CHI SEI TU? LA SFIDA DI GERUSALEMME

In diretta su Icaro Tv, Radio Vaticana

Ettore Bassi, attore; Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale Libreria Editrice Vaticana (LEV); Eric-Emmanuel Schmitt, scrittore, autore del testo La Sfida di Gerusalemme. Un viaggio in Terra Santa (LEV). Introduce Otello Cenci, regista

La conversione al cristianesimo dell’ateo Schmitt, nata inizialmente come opzione teorica, prende carne in questo viaggio in Terra Santa fino ad un evento mistico rivelatorio vissuto con trasporto durante la visita del Santo Sepolcro. Il cambiamento dall’astratto all’umano illumina una strada per la coabitazione fra tradizioni e credo diversi.

CHI SEI TU? LA SFIDA DI GERUSALEMME

CHI SEI TU? LA SFIDA DI GERUSALEMME 

Mercoledì 21 agosto 2024   Ore 13:00
Sala Gruppo FS C2

Partecipano:
Ettore Bassi, attore; Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale Libreria Editrice Vaticana (LEV); Éric-Emmanuel Schmitt, scrittore, autore del testo La Sfida di Gerusalemme. Un viaggio in Terra Santa (LEV).
Introduce:
Otello Cenci, regista

 

Cenci. Buongiorno e benvenuti al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli di Rimini. L’incontro si intitola “Chi Sei Tu? La Sfida di Gerusalemme” e ha per tema sia il testo di Éric-Emmanuel Schmitt, “La Sfida di Gerusalemme”, che lo spettacolo “Chi Sei Tu?”, da cui è tratto. Oggi abbiamo con noi Ettore Bassi, interprete dello spettacolo, Lorenzo Fazzini, responsabile della Casa Editrice Vaticana e ideatore di questo percorso, quantomeno provocatore di questo, e il sommo autore Éric-Emmanuel Schmitt.

Bassi. Nonché, scusate l’interruzione, in veste, oltre che di moderatore esimio, il nostro regista, Otello Cenci, regista dello spettacolo.

Cenci. Tutto in casa, tutto in famiglia, facciamo: una chiacchierata tra amici. Il desiderio oggi è di conoscerci meglio. Ecco, non li ho presentati, ma tra di noi in platea ci sono anche Mirna Kassis, Matteo, Tomas e Filippo, che sono gli interpreti musicali dello spettacolo. Spettacolo che ieri sera abbiamo presentato a Rimini, al Teatro Galli, e che replicherà questa sera al Teatro Galli di Rimini. Per conoscerci meglio, questo momento, e anche per capire un po’ il percorso che abbiamo fatto e che ci ha condotto fino a qua. E quindi io faccio subito una prima domanda a chi ha provocato questo percorso, che è Lorenzo Fazzini, perché Lorenzo Fazzini è stato l’autore della prima telefonata scatenante l’intero viaggio. Lorenzo Fazzini si è preso la briga di chiamare uno dei più importanti autori europei e non solo, Éric-Emmanuel Schmitt, proponendogli un viaggio in Terra Santa. E allora la domanda è: da dove è nata questa idea e perché proprio Éric?

