Chi siamo
ARRIVARE ALLA QUARTA SETTIMANA
In collaborazione con Unioncamere. Sono stati invitati: Luigi Campiglio, Pro-Rettore e Docente di Politica Economica all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano; Enrico Letta, Deputato al Parlamento Italiano; Alessandro Profumo, Amministratore Delegato Unicredit Group Spa. Introduce Marco Lucchini, Direttore Fondazione Banco Alimentare Onlus.
MODERATORE:
Buona sera a tutti, mi scuso per la voce, al Meeting si fanno tanti incontri ma ci si ammala poi. Allora, innanzitutto ringrazio gli amici che ci onorano della loro presenza. L’idea di questa sera è quella di fare una chiacchierata seria, cioè dove non avremo il problema di difendere delle parti, ma di dire quello che è l’esperienza di ciascuno su questo tema, che è quello della quarta settimana, così denominata come la settimana dove molte famiglie italiane hanno difficoltà a fare gli acquisti, soprattutto dei prodotti più importanti, come ad esempio gli alimentari. Sicuramente noi abbiamo un orizzonte, un punto di vista importante, perché il lavoro di questi vent’anni, a fianco delle associazioni che aiutano quotidianamente più di un milione di persone, ci permette di rilevare forse anche in anticipo, certe situazioni, e ricordo che questo tema della difficoltà delle famiglie già da tempo l’abbiamo segnalato, un tema che non è solo materiale, cioè non è solo legato alla mancanza di qualcosa, la mancanza di un reddito, o di un lavoro. Ad esempio, uno dei fattori più importanti che in questo momento segnano la povertà, è tutto il tema della distruzione della famiglia. In un momento di difficoltà, l’unità familiare ha sempre spinto a, come dire, aiutarsi. Pensate alle relazioni tra i parenti, vi dico questo perché è un dato di fatto, oramai ne parlano anche i giornali. Due persone che hanno una famiglia di quattro persone, nel momento in cui hanno delle difficoltà, normalmente si rivolgevano ai genitori, o ai parenti più prossimi, e quindi erano supportati da questa famiglia allargata. Quanti di noi, io in prima persona, sono stati aiutati ad esempio nell’acquisto della casa, dai propri genitori, oltre che dalle banche? Ecco, immaginatevi che ci sia una situazione in cui la famiglia si frantumi, tutto ciò che prima tendeva a unità, oggi diventa invece un problema di esasperazione, perché appunto i genitori non aiutano più, anzi richiedono indietro cose perché oramai… cioè si crea tutta una situazione di estrema povertà, dove spesso appunto quello che era un fattore di unità e di aiuto a sopportare e a migliorare o comunque a sopravvivere in un certo modo, invece diventa conflitto. La diseducazione è un altro dato che noi abbiamo notato molto in questo periodo, diseducazione alla gestione delle risorse, soprattutto delle risorse essenziali o elementari. Faccio un esempio che mi ha colpito moltissimo. Quest’anno c’è stato il grande tema della crisi alimentare, dei cereali, quindi aumento della pasta eccetera eccetera. Di fronte a questa situazione anche noi, come Fondazione Banco Alimentare, ne abbiamo risentito, per cui, per farvi un esempio, abbiamo ricevuto diecimila tonnellate di pasta in meno, proprio perché sul mercato non c’era, quindi non era possibile trovarla. Allora abbiamo aiutato e consigliato, ad esempio dicendo che la pasta si fa con la farina e con l’acqua. Alcune di queste famiglie ci hanno guardato, soprattutto lo dico senza discriminare nessuno, donne giovani, come se fosse una scoperta, che si può far la pasta anche con la farina e con l’acqua, non per forza bisogna comprarla già fatta. Anzi spesso vai al ristorante e te la fanno pagare molto di più, proprio perché è fatta a mano. Una capacità anche di riscoprire le proprie risorse e metterle in gioco in un momento in cui la situazione è difficile, diventa importante. Allora chiederemo proprio ai nostri amici di aiutarci in questo, a scoprire, anche a partire dalla loro esperienza personale, umana e anche professionale, cioè nel compito che gli è stato affidato dalla società, di capire come vivono e come ci possono aiutare ad affrontare questa situazione. La vera povertà, comunque, è la solitudine, perché quando uno è povero ma è accompagnato, sicuramente può affrontare la difficoltà. Spesso la povertà attuale porta invece a chiudersi in un angolo e non aver neanche più il coraggio di domandare. Cominciamo col professor Campiglio, a cui chiedo di illustrare, un po’ meglio di come sono stato capace io, in che momento siamo, cioè l’Italia in modo particolare, ma non solo, perché siamo nella più grande, come dire, povertà globale.
