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AUTONOMIA E PARITÀ DEI SISTEMI FORMATIVI
Sono stati invitati: Marco Masi, Presidente Compagnia delle Opere Educative-FOE; Matteo Rossetti, Fondatore Free School “Thomson House School” di Londra, UK; Ugo Rossi, Presidente della Provincia Autonoma di Trento; Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Introduce Francesco Magni, Dottore di ricerca all’Università di Bergamo e Coordinatore Redazione della rivista Nuova Secondaria.
AUTONOMIA E PARITÀ DEI SISTEMI FORMATIVI
FRANCESCO MAGNI:
Buona sera a tutti, ben venuti all’incontro dal titolo: “Autonomia e parità dei sistemi formativi”.
Il Meeting ha sempre avuto a cuore il tema della libertà di educazione e la sfida di un’effettiva parità, di una reale autonomia delle istituzioni scolastiche. È una sfida che rimane ancora attuale e oggi abbiamo la fortuna di confrontarci con quattro ospiti che ringrazio per la loro presenza: Ugo Rossi, Presidente della Provincia Autonoma di Trento; Matteo Rossetti, Fondatore Free School “Thomson House School” di Londra in Gran Bretagna; Marco Masi, Presidente CDO Educative-FOE e Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
Prima di lasciare a loro la parola, vorrei fare una breve premessa richiamando, anche se dovrò semplificare per necessità di tempo, quali possono essere i due modelli di un sistema di istruzione: il primo modello può essere burocratico, uniforme, singolare e centralizzato, che è ben rappresentato da questo episodio riguardante un Ministro francese dell’epoca di Napoleone III. Questo Ministro, interrogato intorno all’insegnamento scolastico in Francia, tirò fuori l’orologio e disse: “Sono le undici e in tutti i licei francesi pubblici e privati si commenta quel determinato passo di Tacito nella terza classe liceale”. La seconda possibilità invece è quella che fa leva su un sistema autonomistico, differenziato, plurale e decentrato. Come scriveva Luigi Einaudi nel 1961 sul Corriere della Sera: “Nella scuola tutto ciò che è ugualitario, uniforme, obbligatorio è male e la varietà e la libertà sono il bene”.
Ecco, di fronte alle sfide globali del nostro tempo, pensiamo al contesto europeo, alla sfide del terrorismo internazionale, al fenomeno migratorio, alla rivoluzione digitale, appare chiaro che bisogna mettere in discussione quale modello si vuole abbracciare. E sembra che non basti un vero aggiornamento dell’esistente percorrendo sentieri già battuti che hanno dimostrato da tempo la loro inefficacia, come rilevato tra gli altri da un ex Ministro come Luigi Berlinguer che, in un suo recente scritto, ha detto: “Così come è strutturata fino ad ora, l’istruzione non assicura più il suo compito. Non assicura a sufficienza né qualità né equità, per questo va trasformata radicalmente. Occorre un rinnovamento profondo, una ricreazione. Appare dunque opportuno una messa in discussione dei paradigmi che, fino a questo momento e con sempre maggior affanno, hanno retto il sistema educativo italiano, nella prospettiva di costruire finalmente percorsi di insegnamento e di apprendimento che riescano a valorizzare e a promuovere nello stesso tempo l’eccellenza di tutti, nessuno escluso, e di ciascuno”.
Iniziamo allora il nostro dialogo di oggi e cedo volentieri la parola a Matteo Rossetti, milanese, che vive dai tempi dell’università in Inghilterra, dove ha studiato a Oxford. Lui qualche anno fa ha deciso di aprire una Free School, che adeso ci spiegherà anche che cos’è, a Londra nei quartieri di Richmond, nel sud-ovest della città.
Ecco, chiedo a Matteo di raccontarci la sua esperienza. Innanzitutto dicendo come mai ha deciso di intraprendere un’avventura così impegnativa come quella di aprire una nuova scuola.
MATTEO ROSSETTI:
Grazie mille Francesco e grazie al Meeting per l’invito qui. È veramente un grandissimo onore essere qui per parlarvi della nostra esperienza in un contesto così importante e di un tema veramente che sento molto vicino.
Vorrei raccontarvi la storia del nostro viaggio, o come diceva Francesco, partendo un po’ dalle nostre motivazioni. Spiegarvi anche come sia stato possibile per un gruppo di cittadini, cooperare per creare una scuola che rispondesse ai bisogni della propria comunità, ovvero una scuola che fosse fatta dalla comunità per la comunità.
Moltissimi genitori, nei mesi o anni, da quando abbiamo cominciato a lavorare sulla nostra scuola che si chiama “Thomson House”, ci hanno chiesto perché intraprendere questo viaggio. Probabilmente anche un po’ sospettosi di questo gruppo di professori di scuola privata che si erano messi insieme per fare una scuola statale. E ogni volta che ci chiedevano perché, rispondevamo, io rispondevo sempre allo stesso modo: “Perché siamo insegnanti”. Infatti vedevo in quella spinta che sentivamo, la stessa vocazione che spinge così tanti insegnanti ad essere insegnanti, cioè a dedicarsi agli altri, ai giovani e pertanto alla società e al futuro. Ci sono stati poi due fattori importanti: uno, abbiamo riscontrato un bisogno fortissimo nella nostra zona di nuovi posti scolastici e due, si è presentata un’occasione con l’introduzione della policy delle free school nel governo di coalizione Cameron, per cui ci siamo imbattuti, abbiamo sentito il dovere di lanciarci in questo viaggio. Che cosa è una Free School? Una free school è una scuola statale, gratuita, fondata da gruppi di società civile, che possono essere insegnanti, genitori, società, organizzazioni non governative. Questi gruppi di società civile la creano in risposta a un bisogno locale. Il Ministero dell’educazione, poi, fa una selezione rigorosa e competitiva e con i gruppi che poi seleziona entra in un contratto, perché questi gruppi offrono una educazione gratuita nella loro zona, non selettiva e vigilata esattamente allo stesso modo in cui sono vigilate le altre scuole tradizionali. I fondi che la scuola free school riceve, che noi riceviamo, sono per studente e sono esattamente equivalenti a quanto ricevono le scuole tradizionali nella nostra zona, per cui non c’è un onere extra per lo Stato, costiamo esattamente lo stesso. In più è importante notare che noi come free school non possiamo trarre profitto dalla nostra scuola. La free school gode di alcune libertà importanti: uno, la libertà di scegliere il proprio curriculum; due, la libertà di poter scandire il tempo come vuole, ovvero scegliere la lunghezza delle proprie giornate e scegliere la lunghezza dei propri trimestri; libertà nel controllo del proprio budget e libertà nel contratto di lavoro con i propri dipendenti, insegnanti inclusi, ovvero, la free school non è obbligata a dover seguire il contratto nazionale sindacale. Ora, questo è il contesto, e quale è stata la nostra idea di scuola, quale è stata quell’idea di scuola che volevamo creare e far nascere nella nostra zona? La nostra missione è quella di creare una scuola che permetta ai nostri studenti di creare le fondamenta perché possano vivere una vita che noi chiamiamo fulfilled ovvero piena, realizzata ed appagata. Questa è la nostra mission finale. Riteniamo tre valori fondamentali: uno, la curiosità. Vogliamo che i nostri studenti approccino il mondo con un senso di stupore, un desiderio di scoperta, e che abbiano i mezzi per poter analizzare questo mondo. Due, il coraggio. Vogliamo che i nostri studenti abbiano la capacità di mettersi in discussione, di intraprendere nuove avventure, di capire che devono lavorare sodo, di saper cadere, rialzarsi e continuare a camminare. E terzo, la generosità. Vogliamo che i nostri studenti capiscano che il dare ed il servizio sono beni in se stessi e che il loro bene, il loro benessere personale è