Fazzini. Anzi, la vera domanda sarebbe stata: perché non prima? Perché, per i misteri della vita, da tre anni lavoro come responsabile della casa editrice del Papa e quell’uomo vestito di bianco, in alcuni incontri nostri, ci invita continuamente a una parola: rischiate, rischiate, rischiate. Allora io ho detto: rischiamo sul serio, proviamoci. E quindi, devo dire la verità, per rispetto, mi sono interfacciato con l’editore in Italia di Éric-Emmanuel Schmitt, che, se vi dico l’editore di Elena Ferrante capite subito, e sono andato a incontrare l’editore delle Edizioni E/O, che pubblicano da sempre, quindi da 25-30 anni, Éric-Emmanuel Schmitt in Italia, dicendo: ma secondo lei, se chiedessimo a Schmitt di andare in Terra Santa? – poi ovviamente capiamo perché Schmitt e non un altro. Anche Elena Ferrante sarebbe stato un bel colpo, però diciamo… L’editore di E/O mi guarda dritto negli occhi e mi dice: “Lorenzo, oggi è il mio compleanno, tu non lo sapevi, ma mi hai fatto un regalo pazzesco. Chiama pure Schmitt.” Io chiamo Schmitt e mi dice – ci conoscevamo come un piccolo giornalista e un grandissimo autore per cui… leggevo spesso e volentieri tutti i suoi libri – e gli dico: “Ma ci sarebbe quest’idea.” Lui resta un pochino in silenzio e dice: “Forse è il momento giusto, non sono mai andato, se me lo chiedete voi, allora vuol dire che sì.” Perché Éric-Emmanuel Schmitt? Perché al fondo c’è un altro libro – voi sapete che è sempre colpa dei libri – un altro libro di Schmitt, “Il Vangelo secondo Pilato”. Ovviamente qui siamo in 400, 300, se almeno 200 non l’hanno letto, oggi pomeriggio l’avrete letto tutti, perché è un capolavoro assoluto. Schmitt si immagina, anzi, non si immagina, pensa a questo fatto: è sparito il cadavere, rompono le scatole alle otto del mattino a Pilato perché è sparito il cadavere, e quindi c’è questo “Vangelo di Pilato”. Quindi non poteva essere che lui, e devo dire la verità, ho scoperto – e tutto si tiene dentro la parola mistero – che un autore che aveva scritto “Il Vangelo secondo Pilato” non era mai stato nei posti di Pilato, e quindi anche qui… poi il mistero ha voluto che nella finestra dei lavori di questo signore qui, che è lo scrittore francese più studiato nei licei francesi di oggi ed è tradotto in 48 lingue, a settembre del 2022 ci fosse una bella finestra di un mese e ha raggiunto Gerusalemme, ha raggiunto i luoghi santi, e, insomma, gli abbiamo organizzato al meglio un viaggio-pellegrinaggio, che poi è confluito nella “Sfida di Gerusalemme” al che poi, ovviamente, ogni strada da Gerusalemme porta a Roma e quando il libro era in fieri ho detto: “Ma forse una capatina a Roma a incontrare e raccontare al Santo Padre cosa è stato il tuo viaggio potrebbe essere utile,” e così è stato a novembre e a maggio, aprile-maggio, il libro è uscito in Francia causando anche un bello scossone. A settembre è uscito in Italia e poi a questo geniaccio del palcoscenico ho detto, qualche tempo prima: “Dacci un occhio e vedi se il tuo estro può tirare fuori qualcosa,” e lui ha tirato fuori molto di più, ha tirato fuori uno spettacolo davvero meraviglioso. Meraviglioso nel senso pieno, che lascia una grande meraviglia.

Cenci. Grazie, questa è la prima tappa del percorso. Quindi siamo arrivati al punto che un piccolo giornalista chiama un grande scrittore. Il grande scrittore riceve, mentre io me lo immagino sulla sua scrivania che scrive al computer, impegnato, perché stavi scrivendo, se non sbaglio, “Paradiso Perduto” – che ho letto, bellissimo, straordinario – quindi impegnato creativamente, riceve una telefonata di questo tipo. Un compito è una richiesta impegnativa e forse anche rischiosa da accettare. Perché hai accettato, Éric, e qual è stato il tuo pensiero quando hai ricevuto questa chiamata?

Schmitt. Quando ho ricevuto questa chiamata, Lorenzo ha pronunciato due parole estremamente importanti per me. Lui mi ha detto: “Ci piace molto la sua fede e anche la sua libertà.” Io amo molto la mia fede, ma altrettanto la mia libertà. E mi sono detto che qualcuno in grado di mostrare questo tipo di rispetto per me è sicuramente il portatore di una bellissima notizia. E quindi ho detto sì a questo viaggio, non per il libro, perché avrei scritto un libro soltanto se il viaggio mi avesse offerto, diciamo, la materia necessaria per scriverne uno. E quindi sono partito per la Terra Santa e ho vissuto dei momenti molto ricchi, talmente sorprendenti. Ho vissuto cose che hanno cambiato la mia vita, e quindi, per forza, sono tornato che avevo un libro. Il libro precedente che avevo dedicato al mio percorso spirituale era “La notte di fuoco” e mi c’erano voluti 18 anni per scriverlo. Questo invece l’ho scritto subito, anche perché ho capito che quando si riceve, poi bisogna subito dare. E avevo ricevuto così tanto durante questo viaggio in Terra Santa che ho voluto subito restituire, attraverso la scrittura, tutte le emozioni, le riflessioni e le esperienze straordinarie che avevo vissuto. Non ho affatto avuto paura di risultare compromesso, di compromettermi. Al contrario, ho visto tutto questo come un dono, una grazia. Sono partito con molta paura per questo viaggio. La paura di non sentire niente. La paura di non riuscire ad avere pensieri nuovi. La paura che questo viaggio fosse inutile. Ma in realtà è stato tutto l’opposto. E quindi non ringrazierò mai abbastanza Lorenzo per avermi consentito di vivere eventi che hanno cambiato radicalmente la mia vita. Io sono francese e, per questo motivo, dovrei prendermi costantemente gioco delle religioni, perché in Francia siamo appunto scettici, seguaci di Voltaire. E quando ho scritto il libro, ho pensato che sarebbe stato molto criticato. E invece non è stato così. Forse è perché l’ho scritto in modo talmente sincero, talmente innocente, talmente verginale che tutti sono riusciti a riconoscersi in questo libro, poiché io sono una persona che è nata lontano dal cristianesimo, ma ha scoperto il cristianesimo dopo. Mi sento come il buon selvaggio del XVIII secolo che scopre la civiltà occidentale e credo che questo punto di vista abbia fatto sì che anche degli atei potessero, per così dire, capire e abbracciare il mio percorso.