LUIGI CAMPIGLIO:
Grazie, anzitutto io vi presento una breve rassegna di alcuni elementi di giudizio, premettendo a questi una mia personale valutazione sulla situazione attuale che, credo, sia fondamentalmente caratterizzata da una forte incertezza nei comportamenti. E come accade in tutte le situazioni di questo genere, quando c’è grande incertezza la gente, le imprese, le famiglie, si fermano, in attesa di vedere come le cose si evolvono. E questo a mio parere è quanto sta accadendo ed è una questua, anche un momento molto interessante e, se mi passate il termine vista la gravità, molto interessante per introdurre quelle innovazioni sociali, che poi ci consentiranno, quando lo nottata è passata, diciamo così, di ritornare a crescere. Si diceva prima della capacità di un sistema, di un paese, di assorbire l’incertezza, ecco, la prima slide che è già lì pronta, sta a significare questo e sono le prime due slides anche due risultati nuovi, originali. Quello che vedete scritto, “decremento”, è il decremento della percentuale di popolazione a rischio di povertà prima e dopo i trasferimenti sociali. Allora, questa e le slides che seguono dicono sostanzialmente questo, cioè che a) l’Italia, come in molti editoriali è stato sottolineato, ha una efficienza ed efficacia della spesa per redistribuzione sociale molto bassa. Questa slide e quella che segue sono un primo tentativo di spiegare perché. Perché voi vedete chiaramente che il decremento è tanto più elevato, e quindi l’efficacia della spesa, della redistribuzione è tanto più elevata, quanto più è maggiore la spesa a sostegno dei figli in percentuale del PIL. La spesa a sostegno dei figli, della famiglia e dei disabili. Sono tutte situazioni di estrema crisi, di estremo disagio sociale, ma stanno anche a significare che non solo dal punto di vista micro, ma anche dal punto di vista macro qualcosa si può fare nella allocazione della spesa. Ecco, questo a mio parere è un grafico che riassume molti discorsi, su cui andrò rapidissimo, ma è tratta, questa tabella, dall’ultima relazione… o meglio, da un bollettino della Banca d’Italia di indagini sui consumi della famiglia, e a me pare estremamente interessante. Perché? Perché mette in rapporto il valore monetario di un’abitazione di 100 metri quadri con il reddito medio annuo di un lavoratore. Ora, mentre nel ’95 in Italia erano sufficienti otto anni di lavoro, sufficienti si fa per dire, per acquistare un’abitazione, nel 2006 ne occorrevano dodici. Che è un bel salto, è un bel salto, che illustra bene due aspetti che si intrecciano ma che sono oggetto anche della conversazione di oggi e cioè il numeratore è ciò che ha guidato un po’ la bolla immobiliare di questi anni, da un lato, e dall’altro va anche detto che il denominatore probabilmente è cresciuto meno, forse, di quanto avrebbe potuto. Sta di fatto che le annualità necessarie per l’acquisto di un’abitazione di 100 metri quadri sono diventate veramente molto alte; se pensate che, presumibilmente, di questo reddito ne può essere risparmiato al più un 20%, 15-20%, vi rendete conto che la casa, e non solo la casa, diventano un problema. Questo è anche molto interessante perché fa vedere, questo grafico, guardate soprattutto la linea blu, la linea blu dice qual è il capital game, cioè a dire, si dice spesso che le famiglie italiane sono ricche, ecco, questa tabella mostra con chiarezza come 3/4 e forse più della ricchezza recente è imputabile all’aumento del valore dei fabbricati. Quindi, stiamo attenti nel valutare la ricchezza, perché una ricchezza gonfiata di questo genere potrebbe riservare qualche problema. Le slides che seguono sono molto rapide, voi trovate qui l’aumento dei prezzi luglio 2007-luglio 2008 per categoria dei beni, ed in ogni slide che vedrete fra un attimo trovate anche l’inflazione media. Tutto quello che sta al di sopra o al di sotto sono variazioni in più o in meno. Ora, cosa c’è di interessante al di là del grafico? C’è di interessante il fatto che i prezzi hanno, come posso dire, una doppia faccia. I prezzi sono anche redditi, l’idraulico che vi fa la riparazione vi pratica un prezzo, ma essendo un idraulico unico supponiamo che il prezzo è anche il suo reddito. Ora, nella grande impresa questo non si vede, perché abbiamo una personalità giuridica e il discorso cambia, ma non va dimenticato il legame stretto che esiste fra prezzi, formazione dei prezzi e reddito, soprattutto in economie come la nostra, nelle quali le piccole, le piccolissime imprese sono così importanti. Ora, qui vedete queste grandi differenze e dovete interpretare queste grandi differenze non solo come differenze di crescita dei prezzi, ma come cambiamento delle posizioni relative di reddito e questo già suggerisce altre considerazioni che magari facciamo dopo. E qui vedete il paniere di cui sui giornali si è parlato recentemente: burro, latte, uova sono nettamente aumentate, con un tasso di inflazione a due cifre. Ecco, l’abbigliamento e le calzature no, l’abbigliamento e le calzature sono sotto la media, non solo sono sotto la media, ma le quantità vendute al dettaglio sono in sofferenza, anche l’ultima stagione dei saldi non è andata poi così bene, perché? Perché stiamo parlando di beni con un elevato grado di sostituibilità, come le automobili, ma in questo caso anche le calzature; se volete cambiare un vestito che non è proprio bucato, passatemi l’immagine, potete magari aspettare