CANCELLARE CULTURE O COSTRUIRE CULTURA?

In diretta su Agi

Sergio Belardinelli, Professore ordinario di Sociologia dei processi Culturali e comunicativi, Università di Bologna; François-Xavier Bellamy, Europarlamentare, filosofo e intellettuale francese; Joseph H.H. Weiler, University Professor at NYU Law School and Senior Fellow at the Center for European studies at Harvard. Modera Andrea Simoncini, Vicepresidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS, Docente di Diritto Costituzionale, Università di Firenze.

La cultura della cancellazione, o “cancel culture” come viene chiamata, è un fenomeno inquietante e assolutamente travolgente. Con questa espressione si indica la tendenza, molto diffusa nella rete ma ormai presente anche in moltissimi ambienti sociali fisici, a rimuovere – cancellare, appunto – persone, aziende, libri, film che si considerano colpevoli di aver sostenuto valori contrari ai diritti delle minoranze, alla parità di genere, all’uguaglianza e in generale a quello che viene definito “politicamente corretto”. Dal mondo del cinema alle università, dalle scuole ai luoghi di cultura, è crescente la spinta ad eliminare pensieri e idee – e soprattutto le persone che le professano – ritenute contrarie ai principi basilari della convivenza, ai valori comuni e alle libertà fondamentali. Il paradosso è quindi che per difendere la libertà si nega il diritto di esprimersi. È il fallimento assoluto della educazione il dover “cancellare” qualcuno e qualcosa perché certe idee non si diffondano – posto, poi, che sia sempre giusto ed indiscutibile cancellarle. Per discutere di questo terribile paradosso in cui si mette a tema – e rischia di suicidarsi – la libertà contemporanea, tre personaggi di primissimo piano: Sergio Belardinelli, sociologo, Joseph Weiler, giurista e Francois-Xavier Bellamy, europarlamentare.

Con il sostegno di Gestione Cittadella e Tracce.

CANCELLARE CULTURE O COSTRUIRE CULTURA?

CANCELLARE CULTURE O COSTRUIRE CULTURA?

Domenica, 20 agosto 2023 ore: 19.00
Auditorium Isybank D3

Partecipano:

Sergio Belardinelli, Professore ordinario di Sociologia dei processi Culturali e comunicativi, Università di Bologna; François-Xavier Bellamy, Europarlamentare, filosofo e intellettuale francese; Joseph H.H. Weiler, University Professor at NYU Law School and Senior Fellow at the Center for European studies at Harvard.

Modera:

Andrea Simoncini, Vicepresidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS, Docente di Diritto Costituzionale, Università di Firenze.

 

Simoncini. Buonasera, benvenuti alla 44esima edizione del Meeting di Rimini. Allora il tema del meeting di quest’anno ormai lo abbiamo appreso è: “L’esistenza è un’amicizia inesauribile”. Oggi assistiamo ad un fenomeno, fenomeno crescente come dimensione, come intensità che sembra contestare radicalmente questa idea dell’amicizia, mi riferisco a quella che viene chiamata, comunemente, cultura della cancellazione o “cancel culture” in inglese, un fenomeno inquietante travolgente nelle dimensioni. Per chi non avesse molta familiarità con questa espressione “cancel culture” sta a dire quella tendenza fortissima sulla rete, ma che ormai travolge gli spazi fisici, gli spazi pubblici, le piazze, i luoghi di cultura, le università, i luoghi di sport. Quella tendenza a rimuovere cancellare persone o simboli di persone che si considerano colpevoli di aver espresso opinioni offensive, opinioni contrastanti con valori importanti per delle minoranze, per certi orientamenti culturali, opinioni contrastanti quel nucleo di valori che oggi viene chiamato “politicamente corretto”, “politically correct”. È un fenomeno abbastanza paradossale, cioè per difendere la libertà, per difendere valori che sono ritenuti importantissimi si cancellano le opinioni di alcuni, cioè quelli che professano idee che sono contrastanti con questo nucleo di valori, non vengono contestati, non vengono dibattuti, ma vengono eliminati cancellati. Negli Stati Uniti dove questa tendenza è cominciata prima che in altri luoghi per esempio si è cominciato buttando giù o decapitando le statue di Cristoforo Colombo, accusato di essere il simbolo di una cultura razzista o colonialista. Sono rimasto francamente impressionato leggendo l’ordinanza con cui il sindaco della capitale dell’Ohio ha ordinato di rimuovere dal Municipio la statua di Cristoforo Colombo perché, cito: “simbolo di una concezione patriarcale della società oppressiva, divisiva”. La cosa mi ha colpito particolarmente perché la capitale dell’Ohio si chiama per l’appunto Columbus, quindi hanno cancellato praticamente la loro ragione sociale. O il fatto che settimane fa anche Thomas Jefferson è stato rimosso dal City Hall di New York City, in questo caso perché accertato che Thomas Jefferson – terzo Presidente della storia degli Stati Uniti, padre della dichiarazione d’indipendenza – perché ha accertato che aveva degli schiavi. Fino a pervenire a personaggi più recenti – non soltanto della storia passata – un caso che ha avuto grande fama grande risonanza è quello di J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, donna – diremmo noi – di sinistra finanziatrice del label part inglese, schierata assolutamente contro Brexit a favore del Remain nell’Europa, ma che a un certo punto ha postato un tweet di appoggio ad un post che invece riteneva che una persona transessuale è una persona transessuale e non può essere considerata biologicamente una donna, per aver espresso questo appoggio, poi sostenuto anche in altre situazioni, è stata appunto cancellata è stata immediatamente non invitata più ad eventi sociali, addirittura agli eventi stessi degli Harrypotteriani che si vedevano tutti gli anni senza l’autrice. E si potrebbero fare tanti altri esempi non soltanto nel mondo della cultura, dello spettacolo, ma soprattutto dentro l’università, tantissimi casi sempre crescenti di persone a cui è impedito di parlare, perché portatrice di idee o di prassi ritenute offensive.

È dunque un fenomeno vasto, inquietante e sembra proprio esprimere quella epidemia di inimicizia di cui oggi ci ha parlato il Cardinal Zuppi, citando Papa Francesco, il messaggio del Papa al Meeting di Rimini: una forma di vero e proprio bullismo culturale, com’è stato definito soprattutto nel dibattito americano. Allora, per discutere di questo fenomeno, che ci colpisce tutti e soprattutto per cercare di capire su quali basi oggi noi possiamo impostare un dialogo reale tra culture diverse, tra opinioni differenti, abbiamo invitato tre ospiti davvero d’eccezione che io vi presento in ordine alfabetico. Innanzitutto, il professor Sergio Belardinelli, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bologna, pubblicista, giornalista, editorialista molto noto perché presente nel nostro dibattito interno. L’altro ospite sono particolarmente grato perché sia qui oggi è François-Xavier Bellamy che è europarlamentare eletto nel partito dei repubblicani, europarlamentare ma professore, professore filosofia e il protagonista di queste scuole di filosofia che tiene ancora e che radunano centinaia e centinaia di giovani appassionati ai temi delle domande fondamentali della filosofia. Ultimo e come si dice sempre, ma non l’ultimo il professor Joseph Weiler, che sapevamo, non si gioca, professore alla New York University Fellow tutte le più grandi università del mondo, ma soprattutto, lo ricordo, cittadino italiano e in particolare tifoso della Fiorentina, che ha vinto la prima di campionato, e quindi è particolarmente contento.