Cenci. Io farei un applauso. L’applauso è, come ho avuto occasione di dirti nel nostro incontro a Bologna, perché non è banale vivere un’esperienza di questo tipo, ma non è banale neanche non trascurarla, darle un giudizio su quello che è capitato, prenderlo sul serio e avere il coraggio, come hai fatto tu, di condividerlo con tutti. E questo mi sembra una cosa per cui valga la pena, ti ho detto l’altra volta, ti ho veramente ringraziato tanto perché hai avuto il coraggio di condividere con tutti noi quello che ti è capitato e non l’hai trascurato, non l’hai nascosto e questo ci ha dato modo di essere qui oggi e di aver prodotto anche questo spettacolo. Quindi abbiamo detto che c’è stata una telefonata, c’è stato un viaggio, c’è stato un evento all’interno di questo viaggio e la scrittura del testo. Poi ci siamo visti, Lorenzo mi ha proposto questo testo interessantissimo, ci siamo visti a Bologna, e – audacia ulteriore di Éric – ha in qualche modo accettato che l’opera venisse messa in scena, dopo aver visto la riduzione ovviamente. Quindi ci siamo dati un appuntamento ulteriore a Natale dove abbiamo visto la riduzione teatrale e da lì si è scelto di procedere per questo lavoro. E qui c’è stato l’incontro con l’ormai amico Ettore a Milano. Sono andato a vedere uno suo spettacolo, abbiamo fatto una cena dove in pochi minuti è nato un feeling particolare, una stima da parte mia sia per Ettore sul palco che umanamente. E quando gli ho proposto di rappresentare questo testo, Ettore ha accettato immediatamente, cosa che mi ha fatto enormemente piacere, ancor più oggi avendo visto il risultato. E quindi la domanda è, per Ettore Bassi, interprete di centinaia di ruoli e altrettante trame, storie: che cosa significa per te portare in scena oggi un testo di questo tipo, che non nasce per il teatro? Quindi la complessità è stata sia la riduzione ma anche, ovviamente, per Ettore rendere così quotidiano, senza caricare troppo nell’interpretazione, senza renderlo finto, un testo di questo tipo.

Bassi. Beh, è stato un incontro anche questo per me, e credo che forse la parola chiave sia nascosta, ma anche non nascosta, è proprio scritta in evidenza sulla copertina del libro, cioè la parola “sfida”. La sfida che ho sentito volermi appartenere è stata – dopo un primo ovvio passaggio di fiducia, di fede, ma anche di calore, ricevuto dal primo incontro con Otello, con te, quando ci siamo conosciuti, quando ho percepito da te questa forza e questa volontà pulita di raccontare questa storia, di portarla in scena – il percepire che dentro questo racconto ci fosse, e qui il Maestro Éric mi ha anticipato, ci fosse innocenza, ci fosse onestà. Leggendo il testo, ho percepito immediatamente che c’era un percorso umano onesto in questa storia, che non andava a trarre conclusioni, diciamo, istituzionali, non so come dire meglio, ma era un percorso interiore, un percorso spirituale che prescindeva da connotazioni religiose o politiche, era un percorso interiore, e c’era un’onestà, un’innocenza, come ha detto Éric, e questo per un attore è molto bello e anche molto importante da sentire, perché è la stessa onestà con cui un attore si pone di fronte a un testo da affrontare e di fronte a un pubblico per potergli donare il massimo che può. E allora questo incontro di onestà mi ha fatto sentire nel luogo giusto, nel luogo giusto dove poter esprimere il massimo per innalzare il più possibile tutto ciò che dall’interiorità dell’autore veniva chiesto di essere portato alla luce di un pubblico che assistesse. Perché poi questo lavoro è stato complesso da questo punto di vista. Con Otello, ovviamente, lo sappiamo bene. Noi lo diciamo senza svelarvi nulla, proprio all’inizio dello spettacolo. La difficoltà era trasformare un cammino, un viaggio, un diario in qualcosa di scenicamente utilizzabile da chi è su una poltrona e guarda una messa in scena. Quindi in emozioni, in corpo, in tre dimensioni, in movimento, in voce, in fiato, in ritmo, in silenzio. E allora la sfida, appunto, questa era la sfida. E questo poi è anche il dono, perché dal dono che passa attraverso l’esperienza di chi ha scritto si arriva al dono di chi vive e fa di questa esperienza un proprio percorso. E quindi il dono di ricevere da questa storia e da questa esperienza sul palco un ritorno per me che spiritualmente mi ha cresciuto. Perché è innegabile che salire su un palcoscenico per raccontare una storia così intensa e così profonda debba necessariamente costituire per me un impegno interiore onesto. E confesso che ci sono dei momenti dello spettacolo in cui io sento, ho la presunzione di dire, che forse mi avvicino a sentire, a provare a sentire ciò che Éric ha provato a sentire in certi momenti, perché questo poi è quello che mi chiede il mio compito. E allora sentirlo vuol dire poi metterlo dentro la propria carne. E quindi, replica dopo replica, questo testo mi ha regalato qualcosa in più da come sono partito e mi ha fatto diventare una persona diversa. Quindi questa sfida è stata anche per me arrivare a un luogo di una maggiore completezza che mi rende oggi un attore ma soprattutto un uomo più completo e con un tesoro in più. Quindi grazie, grazie, grazie.