intrinsecamente legato al benessere della loro comunità. Per raggiungere questi tre obiettivi, per instillare, educare a questi valori, facciamo tre cose: uno, abbiamo una scuola con un curriculum ampio; due, ci concentriamo su eccellenza dell’insegnamento e tre, ci focalizziamo sulla famiglia. Un curriculum ampio cosa vuol dire? Vogliamo che ogni ragazzo – sentivamo prima dell’individualità – vogliamo che ogni ragazzo riesca a trovare nella nostra scuola, nel contesto della nostra scuola, il proprio spazio, e noi dobbiamo poi valorizzare quello spazio, dobbiamo celebrare i successi di ogni ragazzo sia che siano in classe, sia che siano nei campi sportivi, sia che siano in un contesto artistico o anche nel loro modo di essere cittadini. Per cui abbiamo sì rigore in inglese e matematica ma anche un programma sportivo, musicale ed artistico molto più ampio e molto più profondo di tutte le scuole vicino a noi e anche un programma di educazione civica pratica che va dal piccolo bambino di cinque anni che aiuta a fare le faccende di casa, al bambino di 10 anni che va a raccogliere i rifiuti nel giardino e poi li analizza, li raccoglie, li categorizza, e poi fa una campagna di sensibilizzazione che viene infine misurata circa il suo impatto. Un curriculum più ampio che vuol dire giornate più lunghe. L’ eccellenza nell’insegnamento, questa è secondo me la cosa assolutamente fondamentale. Numerosi studi dimostrano che il mezzo di più grande impatto che le scuole hanno per gli esiti degli studenti è la qualità dell’insegnamento, per cui vuol dire che per noi l’insegnante è la risorsa più preziosa. Per questo selezioniamo i nostri professori con grandissima attenzione; devono essere in sintonia con la missione della nostra scuola; devono avere notevoli capacità di insegnare e terzo, devono essere aperti e dediti, devono dedicarsi a una cultura di apprendimento professionale continua. Poi noi investiamo in questa con concorsi, master, ma anche imparando dai colleghi, per cui le nostre classi hanno porte aperte: chiaramente ci si mette d’accordo prima, ma un professore può entrare in classe di un altro professore e osservarlo insegnare. Così si crea una comunità e una learning-community, una comunità di apprendimento. Attenzione, importantissimo è che i docenti e i dirigenti devono dare il buon esempio, questa è una cosa che deve permeare tutta la scuola. Infine un focus sulla famiglia, in due sensi. Vogliamo essere una scuola che abbia una atmosfera familiare, che sia un posto dove la gente possa stare bene, per cui non ci sono campanelle, la Preside accoglie gli studenti all’entrata ed è un posto dove ogni studente è conosciuto e si sente conosciuto dagli insegnanti. La disciplina si basa sul concetto che ognuno di noi, ogni studente, ha diritto a poter fiorire, a poter sbocciare, a potersi realizzare. Inoltre focus sulla famiglia vuol dire anche preoccuparsi dei bisogni e dei desideri delle nostre famiglie. Per cui abbiamo genitori che sono eletti direttamente nel Consiglio di Amministrazione della scuola, abbiamo workshop settimanali dove spieghiamo ai nostri genitori che cosa stiamo studiando a scuola, che cosa stanno facendo i bambini e come loro li possono aiutare. I genitori hanno anche la possibilità di incontrare insegnanti e dirigenti ogni giorno, abbiamo quella che si dice una open door policy, abbiamo la porta aperta. Prima parlavamo di selezione, di una selezione attenta del Ministero per scegliere i gruppi che possano gestire queste scuole: come avviene questa selezione? Fondamentalmente noi abbiamo dovuto dimostrare che la nostra offerta formativa fosse valida, che la potessimo supportare finanziariamente, che avessimo un team, un gruppo in grado di metterla in pratica, e fondamentalmente che la nostra scuola rispondesse ad un bisogno e ad un desiderio locale. Per cui innanzitutto, prima un team fatto di insegnanti e genitori con varie competenze, tra cui il marketing e la finanza assolutamente importantissime e abbiamo cominciato a scrivere il nostro progetto educativo di 150 pagine, a preparare un budget di dieci anni che abbiamo dovuto stressare a diversi livelli; abbiamo dovuto cominciare a fare una campagna di sensibilizzazione locale andando in giro, facendo volantinaggio, social media, incontri di quartiere, incontri con politici locali e nazionali. Questa è una parte fondamentale, una volta poi che tutti questi elementi sono stati scrutinati, interrogati in un colloquio con il Ministero, a quel punto ci passano un contratto per cercare di aprire la scuola e a quel punto abbiamo cominciato a lavorare con architetti e ingegneri per creare l’edificio. Abbiamo cominciato a scrivere il programma, abbiamo cominciato a fare il budget finanziario, la cosa più importante che abbiamo dovuto fare è stata quella di assumere una nostra Preside. Penso che il punto più basso, più difficile del nostro progetto sia stato il giugno, prima che aprisse la scuola. Era diventato chiaro a quel punto lì che la nostra Preside, per quanto brava fosse, non era in grado di gestire una start up, con tutte le incognite che comporta, tutte le tribolazioni, che lo rendono un lavoro molto differente da quello di un preside tradizionale. Avevamo cinquanta famiglie che avevano avuto fiducia in noi e avevano deciso di mandare i loro figli da noi, otto settimane prima che aprisse la scuola, ed in più forti pressioni politiche da parte del Ministero dell’educazione che era preoccupato, perché in Inghilterra c’è un grandissimo scrutinio a livello di media sulle free school. La realtà era che noi avevamo capito che non era la persona adatta. Abbiamo cercato di lavorare insieme ma le cose non miglioravano e abbiamo sentito il dovere di agire, per cui l’abbiamo dovuta lasciare andare. È stato di sicuro la cosa più difficile che abbia fatto nella mia carriera, ma è stato fondamentale fare in modo che il dibattito all’interno del Consiglio di amministrazione fosse aperto, ragionevole e robusto, ma assolutamente sempre mirato agli studenti come nostro fine ultimo. Abbiamo assunto un’altra Preside, che era appena andata in pensione, e che è stata una preside assolutamente bravissima. Siamo adesso al nostro quarto anno scolastico, stiamo per cominciare il nostro quarto anno scolastico e la scuola sta andando benissimo; siamo stati ispezionati nel 2015 da un ordine di vigilanza governativa, abbiamo ottenuto in ognuna della quattro categorie una valutazione di eccellente, che meno del 20% delle scuole d’Inghilterra raggiunge. Il livello di soddisfazione delle nostre famiglie, che misuriamo ogni anno, è altissimo, il 94% dice che i propri figli sono molto contenti a scuola e ciò trova riscontro nel loro livello di presenza, che è del 98%; il 99% dei genitori dice che ci consiglierebbe ad altri ed effettivamente per ogni posto di scuola che abbiamo riceviamo cinque domande di iscrizione. L’istituzione governativa ci ha descritto come una scuola con un senso di scopo comune, che coinvolge tutti i professori, che a loro volta si sentono valorizzati ed investiti nel progetto. Se guardate al livello di assenteismo dei nostri professori, quasi tre professori su quattro non hanno preso neanche un giorno di malattia in un anno e solamente l’1% delle nostre lezioni in un anno è stata ricoperta da supplenti. Per cui ora, e concludo, voglio gettare uno sguardo al nostro futuro. Ci stiamo ora dedicando alla formazione di altre due scuole in aree di Londra che ne hanno un fortissimo bisogno. Perché? Perché fondamentalmente crediamo nel valore del dare, crediamo che il nostro bene sia intrinsecamente legato al bene della nostra comunità e che l’altro sia un bene per noi. Grazie.