Allora io comincio dal professor Belardinelli chiedendogli proprio di aiutarci a capire meglio questo fenomeno: che origini ha, quali sono le cause, quali sono i motivi e i contesti in cui nasce.

Belardinelli. Bene grazie, stiamo parlando di cancel culture e stiamo parlando di qualcosa su cui veramente oggi è in corso una vera e propria cultural war, una guerra culturale sul concetto di cultura della cancellazione. Una guerra culturale della quale certamente sarebbe impossibile raccontare la storia nei dieci minuti che mi sono concessi, e dovrò guardare spesso da quella parte e mi limiterò a qualche cenno. Ora, è già stato detto nell’introduzione a questo incontro, è una parentesi stretta, la cultura della cancellazione, di quello che noi conosciamo come correttezza politica. Verso la fine degli anni ‘70 la sinistra americana come noto, distoglie l’attenzione dalle questioni sociali tradizionali e si concentra sui gruppi cosiddetti discriminati: le donne, neri, la comunità lgbt e incomincia un lavoro sul linguaggio tendente soprattutto a eliminare qualsiasi possibilità, che emerga il senso di questa antica discriminazione, di cui sarebbero rimaste vittime questi gruppi. È l’inizio del politicamente corretto, un fenomeno, diciamolo pure con una certa brutalità che sarebbe stato seppellito nel ridicolo con gli anni – quanto sarcasmo abbiamo riversato sul fenomeno – sarebbe stato seppellito forse sarebbe finito un pezzo, se non fosse ora arrivati i social. Con i social ha ripreso vigore quello spirito e non solo ha ripreso vigore, ma direi è diventato molto più aggressivo, assumendo proprio i caratteri, che grosso modo diceva chi ha parlato prima di me, Andrea, di una cultura della cancellazione. La cancel culture è figlia di questo tempo e non si riuscirebbe a capire, la cancel culture, senza pensare a ciò che è cambiato nella comunicazione con l’avvento dei nuovi media, dei social media. Ecco, ora quello che è interessante però di questo fenomeno è che col tempo, è nato sicuramente a sinistra interessa principalmente la cultura liberal americana, ma non soltanto quella americana o inglese e soprattutto non soltanto, dal mio punto di vista, la cultura liberal anche la cultura conservatrice. Se penso alla campagna politica di Donald Trump tende ad assumere questi tratti aggressivi, questa rivendicazione tronfia di identità, che contraddistingue – è una caratteristica che enfatizzo se ne potrebbero enfatizzare molte altre – che comunque contraddistingue di sicuro la cancel culture, sia a sinistra infatti vediamo il fanatismo di questo o quel gruppo che si sente discriminato e quindi cerca un’affermazione fanatica di sé, anche a destra vediamo utilizzare tra l’altro la religione, la cultura come un modo per affermare una qualche identità. Accade non soltanto in America e accade, ripeto, in un modo che comincia a destare qualche preoccupazione, perché si sta verificando quello che un autore, a me molto caro, un filosofo che si chiama MacIntyre negli anni ’80, all’inizio degli anni 80, aveva già indicato come un pericolo serio per tutte le nostre liberaldemocrazie e cioè che il dibattito pubblico possa trasformarsi, cito parole sue, “in una guerra civile condotta con altri mezzi”. La cancel culture, secondo me, è un’espressione paradigmatica di un dibattito che tende ad assumere sempre di più i caratteri di una guerra civile condotta con altri mezzi. Ora, una domanda che potremmo porci, anche se difficilmente riusciremo a dare una risposta, è come è potuto accadere tutto questo, perché credo che i nostri dibattiti pubblici nell’occidente soffrano davvero di questa malattia, ed è una malattia grave. Come è potuto accadere che, per esempio, i fanatici della cancel culture potessero avere tanto successo? Ora secondo me, con molta leggerezza, possiamo dire che alla base dei favori che questo movimento riscuote c’è sicuramente, ci sono sicuramente anche le obiettive discriminazioni di cui sono rimasti vittime quei gruppi a cui fanno riferimento: in particolare i neri, in particolare le donne, negarlo sarebbe semplicemente disonesto. Voglio dire, potremmo anche imparare qualcosa dai cancellatori della cultura. D’altra parte Walter Benjamin, uno che la sapeva lunga, invitava sempre a fare il contropelo alla storia, a vedere tutto sommato le ambivalenze a volte anche le tragedie oltre le ingiustizie, che si nascondono dietro i nostri monumenti – perché no, non bisogna aver paura di dirlo. Il fatto è che nella versione dissolutiva della cancel culture, non troviamo niente di tutto questo, lì troviamo un’affermazione, direi quasi c’è quasi una aspirazione alla sanitarizzazione della storia, un’aspirazione a restituire il passato a una e a una sola dimensione e questo non va bene. Questo non va bene e va ancora meno bene se tutto questo lo si fa con una volontà diciamo rimozione di tutto ciò che non è conforme a ciò che noi vorremmo. Ora dicevo, com’è potuto succedere tutto questo? In un minuto e mezzo, io dico che, sicuramente sullo sfondo a preparare il terreno c’è quello che, alla fine degli anni settanta sempre, Christopher Lash e lo stesso MacIntyre, uno aveva denunciato, Lash, il famoso libro la cultura del narcisismo – la cultura del narcisismo di cui parla Lash è veramente una delle principali condizioni di possibilità dell’affermarsi di questa cancel culture -, così come l’emotivismo morale di cui parlava MacIntyre, l’idea che ciò che è giusto, debba il criterio del giudizio di ciò che è giusto, debba corrispondere a ciò che io sento come tale. Ecco questi sono presupposti che lo sappiamo tutti, specialmente al Meeting queste cose si conoscono molto bene, hanno contribuito ad erodere i fondamenti un po’ della nostra cultura occidentale più di tante altre cose. Se ne sono accorti, e concludo, anche a sinistra, perché nel 2019 nella Harper’s Magazine, 150 intellettuali, la maggior parte dei quali di sinistra, denunciavano appunto la preoccupazione che oramai il dialogo venga reso impossibile. Attenzione perché stiamo prendendo una brutta piega, quando si è stanchi di dare cattivo esempio si incomincia a fare la morale, ma comunque va sempre bene, concludo,