Cenci. E la sfida è andata avanti coinvolgendo altri soggetti, quindi il Centro Teatrale Bresciano, l’Istituto Dramma Popolare di San Miniato, dove sono state realizzate sette repliche, e i nostri amici musicisti, cantanti formidabili, nonché collaboratori, senza i quali non si sarebbe realizzato nulla di tutto questo. La sfida continua adesso con una modalità un po’ diversa. L’idea è che ciascuno faccia una domanda, un interrogativo a chi vuole lui. Perché immagino che in questa collaborazione e sinergia – è la prima volta che ci vediamo tutti insieme – ci siano ancora delle domande non fatte, non realizzate. Quindi avanti con les questions che ci sono.

Bassi. Posso cominciare visto che sono caldo dalla risposta? Visto il tema della sfida, volevo proprio chiedere al Maestro Éric se questa sfida del titolo è una sfida che è cambiata durante il percorso dalla scrittura all’esperienza dello spettacolo visto in teatro ieri, al percorso interiore che hai vissuto, e che sfida è oggi? Come la puoi inquadrare oggi, alla fine di tutto questo lungo momento? Come può essere inquadrata questa sfida? Come la puoi collocare? Che dimensione gli puoi dare oggi, che dimensione senti di dargli?

Schmitt. Io, quella che ho chiamato “La sfida di Gerusalemme”, è ciò che ho sentito dopo un mese trascorso in questa città. Ho l’impressione che Gerusalemme sia una città in cui Dio ci sfida. Dio ha parlato almeno tre volte nella città di Gerusalemme, ha fondato l’ebraismo, il cristianesimo, e anche, diciamo, ha fatto cose importanti per i musulmani. Credo che Dio, per prima cosa, a Gerusalemme abbia detto: “Ascoltatemi.” E credo che il discorso di Dio ora sia cambiato. Che dica agli uomini: “Ascoltatevi e cercate di capirvi.”
Gerusalemme è un luogo che ci invita e ci esorta alla fratellanza. Purtroppo non siamo all’altezza di questa fratellanza. Gli uomini sono diventati fratelli fratricidi. Ma quand’è che avviene questo? Quando i fratelli dimenticano la loro origine comune, dimenticano il padre, e credo che stiamo vivendo proprio un momento di questo tipo, in cui noi stiamo dimenticando l’origine comune, ma Gerusalemme ce la ricorda. E credo che sia questa la sfida di Gerusalemme, è la sfida di essere fraterni invece di essere fratricidi, ed effettivamente noi uomini siamo un po’ sordi e non sentiamo. Quindi il fatto di portare su un palcoscenico questa sfida mi ha fatto vivere momenti straordinari ieri sera. Di solito perdo qualsiasi pudicizia solo quando scrivo, nella vita sono molto pudico e Ettore era sul palcoscenico, così, in pochi istanti, era me, mi impersonificava, e quindi parlando italiano sono diventato anche bello: una prima buona notizia. E ho anche perso diversi chili. Beh, credo che per stimolare lo studio dell’italiano in tutto il mondo si potrebbe mettere una mia foto come prima e poi il “me dopo”, con lui e vedrete che tutti gli istituti di Dante saranno pieni. Dato che non ho potuto capire ogni singola parola del testo in italiano, allora ho percepito e mi sono concentrato sulle emozioni, le emozioni anche suscitate dalle immagini, dalla musica e anche le emozioni vibranti che scaturivano da Ettore. E quindi davvero è stato un tripudio di emozioni come mai avevo vissuto prima. Perché quando scrivo delle pièce teatrali, di solito mantengo una distanza. Io non sono i personaggi. Mentre qui, in questo caso, lo ero. È stato quasi uno shock. E poi, per il resto della nottata, ho continuato a riassaporare i ricordi dello spettacolo e davvero ho cercato di rielaborarlo nella mente come uno spettatore normale e davvero mi è piaciuto moltissimo.

