CANTIERE EUROPA

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Antonio Decaro, presidente Commissione ENVI al Parlamento Europeo; Carlo Fidanza, capo delegazione FdI del Gruppo ECR; Pina Picierno, vicepresidente Parlamento europeo; Nicola Procaccini, co-presidente del Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR); Massimiliano Salini, vicepresidente del Gruppo PPE; Antonella Sberna, vicepresidente Parlamento europeo. Modera Andrea Dellabianca, presidente Compagnia delle Opere

Un’occasione di confronto e dialogo in cui approfondire le linee culturali, sociali ed economiche del futuro dell’Unione europea come comunità di destino a partire dall’orizzonte ideale e i principi ispiratori di una visione di Europa che tenga insieme unità e diversità a partire dalla ricchezza dei suoi popoli e delle loro storie. L’urgenza e l’impegno per la pace, l’integrazione tra i paesi membri, la concreta responsabilità per il bene comune, le enormi sfide dell’intelligenza artificiale e della trasformazione digitale, i nuovi equilibri internazionali e rapporti transatlantici sono alcune delle sfide globali del XXI secolo da affrontare per vivere una vita «a misura d’uomo, fraterna e giusta».

CANTIERE EUROPA

CANTIERE EUROPA  

Sabato 24 agosto 2024 ore 13:00 

Sala Conai A2 

 

Partecipano: 

Antonio Decaro, presidente Commissione ENVI al Parlamento Europeo; Carlo Fidanza, capo delegazione FdI del Gruppo ECR; Pina Picierno, vicepresidente Parlamento europeo; Nicola Procaccini, co-presidente del Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR); Massimiliano Salini, vicepresidente del Gruppo PPE; Antonella Sberna, vicepresidente Parlamento europeo.  

Modera:  

Andrea Dellabianca, presidente Compagnia delle Opere 

 

Dellabianca. – 0:01:36 – Buongiorno e benvenuti a questo incontro dal titolo “Cantiere Europa”. Do il benvenuto ai nostri relatori, segnalando fin da subito che l’onorevole Pina Picierno, Vicepresidente del Parlamento Europeo nell’area dei Socialisti Democratici, purtroppo ha avuto un grave problema familiare e, per questo motivo, non è riuscita a essere presente con noi. Ci ha inviato un breve messaggio che leggerò a breve. Passo a presentare i nostri relatori, di cui segnalo anche un collegamento. Parto dall’onorevole Antonella Sberna, Vicepresidente del Parlamento Europeo nell’area dei Conservatori, l’onorevole Massimiliano Salini, Vicepresidente del gruppo del Partito Popolare Europeo, l’onorevole Carlo Fidanza, capo delegazione di Fratelli d’Italia, anch’esso del gruppo dei Conservatori, e l’onorevole Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori. Ringrazio inoltre, in collegamento, l’onorevole Antonio De Caro, Presidente della Commissione ENVI al Parlamento Europeo del Gruppo dei Socialisti Democratici. Perfetto, ben arrivato. 

Allora, qual è il tema di questo incontro? Il tema è affrontare questo nuovo mandato dell’Unione Europea dialogando su un tema ideale del lavoro, come spesso al Meeting viene proposto, e su alcuni temi più concreti. Da cosa siamo partiti? Siamo partiti dal momento delle elezioni europee in cui ci siamo resi conto che l’Unione Europea, oltre ad avere espressioni di partiti differenti, ha anche a che fare con espressioni di paesi differenti. Quindi, essere rappresentanti politici all’interno dell’Unione Europea significa avere la capacità di costruire relazioni non solo con persone di idee differenti su alcuni problemi concreti, ma anche con persone di culture differenti. L’Europa è una ricchezza incredibile. Il punto da cui vorremmo partire è come questa differenza, come questo tentativo di portare i fabbisogni di un sistema paese che ognuno di voi rappresenta all’interno dell’espressività che ha, diventi un fattore di ricchezza e di costruzione. Molto spesso, tutte le norme europee nascono da lavori nelle commissioni in cui questa sfida è molto presente e deve essere costruttiva. Come voi affrontate questo tema? 

Mi permetto di leggere il contributo dell’onorevole Picierno, che si rammarica di non essere con noi quest’oggi. Per lei il Meeting è da sempre uno spazio libero di ascolto e confronto, una ricchezza per la politica italiana ed europea. Il titolo dell’incontro di oggi, “Cantiere Europa”, descrive al meglio la fase storica che stiamo vivendo. Era una definizione che amava molto anche David Sassoli. Un cantiere, infatti, non è solamente un susseguirsi di lavori senza fine, ma è anche un concentrato di intelligenza e idealità che contribuiscono a una costruzione comune per il bene di tutti, per l’Europa di domani, che è il nostro principale obiettivo. Rafforzare l’Unione, le sue istituzioni e la sua politica estera di difesa non è più un’esigenza circoscritta dentro i suoi confini, se è vero, come credo, che il nodo che abbiamo davanti è la difesa delle democrazie liberali. L’Europa deve essere insieme l’obiettivo e la protagonista nel mondo, ma dobbiamo dissipare l’accumulo di insoddisfazioni per la sua insufficienza e per i suoi evidenti limiti. 

E continua con il documento. Io partirei dall’onorevole Massimiliano Salini per iniziare questo primo tema. 

Salini. – 0:06:44 – La domanda posta è: come è possibile collaborare e costruire partendo da una evidente, a volte anche complessa e drammatica diversità, sia politica, nel senso della diversità delle forze politiche, sia nazionale, poiché il nostro è il luogo dell’incontro tra nazioni differenti, convergenti ma differenti? Non c’è dubbio che gli attuali 27 Paesi membri dell’Unione Europea sono 27 Paesi che hanno molto in comune, ma anche molto che li distingue. Prevale ciò che li accomuna, ma questo non elimina ciò che li differenzia. 

La mia esperienza di dieci anni in Parlamento Europeo mi ha permesso di verificare sul campo quanto questo sia vero e quanto renda complessa la sfida della rappresentanza politica dentro le istituzioni europee. Che cosa ha permesso un lavoro insieme? Anche perché, come dico sempre, l’ho detto in campagna elettorale e lo ripeto, le cose migliori, le poche cose buone che sono riuscito a portare a casa in questi dieci anni, le ho ottenute quando si è lavorato insieme, quando si è deciso di investire sul valore e sulla ricchezza della diversità. Le battaglie vissute con l’ossessione della rappresentanza di parte sono battaglie che a volte possono essere vinte, ma il prodotto finale è modesto. 

Il prodotto finale è fortemente utile al Paese nella misura in cui a fondamento della battaglia che ha permesso di portare a casa il risultato vi è un piccolo sacrificio: il sacrificio di un pezzo della propria gloria, diciamo. E più si decide di allargare il campo, più il risultato è magari meno utile al tuo partito ma più utile al tuo Paese. Ma cosa ti unisce agli altri? 

Fermo restando che io parto da un’identità culturale che è la mia, non quella di un altro, in politica due soggetti vengono messi insieme non dal fatto che sono in grado di organizzare la loro relazione, ma da qualcosa di esterno che li tiene uniti. Questo, e io suggerisco di utilizzare molto la realtà come strumento per essere, cioè di guardare quello che accade, ciò che c’è prima della politica, ciò che c’è fuori dalla politica. 

In questi giorni ho partecipato al Meeting, nei limiti del possibile, e uno degli argomenti molto diffusi nel dibattito nazionale, su cui anche il mio partito si è impegnato, è il tema del carcere. Mi è capitato di sentire raccontare esperienze di privato sociale impegnato in forme alternative legate alla condizione con cui viene trattato il detenuto, a seconda del grado di gravità, ovviamente. Queste esperienze si fondano sul presupposto che l’ordinamento giuridico può, anzi deve, talvolta decidere di limitare la libertà delle persone per errori che sono stati commessi, ma mai la dignità delle persone. 