Simoncini. Grazie, professor Berardinelli, perché davvero ha fotografato tanti degli aspetti genetici e il tempo è stato perfetto, anche perché, voi non lo sapete, ma qui ci stanno dei numeri più grandi della sala che ci segnalano i tempi, ma non li segnalano al moderatore, questo è quello che sta pensando di professor Weiler, tra un po’ interverrà. Stavo dicendo è verissimo che c’è questa sorta di clima di guerra che è terribile dircelo in questi giorni, in questi in questi ultimi tempi in cui è come se fosse uscita dai campi di battaglia e fosse entrato dentro, lo stiamo respirando dentro il clima culturale in cui viviamo normalmente, ma volevo passare la parola al professor Bellamy dal suo punto di vista sia di professore, molto impegnato nel mondo della Cultura e dell’Educazione, ma adesso di europarlamentare e quindi anche nell’istituzione politica, qual è il suo punto di vista su questo fenomeno, cause e dimensioni.

Bellamy. Buonasera, grazie mille per la vostra accoglienza, mi dispiace di non parlare bene italiano, allora devo parlare francese. Vorrei ringraziarvi nuovamente per questa calorosa accoglienza e ringrazio anche le interpreti che mi consentono di parlare con voi. Professore lei ha spiegato davvero in modo magnifico l’entità di questo fenomeno e anche le sfide della cancel culture. Qualche giorno fa ha incontrato una stagista, che viene dagli Stati Uniti ed era in visita al Parlamento Europeo, le ho chiesto che cos’è la cosa più difficile nell’università americana e mi ha detto: “Beh, per me la cosa più difficile è appunto non essere vittima di questa cultura della cancellazione perché è molto facile, molto semplice basta fare un errore o dire qualcosa che potrebbe offendere qualcuno” e riconosco questa difficoltà anche nel mio lavoro. I miei colleghi professori in Francia in un sondaggio pubblicato qualche settimana fa, hanno dato questi dati: più di 50%, 52% dichiara di autocensurarsi durante le lezioni per timore di offendere qualche studente rispetto alle loro credenze, alle loro idee. Quindi i professori si autocensurano, proprio evitano di doversi confrontare con questa cancel culture anche quando non viene chiamata con questo nome e quindi si trattengono dal dire cose. Bene, oggi anche nel dibattito pubblico quando si fa politica sapete che la cosa più importante, innanzitutto, è evitare quelle parole che potrebbero, così inavvertitamente, andare contro il politicamente corretto e potrebbero anche portare fine a una carriera politica.

Ma da dove viene questa cultura questa cancel culture? Lei ha citato, professore, proprio questa sorta di analisi continua, che si fa la storia. Ricordo quando io stesso ero studente di filosofia, ricordo di aver letto un libro pubblicato da un’università americana, “Justice Gender and the Family” quindi, “Giustizia, genere e la famiglia”, questo libro diceva che bisognava smettere di leggere Aristotele perché Aristotele era misogino e non attribuiva nella città lo stesso ruolo a uomini e donne e inoltre, cosa spaventosa, Aristotele giustificava la schiavitù nella politica, e mi pare che appunto questo gesto alla base abbia una mancanza di umiltà. Quando leggo il terzo capitolo del primo libro della politica di Aristotele, in cui lui giustifica l’esistenza della schiavitù, dicendo che alcuni uomini sono schiavi per natura, ebbene, la prima cosa che mi dico è, che io, quindi, devo stare attento e bisogna che io, come essere umano stia attento, perché se uno spirito così straordinario come quello di Aristotele, una mente così lucida in grado di elaborare la metafisica, di gettare le basi della fisica occidentale, di sviluppare una visione politica, che vale ancora oggi nelle nostre istituzioni, ebbene Aristotele che aveva appunto studiato il funzionamento delle stelle e della natura degli animali, se un uomo tale può commettere errori tali, allora anch’io posso sbagliarmi e credo che quindi abbiamo bisogno di un atto di umiltà, prima di tutto, un atto di umiltà che sia anche un atto di riconoscimento. Io non sono, per così dire, il depositario della verità e il termine di paragone della verità e quindi questa mancanza di umiltà, che come lei ha detto giustamente, ha per così dire abbrutito il dibattito politico; quindi, quando io mi sento offeso da qualcuno, posso cancellarlo. Ma questa mancanza di umiltà viene da un tratto caratteristico profondo del dialogo civile nei nostri paesi che si basa sul relativismo. Quindi quando ancora ero studente di filosofia, ricordo di Ratzinger, che non era ancora Papa, ma aveva parlato della dittatura del relativismo e avevo trovato a titolo personale che forse un termine un pochino eccessivo, perché noi sappiamo che cos’è una dittatura e avevo l’impressione di non vivere in uno stato di oppressione come quello in cui vivono le persone che sono soggette ad avere una dittatura. Ma poi, a poco a poco, quando sono diventato professore e in particolare professore di filosofia, ho cominciato a incontrare gli studenti, ricordo che ogni anno cominciavo il mio corso affrontando il tema della verità perché, se la filosofia consiste nel cercare la verità, bisogna prima definirla: che cosa si cerca? Che cos’è la verità? Perché, come si fa a trovare qualcosa, cercandola se non si sa che cos’è, e chiedevo ai miei studenti come definiresti la verità, e ho fatto questa domanda decine di volte e il primo studente che alzava la mano diceva: “beh la verità dipende dalle persone” e non era nemmeno una risposta questa. E’ come se io avessi detto che cos’è un’automobile e qualcuno mi avesse risposto che le persone hanno auto diverse. E’ semplicemente un modo di proteggersi, perché noi abbiamo paura dell’idea di verità e poi cerchiamo di sviluppare, argomentare e a poco a poco si arriva appunto a questo primo principio della logica, quello di non contraddizione (formulato proprio da Aristotele fra l’altro). In modo banale, dice Aristotele, che una porta può essere o aperta o chiusa; se parliamo della stessa porta e siamo certi che diamo alle parole lo stesso significato, se ora in questa stanza guardando tutti la porta uno pensa, che sia aperta e l’altro pensa che sia chiusa, allora non possiamo dire che tutti hanno ragione; per forza, uno ha torto. Questa idea sembra essere il punto di partenza dell’intolleranza assoluta, il punto di partenza quasi di ogni guerra di religione. Spesso ricordo che gli studenti mi dicevano: “Beh professore ok, va bene per la porta, ma Dio?” Beh, è molto semplice, se qualcuno in questa stanza pensa che Dio esista e qualcun altro invece pensa che non esista, ebbene, se siamo certi di attribuire alla parola di Dio e al verbo esistere lo stesso significato, allora non è possibile che tutti abbiano ragione contemporaneamente. E questo sembra un atto di intolleranza quasi scandaloso, quasi sono intimorito ad esprimere questa idea qui di fronte a voi addirittura. Eppure, questo invece è il principio di ogni dialogo perché, se tu pensi che Dio esiste e io penso che non esiste, allora è importante parlarsi scambiare. Ed è da qui che arriva l’atto di umiltà di cui abbiamo disperatamente bisogno: colui che crede profondamente in quello che dice non è manchevole di umiltà, colui che crede davvero in quello che dice non vuole ridurre l’altro al silenzio. Volere che l’altro taccia, in un certo senso, significa affermare che non si crede davvero profondamente in quello che si afferma perché, se sono così fragile da non essere nemmeno capace di ascoltare un’argomentazione che sembra contraddirmi, significa che io non ho sufficiente fiducia nelle mie idee e che non ho nemmeno fiducia, non solo in me stesso, ma nemmeno nell’altro. Inoltre non ho l’umiltà di riconoscere che l’altro forse potrebbe insegnarmi qualcosa, qualcosa che potrebbe aiutarmi a capire e quindi è da qui che può scaturire il miracolo del dialogo. La cancel culture deriva da questa incapacità ad essere umili e quindi da questo relativismo. Quindi se io dico questa è la mia verità, questa è la sua verità, quella è la loro verità, ebbene ciascuno ha la sua verità e siamo come delle bolle di certezza che però rimangono lontane, incapaci di incontrarsi e quindi la verità dell’altro diventa intollerabile per me, non voglio nemmeno ascoltarla, non accetto nemmeno che esista nel mondo. Ma se noi, invece, accettiamo di non mettere più un aggettivo possessivo davanti alla parola verità, accettiamo che quindi la verità è un bene comune verso cui tutti cerchiamo di progredire, di andare, è quello che stiamo cercando, quello verso il quale siamo tutti in cammino, allora posso essere predisposto ad ascoltare l’altro, l’altro che poi si potrebbe insegnarmi qualcosa, che potrebbe aprire il mio sguardo alla ricerca della verità.