Fazzini. Sempre al Maestro. Un’altra question. Nei tuoi libri c’è come un filo rosso, no? “Il Vangelo secondo Pilato” arriva nei primi anni 2000, il racconto della tua conversione ne “La notte di fuoco” vent’anni dopo, appunto 18 anni ci hai impiegato a scriverlo, e poi questa *Sfida di Gerusalemme* di andare a toccare i posti dove Dio si è manifestato nel popolo, al popolo di Israele, e poi si è, come dire, fatto carne in Gesù. Tornando al “Vangelo secondo Pilato”, io me lo sono sempre rappresentato, questo Gesù nell’orto degli ulivi che si domanda; ma nella tua testa si può rappresentare meglio, cioè voglio dire, tanto per capirci, visto che Otello ha fatto uno spettacolo sulla “Sfida di Gerusalemme”, tu dal “Vangelo secondo Pilato” puoi tirare fuori qualcosa. O no?

Bassi. Io mi candido, volendo.

Schmitt. Sì, ho uno scoop: tra un anno girerò il film, quindi la versione cinematografica, proprio tratta da questo libro, “Il Vangelo secondo Pilato”. Ho già realizzato due lungometraggi: “Odette Toulemonde”, in italiano “Lezioni di felicità”; e anche “Oscar e la dama in rosa”. Da anni i produttori mi chiamavano per sapere se volevo realizzare un nuovo film. E ho sempre detto di no, anche perché scrivo altro. E poi il mio primo produttore, con cui mi sono trovato molto bene e anche lui mi vuole molto bene, ha insistito, abbiamo pranzato insieme e ho detto di no, ho detto: “Ma se dovessi fare un film, vorrei fare un film davvero importante. Affinché io accetti di abbandonare la scrivania e lo scrivere devo fare qualcosa che ne valga la pena, che sia importante.” E allora lui mi ha detto: “Che cos’è che è importante per te?” E allora ho detto: “Beh, “Il Vangelo secondo Pilato”, e lui mi ha detto: “Ok, andata,” e così sono davvero contentissimo, e penso che gireremo una parte del film in Italia, in Puglia.

Fazzini. Ettore, Ettore, carta e penna, firma qualcosa, via.

Bassi. Sì, anche perché la Puglia è casa mia, quindi vengono a girare proprio là. Io se faccio casa e lavoro, sono pronto. Non mi dovete pagare neanche la diaria, guardate, sono già a casa.

Cenci. A volte il caso…

Fazzini. Che è Dio, quando vuole restare in incognito…

Cenci. Ok, se ci sono domande nella sala, preparatevi.

Schmitt. Ho una domanda per Otello. Vorrei sapere perché hai, diciamo, aggiunto così tanta musica alla rappresentazione teatrale. Penso di conoscere la risposta, ma vorrei che la dicessi tu.

Cenci. Il desiderio condiviso è che fosse un viaggio anche per il pubblico, la possibilità di condividere l’emozione di un viaggio, di condividere i sentimenti che in qualche modo tu nel libro descrivi così bene. Nella lettura intima di un libro ci si immedesima e le sensazioni si provano. A teatro devono essere in qualche modo fornite e condivise. Quindi il desiderio era che si potesse, attraverso lo spettacolo, rivivere quel viaggio che tu hai fatto, sia in termini geografici dei luoghi simbolo della Terra Santa, ma anche rivivere quel percorso umano che nel testo è descritto così bene. Così bene e così importante perché tu descrivi una distanza, dei preconcetti che si hanno su tanti temi, e poi mano a mano, in maniera anche dura, a volte c’è stato un avvicinamento, un confliggere con sé stessi, con te stesso, per, come hai detto prima, abbandonare l’Éric che eri e aprirsi a un nuovo Éric. Ecco, questo percorso umano interiore che ha coinciso con incontri con persone, visita di luoghi, ha scaturito una serie di emozioni in te. Il desiderio nel mettere in scena lo spettacolo è stato quello di condividere appunto queste emozioni e farle provare al pubblico, provandole innanzitutto leggendo, condividendole con te leggendo, e poi attraverso la musica abbiamo fatto un viaggio nei paesi arabi, perché c’è qualcosa di tradizionale grazie a Mirna e alla sua bellissima voce e alla sua esperienza venendo dalla Siria. Ma abbiamo il clarinetto che ci immerge nella musica klezmer e quindi più israeliana. Abbiamo tutta un’ambientazione sonora, grazie a Matteo, che ci aiuta a far emergere quei momenti più duri, come è stato l’incontro con il muro, la visita al muro, dove il freddo, la distanza, l’aspetto tetro di questo muro ci appare non solo attraverso le proiezioni, una scenografia secondo me geniale, ma anche attraverso degli effetti sonori realizzati da Matteo e dal digitale. Quindi è un insieme di visivo, testuale e sonoro che è la nostra esperienza normale di vita. Quando viviamo, noi vediamo, ascoltiamo e abbiamo un aspetto sonoro che è così essenziale, dominante forse per noi. E credo che per chi ha visto lo spettacolo questo aiuti molto a immergersi in questo viaggio.