E per evitare che venga limitata o deturpata la dignità delle persone, lo Stato non è autosufficiente. Esiste nella realtà sociale una ricca varietà di esperienze, come chi utilizza l’agricoltura sociale per impegnare i detenuti, offrendo loro lavoro e dignità, ottenendo un risultato molto interessante che lo Stato da solo non è in grado di conseguire. Nelle carceri, come è noto, la recidiva supera spesso il 70-80%. Con queste esperienze, la recidiva si riduce a volte fino al 10-5%. 

Allora, perché faccio questo esempio? Perché per fare una buona politica sulle carceri bisogna guardare a ciò che esiste e valorizzare esperienze di questo tipo. Quindi, cosa ci può tenere uniti? Ci può tenere uniti uno sguardo attento a ciò che esiste prima della politica, in modo tale che dentro la politica si porti la vita e non si invada la vita con un eccesso di politica. 

Dellabianca. – 0:11:29 – Onorevole Sberna, continuando su questa domanda, appunto c’è il tema anche di difendere un sistema Paese. Come si aspetta di valorizzare questo lavoro? 

Sberna. – 0:11:43 – Grazie intanto per l’invito al Meeting, agli organizzatori e complimenti per questa bellissima macchina che ogni anno mettete in piedi e che fornisce l’opportunità a tutti quelli come noi di poter venire qui a raccontare la nostra esperienza, ma anche a raccogliere spunti e input importanti, perché veramente il Meeting credo sia una fonte, proprio anche nel momento dell’anno in cui è organizzato, per dare l’avvio ai lavori dell’anno con degli spunti e degli input che arrivano dalle più diverse voci della società civile, della politica, del mondo dell’economia e quindi del mondo dell’associazionismo. Quindi veramente, intanto, ringrazio per l’invito e complimenti. 

Sentivo dall’intervento dell’onorevole Salini e condivido l’impostazione. Io credo che, da quel poco che ho potuto cogliere in questi due mesi di attività al Parlamento Europeo — quindi per me è la prima legislatura, anche se ho avuto esperienze diverse nella vita sempre legate alla politica — è capire se si riesce a fare il salto culturale e fare sistema Paese, superando, chiaramente portandoci dentro, come dicevi tu, Alessandro, ma come tutti noi portiamo avanti, i nostri principi, i nostri valori e anche il bagaglio culturale dal quale noi proveniamo e con il quale veniamo eletti, ma poi cercare di cogliere quali possono essere le necessità reali di tutti i cittadini europei e portare lì, portare a Bruxelles, portare in quel contesto le nostre esperienze, tradurle però poi in virtù e in regole certe per il nostro sistema Paese. 

Io credo che l’Unione Europea debba essere utile, debba essere importante per fare cose grandi. Noi lo diciamo, l’abbiamo detto tante volte e lo continueremo a dire: è importante che faccia il lavoro che gli Stati membri e i singoli Stati non riescono a fare. E per fare questo deve avere la forza di tutte le delegazioni compatte, perché se le delegazioni nazionali riescono ad andare al Parlamento, sedersi e produrre documenti, produrre regole utili per il proprio sistema Paese, senza andare contro quelle degli altri sistemi Paesi — perché noi a volte facciamo l’errore di dire “questa è una cosa che serve all’Italia”, ma se questa cosa serve all’Italia e nuoce a tutti gli altri, noi dobbiamo essere anche in grado, onestamente e in modo intellettuale, di fermarci dove nuociamo agli altri. Quindi, se ogni delegazione nazionale riesce a fare sistema, riesce a capire quali sono le esigenze, portarle su quel tavolo e fare in modo che l’Unione Europea non ci dia regole sulla punteggiatura e su cose talmente minime che non servono alle economie nazionali, non servono ai sistemi Paesi, ma invece riesca a darci delle garanzie e la forza di un’Europa che è basata sulle proprie radici culturali, sui propri valori, sulle proprie idee — ed è su quello, secondo me, che dobbiamo fare forza — e in ossequio a quei principi poter lavorare per fare cose buone. 

Io credo che la sfida sia questa: al di là della singola regola, del singolo dossier e della singola prospettiva, è capire cosa fa bene alla nostra Italia all’interno di un sistema di Stati nazionali e magari cercare di lavorare con i colleghi delle altre delegazioni, con i colleghi anche degli altri partiti, perché se è vero che ognuno di noi va a rappresentare i cittadini che l’hanno eletto con i propri principi, è vero anche che il sistema Paese è uno, l’economia del nostro Paese è una e quindi noi a quella dobbiamo fare riferimento e cercare di farla proliferare e sviluppare, perché poi va a beneficio di ogni forza politica all’interno del proprio dibattito interno. 

Io credo che il principio di sussidiarietà, che è quello che anima i trattati a cui noi chiaramente ci dobbiamo attenere, è quello che deve illuminare il nostro lavoro, cioè poche cose fatte bene e utili per i Paesi che non riescono a fare da sole e dare invece la forza all’interno delle proprie realtà nazionali di poter lavorare per il bene dei propri cittadini, per il bene della propria economia, ma con regole meno burocratiche. Perché se noi osserviamo il principio di sussidiarietà e cerchiamo di sburocratizzare anche per i sistemi delle aziende — che io vedo qui sedute davanti a noi — quanto sarebbe più facile per loro poter avere meno regole all’interno, ma sicuramente poter avere dei principi a cui attenersi e sapere che quelle regole lì sono certe per tutti. 

Dellabianca. – 0:16:09 – Grazie. Onorevole Fidanza, l’onorevole Rosberg richiamava una responsabilità che l’aspetta non solo personale, ma anche come responsabile della delegazione e della sua formazione politica. Come vede questo compito? 

Fidanza. – 0:16:29 – Intanto, buongiorno a tutti. Grazie per questo invito. Mi associo ai complimenti per questa ennesima bellissima edizione, che peraltro ha un titolo che si adatta molto al panel. Non mi riferisco al titolo del panel, cioè “la cantina Europa”, che è comunque interessante, ma al titolo del Meeting di questa edizione, che ci richiama all’essenziale. E quando la collega Sberna diceva che noi vorremmo un’Europa che si occupasse di cose grandi e importanti, forse ci aggiungerei l’aggettivo “essenziale”. Noi abbiamo bisogno di tornare all’essenziale, perché l’essenziale ci dà una chiave di lettura rispetto alla concretezza delle politiche che dobbiamo mettere in atto. 

E provo a tradurre. Noi abbiamo un tema centrale, che è come declinare l’interesse nazionale all’interno di una cornice più ampia, che è quella europea. Intanto, dobbiamo procedere da una riabilitazione del concetto di interesse nazionale, perché viviamo purtroppo in una nazione che ha troppo spesso relegato questo concetto in una sorta di minorità culturale, per cui pensare di fare l’interesse nazionale diventava quasi automaticamente un sinonimo di sciovinismo o di un atteggiamento aggressivo e nazionalistico nei confronti di altri interessi nazionali. Questo ci ha portato ad avere una carenza di tutela dell’interesse nazionale nelle sedi europee. Peccato che tutti gli altri, in sede europea, facciano esattamente questo: la tutela del loro interesse nazionale all’interno di una cornice europea. Quindi, noi dobbiamo intanto dire che non è un reato e non è sbagliato, anzi, è una cosa fondamentale, direi essenziale, tutelare l’interesse nazionale italiano in Europa, cosa che per troppo tempo non è stata fatta in maniera adeguata e sufficiente. 

Diceva qualcuno che, nel momento della fase di maggiore integrazione europea, i francesi sarebbero entrati in Europa da francesi, i tedeschi da tedeschi, e gli italiani da europei. Questo per dire che forse noi abbiamo ceduto in una sorta di fideismo europeista, che non vuol dire non credere nei principi fondanti dell’Europa, ma vuol dire pensare che quella dimensione, quella europea, fosse sostitutiva delle dimensioni nazionali, e siamo stati gli unici a pensarlo. Questo è stato l’errore. Allora noi dobbiamo tornare all’idea che fare gli interessi nazionali in Europa sia assolutamente normale, legittimo, perché è quello che fanno tutti gli altri. E poi dobbiamo contemperare il nostro interesse nazionale con gli interessi nazionali degli altri. Questa è la sfida: quella che naturalmente affrontiamo noi in Parlamento Europeo, quella che il nostro governo si trova ad affrontare nel Consiglio Europeo, e così via. 