FRANCESCO MAGNI:
Grazie a Matteo Rossetti che ci ha fatto vedere una storia che ci sembra quasi che venga da Marte, ci sembra una storia fantascientifica per la nostra Italia: un privato cittadino si mette insieme ad altri, fa un progetto e insieme alle autorità locali viene sostenuto nella creazione di una nuova scuola. Però anche in Italia ci sono dei tentativi virtuosi: è questo il caso della Provincia autonoma di Trento che, sotto la guida del Presidente Rossi e anche in precedenza con una certa tradizione che l’ha contraddistinta, ha predisposto una serie di disegni di legge, di tentativi per rendere la scuola trentina più autonoma e più flessibile. Vorrei chiedere al Presidente Rossi quale tentativo riformista state portando avanti per raggiungere l’obiettivo di una scuola più autonoma e più libera e quindi più adatta per le esigenze e le sfide del nostro tempo. Grazie.
UGO ROSSI:
Grazie. Intanto buonasera a tutti. Io ringrazio gli organizzatori del meeting per avermi invitato naturalmente anche come relatore, mi fa molto piacere poterlo fare, ma anche per aver avuto l’opportunità come cittadino, esattamente come voi, di venire qui e sentire un clima, un bel clima, e soprattutto di aver avuto la possibilità di affrontare anche qualche argomento di attualità e magari di andare via con qualche idea modificata, che male non fa. Io parto da una brevissima presentazione personale, nel senso che sono Presidente di una Provincia autonoma, che vuol dire di fatto una Regione, anzi, essendo anche un’autonomia speciale vuol dire anche qualcosa di più, perché per certi versi, parlando poi di scuola, è quasi come un piccolo Stato. Sono Presidente della Provincia dall’autunno del 2013 e ho fatto all’inizio di questa legislatura la pazzia di trattenermi la delega sull’istruzione. Premetto che non sono un esperto di scuola, non mi sono mai occupato di scuola, per cui il rischio è non solo quello di dirvi delle sciocchezze oggi, ma anche di fare dei danni in questi cinque anni, speriamo di no. Perché l’ho fatto? L’ho fatto perché sono profondamente convinto, siamo profondamente convinti, quindi questa è una scelta di legislatura se vogliamo, che un territorio piccolo come il nostro, ma forse se ci pensiamo vale un po’anche per il nostro Paese, può immaginare una sua competitività a condizione che fornisca, uso una brutta parola, alcapitale umano, alle persone, ai ragazzi, che è forse una parola migliore, fornisca le condizioni migliori per essere protagonisti del loro futuro e per essere protagonisti di un mondo sempre più difficile e complicato. Naturalmente l’ho fatto cosciente, come è stato detto, di poterlo fare con il rischio, come dicevo prima, di fare anche qualche danno, perché il sistema formativo e scolastico del Trentino poggia su solidissime basi, i nostri indici, che non sto adesso a ripetere, sono indici di livello europeo ed è un settore nel quale c’è una tradizionale attenzione. Devo dire però che uscivamo da una legislatura, quella precedente nella quale anche in Trentino, così come era avvenuto un po’anche nel nostro Paese, la scuola era spesso presentata in termini di politiche pubbliche e anche dentro l’opinione pubblica c’è un po’ questa opinione, come un fattore di costo, e quindi le parole erano “costi, riduzioni, tagli, razionalizzazione”. Io ho detto: forse con un amministratore Presidente riusciamo un pochino a invertire questa tendenza. Quindi sono qui con voi oggi a provare a ragionare di autonomia e di parità. Dico subito una cosa, da cittadino e da politico: quando parliamo di parità in Italia, così come quando parliamo di politica, lo diceva a un precedente dibattito Vittadini, riduciamo il tutto a questioni di carattere ideologico o a proiezioni nostre di ciò che per noi è ideale e in realtà poi non ci occupiamo delle cose serie. Io penso che quando si affrontano questi temi bisognerebbe, e proverò magari a farlo per quanto riguarda il Trentino, innanzitutto contestualizzare un pochino il ragionamento, perché non è indifferente parlare di parità in una Regione piuttosto che in un’altra, c’è una storia, c’è una tradizione e quindi anche i decisori politici evidentemente sono condizionati o addirittura stimolati da una storia e da una tradizione, come può essere avvenuto in Trentino. Ci sono poi delle norme e delle regole. La Costituzione in termini di autonomia e parità ci consegna ancora un bel po’ di lavoro da fare, mi pare di poter dire; c’è il tema della qualità, di che cosa vogliamo garantire ai nostri ragazzi, che spesso, lasciatemelo dire, non è un tema presente. Quando sento nelle scuole molti operatori rivendicare la libertà di insegnamento e l’autonomia, se libertà di insegnamento e autonomia non hanno il paradigma, come è stato detto prima, dell’attualità ad orientarli, sono una scatola vuota. E poi magari anche quando si affronta questo argomento bisognerebbe provare a fare uno sforzo, che è di carattere culturale, nel nostro pensiero, magari non tanto nel vostro, frequentatori del Meeting che siete un pochino più avanti rispetto a questo. Però c’è un po’ l’idea, un po’ illuminista se volete, per cui c’è un pensiero razionale che è neutrale e un pensiero che siccome ha un orientamento religioso non è più neutrale: quando si parla di scuola, di parità, questo retro-pensiero è sempre presente. Io penso che invece dovremmo cercare, mettendo insieme questi fattori, di provare a eliminare qualche retro-pensiero e dire: dentro la logica giusta e doverosa di orientamento all’autonomia di ogni istituzione e quelle scolastiche anch’esse sono delle istituzioni, la parità è un qualcosa che valorizza la qualità, usando al massimo possibile questa autonomia. Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. In Trentino, per quanto riguarda l’autonomia scolastica, noi abbiamo competenze e poteri organizzativi e anche risorse proprie del nostro bilancio che possiamo destinare secondo le nostre logiche di allocazione di priorità delle risorse, in misura maggiore o minore. Quindi possiamo decidere noi se puntare più sulla scuola, se puntare più sulla ricerca, se puntare di più sui servizi sociali. E già questo è una grande responsabilità, una grande possibilità ma una grande responsabilità. Abbiamo da qualche tempo, non le ho fatte io, costruito delle normative dove per esempio in termini di organico le scuole hanno la possibilità di avere una flessibilità. C’è un organico più flessibile, c’è una flessibilità che riguarda una sperimentazione alla ricerca della maggior qualità dentro l’autonomia, quindi ci sono fondi per la qualità che alimentano la tensione giusta all’autonomia. C’è un’assegnazione delle risorse su base budgettaria, ma soprattutto, credo che questa sia la differenza più importante, la possibilità per le nostre scuole di avere certezza, all’inizio dell’anno scolastico, sulle risorse di cui possono disporre per esercitare questa autonomia.