Fazzini. Domanda mia a Ettore: sei già stato in questi posti qui e, essendo “lui”, ti sei mai domandato se quello che è successo a lui può succedere a chiunque?

Bassi. Allora sì, io sono stato in quei luoghi, sono stato a Gerusalemme diversi anni fa e ho percepito esattamente quello che si diceva prima, cioè questo senso di convivenza che andava accettata, anzi abbracciata. E allo stesso tempo una forte energia vibrante di tensione sospesa o sottesa. E quindi comunque c’è un passaggio nello spettacolo in cui io dico – Éric dice – “guardando per la prima volta questa città non so se la ammiro o la detesto, ne sono impressionato”. E poi dice: “l’immagine di Gerusalemme non corrisponde al suo significato”, cioè l’impatto di chi arriva per la prima volta in quel luogo è sicuramente sconvolgente, è potente in termini di asperità, non di comodità. E quindi bisogna in qualche modo avviare un processo dentro sé stessi per capire da che parte si vuole andare, lì. E io credo che questo lo possa fare chiunque. Come credo – venendo a una domanda che ieri sera a cena mi poneva Otello – che questo spettacolo, questo testo, questa rappresentazione sia per tutti – venendo alla tua domanda, Lorenzo – sia per tutti nel senso che, così come lo è Gerusalemme, così come lo è questo percorso, che è un percorso spirituale, sia per tutti, assolutamente sì. È chiaro che bisogna essere disposti, come ci ha dimostrato Éric di esserlo, a rompere le proprie certezze, a lasciarle da parte e lasciarsi penetrare. È l’unica chiave: andare verso l’ignoto. Io volevo chiedere a Otello, non l’ho mai fatto in questi due mesi di lavoro insieme… allora, lo spettacolo, per chi avrà di voi ancora la fortuna di riuscire a vederlo – lo dico perché il teatro credo sia già quasi tutto esaurito e ci sono pochissimi posti ancora, e vi invito davvero a fare un ultimo sforzo e provare a venire stasera – ha una scenografia suggestiva, bella, interessante, forte ma semplice. E durante lo spettacolo io non vedo un sacco di cose perché avvengono dietro di me e io penso ad altro. E tante cose mi vengono rivelate dal pubblico: “Ah, ma in quel momento che c’è…” Dico: “Ah sì? Non lo sapevo.” Volevo fare i complimenti pubblicamente a Otello perché non glieli ho ancora fatti. Per la regia che ha scelto di adottare per questa messa in scena, perché è una regia potente, delicata ma anche coraggiosa. Non era facile riuscire a mettere insieme tutti questi aspetti, perché le proiezioni, la musica, le luci, il tipo di scenografia, i movimenti in scena, sono tanti strati e tanti livelli di comunicazione e di espressione. Quindi, più che una domanda, il mio era il volerti ringraziare per avermi coinvolto in questo progetto e complimentarmi con te per davvero la tua capacità visiva, la tua visionarietà di questo spettacolo. Grazie.

Cenci. Non lo voglio far diventare un incontro troppo sentimentale, virtualmente sono venuto lì e ti ho abbracciato. Ok? Lo faremo dopo in separata sede.

Bassi. Mi accontento della distanza, non preoccuparti.

Cenci. Ok. Sennò diventa troppo… Comunque, riguardo a questo, secondo me “coraggio chiama coraggio”, perché ovviamente più volte, dopo che mi ha dato il testo, il pensiero è stato: ma questa cosa come si mette in scena? E tutte le scelte fatte hanno risposto a quello che dicevo all’inizio: di fronte a un maestro, uno scrittore di questo tipo, che si gioca la faccia, dico così, dicendo certe cose in un libro, pubblicamente, di un evento che gli è capitato, non possiamo andare certo a risparmiare o essere cauti in una messa in scena. E quindi il desiderio è stato quello di rispondere a questo coraggio, a questa audacia, a questa sincerità dimostrata da Éric.

