura modifica continuamente il linguaggio – come si chiama il Sancho Panza di Dylan Dog? L’assistente? Groucho – quello lì, che giocando sulle parole, ne svela continuamente i doppi sensi e tu scopri che il linguaggio non comunica più niente, o meglio, può comunicare tutto, cioè niente. Il linguaggio, la parola. Devastante! Mi è venuta l’impressione che quel passaggio lì fosse un passaggio epocale. Si passava tra il popolo, tra la gente, tra i bambini di paese, si viveva a distanza di cento anni quel passaggio dal Romanticismo al Decadentismo, che segna la cultura e la storia moderna. Allora ho cominciato ad aver paura.. non ad aver paura, dai, ma a capire che c’era qualcosa da capire anche nel fumetto, nella sua diffusione e nella sua capacità di dire e di far vivere (perché il fumetto fa vivere cose decisive ed importanti). Veramente approfitto volentieri, se hai voglia di far una battuta su questo: come ha vissuto la tua generazione l’incontro con fumetti che a me, allora, sembrarono avere questa caratteristica? Poi sto scoprendo che forse non è così, perché tutto quello che hai detto prima è il contrario, ci dice che anche questi qui lottano per il bene. Ma cosa pensi, cosa pensate di questa impressione che ebbi allora nel passaggio tra Tex Willer e gli altri fumetti? Tex Willer che per altro, nella certezza della verità per la quale viveva, poteva permettersi di essere ecumenico, perché se tu sei sicuro che sei Tex Willer, il ranger, puoi permetterti anche di fare il capo di quegli altri, diventi anche Aquila della Notte, capo degli Indiani, perché servi una verità così universale e grande che la riconosci dove c’è. Chiusa la parentesi sull’ecumenismo di Tex Willer. Si è capita la domanda? È seria.

MARCO SAPORITI:
Serissima. Ma devo rispondere io veramente?

FRANCO NEMBRINI:
Non so. Risponda chi vuole, mi incuriosisce.

MARCO SAPORITI:
Ti dico quello che penso. In realtà tutto il concetto di bene nei Supereroi è molto criptico. Ti faccio un esempio: i cattivi nei Supereroi agiscono per un bene loro. Esempio su tutti, l’ultimo film, Thanos. Thanos non è che dice «voglio uccidere la gente perché mi piace uccidere». Lui dice che l’universo produce metà risorse rispetto a quanta gente c’è, quindi per fare del bene io ne uccido metà, così l’altra metà sta bene. È un bene malato, però non c’è di fondo un volere negativo. Poi tu sai benissimo che Thanos è il nemico perché la storia te lo fa capire. Però è vero quello che dici, che non c’è una posizione netta su tutto. Nella stessa Civil War, ci sono due beni contrapposti, volendo, non c’è il bene… In una storia, se il bene e il male sono già definiti dall’inizio (Tex Willer), forse mi viene da dire che sono cose un po’ più noiose. Il tema del Supereroe è un tema che interroga su questo, perché capisco che in fondo non arriva mai a dare una risposta. Finisce la Civil War e non sai bene chi ha ragione, puoi arrivarci, nessuno dei due ce l’ha perché uno è totalmente soggetto e l’altro è totalmente autonomo e impone il suo bene. È una via di mezzo, però è come se mancasse sempre un punto finale. Cosa vuol dire fare del bene, quando magari per salvare uno devi ucciderne altri dieci? Poi i Supereroi i superpoteri in qualche modo li devono far vedere, anche solo per il lato cinematografico. In realtà a me colpiva quando tu dicevi che in realtà i Supereroi sono nell’epica classica, nei Greci. Allora mi viene da dire, perché sono ricomparsi? Comunque nascono, prima Gabriele ci diceva, dopo le guerre mondiali e gli Americani dicono «ok, tiriamo fuori dei soggetti che rendano gloria alla nostra storia». Mi viene da dire: perché dopo più di duemila anni ritorna fuori il concetto di Supereroe?