Come si fa? Su questo penso che dobbiamo ragionare su più livelli. Il primo è certamente quello della collaborazione tra le forze politiche. Mi piace citare un esempio virtuoso che spesso in questo tipo di convegni menzioniamo. Lo cito doppiamente in questa sala, brandizzata da un’importante realtà nazionale che si occupa di imballaggi, perché ci siamo vantati del fatto che abbiamo ottenuto un grande risultato nel solco dell’interesse nazionale qualche mese fa, riuscendo a fare un lavoro trasversale alle forze politiche per modificare un regolamento assurdo che si occupava di imballaggi e che penalizzava il nostro sistema produttivo in maniera molto pesante. Sembra strano dirlo, ma per una volta noi non eravamo quelli da richiamare perché non virtuosi; eravamo i migliori della classe. Siamo stati i più bravi nel corso degli ultimi trent’anni a realizzare un sistema di economia circolare fondato sul riciclo, grazie anche a realtà come i consorzi di recupero, che in nessun’altra parte d’Europa era stata sviluppata così bene come in Italia. 

Abbiamo fatto sistema, abbiamo difeso l’interesse nazionale affermando il valore aggiunto di un’economia circolare su un modello italiano, che un approccio burocratico nordeuropeo della Commissione Europea stava di fatto penalizzando in maniera molto consistente. Lo abbiamo fatto insieme, lo abbiamo fatto bene, e abbiamo dimostrato che si poteva difendere l’interesse nazionale all’interno di un contesto europeo. E questo dobbiamo fare e dobbiamo farlo sempre di più. E poi dobbiamo avere anche un po’ più di orgoglio. Lo dico perché chi di voi, ne vedo alcuni amici in sala, fa l’amministratore locale, sa quanto è importante avere dei funzionari che remino dalla tua stessa parte. 

La tecnostruttura, tanto più in una realtà come l’Unione Europea, che è fortemente strutturata, per non dire burocratizzata, ha un ruolo fondamentale. Nel tentativo di riaffermare con forza l’interesse nazionale, dobbiamo essere capaci anche di fare in modo che le persone che sono dentro la tecnostruttura europea, e che hanno il nostro stesso passaporto, ragionino con noi in una logica di squadra e di sistema, esattamente come fanno tutti gli altri, che lo fanno in maniera aperta, serena. Dobbiamo essere nelle condizioni di poter anche investire su queste persone, per farle crescere all’interno delle strutture della Commissione Europea in particolare, cosa che per decenni non è stata fatta per mille motivi: per l’instabilità politica, il cambio continuo dei nostri governi, cosa che ha portato molte di queste persone, a prescindere dalle qualità professionali individuali, ad affidarsi a qualche padrino straniero per poter fare carriera all’interno delle Istituzioni Europee. 

Così, mentre tutti gli altri fanno sistema con i loro funzionari apicali all’interno della Commissione, quando noi troviamo un funzionario italiano, dobbiamo sperare che non sia il più realista del re, che remi contro l’Italia anziché a favore dell’Italia. Ecco, almeno avere un atteggiamento imparziale, per non dire sistemico e prodromico all’interazione, sarebbe un auspicio. 

E l’ultima cosa, e ne approfitto per salutare, vedo in prima fila l’amico Raffaele Cattaneo. Per noi è importantissimo fare sistema con i territori. Noi abbiamo fatto insieme delle battaglie anche qui a tutela dell’interesse nazionale, ascoltando le voci delle regioni e degli enti locali, perché quel principio di sussidiarietà a cui Antonella Sberna faceva riferimento naturalmente, e qui so di parlare a orecchie particolarmente sensibili, noi lo decliniamo sia sul piano orizzontale, cioè il valore aggiunto della società civile organizzata, dell’economia sociale, del terzo settore, di tutte le realtà sussidiarie rispetto alle responsabilità dello Stato, e qui voi ne siete una manifestazione costante, e poi lo decliniamo in chiave verticale. 

Quindi l’interesse nazionale deve naturalmente tenere conto anche delle specificità dei nostri territori. Insieme abbiamo fatto una battaglia per portare, per esempio, un po’ più di realismo sul tema delle emissioni inquinanti, con la riforma di un regolamento europeo su questo aspetto, che imponeva (in parte ancora impone, abbiamo ottenuto una lunga deroga) dei target di diminuzione delle emissioni inquinanti che di fatto porterebbero a chiudere l’economia produttiva dell’intera pianura padana, e di fatto a chiudere l’Italia. 

Di fronte a questo, fare sistema vuol dire farlo tra forze politiche, farlo anche tra rappresentanti nazionali e rappresentanti dei territori, perché quell’approccio consente di difenderci al meglio. E poi, chiudo su questo, Presidente, perdonami, velocissimo: c’è un altro aspetto. Dobbiamo renderci conto del fatto che non abbiamo una sola Europa. Abbiamo più Europe, abbiamo più culture. Abbiamo un Mediterraneo, diciamo un’Europa del Sud, che è più improntata alla difesa delle specificità, della qualità, delle tipicità; abbiamo un’Europa del Nord che invece ha un’impronta più mercantilistica e più abituata a ragionare di un’Europa piattaforma nel mare magnum della globalizzazione; e abbiamo un’Europa dell’Est che deve ancora maturare sotto molti aspetti. 

Da questo non possiamo prescindere; dobbiamo sapere che è così. Ma allora che cosa ci tiene insieme? Posto che gli interessi economici spesso divergono per via di questi modelli economici differenti, ciò che ci tiene insieme è l’essenziale. E l’essenziale qual è? L’identità: l’identità culturale, l’identità spirituale, l’identità religiosa, l’identità storica, le nostre radici, le nostre tradizioni. E se ci pensate, è proprio quello su cui l’Europa di oggi sta facendo pericolosissimi passi indietro e troppe rinunce. 

Dellabianca. – 0:25:59 – Grazie. Andrei ora sull’onorevole Antonio De Caro, che ringrazio tantissimo per essersi collegato, rappresentante dell’area dei socialisti democratici. Rilancio anche a lei la domanda. Partendo dalla sottolineatura che adesso faceva l’onorevole Fidanza, ovvero che l’interesse nazionale coincide con esempi virtuosi e quindi è una difesa che può diventare anche un interesse generale. Come vede lei questa sfida del prossimo mandato? 