Bassi. Vorrei fare, se è possibile, ancora una domanda a Éric. A proposito di coraggio, quando ti viene proposta una messa in scena, una rappresentazione teatrale di una tua opera, quindi di un tuo libro, che sia scritto per il teatro oppure no, quando questa tua opera non è scritta per il teatro, come nel nostro caso, il passaggio successivo diventa, io credo, per te più complesso e difficile, e cioè il coraggio di affidarsi a quella scelta, di dire “sì, ok, portate in scena questo mio testo”. Cioè, se io lo vedessi dal mio punto di vista, io avrei paura che un mio scritto possa essere in qualche modo misinterpretato oppure deturpato, oppure svilito, oppure non veder rispettate tutte quelle profondità, sfumature, particolarità che io come scrittore, e solo io, so di aver messo in tutti quei punti del testo. Cosa ti fa trovare quel coraggio e dove c’è quel coraggio, se lo impieghi, in quel passaggio lì?

Schmitt. Rispondere alla tua domanda è molto semplice. Quando mi viene chiesto di realizzare uno spettacolo basato su uno dei miei romanzi, io dico sempre “no”. Quando mi viene chiesto di realizzare un film basato su una delle mie piece, su uno dei miei romanzi, nel 90% dei casi rifiuto, dico no. Quindi faccio fatica ad avere fiducia perché all’inizio della mia carriera mi è capitato di essere tradito più volte da degli adattamenti, e quindi dico sempre, soprattutto ai produttori cinematografici: posso concedere i diritti del romanzo, ma se poi il film non mi piacerà, appunto nei titoli all’inizio ci sarà questa frase: “si è liberamente tradito l’opera di Éric-Emmanuel Schmitt.”. E quindi questa è una richiesta anche molto pratica perché li scoraggia subito. Io non voglio concedere i diritti, ma sono disposto a farlo solo se di fronte a me ho persone sincere che sono animate dal desiderio davvero di trasmettere quello che c’è nei miei scritti. Ecco perché ho consentito la realizzazione di un film sulla base di “Monsieur Ibrahim”, quindi con il film di François Dupeyron con Omar Sharif, perché ho amato moltissimo tutti i film di questo regista e sapevo che dentro di sé era onesto. Ho sentito anche in questo caso che avevo di fronte a me persone oneste. E soprattutto rispetto a questo testo mi sono detto che è un testo molto intimo, personale, ma che è come però se non mi appartenesse in fondo, poiché io mi sento un vettore, uno strumento di qualcosa e quasi come avessi un obbligo di raccontare e di raccontare come un ateo può aderire completamente al cristianesimo. Quindi questa storia, diciamo, va oltre me stesso. Ne sono l’autore, ma ne sono anche attore, interprete. E quindi sta a me anche trasmettere questa storia. Ecco perché ho avuto un rapporto particolare con questo testo e vederlo appunto portato in scena in carne e ossa mi ha molto colpito.

Bassi. Grazie.

Cenci. Siamo doppiamente onorati di poter portare ancora la dicitura “da un testo di…” e questo è salvo nello spettacolo teatrale. Se non ci sono domande… c’è una domanda, tre domande… credevo meno. Allora, rapidissime. Non so se siamo attrezzati. Sì, abbiamo un microfono. Iniziamo dalla prima fila.

DOMANDA
Una domanda per Éric: tu hai posto subito la questione con parole oneste e nette: l’alternativa è fraternità o fratricidio. Forse è il motivo per cui tu dici questa città, io l’ammiro e la detesto al tempo stesso. Insieme, nella fraternità, c’è anche sempre il rischio del fratricidio. E qui in qualche modo c’entra il problema anche religioso, perché tu hai dato anche una risposta e hai detto che abbiamo dimenticato il padre comune e quindi abbiamo avviato un processo che porta al fratricidio. I tuoi connazionali francesi scettici, seguaci di Voltaire, hanno liquidato la questione dicendo che la religione è un problema e che porta alla violenza, e quindi bisogna liquidarla. Però forse invece l’altra via è quella più interessante, quella di andare fino in fondo alla fede. E qui mi rifaccio al “Vangelo secondo Pilato” che è stato più volte citato – bellissima questa notizia che ci hai dato, che ci sarà il film, che farai il film. C’è una battuta della moglie di Pilato, Claudia, che dice al marito: “La fede e l’incredulità sono due facce della stessa medaglia, solo l’indifferenza è atea.” Vado a memoria, ma più o meno è questo. Ecco, allora il punto non è questo? Cioè il problema non è l’indifferenza? Cioè non è stata la sfida di Gerusalemme, per te, vincere il rischio che abbiamo tutti di cadere nell’indifferenza? Prima che mi rispondi voglio cogliere l’occasione per ringraziarti, lo voglio dire pubblicamente: Éric-Emmanuel Schmitt collabora con “L’Osservatore Romano”, e chi vi parla è il direttore del giornale. Da mesi scrive un commento al Vangelo una volta al mese, un corpo a corpo, libero e onesto come lui, con il testo del Vangelo. Lo fa con generosità, e quindi lo volevo ringraziare. “Sapevatelo” che su “L’Osservatore Romano” c’è anche Éric. Ecco, il vero rischio non è l’indifferenza? Questa è la domanda. Grazie.