FRANCO NEMBRINI:
Quindi la mia risposta ti convince? Che è questa corrispondenza ad un cuore che è fatto così, che è fatto veramente per il bene? Però mi spaventa anche un po’ quello che dici perché il problema…

GABRIELE DELL’OTTO:
Posso? Mi interessava questa cosa. Franco era ripartito con l’embolo di Kit Carson che ormai … ho paura, ogni volta che si parla di fumetti, che lui parta con Tex. In realtà c’è una cosa interessante nella risposta di Sapo, perché quello che dici tu, Franco, è vero. La realtà prima era quella e tu eri sicuro che la realtà fosse quella, stavi sereno. Thanos in realtà che cos’è? Non è altro che la paura che Dio sia così. Lo sceneggiatore mette in mostra questo Titano, questo tizio che con queste cinque pietre vuole in realtà essere Dio, che decide sul tempo, sullo spazio, l’anima e tutto il resto e con uno scrocchio di dita può farti sparire senza che tu possa fare nulla. In realtà è una lettura molto più angosciante, che passa attraverso varie fasi antropologiche, tra cui Tex e Dylan Dog. In realtà le storie dei Supereroi, a mio avviso, fanno da specchio ad una realtà molto più complessa, che è quella dei nostri giorni, soprattutto delle inquietudini dei ragazzi, del fatto che non hanno più una sicurezza, una certezza, e se ce l’hanno è che la realtà è cattiva. La cosa buona dei Supereroi, che è un po’ il discorso che si ricollega al discorso del perché vanno tanto i Supereroi, è che in realtà, come facevi tu col sogno da bambino, tutti vorremmo porre rimedio al male e in realtà tutti vorremmo essere un po’ Supereroi. La ricerca dello straordinario nell’ordinario. Ognuno di noi vorrebbe in qualche maniera avere quel superpotere o quella armatura che ci difenda, che ci dia la possibilità di difendere i nostri cari o anche in generale il prossimo. Secondo me è tutto un percorso in cui una cosa non nega l’altra. È un qualcosa su cui riflettere dal punto di vista antropologico, soprattutto perché quello che dicevamo nei vari incontri è che se è vero che è ciclico, parte dall’antica Grecia, passa per Dante per poi ritornare ad oggi, c’è in realtà una richiesta, un grido (un po’ come Giobbe) che è quasi inascoltato. C’è bisogno di una risposta che purtroppo … Oggi un ragazzo mi ha fatto una domanda durante una intervista che era interessante: perché i Supereroi hanno sempre un sottofondo un po’ di malinconia, un po’ di tristezza? Non so perché ho risposto così, in realtà è la prima volta che mi viene in mente. In realtà forse è il fatto che pur essendo Supereroi, pur potendo essere Supereroi, torni a casa sempre con una insoddisfazione, che potevi fare di più, perché non sei Dio. Quindi in qualche maniera con i superpoteri, avendo i superpoteri, puoi salvare cento, mille persone, ma non puoi salvare tutti. Ritorno al mio angolo…

FRANCO NEMBRINI:
Abbiamo tempo ancora per una osservazione, perché Gabriele mi sembra abbia approfondito quello che ho detto, dicendo che i Supereroi sono lo specchio di una società, di un momento storico, di una generazione molto incerta sul valore, sul significato della realtà. Ma detto questo, a te dico, perché prima l’hai sparata grossa. Hai detto che la verità, se conosciuta, è noiosa. È una cazzata mica da ridere. Perché la verità è più grande del nostro cervello e di quello che sappiamo già (questa è la vera distinzione da introdurre): se la verità non è che una questione ideologica di cose già sapute da applicare sulla realtà, sui rapporti, sulle cose, diventa non solo noiosa perché già saputa, ma violenta, perché pretende di far diventare la realtà quello che si pensa. Se invece la verità fosse un amore? Questa è la scommessa portata da Cristo, la scommessa da vivere oggi, la scommessa di fronte a cui mi sembra che tutti siano responsabili, tutti debbano rispondere, credenti o no. La scommessa terribile posta proprio dalla mostra di Giobbe, è questa: e se la verità fosse un amore? Ci fosse una cosa che non possiedo io ma che mi precede? Mi conquista e all’infinito rende nuove le cose, le rende grandi? Ma che interessante è, no? Diventa noiosa quando non è più vera, quando in fondo l’hai ridotta a quello che sai già e quello che sai già ti annoia necessariamente, perché non nasce niente di nuovo. Quando la verità è conosciuta, invece, veramente fa rifiorire tutto, sempre. Il Purgatorio di Dante, per esempio, che Gabriele ha già cominciato, non faccio anticipazioni meravigliosamente ad interpretare, tutto il Purgatorio di Dante funziona esattamente su questo: che tutto possa essere nuovo sempre, perché è così grande che mi sorprende e mi stupisce. Allora la verità diventa un fattore di unità, un fattore di amicizia, un fattore di curiosità, un fattore di correzione… una meraviglia! Il contrario della noia di chi la verità crede di saperla già o di averla in tasca. Solo in questo senso ho fatto questa precisazione, perché hai ragione da un certo punto di vista. Si capisce?