Come vogliamo che le nostre scuole esercitino questa nostra autonomia? Non come un fatto tecnico e giuridico. E quindi abbiamo provato, ci stiamo provando, ad usare la legge sulla buona scuola e quindi qualche principio che è stato introdotto in quella normativa, responsabilizzando di più i Dirigenti Scolastici, in termini di possibilità di scelta del corpo docente, quindi andando nella direzione che ha previsto la legge nazionale, ma abbiamo cercato, adeguando la nostra normativa alla legge nazionale, di individuare, a differenza di quanto non è ancora avvenuto a livello nazionale, alcuni criteri di fondo per l’utilizzo dei Fondi di merito e anche per le assunzioni del personale. Quindi la logica degli ambiti c’è anche da noi, ma abbiamo cercato di rendere noti in anticipo agli insegnanti quali saranno i criteri a cui deve conformarsi il Dirigente Scolastico nella loro scelta. Questo al fine di evitare il più possibile contenziosi, ma anche al fine di favorire quell’incrocio fra offerta e domanda sulla base delle caratteristiche proprie dell’insegnante che meglio si adattano al piano formativo della loro scuola. Naturalmente tutto questo è ancora in costruzione, è una cosa su cui anche noi dovremo lavorare con grande convinzione. Dicevo, però, che la differenza vera la fa l’anima, la passione più che la tecnica; e allora stiamo cercando davvero di provare a sperimentare fino in fondo, correndo qui molti rischi, la questione del merito: noi dobbiamo riuscire a differenziare chi nelle nostre scuole si sforza di essere dentro un progetto formativo che trasmette qualcosa in più, rispetto al completamento di un programma. Anima, passione, voglia di far avvertire ai nostri ragazzi che c’è passione per il proprio lavoro. Io penso che l’insegnante debba riuscire innanzitutto a trasmettere questo.
Parità. Qui la storia ci aiuta molto, insomma, i decisori politici in Trentino sono molto avvantaggiati. In Trentino la presenza di istituzioni scolastiche formative, come dicevo, ha una lunga storia. Fortunatamente da Maria Teresa in poi, fin dall’800 in Trentino c’era l’obbligo scolastico fino i 14 anni. Praticamente a inizio ’900 in Trentino non si conosceva l’analfabetismo. E’ chiaro che questo è un humus in cui tutto è molto più facile se associamo questa fortuna di avere avuto questa possibilità a un’altra fortuna, che è quella di aver esercitato sul nostro territorio una vocazione dell’autogoverno responsabile dei cittadini prima che delle istituzioni. Proprio per la particolare conformazione del nostro territorio, dovendo vivere nelle valli, bisognava darsi delle regole per potere vivere in un territorio ed utilizzarlo al meglio, delle regole sulla proprietà collettiva di questo territorio. E’ chiaro che questa abitudine di mettersi intorno a un tavolo e progettare un pochino il proprio futuro, come abbiamo visto prima con la scuola, unita a un humus favorevole sotto il profilo culturale, ha determinato in maniera molto naturale che, soprattutto nel settore delle scuole materne, il servizio sia garantito da scuole equiparate che sono espressione di questa volontà e capacità dei cittadini di organizzarsi da soli per rispondere a dei bisogni. Quindi, sull’onda di tutto questo, è stato poi facile sviluppare, per esempio nella formazione professionale in particolare, un sostanziale affidamento del servizio pubblico, tranne poche eccezioni, alle scuole paritarie che svolgono quasi totalmente il servizio di istruzione e di formazione professionale in maniera pubblica, pur essendo scuole paritarie; con un finanziamento omnicomprensivo che consente, anche qui in una logica budgettaria, di poter avere livelli di autonomia anche nella locazione delle risorse. Livelli di autonomia che portano, se il budget è utilizzato bene, anche alla possibilità di destinare risparmi sul budget a miglioramenti di qualità. La logica invece del piè di lista, come avevamo magari fino a qualche anno fa, è chiaro che abbassa i livelli di qualità, perché ti porta a spendere anche quando non hai bisogno per ottenere le risorse. Quindi una logica di parità riconosciuta e premiata/stimolata dalla logica budgettaria che ti permette di avere una certa autonomia.
Scuole materne. I due terzi delle scuole materne sono scuole equiparate e lavorano ancora con una grande partecipazione del volontariato. Sono associazioni, ci sono dei comitati e dentro le associazioni e i comitati c’è il lavoro di chi volontariamente mette a disposizione la propria professionalità per soddisfare un bisogno educativo.