Pascal quando parla appunto di Aristotele, Blaise Pascal, che all’epoca aveva poco più di vent’anni, aveva appena fatto un’esperienza, che grazie a Torricelli fisico italiano, riesce a dimostrare che esiste il vuoto in natura. Tutti i ricercatori dell’Università dicono la natura ha orrore del vuoto, non si può e questo l’aveva firmato Aristotele, non si può avere ragione contro Aristotele. Ebbene, lui ha risposto: “Ma è proprio per l’umiltà che ho verso Aristotele che mi porta a voler portare avanti il suo lavoro, io mi sento piccolo, io sono un nano e Aristotele un gigante, ma io voglio montare sulle spalle del gigante e in questo modo cercare di vedere più lontano di lui”. E questa metafora veniva da ben oltre, con questa metafora Pascal mostra che grazie a questo atto di umiltà non si nega la propria libertà, al contrario si può appunto non annullare gli altri, non cancellare gli altri, ma bensì, per così dire, basarsi sugli altri anche sui loro eventuali errori, perché in questo modo, quindi intrattenendosi parlando e ascoltando gli altri forse si può andare più avanti. Quindi questo atto di umiltà è un atto di riconoscimento, ed è la conditio sine qua non per la conoscenza e appunto si basa su un prerequisito fondamentale che è proprio la rottura con il relativismo. La pretesa che il relativismo ha, invece, è di farci credere che noi ci appropriamo della verità, dobbiamo invece accettare l’incapacità di possedere la verità per poterla invece cercare insieme e quindi portando avanti un’amicizia che proprio anche il tema al centro del Meeting di quest’anno.

Simoncini. denso, estremamente denso e intenso quello che ci ha detto il professor Bellamy questa disperato bisogno di umiltà. La verità non la si possiede, ma siamo posseduti dalla verità. E allora veniamo al professor Weiler. Professor Weiler, ma qual è il rapporto cancel culture nella tua esperienza.

Weiler. grazie. Nei primi dieci minuti, vorrei dare, se posso vediamo anche il tempo, sette episodi di cancellare e lo scopo è far vedere che è molto complesso, che si dice a cancellare tremendo orribile cultura, a volte sareste anche voi in favore di cancellare. Quattro di questi episodi sono personali. Il primo: vent’anni fa, 2003, la prima volta che sono venuto al Meeting, vi rendete conto è la ventesima volta che vengo, oramai vecchio bacucco, ho presentato il libro l’Europa Cristiana; era una edizione provvisoria che una tipografia in Sicilia ci ha lavorato anche Ferragosto per poterlo presentare al Meeting e poi naturalmente l’ho mandato a case editrici in Italia e altri paesi. Feltrinelli mi ha risposto no, questo libro non possiamo pubblicarlo, non è nella linea editoriale di Feltrinelli. In Germania nessuna casa editrice voleva pubblicarlo (Suhrkamp e altri), in Francia Sert ha detto possiamo pubblicarlo, ma deve mettere un punto interrogativo non “l’Europa Cristiana” ma “l’Europa Cristiana?”. Sono scemi, perché questo libro è stato tradotto in nove lingue era un best seller incredibile. Però questo per me è un esempio molto facile perché è un tradimento accanito della tradizione accademica se qualcuno non è mica una negazionista è un argomento che se a qualcuno non piace può scrivere una recensione dire Weiler è uno scemo, un idiota (e c’erano delle recensioni che hanno detto proprio questo), però di rifiutare di pubblicarlo, perché non è nella linea editoriale, mi sembra un esempio facile di cancellare chi non è accettabile. Secondo episodio, stranamente anche connesso con il Meeting, vi ricordate che dieci anni fa ho fatto una mostra fotografica: c’erano 28 fotografie, 14 di luoghi e 14 di persone e la ragione di essere di persona, momento di dignità umana, far vedere persone in tutto il mondo dall’Australia all’Italia e alcune persone importanti, alcune della strada e tutti hanno dignità umana. Questa mostra è stata esposta in alcuni paesi e finalmente è arrivata alla mia università. Dopo qualche settimana il preside è venuto nel mio ufficio e mi ha detto di togliere una fotografia, (viene mostrata la foto sul video, foto che ritrae quattro giovani ragazze) Ecco, per me questa è la nuova Polonia, sono quattro ragazze nella Piazza Pilsudski a Varsavia e si vede una nuova Polonia libera, forte ecc. Ma a qualcuno non piaceva questo foto e hanno domandato di toglierla. Perché vi faccio questo esempio? Per far capire quanto era difficile per il preside, perché io gli ho detto: “Grazie mi hai fatto famoso; dopodomani sarà nella prima pagina del New York Times” e lui mi ha detto: “Joseph, non farmi questo, non posso vincere: se insisto di mantenerlo saranno guai; se lo tolgo sempre guai”. Gli ho detto: “Tranquillo, non vado, però ho tolto tutta la mostra”. Gli ho detto: “Se non c’è questo foto non c’è neanche la mostra”. Terzo episodio vediamo l’altra foto: questo è un quadro del mio appartamento a Madrid. Io stavo in riunione con la commissione dirigente di un’istituzione molto importante a Berlino, alla Humboldt e quello senza volerlo era il background; dopo la riunione il direttore dell’Istituto mi ha detto “Weiler, la prossima volta non può avere questo come background”. Ho detto: “Grazie” e ho dato immediatamente le mie dimissioni. Perché? Si può capire che poteva offendere qualcuno, anche se la pittrice era una femminista accanita, una pittrice spagnola molto, molto importante e ha fatto proprio dal punto di vista femminista. Ma quello che non mi è piaciuto di questo esempio è come l’hanno fatto: senza domandare, senza chiedere, senza cercare di capire, semplicemente con un email di due righe, cancellato, ho dato le mie dimissioni.