Decaro. – 0:26:35 – Io vi ringrazio per l’invito, innanzitutto, per la possibilità che mi avete dato anche di collegarmi, perché il passaggio da amministratore locale a parlamentare europeo mi ha creato non pochi problemi, compresa la gestione dell’agenda. Io credo ancora all’Europa come l’avevano immaginata Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene. Secondo me, quel Manifesto è ancora oggi la guida più importante per chi svolge questa attività nel Parlamento Europeo. Dobbiamo impegnarci nella costruzione di quella che chiamavano “un’anima europea”, che deve prevalere sugli egoismi nazionali, nel nome della solidarietà, della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Qualcuno li ha chiamati Stati Uniti d’Europa, poi magari è diventato anche il nome di un partito nel nostro Paese. Deve essere il luogo dove, coltivando le proprie specificità, contribuiamo a costruire una visione comune, quel luogo dove aprirsi all’altro non significa smarrire la propria identità, ma arricchirla. Io credo che questi valori, sanciti nel Manifesto di Ventotene, li dobbiamo difendere in un momento particolare, anche della vita dell’Europa e del nostro Paese, in cui l’Europa la sentiamo più vicina rispetto a prima, diciamoci la verità. Tra il periodo del Covid e il periodo del post-Covid, l’Europa ci ha teso una mano: si sono aggiunti ai fondi europei, i fondi del PNRR. Non è scontato che i Paesi europei mettessero parte del proprio debito pubblico per finanziare quei Paesi più in difficoltà, e tra quei Paesi c’era l’Italia. Oggi abbiamo un’opportunità straordinaria di poter realizzare opere pubbliche che ci permetteranno, nella fase di ripresa rispetto al periodo del Covid, di offrire servizi migliori alle nostre comunità. Penso agli asili nido, che sono politiche di genere e servono a ridurre i divari. Penso alla possibilità di acquistare mezzi di trasporto ecologici nel nostro Paese, mezzi di trasporto collettivo. Penso alla possibilità di realizzare le case di comunità attraverso le regioni, per offrire la sanità territoriale, i servizi della sanità territoriale, spazi per la socializzazione, parchi, giardini pubblici. Penso a quello che ho fatto da sindaco fino a qualche mese fa: abbiamo avuto un’occasione straordinaria, attraverso le risorse – sono 40 miliardi di euro, risorse che non avevamo mai visto – di poter migliorare le condizioni di vita nelle nostre comunità. E questo credo sia un valore che dobbiamo difendere, indipendentemente poi dalle nostre posizioni, da quelle che sono state e sono le nostre esperienze dal punto di vista politico, le sensibilità dal punto di vista ideologico. Ci sono dei temi sui quali non ci dobbiamo dividere. Ho imparato a capire, in questi primi mesi, che l’Europa è proprio quel luogo dove non solo si decidono le cose che accadono nel nostro Paese, ma anche nel cortile di casa nostra. È anche quel luogo dove si possono un po’ stemperare posizioni ideologiche per cercare di trovare più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono. E credo che tutelare questi fondi europei, il PNRR con le scadenze, sia fondamentale. Mi chiedete se mi farebbe piacere se il ministro Fitto diventasse commissario europeo, e vi rispondo di sì, perché comunque con il ministro Fitto, anche se in posizioni diverse nel tempo da quando ho rappresentato i sindaci italiani, siamo riusciti a trovare delle soluzioni che ci hanno permesso di mantenere quei finanziamenti del PNRR. Faccio un’altra proposta: tra qualche mese inizia la nuova programmazione, il nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei. Mi aspetto che cercheremo di trovare insieme – lo dico alla delegazione del Parlamento Europeo presente oggi al Meeting – quelle cose che ci tengono uniti nella prospettiva di migliorare le condizioni di vita del nostro Paese e anche degli altri Paesi che fanno parte dell’Unione Europea, nello spirito del Manifesto di Ventotene, appunto. 

Dellabianca. – 0:30:41 – Grazie. Onorevole Procaccini, anche lei rilancia la domanda con due sottolineature: una, il legame che si diceva anche fra un’esperienza territoriale e una sfida europea che nel vostro percorso politico avete affrontato, e dall’altra, come si può appunto valorizzare le cose che uniscono più di quelle che dividono. 

Procaccini. – 0:31:14 – Buongiorno a tutti, grazie per l’invito e per l’opportunità che mi avete dato di osservare per la prima volta dall’interno questa realtà, la realtà del Meeting, che chiaramente ho sempre visto dall’esterno e l’ho sempre vista con grande suggestione. Voglio ringraziare in particolare Massimiliano per aver insistito affinché venissi di persona e non partecipassi in remoto. Voi forse saprete che esiste un’altra manifestazione che originariamente si svolgeva in estate, ma soprattutto in inverno, che si chiama Atreyu. Atreyu è una manifestazione che nasce con un’impronta molto giovanile, certamente più politica in senso stretto del Meeting; nasce per impulso di alcuni ragazzi che all’epoca erano giovani, uno di questi era Giorgia Meloni, ed è nata proprio per la straordinaria suggestione che avevamo del Meeting di CL, del Meeting di Rimini. Questa meravigliosa scatola piena di idee, persone, cuori, che per un certo periodo di tempo infiamma, in senso positivo naturalmente, il dibattito politico e culturale italiano. Insomma, non vi nascondo che Atreyu è nato proprio per cercare di ricalcare un po’ le orme del Meeting, naturalmente un’impresa titanica per chi, come noi, aveva una scarsità di mezzi piuttosto evidente, una scarsità di personale e quindi dovevamo fare un po’ tutto in pochi. Però, insomma, è un tributo che sentivo di dover fare a coronamento anche un po’ del mio percorso politico, che è un percorso iniziato molto giovane in una realtà politica, quella della destra giovanile. Sono molto contento di essere qui e di poter vedere dall’interno, soprattutto mi affascina questa comunità dei volontari, questi 3.000 ragazzi e ragazze che donano se stessi per qualcosa di comune. Ecco, l’Unione Europea è questo: è donare se stessi per qualcosa di comune. È, secondo me, una necessità storica, innanzitutto. Credo che gli Stati nazionali, soprattutto oggi, abbiano la necessità di stare insieme per fare alcune cose. Chiaramente, dal nostro punto di vista, e qui entro in un punto di vista più di parte, per la nostra visione l’Unione Europea deve essere un’alleanza di nazioni che decidono di stare insieme per fare poche grandi cose. La mia sensazione è che negli ultimi anni sia accaduto un po’ il contrario: che l’Unione Europea si sia occupata soprattutto di tante piccole cose e poco delle grandi questioni, delle grandi ragioni per cui è necessario stare insieme e cedere un po’ della propria sovranità. È una necessità, come dicevo, della storia, una necessità fattuale. Penso proprio alle dinamiche geopolitiche: è normale che una nazione da sola non sia in grado di stare al passo di altre grandi superpotenze. Ma questo era vero già quando la mia comunità politica… Noi abbiamo una storia particolare: la destra italiana, tra le destre europee, è sicuramente la più europeista. Noi abbiamo cullato il sogno di un’Europa unita in tempi non sospetti. Spesso mi piace ricordarlo, perché quelli che oggi invece si fanno paladini dell’europeismo, mi riferisco in particolare ai socialisti e agli ex comunisti, quando nasceva l’Unione Europea, loro stavano dall’altra parte; erano contrari alla nascita dell’Unione Europea. Nella famosa votazione in cui venne ratificato il Trattato di Roma, che sanciva la nascita della Comunità Europea, tutte le forze che oggi chiameremmo di centrodestra votarono a favore, mentre quelle di centrosinistra votarono contro o si astennero. Questo per dire che chiaramente oggi permangono, in qualche modo, punti di vista diversi, che hanno tutti la legittimità di esistere, sia chiaro, però sono diversi. Sono diversi nella misura in cui noi continuiamo a pensare ad un modello confederale di Europa, che è l’idea originale di Unione Europea: un modello confederale che rispetta anche la diversità delle nazioni che la compongono, anzi, che è consapevole che la sua ricchezza è data dalla diversità delle tradizioni nazionali che la compongono, tradizioni legate, come diceva bene Carlo prima di me, all’essenziale, e l’essenziale non può che essere la cultura. La cultura, che è chiaramente impregnata di cose diverse, in particolare è impregnata anche di spiritualità. La cultura certamente ci lega e ci lega anche un interesse. Però, ecco, è un legame che avviene fra popoli, fra nazioni. Metto un po’ di pepe, tanto so che Antonio potrà poi replicare in un secondo giro, altrimenti non mi permetterei. Quando sento parlare del Manifesto di Ventotene, beh, mi si drizzano i capelli, come vedete. Perché il Manifesto di Ventotene propugna l’abolizione delle nazioni. Vedo, è scritto nero su bianco. È un ideale che rispetto, ma che è diverso dal mio. Io continuo a pensare che invece ci sia bisogno di un altro sogno: il sogno cullato da generazioni e generazioni, il sogno di una grande e bella alleanza di popoli che, consapevoli del proprio destino e del proprio passato, scelgono consapevolmente e giustamente di mettere in comune il proprio destino per vivere un’avventura storica insieme. Questo è il sogno di cui ci innamorammo, questo è il sogno che perseguiamo nella nostra quotidianità, naturalmente nelle piccole cose che poi compongono questo sogno, che è fatto di leggi, regolamenti, direttive, emendamenti. Però è divertente, è bello; certe volte ci arrabbiamo perché, naturalmente, prevalgono idee diverse, però è il grande gioco della politica europea, il grande gioco del Parlamento Europeo. Mi piacerebbe che ci fosse maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica a questa dinamica, che spesso invece viene un po’ tralasciata. E ci sono qui degli amici che mi permettono di salutare, come Mario Mantovani, Carlo Ciccioli; vedo che ci sono colleghi presenti, ma ripeto, mi rivolgo in particolare all’opinione pubblica: più si guarda alla politica europea e più si scopre se stessi. Mi viene in mente e concludo una frase proprio del Piccolo Principe, se non sbaglio, di Saint-Exupéry, che dice che le cose vere non si vedono con gli occhi, l’essenziale si vede con il cuore. 