ancora un altro anno. E l’effetto si vede anche sui prezzi. E qui invece siamo di nuovo in inflazione media: 4,8, questi di nuovo sono picchi d’aumento di energia. C’è questo “affitti reali” con una crescita del 2,56% che mi lascia un po’ dubbioso, ma insomma via, sono altre questioni. Ecco, questi invece sono tutti beni che teoricamente sono diventati più convenienti, perché l’inflazione media è sempre al 4,1% e quindi arredare la casa teoricamente è più conveniente, ma di nuovo il dettaglio è sfavorevole. I medicinali, riguardo ai medicinali è più interessante, perché sono diminuiti del 5,1%, ma in generale anche questo comparto è diminuito. Ecco, aumenta, e non ci si deve meravigliare, moltissimo tutto ciò che ha a che fare con, diciamo, il petrolio, e i trasporti, quindi carburanti, trasporti aerei, navali, taxi eccetera. Ecco, taxi è un bell’esempio di quello che dicevo prima, perché vedete che non è il differenziale molto diverso dal tasso di inflazione, ma questo è un meccanismo, per così dire, come quello dell’idraulico. E qui abbiamo invece una forte diminuzione che è quella dei telefoni cellulari. Questo è il tempo libero in buona sostanza, voi vedete che secondo i dati ISTAT, anche nel caso dei ristoranti e le pizzerie, ma non degli impianti balneari, c’è un certo contenimento. Ecco, questa tabella la presento perché io ero all’estero, ma ho visto sui giornali italiani che se ne discuteva, questo è molto interessante a mio parere, perché è una tabella del ministero dell’agricoltura americano, che fa vedere, pubblica, almeno dal 1970, in realtà dal 1930 diciamo, quali sono i passaggi, gli aumenti di prezzo nella catena, nella filiera alimentare. Perché vi presento questa tabella? Per due motivi. Il primo motivo è per farvi vedere che si può fare. Il secondo motivo è che io penso che una diffusione dell’informazione sia uno degli elementi che aiuta a crescere e a uscire dalla crisi, perché consente opportunità d’impresa laddove queste siano presenti. Se vi fossero percentuali diverse, su cui adesso non voglio entrare nel merito, potrebbe essere conveniente fare arbitraggi, diciamo così. Ecco, ultima slide e poi chiudo,o meglio un breve commento, se c’è tempo.
E’ interessante perché è il punto di vista dell’impresa e questo, secondo me, potrebbe prendere anche di sorpresa qualcuno di voi, perché i prezzi e la produzione crescono dell’8,21%, ma se voi guardate i settori, nel settore conciario addirittura i prezzi sono diminuiti, i prezzi alla produzione, legno macchine elettriche, minerali non metalliferi, sono tutti aumenti veramente contenuti. Il boom riguarda prevedibilmente l’energia, petrolio-carburanti, e che qui gli aumenti siano stati poco contenuti, fa supporre che esistono motivi di tensione non solamente dal lato delle famiglie ma anche dal lato delle imprese. Quindi, e chiudo, cosa fare? Vi tornerò, se c’è una tornata successiva, ma il suggerimento è questo, cioè di immaginare un mix di politiche macro al 30%, e per la gran parte invece politiche micro economiche, micro economiche mirate su settori, mirate su territori, politiche micro economiche che consentano meglio, per esempio, di contenere quell’anomalo rapporto di 12 anni fra prezzi immobiliari e redditi, quindi che consentano di restituire equilibrio a un settore di mercato straordinariamente importante ,che temo sia soggetto a ulteriori scosse in questo semestre, perché è in arrivo tutta la produzione, tutta l’offerta immobiliare progettata negli anni buoni, e che sta arrivando adesso. Quindi avremo una situazione ancora di squilibrio e la sfida di politica economica è quella di trasformare questi squilibri in reali opportunità. Come dicevo poco fa, i momenti di crisi sono, e questo e un momento se non di crisi di forte sofferenza per le famiglie italiane e non solo italiane ma un po’ in tutto il mondo, però sono momenti nei quali si fanno i grandi cambiamenti. Negli Stati Uniti, si litiga in Parlamento e quant’altro, ma qualcosa per esempio sui mutui verrà fatto, non so se aspetteranno, sarebbe un po’ troppo, se aspetteranno le nuove elezioni oppure no, però qualcosa sui mutui verrà fatto, perché altrimenti la situazione veramente potrebbe diventare troppo critica, non solo sul piano economico ma anche sul piano sociale. E come non collocare, e qui chiudo davvero, l’esperienza del Banco Alimentare in questo filone di grandi e importanti innovazioni? Perché l’innovazione in economia non è soltanto l’introduzione di una nuova agenzia o il rispetto del diritto di proprietà, come spesso suggeriscono gli studenti ma anche tutte quelle forme di innovazione, come il micro credito, per esempio. Il micro credito è una gran bella innovazione sociale; il Banco Alimentare è in questa fase veramente interessante e cruciale, forme di innovazione sociale che ci possono aiutare a uscire meglio da questa situazione. Grazie
MODERATORE:
Grazie professore. Una domanda a entrambi. Chiedo a Enrico Letta di partire per primo. Certo la situazione di cui ci ha detto il prof. Campiglio non è proprio delle più entusiasmanti ma, personalmente, la sensazione di entrambi dentro la quotidianità, nel dialogo con gli amici, è questa? Ecco, vorrei sapere da voi personalmente, non per i ruoli che avete: è un immagine, un’idea oppure anche voi sentite questa difficoltà, questo timore, queste paure, questa incertezza che sono un fattore determinante poi anche nelle decisioni?