Poi vorrei dare due, tre esempi che non sono personali per far vedere situazione complesse. A Kiev c’era un viale Puskin il famoso poeta russo. L’anno scorso in Ucraina hanno tolto, hanno cancellato questo viale Puskin e gli hanno dato un altro nome, perché Puskin nella sua poesia era avvocato dell’imperialismo Russo, come Kipling con l’imperialismo inglese. Ora in questo caso lo trovo difficile perché ho empatia per ucraini, perché addirittura Putin usa nei suoi discorsi attuali il Puskin per far mobilizzare la gente russa. Pensate voi cancellare o non cancellare? Non c’è una risposta facile in questo episodio. Prossimo episodio ancora più difficile il famoso fotografo americano Mapplethorpe ha fatto una fotografia molto, molto famosa, notoria. In questa foto c’era Gesù sulla croce dentro una bottiglia e nella bottiglia c’era la urina di Mapplethorpe. Va bene, andate in un museo privato, libertà artistica eccetera, ma poi la Fondazione di Arte Americana, cioè un ente pubblico americano finanziato dal popolo americano, gli ha dato un premio. C’era una contestazione enorme: la libertà artistica va bene, può mostrarlo; ma perché noi cittadini americani dobbiamo premiare questo foto di Gesù nell’urina del fotografo? Voi da che parte sareste? Togliere il premio o mantenerlo? Delicato, non è facile.

L’ultimo esempio che voglio fare. Ricordate quella cosa tremenda di Marzabotto: settecento innocenti assassinati dai nazisti, c’erano due ufficiali tedeschi, che erano al controllo di questa faccenda terribile, di questo crimine. Ora facciamo un’ipotesi: immaginiamo che nel paese di uno di questi ufficiali – per esempio quello austriaco -, decidono di onorare questo ufficiale e mettere una scultura di questo ufficiale e c’è una protesta della gente che dice che è impensabile onorare quel nazista, quel crimine, bisognerebbe cancellare, togliere questa statua. Da quale parte sareste voi? Con la libertà o di quelli che vogliono cancellare? Nei prossimi dieci minuti, che avrò vorrei proporre alcuni modi di pensare su queste dinamiche di cancellazione. Grazie.

Simoncini. ringrazio in particolare il professor Weiler perché come sempre ci aiuta, ci sarebbe un modo di affrontare il tema della cancel culture che paradossalmente potrebbe usare lo stesso metodo, cioè cancellare quelli che cancellano. E invece ci hai aiutato con questi esempi a capire che comunque occorre una presa di posizione, quell’umiltà di cui parlava prima il professor Bellamy, è sempre qualcosa che si gioca dentro una libertà di accettare, dentro la libertà che si muove per accettare o non accettare ciò che la contrasta. E quindi non vogliamo proporre un metodo formale per risolvere questo problema. Allora comincerei questo secondo giro proprio su questo. Tornando al professor Belardinelli, date le cause, approfondendo quali sono le ragioni profonde di questo malessere che si esprime così, intanto quali sono, qual è la prospettiva? Quale può essere una posizione capace di recuperare un dialogo a fronte di questo conflitto?