Dellabianca. – 0:40:28 – Allora, io vi ho preso in parola e proviamo a fare un po’ di esercizio su alcuni temi che dovremmo sicuramente affrontare per capire anche a partire da qui cosa vuol dire avere dei punti in comune, avere delle differenze e come queste possano diventare una ricchezza all’interno delle relazioni. Due temi: uno è sicuramente il fatto che permane un conflitto alle porte dell’Europa, e questo conflitto ci interroga sia sulle prospettive affinché esso finisca, ovvero sulle prospettive di pace, sia sulle idee riguardo alla politica estera e alla difesa, che questo conflitto ha rimesso in discussione. L’altro aspetto, le espongo entrambe così poi facciamo un giro unico, è il tema dell’economia europea: un’economia che, se cresce, lo fa poco, mentre ci sono altre realtà e potenze economiche che stanno emergendo e che non esistevano quando l’Europa è nata. Pertanto, come un Paese che fa parte dell’Unione Europea può avere un vantaggio in termini di crescita economica che tenga conto dell’aspetto demografico, del Green Deal, e di tutti i temi che avete in agenda. Invertendo l’ordine, partirei dall’onorevole Procaccini per rendere il tutto più semplice. 

Procaccini. – 0:42:00 – L’economia è certamente uno dei motivi per cui c’è bisogno dell’Europa. Penso al mercato comune europeo. Il mercato comune europeo è l’asset principale che noi abbiamo, questo luogo dove circa mezzo miliardo di persone, poco meno, si muovono da una nazione all’altra, scambiando merci, beni e servizi. È un asset economico straordinario che chiaramente aiuta a sviluppare la prosperità delle nostre nazioni. D’altra parte, è un asset che va difeso. Il mercato comune europeo va difeso, ad esempio, dal dumping, dal tentativo di aggressione che viene da altre realtà geopolitiche. Non scandalizziamoci; è la storia, è la realtà, bellezza, mi verrebbe da parafrasare Casablanca. È comprensibile che si cerchi di penetrare e forzare il mercato comune europeo, anche con pratiche scorrette, come ad esempio capita spesso con la Cina. Difendere il mercato comune europeo è, dal mio punto di vista, una delle ragioni d’esistenza dell’Unione Europea. Un’altra ragione è, per esempio, la sicurezza e la difesa comune. È chiaro che in un mondo difficile e pericoloso come l’attuale, difendersi insieme permette di difendersi meglio e aiuta anche a proteggere la pace. Quel grande asset che è la pace, se posso permettermi di materializzarlo un po’ brutalmente, ha un valore economico; diciamocelo, la pace è tante cose insieme, e per poterla difendere, talvolta bisogna farlo attivamente perché la pace non è scontata. Ce ne dimentichiamo; pensiamo che il mondo sia stato sempre in pace, ma non è così. Oggi viviamo per la prima volta un’era in cui il mondo è perlopiù in pace, ma è una condizione recente. Nel corso dei millenni non è mai stato così. Quindi essere insieme e aiutarci a difendere la pace e la giustizia è un’altra delle ragioni per cui c’è bisogno dell’Unione Europea. Dopodiché, lo dico qua a Rimini, perché è una ferita che sanguina. Per esempio, secondo me, non c’è motivo di immaginare che si debbano legiferare situazioni diverse per le spiagge di Rimini rispetto a quelle del Mediterraneo o della Scandinavia. Mi riferisco alla Bolkestein, per essere chiaro: non credo che l’Unione Europea sia nata per questo. Non credo sia nata per le solite cose che spesso diciamo, come regolamentare come si fa la pizza o come si coltivano le zucchine, le vongole, eccetera. Credo che l’Unione Europea abbia senso nella misura in cui si occupa di grandi questioni come l’economia, il mercato comune, la difesa comune. Queste sono le ragioni per cui non c’è alternativa all’Unione Europea, e queste sono le ragioni per cui dobbiamo difendere e preservare l’idea di Unione Europea. 

Dellabianca. – 0:46:10 – Onorevole De Caro, può replicare come suggerito dall’onorevole Procaccini, ma su questi temi, senza tornare sulle spiagge, che quest’anno riguardano la Puglia. 

Decaro. – 0:46:22 – Devono tenerci uniti. Hai posto la questione su una visione diversa, che è legittima; è la visione con la quale ci siamo sfidati in campagna elettorale e che affronteremo nel dibattito parlamentare. Continueranno a sfidarsi idee diverse dell’Europa: c’è l’idea conservatrice che cerca di affiancare al neoliberismo il nazionalismo e anche il corporativismo. C’è un’idea diversa dell’Europa, diversa anche da quella che abbiamo visto negli ultimi cinque anni, un’idea di giustizia sociale e ambientale e, ovviamente, di pace, che credo condividiamo tutti. Oggi siamo in una situazione particolare. Da un lato dell’Oceano Atlantico, ci sono elezioni in corso e non sappiamo se gli Stati Uniti offriranno ancora garanzie rispetto alla pace internazionale. La Cina entra sempre di più nel dialogo e nella geopolitica mondiale, e ci sono guerre cruente in corso nel mondo; la Corte internazionale parla addirittura di una situazione umanitaria catastrofica. L’Unione Europea credo debba assolutamente riprendere la propria missione fondante, quella prevista dal manifesto di Ventotene, dimostrando che è possibile coniugare pace, libertà, sviluppo armonioso e democrazia. L’Unione Europea deve essere oggi anche un avamposto nella transizione digitale ed ecologica, che non sono più opzionali. L’Unione Europea è indispensabile su questa strada, verso la giustizia sociale, verso la giustizia ambientale, e anche in quel percorso di pace e sviluppo armonioso che oggi è ad altissimo rischio. Non serve un’Europa qualsiasi, come ha scritto qualcuno in un testo qualche anno fa; serve un’Unione Europea che faccia vivere i diritti fondamentali della Carta europea e dei trattati europei, un’Unione aperta, capace di tutelare la concorrenza ed evitare l’espansione di posizioni dominanti, ad esempio all’interno dei mercati, offrendo a tutti i suoi cittadini beni pubblici che solo a quella scala si possono produrre, e garantendo sicurezza e benessere anche di fronte ai rischi provocati dalla crisi climatica, oltre a svolgere un’azione di pace e giustizia nel mondo. Credo che questo sia il ruolo che dobbiamo avere nei prossimi anni, modificando anche i trattati. Non abbiamo più bisogno soltanto di una Unione Europea economica; abbiamo bisogno di una Unione Europea che abbia una politica comune, una difesa comune, che tenga insieme i diversi popoli valorizzando le singole specificità. Stare insieme, come ho detto prima, non significa annullare le specificità, ma può servire anche a valorizzarle, mirando tutti insieme a un orizzonte comune. 

Dellabianca. – 0:49:46 – Onorevole Fidanza, da economia a politica: come agisce la politica sui temi economici e di difesa? 