MARCO SAPORITI:
Questo è interessante e risponde anche al fatto del perché prima di Cristo c’erano i Supereroi e dopo sono ritornati in voga. Questo è il punto che volevamo un po’ centrare anche. Infatti è un aspetto fondamentale che a me ha fatto rivalorizzare il fatto di guardare i Supereroi, con questo interesse, col domandare perché mi affascinano e cosa mi affascina di questo mondo. In attesa che Gabriele finisca il disegno… a che punto siamo? Abbastanza bene. Farei così. Visto che sono arrivate una valanga di domande, ne ho selezionate alcune, così possiamo già iniziare a rispondere.

FRANCO NEMBRINI:
Ci sono domande già?

MARCO SAPORITI:
Sono milioni. Infatti non le ho lette tutte, non ce la faccio. Ce n’è una che è molto interessante. Tommaso Guerrera dice: ma che cosa possiamo imparare dai Supereroi noi che non abbiamo superpoteri e siamo immersi nella realtà limitata e difficile e come è possibile educare con i Supereroi? La farei ad entrambi.

FRANCO NEMBRINI:
Per parte mia credo di aver già risposto. Non abbiamo i superpoteri, bisogna intendersi su questo. Non abbiamo i superpoteri, ma la partecipazione, che è la grande proposta della Chiesa e della vita cristiana, alla vita di Cristo fa partecipare di quel punto della storia e della realtà dove si esercita il superpotere, dove si manifesta quello che ha tutti i superpoteri, l’Onnipotente è quello che ha tutti i superpoteri al massimo grado. Se c’è un punto della storia o della realtà dove l’Onnipotente, il Supereroe vero è accessibile, è amabile, addirittura lo si può scoprire come sguardo amoroso su di sé e quindi pieno di perdono… dico che viver così, aver questa consapevolezza, dar la vita perché Lui possa usare l’offerta della mia debolezza, del mio sacrificio, della mia piccola azione quotidiana per salvare il mondo, è esattamente partecipare della vita di Dio, cioè avere i superpoteri al massimo grado. Educare i nostri figli con i Supereroi non so come si possa fare.

GABRIELE DELL’OTTO:
Io lo faccio.

FRANCO NEMBRINI:
Vuol dire vivere così, che poi usi Tex Willer o gli Argonauti o Spiderman Avengers. Se hai consapevolezza di quello che abbiamo detto stasera, cioè che gli uni, gli altri e gli altri ancora e le future generazioni ne inventeranno altri ancora, perché l’uomo non può non farlo, usa le immagini che vuoi, condividi con i figli i racconti che vuoi, le fantasie che vuoi, ma l’importante è che tu sia consapevole di questa possibilità che gli offri, ben delineata dal disegno di Gabriele che citavo prima, dove quel bambino lì ha in mano la chiave di accesso ai superpoteri identificati da quella luce. Chi gli ha dato quella chiave è l’educatore, che non gli ha neanche dato una chiave, l’ha solo reso consapevole di averla in sé in questo desiderio di infinito con cui Dio ci mette al mondo. Ma bisogna che qualcuno glielo faccia sentire, glielo faccia vivere, finché sia lui ad aprire la porta. In questo senso quel che è disegnato è insuperabile, risponde a tutte e due le domande.

GABRIELE DELL’OTTO:
Era meglio che rispondessi prima. Adesso la risposta mia sarà pessima al confronto, però io cerco di dare la mia.

FRANCO NEMBRINI:
Per tirati su, se vuoi, mentre parli, mi metto a disegnare.

MARCO SAPORITI:
Se lo facciamo, Franco, è il top.