ENRICO LETTA:
Grazie. I dati che ci ha presentato Luigi Campiglio con il solito rigore ma anche la sua capacità di presentarci gli elementi essenziali, che ci consentono di capire dove siamo e che cosa stiamo vivendo, danno di per sé una risposta inequivocabile. I dati sono dati che ci raccontano una situazione che, in questi mesi, in questi ultimi tempi, in questi ultimi mesi, è andata a creare un clima, per il quale il termine quarta settimana è entrato nel vocabolario collettivo. Rispondo alla suggestione di Lucchini, dicendo che nella mia esperienza quello che più mi colpisce, più mi ha colpito, accanto al tema quarta settimana, è un tema che forse vi farà sorridere, ma in provincia l’ho notato, l’ho notato come un elemento di grande cambiamento rispetto ai temi ai quali siamo sempre stati abituati. Il tema è quello delle cure dentarie, che a mio avviso oggi è diventato uno dei termometri, forse più inquietanti, dell’analisi di una condizione delle nostre famiglie che è cambiata e che sta cambiando. Tema cure dentarie, è chiaro a tutti cosa intendo dire, cosa voglio dire: il procrastinare una spesa dalla quarta settimana alla prima del mese successivo oppure l’allentare alcuni consumi durante la quarta settimana nel caso delle cure dentarie, è diventato in modo diffuso una regola di procrastinare o di limitare all’essenziale le cure dentarie, che ormai hanno raggiunto cifre…, mediamente le conosciamo tutti, e che soprattutto non trovano una forma di intervento del sistema di welfare, che attorno al rimborso delle cure dentarie interviene soltanto per pochissime fasce di italiani. Tutti sappiamo che cosa vuol dire, per una persona anziana che vive soltanto di pensione, dover immaginare di rifarsi i denti e doversi immaginare di curarsi completamente sulla base del sistema pubblico, cercare di andare dallo specialista e tutto il resto. Questa è la cosa che mi ha colpito di più in questi ultimi mesi, quindi slitto rispetto al tema alimentare ma vado su una questione che ritengo di grande rilevanza, rispetto alla quale ho l’impressione che bisognerebbe dare una risposta specifica, per esempio il tema di una eventuale, perché no, idea di una mini assicurazione obbligatoria, che consenta attraverso l’intervento del privato, quindi dell’assicurazione, di coprire un settore che è diventato un settore di grande sofferenza per le persone, per le famiglie, soprattutto per le persone più deboli. Vengo, a partire da questa sensazione, a commentare molto rapidamente i dati di Luigi e a dire che secondo me quei dati ci raccontano una storia fatta di quattro problemi, di quattro grandi problemi. I quattro grandi problemi sono semplici, non li scopro io, sono da una parte il problema demografico del Paese, della composizione demografica e sociale del nostro Paese; il secondo è il problema dei prezzi, della crescita dei prezzi; il terzo è il problema dei redditi e il quarto il problema della povertà. Sono quattro questioni tra di loro collegate ma che necessitano politiche diverse per affrontarli. Molto rapidamente, il primo, a mio avviso, di tutti è il più importante perché il meno affrontato. Mi collego a quello che diceva Lucchini prima, è cambiata completamente la composizione della nostra società: intanto la famiglie fatte di single sono tantissime, in secondo luogo sono tantissime le famiglie fatte di single divorziati che devono o mantenere con un unico stipendio la moglie con gli alimenti e i figli oppure devono, appunto, farsi mantenere ma in condizioni oggi nuove nei numeri rispetto a 15 anni fa. Un fenomeno che 20 anni fa in Italia era di numeri molto ridotti, oggi è un fenomeno di numeri enormi e che quando tocca il lavoratore dipendente da 1.200 euro al mese, è tema ovviamente dirimente e esclusivo. Il tema della composizione delle nostre famiglie, il fatto che quando la famiglia supera il numero di due figli, dal terzo al quarto al quinto, è esponenziale il peso che grava sulle famiglie. Tema che ci fa dire che il nostro Paese, in questo, fa una politica da sempre familiare alla rovescia, nel senso che si occupa con il suo welfare di strumenti che partono dall’idea che tanto c’è la famiglia che fa da grande ammortizzatore sociale, e si occupa quindi del resto. Ma nel momento nel quale nel paese la famiglia, la famiglia tradizionale non c’è più, lo stato sociale deve fare quello che tutti i moderni stati sociali fanno negli altri paesi del mondo, e prendo quelli che secondo me sono i due modelli : Francia e Scandinavia. Lo stato sociale non serve soltanto per pagare pensioni, pagare la sanità pubblica, come a grandi numeri capita in Italia – dove il nostro stato sociale tradizionalmente, credo, Luigi dimmi se sbaglio, sarà