Fidanza. – 0:49:56 – Intanto, Presidente, mi permetta di replicare al collega De Caro perché, francamente, su queste definizioni e su questi aggettivi che lui ha abbinato alla nostra parte politica, avrei degli emendamenti. Nel senso che io non mi riconosco in queste definizioni, tra l’altro anche un po’ contraddittorie: o sei corporativista o sei neoliberista. Io penso che ci sia un bene supremo, che è da tutelare oggi più che mai, ed è l’economia reale. L’economia reale è stata travolta, soprattutto in questi ultimi cinque anni, da un eccesso di ideologia nel nome della sostenibilità ambientale, che ha colpito duramente il nostro sistema produttivo. È grazie al fatto che qualcuno si sia opposto a questa deriva ideologica, in cui non c’è nulla di socialmente giusto. Perché qual è la giustizia sociale di una transizione ecologica che si riversa sulle tasche delle famiglie che hanno meno, su lavoratori di imprese che non potranno essere ricollocati, perché abbiamo deciso dall’alto che faremo una transizione ecologica solo sull’elettrico, chiudendo quindi migliaia di imprese dell’indotto dell’automotive? Mi dovete dire quale sia la giustizia sociale di questa transizione e quale modello di giustizia sociale abbiamo in mente. Io non ci trovo nulla di socialmente giusto. 

Detto questo, noi affrontiamo una nuova stagione che, purtroppo, l’invasione russa in Ucraina ci ha sbattuto davanti con tutta la sua violenza. Ci siamo illusi, anche in questo caso per decenni, che qualcun altro si sarebbe fatto carico della nostra pace e sicurezza. Ci siamo resi conto il 24 febbraio che non era più così, o che quella situazione non è destinata a durare in eterno. Antonio De Caro faceva riferimento alle imminenti elezioni americane: naturalmente, ognuno ha le proprie sensibilità e aspettative. Non credo, al contrario di ciò che vedo spesso sui nostri organi di stampa, che se dovesse vincere Trump l’Europa sarà… io penso invece che un sano bagno di realismo ci farebbe bene, perché si può condividere o non condividere ciò che dice Trump su molte cose, ma quando Trump dice che noi europei dobbiamo farci carico della difesa della nostra sicurezza e della nostra pace, dice qualcosa con cui dobbiamo confrontarci, Trump o non Trump. Perché questo, purtroppo, lo abbiamo delegato nel corso dei decenni; abbiamo portato l’Unione Europea su un percorso di integrazione che ha completamente sacrificato la prospettiva della difesa. Abbiamo pensato che, crollato il muro di Berlino, automaticamente l’appartenenza al campo occidentale ci avrebbe garantito serenità per sempre. Questo non è più. 

Allora, come si risponde? È chiaro che ci sono due aspetti. Il primo è quello politico, e questo ci riporta al primo giro che abbiamo fatto, e non voglio ritornarci. Ma in sostanza, cosa dobbiamo fare? Intanto riscoprire il senso di una missione europea, il senso del ruolo dell’Europa. Oggi, cosa siamo come europei nel mondo? Siamo semplicemente una piattaforma nel mare magnum della globalizzazione? Siamo quelli che difendono valori astratti? Oppure i cosiddetti valori europei tanto declamati hanno una loro concretezza che si traduce anche in geopolitica e in una politica della difesa? Noi dobbiamo essere questa seconda cosa e, per farlo, dobbiamo anche un po’ superare questo dibattito sterile sul fatto che lo sentite spesso citare, bisogna superare l’unanimità nel Consiglio Europeo, bisogna passare al voto a maggioranza. Io penso che questo sia solo uno dei tanti aspetti. Perché se non risolviamo il problema della missione e del ruolo che l’Europa vuole svolgere nel mondo, possiamo avere tutti i meccanismi decisionali che vogliamo, magari anche cambiarli, ma non risolveremo questo problema. 

Faccio sempre questo esempio: se noi riavvolgessimo il nastro di qualche anno, alla scelta improvvida, all’epoca francese, poi britannica, e poi sposata un po’ da tutti, anche dall’Italia, di intervenire militarmente in Libia, spodestando Gheddafi e scoperchiando il vaso di Pandora dell’instabilità politica di tutto il Nord Africa, con tutte le conseguenze in termini di immigrazione irregolare, sfruttamento degli esseri umani, eccetera. Se avessimo avuto un meccanismo decisionale diverso, a maggioranza, siamo sicuri che saremmo stati dalla parte della maggioranza? E cosa avrebbe deciso quella maggioranza? Avrebbe magari avallato, anche a nome nostro, una missione sciagurata che ha causato un danno enorme. Questo per dire cosa? Che il problema lì era la scelta. E il problema di oggi è la scelta. La scelta viene prima del meccanismo e, se ci pensate, noi in realtà abbiamo dato delle risposte, come Unione Europea, nella crisi ucraina abbastanza compatte, sostanzialmente, ma non abbiamo dato la risposta con la “R” maiuscola: come si fa a garantire la nostra sicurezza? 

Qui vengo, e chiudo su questo, alla seconda questione: abbiamo bisogno di una politica industriale della difesa comune. Qual è stato il problema fino ad ora? Che per fare una politica industriale della difesa comune non basta semplicemente prendere i singoli bilanci nazionali della difesa e dire: “Ok, questi non sono più i soldi dell’Italia, della Francia, della Spagna, della Germania che utilizziamo per la difesa, li mettiamo tutti in un calderone europeo e insieme compriamo i carri armati.” Non è questa la difesa comune. Perché in tutti questi decenni l’Italia, la Francia e altre nazioni europee hanno sviluppato industrie della difesa che sono delle eccellenze e che competono tra di loro. Se qualcuno ha in mente a Parigi di fare la politica industriale della difesa francese con la bandiera europea con le dodici stelle, e se qualcuno ha in mente a Parigi di fare la politica estera europea con la scelta francese sotto l’egida dell’Unione Europea con la bandiera blu e le 12 stelle, noi difficilmente riusciremo a fare la politica estera comune, la politica di difesa e la politica industriale della difesa comune. Questo è il nodo. 

Dobbiamo essere capaci di superare questo aspetto. Guardate che non è semplice, perché oggi, se voi, chi è appassionato lo sa, se volete vedere quello che succede concretamente, la nostra principale industria della difesa preferisce fare joint venture con imprese omologhe britanniche, giapponesi o australiane, piuttosto che con quelle francesi o tedesche. Partiamo da qui, da una situazione in cui le nostre industrie della difesa competono, secondo logiche di mercato, e vanno esattamente nella direzione opposta rispetto all’integrazione. Quindi, non basta declamarla: bisogna poi fare in modo che gli interessi nazionali trovino una loro composizione e, a quel punto, con una politica industriale comune, hai uno strumento che può essere declinato politicamente. Questo è il passaggio. 

Guardate che è complicato, ma è una cosa molto urgente, perché se domani ci verrà detto, come giustamente dovrà essere detto: “Dovete cominciare a pensare voi alla vostra difesa”, non avremo quello strumento. Ecco, allora, io penso che in questa legislatura noi saremo chiamati a dare una risposta importantissima su questo, anche perché – davvero, chiudo – sarà difficile ipotizzare che ci possano essere strumenti di finanziamento comuni, sufficientemente sostanziosi, per poter sviluppare questa capacità di difesa. Oggi sappiamo che dobbiamo farlo, ma sappiamo che non ci sono i soldi per farlo dal punto di vista delle istituzioni europee, e quindi dobbiamo affidarci al mercato e alle grandi società nazionali che devono però essere capaci di trovare una composizione tra i diversi interessi. È una sfida enorme e credo che sarà una delle più importanti di questi cinque anni. 

Dellabianca. – 0:58:59 – Onorevole Sberna, in questi due temi aggiungo per rilanciare la domanda realismo ed essenziale, che aiuta a lavorare anche sul particolare, che è un po’ quello che diceva anche lei: occorre occuparsi dei grandi temi. Come su queste due tematiche si può lavorare? 