Questo è il quadro. Per fare che cosa? Torno un pochino all’inizio, chiudendo. La sfida era quella, è quella dentro un sistema scolastico formativo che funziona, che non ha particolare problemi, è quella di riuscire ad alzare ancora un pochino l’asticella. Abbiamo individuato tre temi su cui questa asticella vogliamo sia più alta anche in Trentino. Il primo è Scuola-Lavoro, collegamento con la vita reale. Il lavoro è vita reale, non deve essere solo una possibilità occupazionale. Collegare la scuola e il lavoro vuol dire collegare la scuola al senso vero della vita. Devo dire che qui l’esperienza delle paritarie ha fatto da apripista: stiamo sperimentando con le paritarie ma anche con le scuole pubbliche, anzi con le scuole provinciali, perché sono pubbliche per me anche quelle paritarie, l’istituzione di poli formativi dove, nello stesso luogo ci sia la formazione professionale, la scuola, l’università e le imprese, legate alle vocazioni dei singoli territori e come ho detto prima in particolare nella formazione professionale, non ho difficoltà a dirlo, abbiamo assolutamente copiato da ciò che alcune scuole paritarie hanno saputo mettere in campo assolutamente in modo spontaneo. Seconda questione è quella linguistica. Abbiamo destinato 36 milioni di euro nei prossimi 5 anni essenzialmente alla formazione del nostro personale insegnante sia provinciale che delle scuole paritarie, perché vogliamo che l’aspetto linguistico sia assolutamente di prim’ordine, ancora una volta andando a re-istituzionalizzare ciò che in molte scuole equiparate materne già si faceva da anni con delle sperimentazioni molto positive. Terzo versante, i bisogni educativi speciali: l’inclusione, una scuola che non lascia indietro nessuno. Qui la scuola, diciamolo, la scuola cattolica su questo ha sempre avuto una attenzione particolare, forse una marcia in più, e anche per questo è stata per noi stimolo e paradigma. Chiudo dicendo che ci fidiamo molto delle nostre scuole, sia quelle provinciali che quelle paritarie, consegniamo tranquillamente alle nostre scuole un esercizio di autonomia, chiediamo alle nostre scuole però di mettersi in gioco rispetto alla responsabilità dei destini comuni di un territorio. E allora per esempio, in termini di contenuti, abbiamo chiesto, chiediamo e verificheremo come le nostre scuole riusciranno a usare bene la loro autonomia su questo tema, gli abbiamo chiesto di aiutarci, in totale autonomia sotto il profilo delle modalità didattiche e anche dei contenuti, di aiutarci a sviluppare due aspetti importanti che sono intimamente legati: la capacità dei nostri ragazzi di riconoscersi nel territorio in cui vivono – per noi è molto importante, un’autonomia come la nostra ha bisogno di un popolo cosciente del valore della propria autonomia; inoltre essere coscienti che la propria particolarità, la propria autonomia passa dalla capacità di interpretare le logiche globali, e quindi attraverso il collegamento con gli altri. Vogliamo che le nostre scuole educhino a una cittadinanza responsabile, a un sentirsi parte di una Repubblica e infine dell’Europa. Sono due questioni importantissime, se ci pensate, per il nostro futuro, coniugano la dimensione locale e quella globale. Abbiamo perciò semplicemente scritto nella nostra legge: scuole, noi ci fidiamo di voi, della vostra capacità di lavorare su questi temi, sappiate però che verremo a controllare se l’avrete fatto, oppure no. Abbiamo reso obbligatoria questa cosa, consegnandola alla autonomia delle nostre scuole, fiduciosi che ci mettano quell’anima e quella passione che fanno davvero la differenza al di là dei tecnicismi.
FRANCESCO MAGNI
Grazie Presidente Rossi, ma noi sappiamo che l’Italia è molto più complessa e molto più variegata, che non è tutta come il Trentino, per cui adesso vorrei chiedere all’avvocato Marco Masi, che è il Presidente della Federazione Opere Educative, che è una associazione non profit che opera nel settore dell’assistenza alle realtà educative, con circa 500 istituti scolastici associati, e quindi che ha un punto di osservazione privilegiato, qual è la situazione delle scuole paritarie in Italia oggi, quali problemi e quali sfide vi trovate quotidianamente ad affrontare nel sostegno delle scuole paritarie, e quindi che cosa chiedete agli attori politici e istituzionali.
MARCO MASI:
Grazie e innanzitutto ringrazio per l’invito, ringrazio il Meeting per avere messo questi temi al centro di un dibattito e di una discussione. Il mio contributo al dibattito di oggi è quello di cercare di rispondere alle tre domande che il nostro moderatore ha formulato (in un’ottica pertanto esclusivamente nazionale):
1) Qual’ è la situazione delle scuole paritarie in Italia oggi ?
2) Quali problemi e quali sfide le paritarie si trovano quotidianamente ad affrontare ?
3) Cosa chiedono le scuole paritarie agli attori politici istituzionali ?
La prima:
1) Qual’ è la situazione delle scuole paritarie in Italia oggi ?
Per rispondere in modo sintetico a questa domanda ho pensato fosse utile evidenziare tre aspetti:
a) I numeri delle scuole paritarie;
b) Un accenno all’andamento demografico;
c) Il dato legislativo più recente: la buona scuola e le paritarie.
1.a) I numeri delle scuole paritarie
In Italia circa 960.000 studenti (961.166 nell’as 14/15) frequentano le scuole paritarie (questo dato riguarda gli alunni dalla scuola dell’infanzia alla secondaria superiore). Circa l’11% (il 10,87%) degli studenti italiani, che sono quasi 9 milioni (8.845.984 nell’as 2014/5), frequenta una scuola paritaria.
La parte più consistente dei 960.000 alunni delle paritarie frequenta la scuola dell’infanzia (circa 604.000), 181.000 studenti frequentano la primaria, 62.000 la secondaria di primo grado e circa 113.000 la secondaria superiore.
Ogni grado scolastico per l’ordinamento italiano è una scuola, per cui le scuole paritarie sono complessivamente più di 13.000 ( 13.498 nell’as 2014/5).
Quando parliamo di “parità scolastica” non parliamo quindi solo di un principio, a noi molto caro, ma innanzitutto di una realtà di persone e di opere ( parliamo di quasi un milione di studenti, di più di 100.000 persone che vi lavorano quotidianamente, di più di 13.000 scuole, una diversa dall’altra).
Ricordo, ma è solo un inciso, che a queste scuole che accolgono l’11% degli alunni italiani il Miur destina l’1,1 % delle risorse statali per l’istruzione (senza contare le risorse che gli enti locali destinano quasi esclusivamente alle scuole statali o degli enti locali stessi), per cui come è noto il costo della scuola paritaria è quasi totalmente a carico delle famiglie che la scelgono.
Il dato più significativo è comunque rappresentato dall’andamento dei numeri, più che dalla loro fotografia.
Nel quinquennio 2010/2015 la popolazione studentesca delle paritarie è calata complessivamente di quasi il 10% ( meno 9,62%: da 1.062.667 alunni nel 2010 a 961.166 nel 2015), mentre gli alunni italiani nello stesso periodo sono calati complessivamente dell’1,34%.
Nella scuola dell’infanzia ed in quella primaria il calo è stato del 6,5 % nel quinquennio, nella secondaria di primo grado del 15,10% e nella scuola superiore in cinque anni gli alunni sono calati del 24%.
Anche il numero complessivo delle scuole paritarie si sta progressivamente riducendo ( dell’1,9% nel quinquennio 2010/2015).
Le cause di questo andamento negativo sono sicuramente molteplici e diverse da situazione a situazione, ma una è certamente comune: la crisi economica che ha colpito il nostro paese e che ha portato gravi difficoltà in moltissime famiglie (per la perdita del lavoro, la riduzione delle entrate, la paura del futuro).
In questo quadro un peso rilevante ha avuto e ha anche la crisi delle vocazioni religiose che costringe diverse Congregazioni ad interrompere la gestione di scuole paritarie, spesso presenti da moltissimi anni.
I numeri delle paritarie dicono quindi che c’è ancora oggi una presenza significativa di alunni e di scuole, ma il trend è evidentemente negativo, specie nella scuola secondaria.