il 98% della spesa sociale, se ne va in queste due voci – lo stato sociale serve a tante altre voci, le voci che hanno a che fare, appunto, con la famiglia, la famiglia numerosa, i servizi, il tema della maternità. L’altro dato che colpisce sempre è l’alto tasso di natalità che oggi c’è in Europa nei Paesi con alto tasso di occupazione femminile. Là dove c’è un basso tasso di occupazione femminile, c’è un basso tasso di natalità, segno che bisogna che ci siano strumenti di conciliazione, che in Italia sono poverissimi, tra lavoro femminile e maternità. Il tema del fatto che oggi noi abbiamo famiglie che hanno ancora un grande e ultimo ammortizzatore sociale, che sono i nonni, scusatemi se banalizzo, che sono i nonni, sono gli ultimi nonni in grado di fare gli ammortizzatori sociali, perché sono i nonni di una generazione che si trova ad essere nonno a 55-60 anni. I nonni delle generazioni successive, i prossimi nonni, i nonni del futuro, saranno nonni a 70-80 anni, perché oggi mediamente l’età alla quale si hanno dei figli è un’età molto più elevata, sono i 35-40 anni, non più i 20 anni o i 25 anni di un tempo e il nonno di 60 anni, la nonna di 60 anni è l’ammortizzatore sociale per eccellenza, consente di evitare l’asilo nido o la tata per tenere il figlio, e anche qui il welfare deve occuparsi di questi temi. Quindi, grande tema il welfare, sugli altri tre sono invece telegrafico per terminare subito. Il tema dei prezzi. Molto interessante quello che ci ha presentato Luigi, viene fuori che i settori dove si è cercato di liberalizzare, medicinali, -5%, lo considero un tema sul quale riflettere; medicinali -5%, si è fatto su questo tema un lavoro, si è fatto in Italia finalmente un lavoro, il risultato è lì in quei dati che venivano presentati. In tanti altri settori questo lavoro di apertura dei mercati non ha dato i suoi risultati. I redditi: c’è il grande tema del fatto del reddito da lavoro dipendente, nel nostro Paese, è un reddito da sette anni sostanzialmente fermo. Quindi la priorità deve essere sul reddito da lavoro dipendente, quindi una priorità che vuol dire riforma contrattuale, che dia più salario di produttività, più incentivo al secondo livello, tema sul quale c’è, sembra esserci in generale un consenso bipartisan, le parti sociali sembrano essere d’accordo, tema sul quale, quindi, bisogna fare un passo avanti perché spinge la produttività, perché ovviamente tutto parte dal fatto che un Paese che cresce zero poi ridistribuisce poco o niente. L’ultima frase, l’ho detta prima, il problema povertà. In Italia non si riflette più sulla povertà da decenni, forse l’ultima riflessione sulla povertà fu la commissione Onofri, se non ricordo male, 10 anni fa, se non ricordo male 10 anni fa. Non si riflette più sulla povertà e la povertà invece è cambiata nel tempo. Intanto la povertà ha toccato o lambisce pezzi di ex ceto medio; la povertà è una povertà legata in gran parte al tema pensioni, pensionati; la povertà è una povertà geograficamente estesa in modo differente nel Paese; la povertà in Italia non prevede strumenti praticamente di nessun tipo. C’è l’assegno sociale che è uno strumento piccolo e debole. La povertà deve trovare in Italia, deve trovare nel nostro Paese la capacità di risposte che fino ad oggi non abbiamo voluto pensare o non abbiamo deciso di pensare. Perché? Perché la povertà, tutto sommato, trovava nel welfare all’italiana, la famiglia, la comunità locale, forme tutto sommato di accomodamento, che oggi in un sistema più frazionato, diviso, più difficilmente si trovano. Quindi concludo dicendo che le cose che abbiamo visto e sentito, ci raccontano di alcuni elementi di speranza; hai citato un altro capitolo, un altro dato in controtendenza, la casa. Sarebbe interessante capire quel dato dell’arredo casa quanto è Ikea, ci siamo capiti, quanto pesa l’avvento in cinque anni in Italia con la rivoluzione del tema Ikea. Quanto questo pesa ovviamente sulla nostra produzione di arredo: noi eravamo leader su questo tema. Cambiamenti, speranze, modificazioni che necessitano di politica. La mia conclusione. Il welfare del nostro Paese dev’essere un welfare che riesca ad uscire dalla morsa esclusiva pensione-sanità pubblica, e riesca ad individuare una serie di altri strumenti mirati; la non autosufficienza, la povertà, la conciliazione, il lavoro femminile, le famiglie numerose, tutti temi sui quali da anni tutti sono stati disattenti. Credo che questo sia un grande tema per il futuro e il tema che ovviamente oggi vede ferite aperte. Ma, come diceva Campiglio poco fa, proprio là dove la ferita è più aperta, l’impulso a trovare soluzioni anche faticose per tutti è un impulso ancora maggiore. Grazie.