Belardinelli. credo che la risposta alla domanda sia in quanto ha detto Bellamy nel suo intervento, Credo che il tema della verità sia esattamente il tema sul quale si gioca il nostro atteggiamento anche nei confronti della cancel culture. Hai detto bene: bisogna evitare che si assuma nei confronti della cancel culture un atteggiamento cancellatore a sua volta. Cos’è che ci aiuta a non cadere in questo errore? Il modo giusto di intendere la verità. Diceva Kant che un pizzico di verità si trova anche nell’opinione più stravagante, che può trovar credito tra gli uomini. Questo non deve essere un argomento per accettare tutto, ma è un argomento per mettersi in una posizione – mi verrebbe da usare una parola che va di moda – inclusiva nei confronti della diversità, senza essere relativisti. Un timore che almeno io ho a leggere, per esempio, anche certe prese di posizione ad una certa cultura liberal nei confronti della cancel culture è che, dopo aver festeggiato l’ingresso nell’era della post-truth – parola dell’anno Oxford Dictionary 2016 – dopo aver celebrato questo, una certa cultura abbia all’improvviso scoperto che ci sono in giro personaggi – Putin, Trump – che usano i social in un modo rispetto ai quali forse l’unica arma che sia per fronteggiarlo è proprio il discorso razionale, la realtà e in ultimo la verità. Il timore è che, avendo scoperto questo, magari si incomincia ad usare la verità in modo dispotico, quasi che abbiano, per esempio diritto di cittadinanza, nello spazio pubblico, solo le opinioni vere, almeno da liberale un po’ all’antica, dico subito che questo non mi piace. Ci sono ragioni politiche, che mi inducono a pensare che non è bene che questo accada e ci sono anche ragioni più nobili, filosofiche, che ha già detto Bellami prima di me. Le ragioni politiche le sintetizzo in una specie di slogan – per me perché lo vado dicendo da vent’anni – in una comunità di liberi e uguali e molto meglio un errore condiviso che una verità imposta con la forza. Questa è la ragione per cui politicamente sono sempre molto diffidente quando sento un eccesso di foga nel voler liquidare anche le posizioni più stravaganti, che trovano credito nel dibattito pubblico. Ci vuole una certa calma, bisognerebbe prendere molto sul serio quell’idea di dignità che sta alla base della cultura politica dell’Occidente e che forse dobbiamo tenerci cara, perché è quell’idea di dignità che ci fa dire, quello che ho detto prima. Perché decidiamo a maggioranza? Non perché la maggioranza ha ragione, ma perché in una comunità di liberi uguali e molto meglio un errore che una verità imposta, in una comunità di liberi uguali nessuno ha diritto ad imporre la verità contro la volontà degli interessati, quindi un uso prudente della verità. Quanto cancel culture ho visto che il fronte sul quale essa manifesta soprattutto la sua virulenza è il fronte della storia, della riscrittura della storia. Ho già detto prima, io credo che da certe esasperazioni si possa imparare molto, perché la grandezza, l’eccezione americana viene certo dalla luce che promana da quella collina, ma un po’ forse la potremmo acquisire anche pensando alle piantagioni, non dimenticherei quel tema, si può imparare, l’importante è farlo con lo spirito giusto, l’importante è farlo con uno spirito di umiltà, con una disponibilità a imparare dall’altro a imparare anche a ricordarci ciò che per una ragione o per un’altra abbiamo dimenticato o abbiamo rimosso. Quindi, siccome è questo il fronte sul quale si gioca, sul fronte della storia, la verità è sempre molto, molto duttile non c’è mai un’unica e un’unica interpretazione vera di un fatto. I fatti hanno sono molto politici rendono possibili molte interpretazioni, assecondano molto persino la nostra libertà, la nostra sensibilità, siamo liberi di vedere le cose dal punto di vista che ci piace di più. Quello che non possiamo fare è stravolgere la realtà, quello che non possiamo e non dobbiamo fare è appunto mentire intenzionalmente come diceva la mia amata Hannah Arendt: “Il contrario del vero – quando parliamo di fatti storici – non è mai falso è la menzogna intenzionale”. Ecco allora se questo è l’atteggiamento che bisogna, che dovremmo assumere, è evidente che anche rispetto alla cancel culture forse dobbiamo avere quello spirito che indicava prima il professor Weiler: non possiamo fare delle nostre verità l’a-priori di giudizio della storia. Come diceva Carr l’accuratezza per lo storico è un dovere non è una virtù, è il dovere che abbiamo di fronte alla realtà. Questo mi pare diciamo un possibile orientamento per districarci anche nella foga, nell’aggressività dei cancellatori culturali, che come ho detto sono un po’ presenti a tutte le latitudini, ci sono un po’ dappertutto. Concludo con una nota: l’esistenza umana è un’amicizia inesauribile è il tema del Meeting. Ora, sull’amicizia Aristotele dice una cosa molto bella la raccomandava ai politici, perché è più importante l’amicizia della giustizia – e lo diceva ai politici – perché, quando si è amici non c’è bisogno di giustizia, mentre quando si è giusti c’è ancora bisogno d’amicizia, una società ha ancora bisogno d’amicizia nonostante la giustizia. Ecco lo dico molto sommessamente, ma l’antidoto più forte anche ai fanatismi, agli emotivismi identitari della cancel culture, l’antidoto più forte a tutto questo è precisamente lo spirito di verità e l’amicizia. Questo è quanto, secondo me, possiamo trarre pensando a questo fenomeno piuttosto preoccupante.

Simoncini. Grazie. Professor Bellamy.