1.b) Un accenno all’andamento demografico
Tutti dobbiamo guardare con forte preoccupazione all’andamento demografico nazionale (come ricordato anche qui al meeting proprio questa mattina).
In particolare chi fa scuola non può guardare al futuro, anche prossimo, senza tenere conto del dato relativo alle nascite.
Con l’inasprimento della crisi economica (2008) in Italia è iniziato a calare progressivamente anno per anno il numero dei nati (segno evidente del fatto che la crisi ha avuto come prima conseguenza la paura, la paura del futuro, un calo di speranza e di fiducia).
Nel quinquennio 2010-2015 il numero annuale delle nascite è sceso da 562.566 a 496.627 (con un calo dell’11,7%).
Negli ultimi anni il numero dei nati in Italia è tornato ai livelli del 1860: ci sono state meno nascite che negli anni delle due guerre mondiali.
Questo dato incide già in modo significativo nelle iscrizioni ai servizi educativi, alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria, e a breve riguarderà anche la scuola secondaria.
L’andamento demografico deve interrogare tutti, ma in modo particolare chi gestisce scuole e chi governa il sistema scolastico.
1.c) Il dato legislativo più recente: la buona scuola e le paritarie
La legge 107/2015 sulla cd “buona scuola” è la riforma del sistema di istruzione varata dal Governo Renzi.
La legge è articolata in due parti: una già operativa, l’altra che delega al Governo una decina di decreti legislativi che non sono stati ancora approvati.
Il cuore della parte già entrata in vigore, come è noto, riguarda la assunzione in ruolo del personale precario ed il superamento delle graduatorie permanenti.
Vi sono anche previsioni importanti, già operative, in materia di alternanza scuola lavoro e di autonomia (come la premialità del merito dei docenti e la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici ).
E le paritarie ?
Due importanti misure fiscali riguardano tutto il sistema scolastico, cioè sia le scuole statali che quelle paritarie: si tratta dello school bonus (rivelatosi però di difficile attuazione) e della detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie per l’istruzione dei figli ( novità importantissima per il nostro ordinamento anche se ancora minima nella utilità pratica : solo 76 euro all’anno per alunno).
Per il resto la legge 107/2015 ( coi suoi 212 commi ) cita espressamente le paritarie solo tre volte: per l’obbligo di pubblicare i propri dati sul Portale Unico, per il piano straordinario di ispezioni e per la previsione del nuovo titolo di specializzazione necessario per insegnare.
In sostanza la recente riforma di fatto “ignora” la scuola paritaria ( che pure accoglie ancora oggi l’11% degli alunni), quando non la discrimina espressamente ( come con la esclusione da tutte le iniziative promozionali per l’innovazione tecnologica, i progetti, l’aggiornamento dei docenti, iniziative riservate solo alle scuole statali).
Ma quel che è più grave, a mio parere, è che si va rafforzando la confusione tra la funzione regolativa del sistema scolastico e la funzione di gestione delle scuole statali. Il Miur, che purtroppo in Italia è al contempo arbitro e giocatore, tende a confondere sempre di più i due ruoli e questo va a discapito non appena delle scuole paritarie, ma di tutto il sistema scolastico.
Qual è quindi sinteticamente la situazione delle paritarie oggi in Italia? una presenza ancora significativa, grazie alla dedizione ed alla passione educativa di migliaia di persone, pur se in progressivo calo quantitativo, con importanti sfide davanti: la crisi demografica, le crescenti difficoltà delle famiglie, la sostanziale indifferenza del legislatore.
2. Quali problemi e quali sfide le paritarie si trovano quotidianamente ad affrontare
Tre sono secondo me le sfide più significative oggi per le scuole paritarie (ne accenno molto sinteticamente):
2.a) La qualità dell’offerta formativa;
2.b) L’apertura verso tutti;
2.c) L’orientamento di tutta la vita della scuola (didattica, amministrazione, organizzazione, scelte) allo scopo educativo.
2.a) La qualità dell’offerta formativa
Le grandi sfide che la realtà attuale lancia alle scuole, vanno raccolte innanzitutto attraverso un continuo miglioramento della qualità dell’offerta formativa.
Lo scopo della scuola è l’educazione: la crescita di bambini, ragazzi, giovani nella personalità, nella capacità di usare la ragione, nella conoscenza della realtà, nella apertura all’incontro, nella coscienza critica.
Ogni scuola ha una sua identità, una sua storia, un suo carattere e proprio per questo viene scelta dalle famiglie, ma nessuno può vivere di rendita (dicendo: abbiamo sempre fatto così).
La peculiarità, unica e originale, di ogni scuola deve essere continuamente rinnovata nell’apertura e nell’incontro con i bisogni sempre nuovi, con la realtà che cambia.
La prima sfida è quindi quella della continua innovazione dell’offerta formativa, della didattica, dell’organizzazione per tendere sempre alla personalizzazione della proposta educativa, alla attenzione alla situazione concreta di ogni alunno, perché ciascuno sia aiutato a crescere nella propria personalità, unica e irripetibile.
2.b) L’apertura verso tutti
La scuola ha a che fare quotidianamente con le famiglie dei propri alunni.
In questi anni è mutato radicalmente l’atteggiamento dei genitori nei confronti dell’istituzione scolastica.
Anche sotto questo profilo la scuola è chiamata ad accettare la sfida che rappresentano le famiglie di oggi, spesso fragili, preoccupate di aspetti secondari, confuse rispetto all’educazione dei figli.
La scuola ha una grande responsabilità nel suscitare, far emergere e accompagnare, il bisogno di educare e di essere educati che è nel cuore di ogni persona.
L’apertura alla “frammentata” domanda educativa delle famiglie di oggi ed il desiderio di fare arrivare a tutti la proposta educativa, rappresentano la sfida decisiva per ogni scuola.
2.c) L’orientamento di tutta la vita della scuola (didattica, amministrazione, organizzazione, scelte) allo scopo educativo
L’altra grande sfida che le scuole paritarie si trovano a vivere oggi, secondo me, riguarda la continua tensione ad orientare tutti gli aspetti della vita della scuola (didattica, amministrazione, organizzazione, scelte, uso delle risorse) allo scopo ultimo che è l’educazione della persona.
L’aspetto più rilevante riguarda la valorizzazione della responsabilità delle persone che a scuola lavorano (docenti e non docenti).
Ognuno ha un compito essenziale, perché lo scopo comune possa essere perseguito, ma nessuno lo può perseguire da solo.
Responsabilità personale e tensione all’unità, sono quindi elementi essenziali, da favorire e valorizzare.
2) Cosa chiedono le scuole paritarie agli attori istituzionali e politici
a) Riconoscere che la pluralità di scuole è una risorsa per il sistema scolastico;
b) Sostenere la libertà di scelta delle famiglie;
c) Le prossime scadenze (legge di stabilità, deleghe legge 107/2015, riforma costituzionale).