GABRIELE DELL’OTTO:
In realtà la domanda è una domanda che ci poniamo un po’ tutti durante la nostra giornata quotidiana, quando ti alzi la mattina contro voglia, fai le cose contro voglia perché le devi fare. Proprio in questi giorni, però, ho trovato una risposta e cioè che il lavoro che io faccio, e che tantissimi apprezzano, è un po’ il mio superpotere, cioè riuscire ad arrivare attraverso la mia quotidianità a qualcosa di straordinario, come ad esempio essere arrivati al Meeting. Io non lo conoscevo, e quando mi hanno invitato ero titubante, ma mi sono reso conto che quando si dice un sì nel nostro quotidiano, si apre una porta che è lo straordinario. Spesso il nostro superpotere noi ce l’abbiamo, non è come saper volare – il mio superpotere preferito è quello di Madox, che è quel tizio che si moltiplica all’infinito, così potrei fare tutte le tavole insieme, potrei stare con i miei bambini, mia moglie, fare le vacanze… – però possiamo fare cose straordinarie come riuscire a essere nella propria realtà con tutti i propri mezzi, o stare accanto a una persona, aiutarla. Oggi ho visto tantissimi ragazzi volontari qui all’interno del Meeting: quello è un superpotere, «chi glielo fa fare?». Diciamo che riuscire a trovare lo straordinario nel quotidiano, è fondamentale.. Io in questo caso sono un illustratore e ringrazio Dio tutti i giorni che posso fare questa cosa per arrivare a tantissimi, soprattutto giovani, per stare in relazione con la realtà, che è quello che mi permette di fare bene il mio lavoro, perché se io fossi chiuso in una torre eburnea, non potrei far nulla. Questa cosa mi dà veramente tantissima speranza, che sia una strada da percorrere insieme anche a tutti voi.

MARCO SAPORITI:
Prima di fare l’ultima domanda ad a entrambi, dicci due parole sul perché.

GABRIELE DELL’OTTO:
In realtà è da oggi alle due che discutiamo su che cosa avrei dovuto disegnare. Avevamo pensato a un quadro a olio 50×70 che descrivesse la nostra avventura con Franco, ma in realtà è una cosa non fattibile. Eravamo passati poi per varie cose, più o meno divertenti. Poi alla fine ho accolto una richiesta di Franco, perché pochi anni fa Franco mi invitò a passare qualche giorno all’Isola d’Elba con lui e con la mia famiglia e uno degli amici di Franco mi chiese un disegno per il figlio e io accettati e presi questo foglio nero che era l’unico che avessi sottomano e cominciai a disegnare. Franco, che per tutto il tempo non faceva che dire «ma che cosa stai disegnando?», quando poi in realtà, secondo me, è perché lui lo guardava all’incontrario, non perché lui non lo capisse, quando ho finito di fare il disegno, rimase molto colpito da questa cosa, che è una cosa che mi diverto a fare anche per i ragazzi durante le fiere. Oggi quando ero molto titubante su che cosa fare, alla fine mi ha detto di fare quella magia che avevo fatto, cioè quando tutti quei segni colorati alla fine diventano un personaggio sul nero. La scelta di Spiderman in realtà è avvenuta poco prima che salissi, perché se veramente lui è un nerd, io purtroppo, essendo padre di tre bimbi, non posso fare a meno di esserlo, un po’ per lavoro, per amore, per passione. Quindi quando lui ha mandato il video, io ero convinto di disegnare un altro personaggio che era Daredevil, legato al cristianesimo. Appena ho visto il video e ho visto Spiderman che toglieva lo scudo a Capitan America, ho fatto a Sapo «disegna Spiderman». Questa è la scelta molto ponderata e profonda.

MARCO SAPORITI:
Direi che c’è tempo per fare l’ultima domanda, una a te e una a Franco.
La domanda a Franco è: «È mai esistito il concetto di bene? È davvero bene il bene? Esiste un bene assoluto?». La domanda invece per Gabriele è: «Cosa c’entrano i Supereroi con il tuo lavoro e i tuoi figli? Che rapporto c’è tra la tua arte e il modo con cui educhi i tuoi figli?».