MODERATORE:
Grazie Enrico. Alessandro hai speranza? Tu come la vivi? Tra l’altro so che vai a fare la spesa anche, perché ti ho beccato una volta. Non vi dico il commento che mi ha detto, perché sennò dopo la Sabina mi sgrida se non vado a fare la spesa. Tu come la vedi questa cosa? E’ un problema dove ci stiamo lamentando, l’euro, sembra sempre la colpa degli altri.
ALESSANDRO PROFUMO:
C’è un problema, di questo dobbiamo avere coscienza, ma la speranza dobbiamo sempre averla, perché la speranza dipende da quello che facciamo noi, non dipende da qualcun altro, sennò tu non faresti il mestiere che fai. Allora, credo che bisogna avere coscienza dei problemi e speranza che, agendo seriamente, i problemi non dico che si possano risolvere ma quanto meno in parte si possa cercare di affrontarli. Io partirei da qualche numero, poi vado all’esperienza personale a cui tu accennavi. Qualche preoccupazione per il futuro, riallacciandomi a quanto ha detto il prof. Campiglio. Intanto come sempre, quando ci sono questi incontri, uno guarda qualche dato. Esistono due definizioni di povertà. La povertà relativa, quella che misura l’Istat, è abbastanza interessante perché dal 2000 a oggi è più o meno stabile, c’è una grossissima differenziazione fra nord e sud ovviamente; più o meno siamo intorno all’11-12%, 11% delle famiglie italiane, 12-13% degli individui, ed è più o meno stabile, dopodiché quello che fa impressione è che comunque stiamo parlando di sette milioni e mezzo di persone. Perché uno dice, 13%, stabile, è un fenomeno statistico però sono sette milioni e mezzo di persone; questo è un dato di fatto e quindi uno potrebbe dire: è stabile, va tutto bene. Non va bene, perché comunque sette milioni di persone che sono sotto la soglia di povertà sono moltissime. Poi ci sono alcuni elementi di complessità, sia nella distribuzione di questa povertà in Italia, perché al sud siamo sopra il 22% e il nord è sotto il 5%. C’è una grandissima differenziazione a seconda della composizione del nucleo familiare, ovviamente, più grande è il nucleo familiare maggiore è il peso percentuale nelle famiglie con quella numerosità ed è molto differenziata in relazione all’istruzione; siamo intorno al 18% per chi ha la quinta elementare, siamo intorno al 3% per chi ha una laurea e questi sono i nuovi elementi che vanno considerati, quando parliamo dell’istruzione. Il problema è molto più rilevante quando parliamo della povertà soggettiva, cioè quella percepita. Credo sia il grande problema che noi oggi abbiamo, perché dal 2000 al 2007 è passata dal 45 al 65%. Cioè gente che percepisce di non avere un reddito sufficiente per avere il tenore di vita che ritiene coerente con le sue aspettative. E qua nasce il grande problema, perché questo drammatico aumento fa avviare una spirale negativa su tutto, perché noi sappiamo che l’economia è trainata da tre fattori fondamentali: dai consumi che sono sempre il motore fondamentale, dall’esportazione e dagli investimenti. Le imprese investono nella misura in cui le persone consumano e qua si avvia questo famoso circuito negativo che può avere un impatto rilevante sull’economia italiana. Allora credo che il grande tema sia anche come ricostruire sicurezza e confidenza che il futuro possa essere migliore del passato. Perché oggi, secondo me, il vero tema della quarta settimana è un tema rispetto al mese, ma rispetto anche alle generazioni, cioè io credo che se facessimo, se chiedessimo in questo momento, in questa sala, chi pensa che i propri figlio staranno meglio di come stava lui, presumo che molto pochi alzerebbero la mano. Secondo me è quello il vero dramma della quarta settimana, nel senso che per le prossime generazioni non abbiamo più la confidenza che il futuro sarà migliore. E’ un tema molto complicato, perché in linea di massima vediamo economie che crescono moltissimo, siamo sempre impressionati quando parliamo del 10%, del 12% di crescita della Cina ma nessuno di noi vorrebbe vivere in Cina, perché