Bellamy. Per cominciare a rispondere a quello che ha appena stato detto da chi mi ha preceduto, posso dire che per tornare agli esempi che lei ha citato, vorrei tornare all’ultima domanda che è a posto. È chiaro che ci sono momenti in cui anche il diritto che si sa molto tempo e che tutela la libertà può condannare qualcuno, quando ha fatto qualcosa nello spazio pubblico, ha detto qualcosa che offende la dignità dell’altro. E credo che in alcuni casi sia necessario imporre di ritirare un insulto gratuito o un’affermazione menzognera, perché la verità, la vera verità – e anch’io sono liberale – la vera libertà implica la responsabilità e la responsabilità consiste nel fatto di cercare di rispondere anche di quello che si dice che si afferma. Non si tratta soltanto di rivendicare il diritto di dire qualsiasi cosa, insultare chiunque, e quindi utilizzare il pretesto di una lotta contro la cancel culture in nome di una libertà irresponsabile. Quello che vogliamo difendere qui è una libertà che inneschi un dialogo, che sia predisposta alla risposta dell’altro alla ricerca della risposta, che non sia volta a prevaricare sull’altro ma a convincerlo e per convincere l’altro bisogna avere una conservazione, per convincere l’altro occorre riconoscere che la libertà ultima si trova proprio in questo santuario che la coscienza che non va violata; io non posso mai obbligare l’altro a credere a pensare a quello che io dico, perché lui stesso non può obbligarsi a credere quello che io dico, anche se lui lo volesse, ma se non crede in quello che Io affermo non può crederci; se io desidero che l’altro condivida le mie convinzioni io devo convincerlo, oppure sono io che devo lasciarmi convincere da lui; è questa è la libertà che difendiamo. Ma insistere su un aspetto che mi pare davvero essenziale. Mi sembra che la prima virtù che ci servirà nei mesi e negli anni a venire sia il coraggio, abbiamo bisogno di coraggio e abbiamo bisogno di persone coraggiose. La libertà non indietreggia mai, perché anche se tanti cercheranno di combatterla ci saranno sempre delle minoranze, che a volte devono proteggerla perché a volte la vigliaccheria della maggior parte potrebbe mettere in pericolo la libertà; noi invece dobbiamo difendere la libertà, noi tutti qui a volte siamo tentati forse dalla vigliaccheria; invece noi abbiamo bisogno di coraggio, coraggio anche verso noi stessi perché uscire dal relativismo significa lottare per le proprie opinioni, quindi sostenerle. Che cosa serve andare all’università se non si è disposte ad essere offesi, se non si è disposti ad ascoltare qualcosa che può scioccare il vostro pensiero, ebbene lo dico chiaramente a tutti gli studenti qual è lo scopo di andare all’Università, si va all’Università per conoscere qualcosa che non si conosce, si va all’Università per apprendere qualcosa che non è sotto gli occhi immediatamente. Immaginiamo che vogliate studiare astronomia e magari iniziato il corso dicendo al professore: “Beh, professore nel mio sistema di pensiero Io credo che la terra non si muove, che siano gli altri pianeti che intorno ad essa, io sono tolemaico e quindi lei professore non può offendermi nei miei convincimenti, perché quando mi viene detto che la terra gira, io sono profondamente turbato” e allora il professore può dire “Lei forse è pronto a studiare poesia e non astronomia, se lei vuole studiare astronomia se è uno scienziato deve cominciare rinunciando alle sue opinioni, i nostri occhi ci dicono la terra è immobile noi dobbiamo lottare contro noi stessi per avanzare verso la verità”. Abbiamo in un’opera di Platone un dialogo con Socrate, sapete che Socrate è sempre molto ironico e fa delle domande ironiche al suo interlocutore, a Gorgia, e Gorgia risponde a Socrate “Io ora mi taccio, basta non voglio più parlare” e Socrate gli dice “Ma che genere di uomo sei?”. Socrate dice: “Io sono un uomo che ama essere anche respinto, se mi viene dimostrato che io mi sbaglio, io sono contento che mi venga contrapposta una verità che mi si dimostra che stavo facendo un errore, amo che gli altri mi dimostrino che ho torto” – questo dice Socrate a Gorgia – “Mi piace anche far notare agli altri quando si sbagliano, quindi amo essere confutato ma siccome sono anche un po’ egoista preferisco comunque essere corretto che correggere”. La vita politica sarebbe davvero molto più bella se all’interno di un dibattito si fosse in grado di dire a chi ci sta contraddicendo, la ringrazio perché grazie a lei ho capito che mi stavo sbagliando su questo punto. In questo modo si ritroverebbe quella amicizia civile, civica, si ritroverebbe il senso del dibattito pubblico, invece di avere persone che vogliono vincere a tutti i costi, sono lì per convincere oppure per essere convinte. Ma per fare tutto questo occorre coraggio e occorre anche coraggio verso sé stessi. Il relativismo è molto molto comodo, uno ha la propria verità e la si protegge contro tutti, vengono cancellati tutti quelli che non la pensano come voi e vivete nel vostro piccolo mondo di certezze. La lealtà intellettuale, il riconoscere la verità come il luogo comune che ci riunisce, ebbene tutto questo richiede coraggio ed è la condizione anche semplicemente per poter imparare. Io sono forse in disaccordo col titolo di questo dibattito, quindi “cancellare culture o costruire una cultura?”. Io credo che la vera risposta alla cancel culture non stia nella costruzione di una cultura, bensì nella ricezione di una cultura. Cioè riscoprire che cosa significa trasmettere e ricevere una cultura, è quello che ho cercato di esprimere in un libro che ho scritto sulla crisi della scuola in Francia – “I diseredati” -, una crisi che credo sia non solo in Francia ma in tutta Europa, questa crisi deriva dalla mancanza di coraggio e il coraggio consiste anche nel coraggio di rispondere agli altri e in particolare di rispondere anche a questa tentazione rappresentata dalla cancel culture; per combattere il relativismo con coraggio. Per rientrare in politica oggi, il mio amico Lorenzo Malagola con cui ho parlato a lungo di questo e che è qui, ebbene lo sa che ci vuole coraggio per entrare in politica oggi, ma siamo un po’ tutti i politici perché siamo tutti i cittadini, siamo tutti depositari del dibattito pubblico e della democrazia. Ecco perché nelle nostre attività nelle nostre famiglie, nelle nostre relazioni di amicizia a volte dobbiamo essere in grado di dire che noi rifiutiamo questo relativismo e anche in cose molto semplici, lei ad esempio parlava di J.K. Rowling, oggi dire quello che ha detto lei dire che c’è una differenza biologica tra uomini e donne, sembra presupporre una certa dose di coraggio e in molti contesti diventa difficile, nel dibattito pubblico è difficile, ma anche nei dibattiti al parlamento è difficile, ma occorre assolutamente essere in grado di farlo ogni qualvolta è necessario. Il relativismo consiste nel rifiuto a voler vedere la realtà. Charles Peguy su cui c’è una bellissima mostra, ha detto una frase bellissima: “bisogna avere il coraggio di dire ciò che si vede, ma soprattutto bisogna avere il coraggio di vedere quello che si sta vedendo, di ciò che si vede”. È di questo coraggio che abbiamo bisogno oggi e questo mi fa pensare anche alcune righe di Chesterton che sono proprio a chiosa di Ortodossia. Ringrazio anche le interpreti che ci hanno aiutato mi scuso per non aver dato loro un testo su quanto sto per dire e quindi forse sarà difficile tradurre la citazione testualmente, ma nelle ultime righe Chesterton scrive: “Tutto sarà negato e tutto diventerà una credenza, un credo e quindi, si cercherà di affermare che l’erba è verde in estate, saranno accesi dei fuochi per poter dimostrare che due più due fa quattro e quindi saremo portati a difendere non solo le grandi virtù dell’esistenza umana, ma anche qualcosa di ancora più incredibile, l’esistenza stessa di questo meraviglioso e impossibile universo a cui ci dobbiamo confrontare. Contempleremo l’erba impossibile e saremo animati da un credo e saremo tra coloro che hanno visto e che comunque hanno creduto”. Quindi saremo tra chi ha visto e che comunque ha creduto. Credo che questo sforzo, questo coraggio, questo lavoro siano proprio le cose che ci aspettano, che ci seguono oggi e che sono anche alla base della bella amicizia, che ci riunisce in questo intorno a questo compito fondamentale di ricerca della verità, tentando di proteggere il senso di meraviglia che ancora oggi può suscitare. Quindi questa ricerca che dobbiamo appunto preservare anche per le generazioni future. Grazie mille.

Simoncini. Grazie davvero. Professor Weiler.