FRANCO NEMBRINI:
C’è un modo di fare le domande che è così artificiale che si smonta da sé. Vai, picchi la testa contro il muro, poi mi chiami e mi dici se ti ha fatto male o ti ha fatto bene. È così dentro le cose. Dobbiamo smettere semplicemente di fidarci dei pensieri più che della realtà e fare in modo che il nostro pensiero torni a essere una riflessione sull’esperienza, non il contrario. Quando picchi la testa, capisci che il male fa male. L’esperienza del bene e del male è così chiara che deve poter diventare una riflessione su ciò che ci fa star bene e ci fa star male, che è esattamente la nostalgia del bene che perciò c’è così forte ed evidente da attrarci a sé e perciò l’esperienza del male la contraddice. Punto. La modernità ci ha abituati a privilegiare i pensieri sulla realtà, sulle cose. Su questo mi sento molto sereno. Poi avete visto quella cosa e volevo dire questo che per me Gabriele è come Dio, cioè lui quella volta là, all’Elba, io lo guardavo, non perché lo guardassi al contrario, stava veramente facendo delle cose incomprensibili e se si fosse fermato un minuto prima, gli avrei detto che non si capiva niente, che erano macchie. La cosa che mi impressionò veramente, per cui gli ho chiesto di farci vedere qualcosa stasera, fu questa, che nell’ultimo minuto di quei venti in cui aveva disegnato, tracciò una riga, invece del rosso ha usato il bianco e contornando velocissimo quelle macchie, è venuto fuori quello lì aggrappato al grattacielo, ma non c’era e ciò che sembrava senza senso a pezzetti non era senza senso e a pezzetti, mancava l’ultimo pezzetto. A me la vita tante volte sembra una roba così, non capisci ma non perché Dio è scemo e fa le cose male, aspetta un attimo, che se Dio tira l’ultima riga vien fuori il disegno, si mettono insieme i pezzi. Sapo dice che sono un genio. Non è vero. «Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna»: l’ha detto il buon vecchio Dante nel XXXIII canto del Paradiso, io l’ho solo imparato.

GABRIELE DELL’OTTO:
La mia è abbastanza semplice. La risposta alla domanda che mi è stata posta sui Supereroi e i figli in realtà è una coscienza che uno acquisisce con l’esperienza. Se c’è un bene sulla realtà, tu lo impari con l’esperienza. Oggi un signore è venuto alla mostra e mi ha detto davanti a tutti che aveva notato che i disegni, quelli un po’ più giovanili, erano più scuri, angoscianti, poi dopo Dante i quadri sono più luminosi. Quando sei giovane hai la prospettiva che la realtà è tua, in quel momento probabilmente, in quel periodo ero incavolato come spesso succede in una fase di crescita. Nella fase successiva, che non è stata proprio fluida, c’è stato un lavoro anche personale, anche molto faticoso, che è avvenuto con la nascita dei primi figli, poi il lavoro e tutto il resto. A livello personale, quando ho incontrato Franco, avevo già iniziato a macerarmi sul fatto di una responsabilità, di una visione di bene sulla realtà, cosa che fino a quel momento non avevo. Avevo una coscienza morale, etica su quello che è giusto fare o non è giusto fare, anche nelle illustrazioni. Quando ho cominciato a realizzare che il lavoro che facevo finiva in mano non solo ai miei figli ma di tantissimi ragazzi, ho cominciato a capire che la mia realtà compenetra anche il mio lavoro e viceversa. Ho iniziato ad avere uno sguardo di bene sulla realtà, anche per i figli. Anzi sono forse i figli che in realtà ti illuminano la via. Alcune volte noi genitori quando ci soffermiamo troppo su noi stessi, perdiamo di vista il fatto che i figli vengono al mondo anche per insegnarci queste cose.

VIDEO

MARCO SAPORITI:
Vorrei ringraziare Franco e Gabriele perché mi avete cambiato il modo di guardare questo tema dei Supereroi. Facciano un altro grande appaluso a Franco e Gabriele. Un ultimo e unico avviso. Oggi pomeriggio è partita un’asta a busta chiusa di un’opera di Gabriele. Il ricavato viene dato al Meeting. L’asta parte da 400,00 euro e per partecipare a questa asta bisogna andare in hall sud, al banco del “Dona ora” e su una busta scrivere la cifra che si vuole provare a puntare all’asta. L’asta chiude domani alle 20.00. Alle 20.00 vengono aperte tutte le buste e chi ha fatto l’offerta migliore si aggiudica l’opera di Gabriele. Oltre a questo, si può in generale contribuire al “Dona ora” del Meeting per costruire insieme, attraverso le donazioni, questa grande opera che come ci ha testimoniato anche Gabriele è unica ed è incredibile. Grazie. Buona notte a tutti.

Trascrizione non rivista dai relatori

Data

24 Agosto 2018

Ora

21:30

Edizione

2018
Categoria
Incontri