comunque il livello di vita medio è basso. Hanno molta più positività rispetto al loro futuro ma oggi vivono peggio di come viviamo noi; cioè noi siamo dei ricchi, la nostra è un’economia ricca. Allora il tema è complicato, credo che qua, come diceva Enrico, ci siano quattro aree un po’ diverse, comunque sono gli elementi sui quali bisogna ragionare. Il primo è : come si gestisce la crescita futura? Io credo che comunque dobbiamo concentrarci su come aumentare il tasso di crescita generale del nostro Paese. C’è il tema di come gestire la sicurezza e le prospettive sul futuro, che in parte sono legate alla crescita ma credo che in parte siano legate a sistemi di valori, prospettive, cioè obiettivi. Il senso di appartenenza a una qualche organizzazione non si gestisce esclusivamente pensando che quell’organizzazione cresce, ma si può gestire in diversi modi, quindi quali sono i sistemi motivazionali rispetto al futuro? Poi il tema della redistribuzione, perché comunque io credo che il tema redistribuzione sia una tema di cui si deve parlare, redistribuzione della ricchezza, e inoltre il tema della solidarietà. Sono quattro temi secondo me tutti importanti. Ma prima di parlare di questo, magari ne parleremo in un giro successivo, un minimo di esperienza personale. Faccio parte di una famiglia estremamente numerosa e non tutti hanno avuto il percorso professionale che ho avuto io. Ho una sorella, mio cognato è andato in pensione, li vedo preoccupati, perché oggettivamente si rendono conto che con la pensione oggi fanno fatica a fare una serie di cose che prima facevano. Qua secondo me c’è fra l’altro un tema di cui secondo me nessuno di noi parla, ma di cui dobbiamo parlare per riportare giustamente il bilancio dello Stato in equilibrio, per allinearci a tutta una serie di necessità, anche di redistribuzione del welfare, che poi non è stato ridistribuito nemmeno tanto bene. Abbiamo fatto una serie di riforme pensionistiche nel passato che sono giuste e corrette, sennò lo Stato andava in bancarotta, dopodiché oggi una persona che inizia a lavorare con un lavoro dipendente, quando arriverà in fondo al suo percorso professionale avrà tecnicamente un tasso di copertura che è del 45% rispetto all’ultimo stipendio. Di questo nessuno parla. Noi fra 30 anni avremo una classe di pensionati che o ha messo in piedi delle pensioni integrative serie oppure avrà dei problemi seri. E qua, questo ridisegno del nostro modello di vita non lo abbiamo ancora fatto. Nessuno ne parla. Si badi bene, non critico le riforme pensionistiche, dico che bisogna mettere in piedi un sistema di pensioni integrative che funzioni; cosa che non è stata fatta ancora e qua i sindacati hanno grandi responsabilità su questo, diciamocelo in modo molto chiaro. Allora, oggi parliamo di un problema che paradossalmente è destinato ad amplificarsi nel futuro e di questo dobbiamo avere grande coscienza perché, diciamo, avremo delle coorti sociali che avranno problemi molto significativi. Dopodiché, lo vedo anche nella mia vita lavorativa di tutti i giorni questo tema, perché gli incassi, anche nella grande distribuzione, nella quarta settimana sono più bassi, il ticket medio è più basso e quindi che ci sia un problema è un dato di fatto. Se non ne prendiamo atto facciamo come gli struzzi, non serve a molto.
MODERATORE:
Grazie Alessandro. Riusciamo a fare ancora almeno cinque minuti a testa. Tre domande. Diceva Alessandro: certamente bisogna avere speranza, però al futuro bisogna pensarci. Io ho sentito dire a un giovane questa frase: ma in fondo, se il futuro è così nero, è meglio consumare tutto subito. Cioè, perché devo pensare a un futuro, quelle poche risorse che ho me le gioco subito adesso. Mi sembra che la ricostruzione di una nazione come l’Italia, dopo la guerra, sia stata basata molto, invece, sulla capacità di risparmio, accantonare per un futuro. Tu hai guardato molto all’importanza del ruolo dei genitori di fronte a questo pensiero del futuro….