Sberna. – 0:59:22 – Allora, intanto, per quanto riguarda la parte economica, io credo che l’Unione Europea debba fare una profonda riflessione, perché chi mi ha preceduto lo ha detto in vari modi: fare cose grandi e non imporre agli Stati membri regole troppo stringenti. Parlando del Green Deal, che è un grosso tema rispetto alla sostenibilità economica delle politiche di sviluppo dell’Unione Europea, noi non possiamo pensare che la stessa regola possa valere in un Paese della Scandinavia o in un borgo medievale dell’Italia. In questo momento abbiamo regole che impongono un efficientamento energetico che è insostenibile per alcuni Paesi dell’Unione Europea e mediamente sostenibile per altri. Questa è una regola che viene creata dal punto di vista generale con la condivisione parlamentare, tutto quello che abbiamo detto finora, ma che poi applicata negli Stati membri evidentemente comporta applicazioni diverse e quindi mette in competizione gli Stati, di fatto penalizzandone alcuni rispetto ad altri. 

Un borgo italiano, una casa che si trova in una torre medievale del centro Italia, come può avere la stessa identica condizione di accesso all’efficientamento energetico rispetto magari a un immobile in Danimarca, situato in una pianura e costruito in epoca più recente? A parità di obiettivo che l’Unione Europea stabilisce, questo viene raggiunto con risorse molto diverse. E su chi gravano queste risorse? Gravano sulle persone, sulle famiglie e quindi sulle tasche dei cittadini, mettendo in difficoltà quell’economia che invece si vuole rilanciare. Questo è un esempio particolare per dire che l’economia europea deve tener conto delle pari opportunità e del pari accesso rispetto alle regole che crea, altrimenti si creano regole difficilissime e complicatissime che in alcuni Stati sono più gravose da applicare rispetto ad altri, generando condizioni di disparità. 

L’intelligenza artificiale, lo sviluppo tecnologico: come si concilia questa nuova esigenza tecnologica? Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia e la digitalizzazione stanno avanzando velocemente, creando condizioni molto diverse rispetto anche alla legislazione europea di cinque anni fa, figuriamoci di dieci anni fa. Non possiamo ignorare questo cambiamento. Lo scorso Parlamento, prima di terminare il mandato, ha introdotto un regolamento, iniziando a dare delle linee guida per l’utilizzo e l’accesso all’intelligenza artificiale. La cito perché rappresenta un’opportunità importante, grandissima, ma che va anche integrata all’interno delle aziende stesse. Non si può pensare a un ipersviluppo dell’intelligenza artificiale a scapito dei lavoratori. Come diceva prima il mio collega, bisogna fare in modo che tutto ciò che il nostro mondo e la nostra realtà attuale offrono sia calato nella realtà. Altrimenti, tutto è molto bello, performante e tecnologico, ma, calato nella realtà delle imprese, nella vita reale degli imprenditori, delle associazioni, del terzo settore, come qui avete grandemente rappresentato, rischia di diventare un elemento di disorientamento invece che di efficientamento. 

Che cosa deve fare, secondo me, l’Unione Europea? L’Unione Europea deve fare proprio questo: rilanciare l’economia anche di fronte a un inverno demografico dal quale siamo pesantemente investiti. Una politica economica saggia e di prospettiva deve includere politiche che vadano nel senso del rafforzamento della natalità e della promozione di una crescita demografica dei cittadini europei. Più cittadini europei possono nascere, crescere e prosperare, più l’economia ne beneficia. Può sembrare brutto collegare la natalità con l’economia, ma è la realtà, e noi non possiamo ignorarla. Quei principi di cui tutti discutiamo devono però poi trovare applicazione reale nelle politiche di una Commissione Europea che sta nascendo e che non può trascurare questo aspetto. 

Per quanto riguarda la difesa comune, invece, io torno su quello che ho detto prima, perché ne sono profondamente convinta: dobbiamo pensare seriamente a una difesa comune. L’Europa è grande ed è nata in un momento in cui era necessario garantire un mercato comune e la pace. Non sono due parole messe lì a caso. I trattati dell’Unione Europea, a cui tutti noi ci atteniamo, guidano le scelte del Consiglio d’Europa e la programmazione delle politiche europee della Commissione Europea rispetto alle varie materie dei commissari che andranno a lavorare su questi due principi. La pace è una condizione che va mantenuta anche grazie a una difesa comune, alla possibilità di stare in pace, perché la pace è prosperità. Per garantire ciò, è necessario lavorare anche sull’immigrazione e sui confini dell’Unione Europea. I confini dell’Italia, della Grecia o della Spagna sono i confini dell’Europa, e su questo non possiamo ignorare il ruolo dell’Europa. 

Quando Giorgia Meloni ha portato Ursula von der Leyen a vedere il confine europeo a Lampedusa, è stato un segnale importante. Quello è un confine europeo, ma non per scaricare la responsabilità sull’Europa, piuttosto per dire: “Lavoriamo insieme.” L’Italia fa la sua parte per quanto le compete, ma anche l’Europa deve assumersi le proprie responsabilità. Garantire la pace e una difesa comune forte, come diceva Carlo, con una serie di azioni che non siano solo di una nazione o di un’altra, ma di un’Europa unita, che prende coscienza di essere tale. Di essere tale sui grandi temi, ma che poi lasci libertà all’interno dei propri Stati membri con obiettivi ambiziosi. Dobbiamo raggiungere un determinato livello di emissioni, dobbiamo raggiungere determinati obiettivi. Bene, all’interno di un quadro generale, ogni Stato deve poter raggiungere questi obiettivi per il bene della sua economia. Ma la protezione, la pace e la stabilità generale non possono che essere garantite dall’Europa, perché la conformazione internazionale e mondiale non può più prescindere da un’Europa forte. 

In questo contesto, secondo me, le donne e gli uomini come noi, che operano all’interno di questi contesti, devono portare il loro impianto valoriale. Torno al concetto che a volte fare un passo indietro per farne due avanti non è solo un modo di dire, ma è prendere coscienza che oggi essere moderati, avere un’idea precisa e poter lavorare per il bene del nostro sistema Paese all’interno del sistema europeo è una chiave di lettura che va condivisa con questa platea e con noi stessi, per lavorare ogni giorno. Ogni giorno, ogni documento che firmiamo, ogni azione che compiamo, come diceva Nicola, deve essere orientato da questi principi tramite gli strumenti a nostra disposizione, come le direttive e i regolamenti. 

Altrimenti, se non lavoriamo per il bene comune, rischiamo di andare a Bruxelles senza un vero scopo. Io penso che il contributo che possiamo lasciare oggi a questa sessione, ma anche alla storia che verrà scritta fra qualche anno, è proprio quello di prendere coscienza della realtà internazionale e mondiale in cui operiamo, e usare gli strumenti a nostra disposizione, in linea con i nostri valori e principi, per lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo un po’ migliore di quello che abbiamo trovato. Questo va fatto con l’impegno quotidiano della politica, ma anche con l’impegno di tutto il sistema Paese, qui oggi rappresentato. 

Dellabianca. – 1:07:21 – Grazie. Onorevole Salini, quali sono questi due passi avanti che bisogna fare, come richiamava l’onorevole Sberna? 

Salini. – 1:07:35 – La forza del nostro Paese, anche dal punto di vista economico, e ciò che è accaduto dopo la Seconda Guerra Mondiale lo dimostra, ha una caratteristica che non possiamo trascurare: l’aver deciso di appartenere a una comunità più ampia. Le nostre imprese hanno iniziato a prosperare nel momento in cui siamo usciti dai confini italiani. Quindi, il primo punto per chi vuole davvero comprendere la natura della nostra forza, in particolare quella manifatturiera, è riconoscere che il presupposto su cui si basa l’arricchimento della nostra economia è stato determinato dall’essere andati oltre i nostri confini, cioè dall’aver accettato una dimensione, un orizzonte più vasto. In caso contrario, quell’orizzonte più vasto è stato poi sostenuto, talvolta ostacolato, ma molto più spesso supportato da politiche di armonizzazione. 