3.a) riconoscere che la pluralità di scuole è una risorsa per il sistema scolastico
La prima cosa che chiediamo al Governo e al Parlamento è di fare una chiara scelta di campo: la presenza di una pluralità di istituzioni scolastiche è una risorsa da sostenere e incentivare o un residuato del passato di cui liberarsi ?
Non c’è più molto tempo, considerata la progressiva contrazione delle scuole paritarie nel nostro paese.
Come documentato da varie ricerche internazionali l’efficacia e l’efficienza delle istituzioni scolastiche è maggiore nei sistemi pluralistici, con un evidente vantaggio per i giovani che le frequentano.
L’Italia deve scegliere e non può più continuare a “sopportare” la presenza delle scuole paritarie (incidente di percorso).
I temi riportati nel titolo del nostro incontro (autonomia e parità) sono due facce della stessa medaglia: la scelta per un sistema pluralistico passa infatti attraverso il riconoscimento di una reale autonomia delle istituzioni scolastiche e la garanzia di una sostanziale parità tra le stesse, qualunque sia il soggetto giuridico che le gestisce (pubblico, privato, locale, regionale o nazionale).
Come scuole paritarie facciamo il tifo perché le scuole statali diventino realmente autonome (qualche timido segnale lo ha dato la legge 107, ma è ancora tanta la strada da fare, a partire dalla necessità di dotare ciascuna scuola statale di una propria governance).
Un sistema scolastico realmente poggiato sui pilastri della autonomia e della parità permetterebbe inoltre al Ministero di svolgere finalmente un ruolo di terzietà (di regolamentazione, di valutazione, di controllo) rispetto a tutti i gestori di scuole, pubblici o privati che siano.
Permetterebbe anche di porre fine alla odiosa discriminazione delle scuole paritarie nell’accesso alla misure promozionali che lo Stato dovrebbe mettere a disposizione di tutti gli studenti italiani, e non solo di alcuni.
Negli ultimi anni da più parti i temi della autonomia e della parità sono stati riproposti non secondo una contrapposizione di principi, ma a partire dalle esigenze formative dei giovani, come condizioni fondamentali per permettere alle scuole di raggiungere meglio il proprio scopo.
Credo sia l’approccio giusto: è il bene dei giovani, qualunque scuola essi frequentino, che deve orientare tutte le scelte anche quelle relative alla impostazione istituzionale del sistema scolastico; e favorire la libertà e la responsabilità dei protagonisti dell’educazione (famiglie, docenti, corpi intermedi) permette di perseguire meglio lo scopo ultimo della scuola.
3.b) Sostenere la libertà di scelta delle famiglie
Come accennato prima l’onere economico della scuola paritaria è oggi a carico delle famiglie che la scelgono (integralmente nella scuola secondaria e quasi integralmente nell’infanzia e nella primaria).
Da ciò derivano gravi ed evidenti ingiustizie: le famiglie che scelgono le paritarie pagano due volte la scuola (con le imposte e con la retta), a gran parte delle famiglie meno abbienti è di fatto preclusa la possibilità di scelta tra scuola statale e scuola paritaria (nonostante molte paritarie facciano enormi sforzi per cercare di accogliere tutti), l’onere economico del docente di sostegno è insostenibile per le famiglie degli studenti disabili
(anche in questo caso buona l’iniziativa 2016 del contributo per disabili).
Chiediamo con forza di garantire a tutte le famiglie, anche a quelle meno abbienti, anche a quelle con figli disabili, il diritto alla libera scelta della scuola.
Gli strumenti possono essere diversi: il buono scuola, la detraibilità fiscale della retta (purché non resti meramente simbolica), la definizione del costo standard e la assegnazione alle scuole di risorse in base ad una “quota capitaria”.
La cosa importante è sostenere in concreto ed efficacemente la famiglia ed il suo insopprimibile diritto all’educazione e all’istruzione dei figli, come sancito dall’ inascoltato art. 30 della nostra Costituzione.
3.c) Le prossime scadenze (legge di stabilità, deleghe 107, riforma costituzionale..)
Sono diverse le occasioni, a breve e medio termine, per provare a fare dei passi avanti nella strada sopra indicata (a partire dalla legge di stabilità 2017 che verrà discussa nelle prossime settimane e dai decreti attuativi della legge 107 che devono essere approvati entro l’anno).
In base alla riforma costituzionale poi, che sarà oggetto del referendum autunnale, si supera la deludente competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni ordinarie in materia di istruzione e si prevede il passaggio allo Stato della titolarità della Istruzione e Formazione Professionale fino ad oggi di competenza regionale.
Con le deleghe della legge 107/2015 è prevista inoltre l’attrazione nell’orbita della istruzione dei servizi educativi per la prima infanzia, fino ad ora di competenza di Regioni ed enti locali (asili nido e simili).
Si tratta di segmenti formativi (IeFP e servizi educativi) in cui è significativa e prevalente la presenza di soggetti privati: speriamo che il pluralismo esistente in tali ambiti contagi virtuosamente tutto il sistema di istruzione (e che non accada il contrario, con la statalizzazione anche di tali segmenti).
L’appello che facciamo alle istituzioni, al Governo e al Parlamento, è quindi quello di operare con urgenza e concretezza per assicurare all’Italia un sistema scolastico realmente plurale, a beneficio di tutti gli alunni e delle loro famiglie.
“Tu sei un bene per me” il titolo di questo meeting descrive sinteticamente il contenuto del rapporto educativo.
Quasi tutte le scuole paritarie sono nate e vivono per la passione e la responsabilità educativa che quotidianamente migliaia di persone mettono in campo, con creatività e responsabilità.
Che queste realtà possano esistere e crescere penso sia un evidente contributo al bene comune ed al futuro dell’Italia e delle nuove generazioni.
FRANCESCO MAGNI:
Grazie a Marco Masi. Ora chiederei al Professor Vittadini, che da sempre è attento e studia i sistemi scolastici, dopo questi tre interventi che hanno segnalato opportunità, ma anche rischi e difficoltà, quali sono le prospettive che si intravvedono. Dobbiamo rassegnarci in Italia al modello scolastico napoleonico dell’Ottocento oppure qualcosa si muove?