Weiler. È la libertà di espressione un diritto fondamentale, ma c’è un altro più importante, il diritto di avere la cena in tempo. Purtroppo devo deludervi perché dopo questi esempi cominciando con il primo che era chiaro che era un cancellazione del tutto non giustificata – Feltrinelli – e dall’altra parte l’esempio ipotetico Marzabotto – e penso che la maggior parte saremmo d’accordo che in questo caso sarebbe giustificato cancellare -, i problemi sono non estremi, ma la media e qui quello che posso dare è un modo di pensare alcuni parametri che possano aiutarci, però condivido con i due miei colleghi il buon senso, la ragione è un principio e il coraggio, importantissimo. Aggiungerei alcune note a questo. Per me il punto di partenza è Voltaire: sono assolutamente contrario a quello che tu dici, ma difendo alla morte la tua libertà di dirlo; cioè prima di cancellare bisognerebbe pensare di avere ragioni molto importanti di cancellare anche se ci offende la persona, l’opera d’arte, il libro, la poesia. Perché la libertà d’espressione è solo valida quando proteggiamo l’espressione che ci offende che non ci piace che siamo contrari. Per me questo è il punto di partenza. Secondo, come abbiamo sentito, a volte la domanda di cancellare viene da una minoranza e dobbiamo avere empatia se siamo nella maggioranza, cercare di metterci nei panni di quelle minoranze, e a volte anche se non per rispettare le minoranze, per rispettare bisognerebbe pensare che ci sono casi, che si può dire più importanti per noi, la solidarietà sociale che il principio duro della libertà di espressione. Dall’altra parte, essendo ebreo, se dovevo cancellare tutti gli antisemiti nella storia, la biblioteca si sarebbe svuotata, cominciando con Dostoevskij, Cèline, eccetera. T.S. Eliot un antisemita di primo grado eccetera. Vuoi cancellare T.S. Eliot? vuoi cancellare Cèline? vado a cancellare Dostoevskij? Allora pur avendo empatia per le minoranze, si può sopportare. Sai la Bibbia comincia, al principio Dio ha creato il cielo e la terra. Giusto? No! Al principio Dio creò il cielo, la terra è l’antisemitismo. Allora anche se avere simpatia, empatia è importante, non lo dico solamente per le minoranze, a volte bisognerebbe subire questo perché la cultura generale è anche importante. Terzo principio il contesto, pubblico e privato. Prendiamo un museo privato, un museo privato può mettere il Mapplethorpe, perché chi non vuole può non andare, se mettiamo statua nella piazza pubblica la gente non può evitare deve passare deve vederlo, allora considerazione diverse se è pubblico o sia privato. E il contesto di museo anche importante museo anche importante perché sappiamo della storia dell’arte. In tutti i secoli sempre c’erano artisti che l’hanno condannato, annullato, cancellato e ora sono i grandi artisti nella storia dell’arte; allora un museo ha il compito di provocarci di andare al di là del consenso, invece nella piazza pubblica il consenso è più importante. Quattro principi come pensare, c’è un altro modo invece di cancellare vorrei dare due esempi: c’è un famoso giurista tedesco, Carol Schmidt. Io sono costituzionalista non si può fare teoria costituzionale senza riferimento a Carol Schmidt. Però era una persona orribile: nazista accanito convinto, è lui che ha legittimato il potere di Hitler. Allora una rivista americana mi ha scritto: “Cosa facciamo uno che cita in tutto sua opera Carol Schmidt possiamo pubblicarlo quel nazista?” La mia soluzione personale, la soluzione che ho proposto a quella rivista, quando io cito Carol Schmidt – e devo citarlo sono un accademico e uno studioso importante -, sempre scrivo: “Come dice il nazista Carol Schmidt …” per far ricordare la gente pur essendo un grande giurista dal punto di vista personale e questo anche vale per altri. George Washington c’è la statua di George Washington che aveva schiavi. Cosa facciamo, togliamo tutte le statue di George Washington? Però si può mettere una placca si può fare ricordare che anche lui non era santo, che aveva schiavi, cioè di trovare un modo di non cancellare, ma allo stesso tempo avere la sensibilità della gente che vuole cancellare, cioè di non mettere sotto il tappeto le cose che offendano queste persone. Cioè metterlo come principio: prima di cancellare chiederci se c’è altro modo di rispettare sia la sensibilità pubblica sia la sensibilità di quelle persone che si offendano, anche se offendano noi stessi. Spesso ci ne sono delle alternative invece di cancellare di far ricordare, di mettere in evidenza, come l’esempio che ho fatto con Carol Schmidt. Torno ai miei due colleghi, tutto sommato buon senso, non pensare con empatia, con simpatia, con gentilezza, la decisione definisce chi siamo come società. A volte bisognerebbe dire: “ma capisco non vorrei offendere questa minoranza” a volte bisognerebbe dire no! Purtroppo, il contesto è molto importante e in questo clima di oggi, ha ragione bisogna avere coraggio, perché oggi ci vuole il coraggio di resistere automaticamente ed essere sempre sulla parte dei buoni anche se sono la stessa sensibilità, però ci sono altri valori in gioco, e finisco un minuto prima perché un diritto fondamentale è la cena in tempo.

Simoncini. Grazie. Io siccome non voglio violare il diritto fondamentale di cui parlava adesso il professor Weiler, volevo ringraziare di cuore i nostri amici che ci hanno aiutato a riflettere in maniera ragionevole, come abbiamo sentito, anche per i suggerimenti pratici che Joseph ci ha dato su come affrontare questo tema. Volevo solo fare un’osservazione che mi sembra sia un po’ il filo conduttore: abbiamo acceso i riflettori su un fenomeno questo della cancel culture che nasce essenzialmente da questa idea che la verità possa essere violenta. Cioè che il tema del relativismo e della dittatura del relativismo inteso come questo presupposto, per cui tirare in ballo il tema della verità in una discussione, automaticamente vuol dire escludere qualcuno, stabilire un dentro e un fuori, la verità come un modello teorico e se la cosa non corrisponde a quel modello la cosa è sbagliata. Ecco, su questo io volevo soltanto ricordare che il cristianesimo è l’esperienza da cui nasce un’occasione come questa del Meeting, ha un grande punto di vantaggio su questa discussione, che è una responsabilità per noi, come abbiamo sentito perché, ed è quello che ci ha ricordato il Papa nel messaggio mandato al Meeting, perché per l’esperienza cristiana la verità non è una teoria, ma è una persona e questo cambia completamente il rapporto che abbiamo con la verità. Non è una formula dalla quale deriva anche l’ipotesi liberale che oggi abbiamo sentito potentemente riproposta, ha questo punto sul quale io penso che qui una discussione possa aiutarci: la verità è sempre un rapporto con qualcuno ed è in questo che si comprende e si è introdotti alla verità delle cose per questo io penso – e chiudo su questo -, che sia bello chiudere questo incontro ricordando proprio le parole che ci ha detto Papa Francesco, il quale ci ha detto che lui auspica che il Meeting “continui a promuovere la cultura dell’incontro aperto a tutti, nessuno escluso, perché in chiunque c’è un riflesso del Padre che da tutti la vita e respiro ad ogni cosa, possa ognuno dei partecipanti imparare un po’ ad accostare gli altri alla maniera di Gesù, che sempre tende la mano sempre cerca di sollevare, di fare in modo che la gente guarisca, che sia felice, che incontri Dio, così che crescano l’amicizia sociale e l’amicizia tra i popoli”. Io penso che questo sia proprio il grande auspicio che nasce da questo incontro e col quale ringrazio ancora il professor Belardinelli, il professor Bellamy, il professor Weiler. E chiudendo sulla scia dell’applauso vi ricordo c’è una cosa soprattutto da non cancellare i punti in cui si può donare per il Meeting, perché il Meeting vive di DonaOra, perciò se proprio volete cancellare, cancellate il resto ma non i cuori rossi a cui è possibile donare. Grazie a tutti e buona cena.

 

 

Data

20 Agosto 2023

Ora

19:00

Edizione

2023

Luogo

Auditorium isybank D3
Categoria
Incontri