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Bruno Grassi. La sfida dell’arte sacra
Esposizione di opere dell’artista a cura di Luigi Amicone.
Bruno Grassi sarà protagonista di una grande mostra d’arte sacra. “Per me” spiega molto semplicemente Grassi “l’arte sacra è quella che ti induce a pregare”. Bruno Grassi, 55 anni, piacentino, ma con lunghe esperienze in Francia e negli Usa, fu scoperto giovanissimo dal gallerista Ettore Gianferrari dell’omonima galleria milanese di via del Gesù. Il critico Marco Valsecchi, curatore di Biennali di Venezia, gli attribuì il premio Bolaffi Arte, Vittorio Sgarbi l’ha voluto fra le firme della sua recente mostra sul “Surrealismo padano”. Nel 1992 ha ricevuto anche il premio pittore dell’anno 1992 dalla sezione italiana del Pen Club International.
Dedicandosi all’arte sacra, nella quale crede fermamente, Grassi non teme di essere considerato un passatista. Rivendica la sua contemporaneità dicendo: “Ricorro alla figurazione ma non guardo al passato. Sono debitore di emozioni e suggestioni più a Luchino Visconti, a Giorgio Armani o a Anja Niedringhaus che non a Giotto, Michelangelo o Raffaello”. Non a caso, lo storico dell’arte Ferdinando Arisi ha detto di lui: “Quando un artista contemporaneo deve eseguire un quadro di arte sacra si documenta sugli autori del passato. A Bruno Grassi invece basta guardarsi dentro”.
La Chiesa ha duramente lottato in passato contro gli iconoclasti che sostenevano che non si può raffigurare Dio. Delle tre grandi religioni monoteiste, del resto, due (l’ebraismo e l’Islam) sono restate iconoclaste mentre solo il cristianesimo, rigettando questa impostazione, ha stimolato, in passato, la creazione di straordinarie opere d’arte.
Tuttavia l’iconoclastia, rigettata dalla porta dai cristiani, è oggi ritornata, in pratica, dalla finestra, nella seconda metà del secolo passato, sia con la rinuncia alla figurazione da parte di quasi tutti i grandi artisti, sia con l’affermarsi di un’architettura sacra che è derivata più dai grandi spazi commerciali (dove i frequentatori chiedono molta luce perché debbono vedere che cosa comperano o mangiano) che non dai luoghi di culto che invece sono sempre stati concepiti in funzione della penombra che è propizia al raccoglimento, al dialogo interiore e al rapporto con la divinità. Giovanni Michelucci con la chiesa di Firenze sull’Autostrada del Sole ha dimostrato che oggi si può fare architettura risolutamente sacra e vigorosamente contemporanea. Ma il suo resta un esempio isolato anche se riuscito.
È questa, in fondo, la sfida che anche Bruno Grassi ha accettato realizzando le opere di questa mostra che sono assolutamente contemporanee ma che si propongono anche di svolgere un ruolo antico quanto l’uomo, riaprendo in tal modo un percorso artistico che sembrava essersi esaurito e che invece attendeva solo di esprimersi in un nuovo modo.
Bruno Grassi ammette: “Mi rendo conto che affrontare l’arte sacra nel Terzo Millennio è un’impresa che rasenta l’incoscienza. Forse aveva ragione lo scrittore Giuseppe Pederiali quando mi definì ‘un’anacoreta dell’ambizione’. Ma io, buttandomi in questa avventura, ho risposto a un invito che si legge nel Vangelo: ‘Duc in altum’, gettate con entusiasmo le reti al largo, siate audaci, confidate nelle vostre forze, nel vostro progetto. Per me, l’arte sacra è stata una sorta di chiamata alla quale non ho voluto, o meglio, non ho potuto sottrarmi. E ad essa, oggi, dedico gran parte del mio tempo e delle mie energie in un momento di felice creatività”.
Il settimanale “Tempi” diretto da Luigi Amicone, ha scritto che “Bruno Grassi è un pittore moderno per tecnica e medioevale per spirito”. Mentre Claudio Fontanarossa, sul quotidiano “il Tempo”, parlando dell’”Annunciazione” del pittore piacentino ha sottolineato che questo quadro è “espressione di un artista capace di figurazione ma non prigioniero del vero”. Bruno Grassi del resto dice: “Coloro che di fronte a un’opera d’arte non sanno emozionarsi, mi domandano spesso a quali pittori mi ispiro. A tutti e a nessuno, rispondo. Ogni pittore vero, porta nelle sue pupille il suo enorme archivio di suggestioni. Sono debitore a Paolo Uccello come ai graffitari preistorici del deserto del Neghev, alle fiere di campagna come ai film di Robert Altman, ai cavalli di tiro sul Trebbia come alla sagoma fragorosa delle carrozze della metropolitana di New York, ai cipressi della Toscana come ai campi di lavanda del Luberon, alla cattedrale di Magonza come alla chiesa scoperchiata dello Spasimo di Palermo, ai vestiti dei samurai come ai riti dei monaci tibetani, ai canti gregoriani come alle canzoni rugose di Janis Joplin. Nelle mie pupille sono impresse anche le suggestioni derivanti dalle pagine di Marguerite Yourcenar, Joseph Roth, Albert Camus, Cervantes e persino Collodi e Salgari. Da decenni non frequento musei o gallerie perché il mio vuol essere un percorso artistico orgogliosamente solitario. La mia mente e il mio cuore hanno fatto il pieno di emozioni che ora attendono di tradursi in quadri”.