Schmitt. Sì, nel “Vangelo secondo Pilato”, la moglie di Pilato dice che il dubbio e la fede sono appunto le due facce della stessa cosa. È solo l’indifferenza che è atea. E effettivamente credo che il male maggiore per l’uomo sia proprio l’indifferenza. L’indifferenza verso la questione religiosa, ma anche l’indifferenza verso la questione di Dio, l’indifferenza rispetto alla spiritualità degli altri. Per me, ogni uomo ha Dio in sé sotto forma della questione di Dio, cioè ogni uomo si pone la domanda e l’interrogativo di Dio. Poi, ciascuno di noi dà una risposta diversa, ma ciascuno di noi è animato da questa domanda. La condividiamo e per me la prima forma di fraternità deve essere proprio questo interrogarsi. Quindi il mio umanesimo consiste nella condivisione di questa domanda. Dopodiché, come dicevo, ognuno di noi dà una risposta diversa a questa domanda e sono queste differenze che ci rendono unici. Ma queste differenze, sì, devono differenziarci, ma non dividerci e ancora meno opporci gli uni agli altri. Quindi per me questa condivisione sta proprio in questa domanda. E uno spirito, una mente che sia indifferente a questa domanda è una mente, uno spirito morto. Ecco, quindi è proprio la vita dello spirito e della mente che sono animati da questa domanda.

Cenci. Grazie. Rapidamente. Prego, qui davanti.

DOMANDA
Vorrei porre una domanda al Maestro. Si può associare, secondo lei, la parola “sfida” al termine “paradosso”? “Paradosso” vuol dire che Dio si riveli agli uomini, che Dio si faccia presenza tra gli uomini, che Dio dal male tragga un bene per l’umanità.

Schmitt. Io parlo molto di questo proprio nel libro “La sfida di Gerusalemme”. Nello specifico, il paradosso stesso rappresentato dal cristianesimo. Ad esempio, rispetto a tutte le altre religioni, trovo che la religione più paradossale sia proprio il cristianesimo. E capisco molto bene come a volte venga rifiutato, poiché richiede uno sforzo di pensiero che non esiste nelle altre religioni. Pensare che, appunto, l’eterno diventa temporale, che Dio si fa uomo; pensare che si muore ma in realtà non si muore, poiché appunto lui risorge tre giorni dopo, ebbene, è una sfida, è un paradosso per la ragione. Quello che cerco di raccontare, quindi, nel racconto di questo mio viaggio a Gerusalemme, è proprio il fatto di dire che questo mistero, questo mistero che è fondativo del cristianesimo, ecco, è un mistero che non posso capire, ma posso provarlo. Ed è quello appunto che racconto. Al Santo Sepolcro ho proprio avuto l’impressione di cogliere fisicamente e sensorialmente il mistero, proprio la realtà del mistero. Ma la mia intelligenza, diciamo, zoppica sempre e credo che sia proprio in questo che sta l’interesse del mistero. E non bisogna spiegare i misteri, ma bisogna però abbracciarli, frequentarli.

Cenci. Abbiamo cinque minuti, quindi domanda breve, risposta breve, una mano alzata là.

DOMANDA
Una domanda per Monsieur Schmitt. Se ho ben capito il suo viaggio a Gerusalemme è stato anche un viaggio interiore e spesso forse le avranno chiesto “Chi è Dio per lei?” Cosa risponde a questa domanda e prima del viaggio avrebbe forse dato una risposta diversa?

Schmitt. Grazie per aver fatto la domanda in francese. Per trenta secondi mi sono illuso di capire l’italiano… Quando ho vissuto una notte mistica nel deserto, in quell’occasione la mia esperienza di Dio non fu legata a una religione, fu un’esperienza spirituale ma non religiosa, e si trattava di un Dio di tutte le religioni, era l’assoluto, era l’infinito. Durante il viaggio a Gerusalemme, questo Dio ha assunto una dimensione religiosa, quindi assolutamente e definitivamente legata al cristianesimo, poiché nel cristianesimo c’è qualcosa che non avevo provato in quella prima esperienza mistica nel deserto del Sahara. È la nozione, il concetto di amore. E la mia conversione al cristianesimo passa proprio attraverso questo concetto di amore.

Cenci. Grazie. Grazie, Ettore. Grazie, Éric. Grazie, Lorenzo. Speriamo di aver contribuito a questo Meeting e al tema del Meeting di quest’anno: “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora che cosa cerchiamo?”. Vi lascio al Meeting, alle sue mostre e ai suoi incontri. Grazie a tutti di aver partecipato.

Data

21 Agosto 2024

Ora

13:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Gruppo FS C2
Categoria
Incontri