L’ho detto molte volte, mi occupo di industria. Se non avessimo avuto l’Unione Europea ad armonizzare gli standard tecnici, quella stessa armonizzazione di cui spesso ci lamentiamo, facendo della retorica su cose come le zucchine… Se non avessimo avuto l’Unione Europea ad armonizzare gli standard tecnici della componentistica, l’industria italiana non avrebbe esportato nulla in questi anni, e avremmo perso centinaia di migliaia di posti di lavoro se la componentistica avesse standard tecnici in Italia diversi da quelli della Germania, della Francia, della Spagna. 

Il tema concreto di cui dobbiamo discutere ha un presupposto: conoscere la nostra economia, conoscere e entrare nelle aziende, andare a vedere cosa sono, cosa fanno, che tipo di lavoro svolgono, dove lo portano, dove ci sono sbocchi di mercato e dove non ce ne sono. Il secondo punto è che oggi non basta più nemmeno l’Unione Europea. Perché oggi, per mantenere alta la competitività delle nostre produzioni e quindi un livello di sviluppo che si basa sulla manifattura (dato che in Europa non abbiamo materie prime e quindi se ci chiudiamo siamo perduti), per mantenere alto questo livello non basta più l’Europa. 

Il primo punto per cui dobbiamo chiedere un lavoro serio riguarda, ad esempio, ciò che sta accadendo oltre l’oceano, soprattutto in questa fase elettorale. Non si tratta di domandarci se sia meglio Trump o Kamala Harris. La questione è capire chi terrà uniti gli Stati Uniti all’Europa, perché senza questa unione, vince la Cina. Se non teniamo l’Europa ancorata all’Occidente insieme agli Stati Uniti, facciamo il gioco degli altri. E guardate che su questo Trump e Biden hanno commesso entrambi lo stesso errore: hanno isolato l’economia americana da quella europea. 

Quindi, il primo punto su cui dobbiamo concentrarci non è andare a fare noi la campagna elettorale degli americani; gli americani scelgono il loro presidente. Noi dobbiamo individuare le nostre esigenze. La prima esigenza che abbiamo, di cui si sono occupati anche Nicola e Carlo, che lo sanno perché collaboriamo da anni su molte di queste questioni, è ad esempio il tema della siderurgia. Fin dalla scorsa legislatura ci siamo occupati delle regole anti-dumping, delle salvaguardie, ecc. Abbiamo un enorme problema con l’extraproduzione cinese che invade i mercati mondiali, ma soprattutto quelli europei. Per affrontare questo problema specifico, l’unico schema di gioco reale, dopo esserci sfiancati con nuove regole, è avere un accordo serio su siderurgia, alluminio, ecc., con gli Stati Uniti. 

È chiaro che l’autonomia non si crea identificando modelli di falsa autosufficienza che non esistono. L’autonomia si crea creando alleanze che tutelano la tua qualità e le tue eccellenze. Questo, a mio parere, è un elemento centrale che diventa anche un metodo per affrontare l’altro aspetto del problema sollevato dal Presidente: quello della difesa, cioè della pace, cioè dell’origine dell’Unione Europea. L’Unione Europea non è nata da un impulso di tipo istituzionale; è nata dalla domanda del popolo europeo di pace. 

Allora, come è possibile costruire quelle condizioni secondo il principio autentico dell’origine dell’Unione Europea, che mi permetto di dire, come ha detto Nicola, nel pieno rispetto delle parole del collega De Caro, non è esattamente coincidente, anche se è legittimo, con il Manifesto di Ventotene? Il Manifesto di Ventotene non solo mette in discussione l’esistenza delle nazioni, ma anche l’esistenza della proprietà privata. Bisogna leggerlo attentamente e collocarlo nel contesto storico attuale, salvando tutto ciò che c’è da salvare del Manifesto di Ventotene, naturalmente. 

Il punto centrale su cui si fonda l’Unione Europea non è un’ipotesi di relazione burocratica o istituzionale. Il punto centrale è un’idea di comunità di destino intorno all’esigenza della pace. Allora, come è realizzabile oggi di fronte alla minaccia del conflitto? Abbiamo parlato di difesa comune? Bene, c’è un modo concreto di parlare di difesa comune, ragazzi: bisogna rinunciare a un pezzo di sovranità. Per avere una difesa comune, bisogna togliere gli investimenti sulla difesa dai bilanci degli Stati nazionali e collocarli nel bilancio europeo. 

Il tema del 2% del prodotto interno lordo per allinearci alle esigenze della NATO non deve essere più un problema del bilancio italiano o bulgaro, con una simmetria fastidiosa e corrosiva tra paesi che hanno condizioni differenti come Germania, Francia, ecc. Il tema è accettare una volta per tutte che il bilancio europeo non sia l’1% del prodotto interno lordo europeo, ma diventi un vero bilancio nel quale inserire non solo competenze, ma anche risorse per creare ciò che è necessario affinché l’Unione sia concreta, non sulle piccole cose, ma sulle grandi questioni. 

Allora, abbiamo il coraggio di dire che rinunciamo ad avere nei nostri bilanci le politiche energetiche, le politiche di difesa e le politiche migratorie? Le mettiamo nel bilancio europeo e accettiamo che sia il bilancio europeo a occuparsi di queste materie. In questa prospettiva, recupereremmo anche quello che, a mio avviso, è il vero spirito con cui è nata l’Unione Europea, quando si chiamava come doveva chiamarsi: non Unione, ma Comunità, cioè prima di Maastricht. Un modo sano e realistico per dire che ciò che non è stato detto poi dai trattati, ciò che diceva De Gasperi, ovvero che ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide, non è solo una bella frase, è una frase che significa che ciò che tiene insieme le persone è esattamente ciò che tiene insieme anche gli Stati, ed è quell’anelito di libertà e di pace da cui è nata l’Unione Europea. 

Dellabianca. – 1:14:58 – Grazie. Io prendo sul serio una richiesta che è emersa anche oggi, cioè che questo non è solo un compito che riguarda chi fa politica attiva, ma riguarda tutta la società civile, tutta l’opinione pubblica. Come abbiamo visto, questa discussione, che ha evidenziato differenti visioni, differenti modi anche di attuazione, ha bisogno di un contesto positivo, in questo caso il Meeting, per cui questo dialogo diventi ricchezza, perché senza un contesto positivo anche questa capacità di dialogo spesso diventa violenza, come abbiamo visto anche alle porte delle nazioni. 

Per cui, anche come Associazione Meeting, Associazione Centri Culturali, Compagnia delle Opere, vogliamo proprio accompagnare questo lavoro dei prossimi anni di chi fa politica attiva e di chi è stato eletto nel Parlamento europeo all’interno dell’Unione Europea. Per cui, iniziare a continuare questo dibattito che è stato qui, anche nei prossimi anni a Bruxelles, con il nostro coinvolgimento e la loro disponibilità per dialogare sui temi che sono fondanti, temi fondanti che aiutano anche a vedere poi come stare di fronte ai propri particolari. Di questo vi terremo aggiornati, non solo in occasione dei Meeting, ma speriamo anche durante l’anno. 

Io ringrazio ancora tantissimo i nostri ospiti, l’onorevole De Caro che si è collegato e per cui chiedo un applauso particolare perché era anche in minoranza. Facciamo, rinnoviamo gli auguri all’onorevole Picerno per i problemi familiari che le hanno impedito di essere qua e ringrazio in particolar modo anche chi è in presenza. Ricordo che, come sapete, all’interno del Meeting ci sono delle postazioni per sostenere questa iniziativa molto segnata anche dai volontari, come si ricordava prima. Segnalo che, in questo particolare momento storico, dove ci sono sempre più incognite che ci fanno chiedere come sia possibile costruire dialogo e pace, non potevamo non sentirci provocati e riaccesi da quanto ci ha detto il Cardinal Pizzaballa nel suo intervento di incontro inaugurale. 

Per questa ragione il Meeting devolverà parte delle donazioni raccolte nel corso di questa settimana per l’emergenza in Terra Santa. Ringrazio ancora tutti e tutte voi. 

Data

24 Agosto 2024

Ora

13:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Conai A2
Categoria
Incontri

Allegati