GIORGIO VITTADINI:
Io faccio un intervento un po’ diverso, perché se non facciamo l’autonomia e la parità, andiamo sotto. 150-200 anni fa sono nati in America i test cognitivi, test chiusi, quiz, quelli che dominano adesso dovunque, che bisogna fare per andare all’università. Per intenderci, i test d’intelligenza, l’IQ, cose così. Quando sono nati, la gente che li ha fatti sapeva i limiti, sapeva che misuravano solamente certe capacità cognitive, non tutte: una certa capacità mnemonica e altro. Perché si sono affermati enormemente in America, fino a condizionare pesantemente tutto il sistema? Per tre fatti: la scuola per tutti (l’allargamento della scuola, quindi se allarghi devi essere come il Ministro che citava prima Magni, cioè una scuola standardizzata); secondo: una misura oggettiva facile da misurare; terzo fatto: la laicizzazione della scuola, evitare che a scuola si insegnassero delle cose di tipo morale, ideale, per quell’idea – ossessiva in America – della divisione tra Stato e Religione. Ma questi si sono affermati ancora di più perché nel dopoguerra i Presidenti democratici, Johnson, Kennedy e soci, hanno diffuso l’idea di scolarizzare tutta la popolazione, le masse, le scuole di massa e i test, anche approfittando degli strumenti informatici, sono diventati qualcosa di fondamentale, di facile, per permettere questo passaggio, fino a diventare di fatto il modo per valutare gli studenti, le scuole, gli insegnanti, tutto. Ora, succede che, a un certo punto, un premio nobel per l’economia, Heckman, della scuola di Chicago, quella che ha inventato gli studi sul capitale umano, cioè il nesso tra scuola e lavoro, guarda queste cose e si domanda: ma è vero che questo test di apprendimento – tra l’altro alcuni vengono usati anche per chi ha fallito le scuole e quindi deve avviarsi sul lavoro – sono validi per misurare tutto quello che riguarda la cognizione? Allora lui, dall’inizio del 2000, comincia a raggruppare studi che parlano di altri tipi di qualità, quelli che lui chiama i “non-cognitive skills” e “soul skills”, che l’American Society of Psychology classifica in caratteristiche come l’apertura alla realtà, la responsabilità, la estroversione, la capacità di cooperare, la stabilità emotiva. E mostra che, prima di tutto, quelli che non riescono nella scuola e quelli che riescono hanno capacità cognitive pari, ma chi riesce ha molto più queste caratteristiche che sono misurabili e, anzi, chi ha queste caratteristiche si differenzia anche nel corso del processo, del ciclo di vita, dal punto di vista di minor comportamenti malsani (fumo, droga o comportamenti alimentari), maggior senso della disciplina, minore depressione, maggiore felicità. Vuol dire che i test cognitivi non riescono a spiegare da soli sia la riuscita che anche il percorso lavorativo efficace. Anzi, che se noi vogliamo vedere sia la riuscita scolastica che la capacità di lavorare, dobbiamo mettere insieme i test cognitivi e i test su queste non-cognitive skills, perché sennò… E in questo caso prendiamo molto di più anche la capacità di conoscere, la capacità di apprendere, la capacità di lavorare. E allora nell’ultimo libro del 2014, Heckman chiama questi non più “non-cognitive skills” o “soul skills”, ma “character”, personalità. Guardare alla personalità è una questione fondamentale per vedere la riuscita scolastica e anche la capacità della riuscita scolastica di riuscire sul lavoro. Lui mette in crisi questa riduzione, questa semplificazione della scuola americana (che poi è anche della scuola italiana), questa standardizzazione, perché dice che questa standardizzazione perde di vista delle capacità fondamentali dell’uomo, non riesce neanche a spiegare la capacità di conoscere e poi perde di vista cose fondamentali per la riuscita scolastica e per il lavoro. C’è stato, cioè, un appiattimento della scuola, una standardizzazione che chiama “capacità di conoscere” qualcosa che è capacità di certe cose mnemoniche. Questa critica feroce che lui fa al sistema americano può essere esteso a tutti i sistemi, perché la standardizzazione, l’idea della scuola di massa, della scuola tutta uguale, della scuola generale, vale anche per il nostro sistema e vuol dire perdita di quelle capacità fondamentali, perché la nostra scuola, non adottando – ha cominciato a farlo con l’Invalsi – solo questi test, di fatto appiattisce, burocratizza, semplifica e, come diceva Violante ieri, banalizza la conoscenza. E allora, cosa centra questo con l’autonomia e la parità? Come si fanno ad apprendere queste capacità fondamentali? Viene dimostrato da altri autori che semplicemente aumentando la spesa scolastica nei sistemi sviluppati, ma di tipo centralistico, non migliora la qualità della scuola, non migliora la capacità di dare questo tipo di conoscenza: ci vuole autonomia nei programmi, negli insegnamenti, nei budget verso i professori, nella scelta dei professori. Solo se voi avete autonomia e parità siete in grado di insegnare in modo non standardizzato, in modo tale che la gente reagisca, sia creativa, che abbia questo “character” di cui parla Heckman. Gli studi di Heckman dimostrano che il punto fondamentale della conoscenza, guardate, non è né l’università, né la scuola superiore, ma è esattamente la scuola primaria: sono i primi anni in cui, se voi avete un certo tipo di insegnamento empatico, tale per cui voi avete rapporto, avete scuole che si organizzano, voi avete rendimenti scolastici e capacità di tirar su la gente migliori. Ora, voi capite che tutto il ragionamento fatto non è ideologico, perché se noi vogliamo della gente che sia flessibile, pronta, non della gente standardizzata, noi abbiamo bisogno di questo tipo di organizzazione. Quindi una scuola, in Italia o all’estero, che non abbia questo tipo di organizzazione, crea della gente che è rincoglionita, che non è pronta ai cambiamenti produttivi. E se abbiamo una capacità della scuola italiana tale per cui quando i ragazzi italiani vanno in America si mangiano i coetanei americani, anche quando non abbiano la conoscenza dell’inglese che hanno loro, è perché la scuola italiana è un po’ più indietro nella standardizzazione, perché l’insegnante conta ancora qualcosa, perché l’autonomia – pur non organizzata – è dentro il DNA, conta il rapporto professore-studente. Allora pensate cosa vuol dire se noi avessimo un sistema come quello delle free schools, se facessimo esplodere l’autonomia e la parità di cui ci ha parlato Berlinguer: noi avremmo una scuola che ce li mangiamo tutti. E questo ha a che fare con il problema del PIL, perché è stato dimostrato che il PIL cresce quando cresce il capitale umano, inteso nel senso lato che ho detto prima (l’ha detto anche un altro grande premio Nobel, Amartya Sen, che parla di “capabilities”). Allora io penso che quello che abbiamo detto faccia parte del problema della crisi. Uno dei punti più importante della crisi, l’ho detto tante volte, non è l’edilizia, ma è una scuola che sia capace di generare gente geniale, quello che vediamo nell’ultima parte della Mostra dei Settant’anni: geni che non nascono come funghi o come, come dire, tartufi, per caso, sotto gli alberi, ma che possono essere generati se abbiamo un’impostazione che va nella direzione detta.
FRANCESCO MAGNI:
Grazie. Ringrazio i nostri quattro ospiti, perché ci hanno fatto vedere, nelle diverse situazioni in cui si trovano, come sia sempre più urgente mantenere, laddove possibile ampliare, quegli spazi di libertà, dove ciascuno possa essere messo nelle condizioni di rischiare il proprio tentativo, seguendo quel metodo di libertà e di responsabilità. E quindi questa prospettiva mi sembra che ci possa mettere tutti al lavoro, da chi ha responsabilità istituzionali, al mondo della scuola, dell’università: e quindi è un compito a cui tutti siamo chiamati. Ringrazio ancora gli ospiti.