LUIGI CAMPIGLIO:
Una cosa vorrei dire: l’importanza di quelle che tu chiamavi percezioni, un po’ come il discorso dell’inflazione percepita, che apparentemente in quanto percepita è come una malattia immaginaria. Ora, se c’è qualcosa di importante che noi economisti insegniamo ai nostri studenti è l’importanza delle aspettative, delle aspettative sul futuro, le aspettative sul futuro sono decisive. Come dice un proverbio: tutto quello che dovrà andar male andrà male, perché se uno parte con l’idea che tutte la cose andranno male, finirà che andranno male. Allora, non sottovalutiamo, anzi portiamo in primo piano questo discorso sul futuro. Io credo che la generazione che ha cresciuto i figli nel dopoguerra, incluso me, lo ha fatto con grandi sacrifici, investendo tutto se stessi nel pensiero di dare un futuro ai propri figli. Ecco che qui torna anche il pensiero della demografia di cui parlava lui prima. Ora, questo è fondamentale. Io ricordo, c’era stata una visita di Ciampi in India, il quale è tornato e ha dichiarato alla stampa: mi sembra di vedere l’Italia degli anni ’50. Io ero rimasto colpito, perché per davvero, secondo me, quel tipo di psicologia anni ’50 in cui, chi non è più giovane sa, si andava a giocare a pallone nelle strade, era quella di una vitalità, di una voglia di crescere, di una speranza sul futuro e di quelli che stavano crescendo in quel momento e soprattutto dei genitori. Ora, il discorso a cui lui mi riportava prima, era questa parola così impegnativa: genitori. Perché molto spesso, noi siamo involontariamente, in alcuni casi non siamo dei genitori al meglio delle nostre capacità, in questo senso, in questa direzione. Va anche detto, questo nel contesto del discorso, che non esiste da un lato una scuola per fare i genitori ma dall’altro mi sono reso conto negli anni che la società nel suo complesso è abbastanza disattenta a questo ruolo, che invece è decisivo, fondamentale nel fornire motivazioni. Il discorso che faceva Profumo prima, è decisivo, le motivazioni, se le motivazioni vengono solo dal denaro abbiamo il disastro dei mutui. E nell’università io vedo un campione distorto in due sensi, primo, sono giovani che sono arrivati lì, una parte si è già persa per strada e secondo, sono giovani, lasciatemelo dire, che vengono in Università Cattolica. Da questo punto di vista devo dire che l’ambiente che io vivo in Università Cattolica è un ambiente positivo. Non mi stancherò mai di ripetere qualcosa a cui tengo molto e su cui adesso stanno uscendo fior di lavori da parte di premi Nobel. Non mi stancherò mai di ripetere che la vita non comincia a 18 anni, la vita comincia almeno al momento della nascita, la vita civile, l’esser cittadino, autonomo. Ora, un numero crescente di lavori e di studi ci dicono con grande chiarezza che quello che possiamo fare di bene per i nostri figli, lo facciamo in un intervallo temporale che non è molto lungo, è piuttosto limitato, ed è veramente un intervallo decisivo. Alcuni psicologi arrivano a dire 5 anni, io non sono un economista, mi limito a registrare i dati, ma guardate che è l’elemento centrale su cui poi noi piangiamo lacrime amare, perché quando le statistiche europee ci portano all’ultimo posto per l’apprendimento della lingua, della matematica ecc. disperazione. Ora io arrivo dagli Stati Uniti, dove un titolo in prima pagina era dedicato al fatto che gli studenti della California non hanno migliorato il loro test, che è l’equivalente dell’indagine che noi facciamo per l’apprendimento. C’è la consapevolezza del fatto che, o i nostri giovani migliorano, sono entusiasti, hanno voglia di vincere, serotonina in abbondanza e quant’altro, oppure un paese non va da nessuna parte. E in questo ambito certamente, credo che a questo tu ti riferissi, i genitori hanno un ruolo fondamentale; non da soli, per carità del cielo, ma, fatemi fare una annotazione personale, questa cultura, così diffusa, secondo la quale i propri figli hanno sempre ragione è un disastro sul piano educativo. Grazie.
MODERATORE:
Grazie molto. Enrico, io ti chiedo la parte della politica, in questo caso come professore, la politica, come far sì che la gente, il popolo e chi si mette anche a studiare, a dare anche informazioni, possa sentirsi più protagonista e non dire: va beh, tanto io non posso cambiare più niente.
ENRICO LETTA:
Io parto dal caso, dall’esempio dell’anno scorso, lo cito perché ormai è storico, non so bene come definirlo, ma è passato, non fa parte della discussione politica di oggi. L’anno scorso è stato negoziato un protocollo sul welfare tra il Governo e le parti sociali, dentro questo protocollo sul welfare c’erano tante cose, c’era anche il tentativo, giustamente sottolineato come il gran problema da Alessandro, di far decollare finalmente i fondi pensione complementari, perché se non ci saranno quelli tutti i pensionati dei prossimi decenni avranno tutte pensioni da assegno sociale. E lì dentro, fu fatta una scelta, la scelta fu quella di destinare un pezzo di questa torta ai pensionati da 450 euro al mese. Destinare una fetta di quella torta a un aumento del 10% di quelle pensioni, strutturale, per sempre – due milioni e non mi ricordo quanto sono le persone che percepiscono questo tipo di pensione – che vuol dire un aumento piccolo, perché vuol dire 45 euro al mese. 45 euro al mese, se uno lo guarda giorno per giorno, è una cifra molto ridotta, ma dentro un bilancio complessivo è una cifra immensa, se spalmato su due milioni di persone. A me ha colpito una cosa: che quella che è stata una scelta politicamente e mediaticamente a impatto zero, zero perché in un sistema come il nostro, contano i problemi ma conta anche la rappresentanza del problema e esistono oggi seri problemi di rappresentanza della povertà, della sofferenza, della difficoltà, nel senso che quella scelta fatta è una scelta faticosa, perché destinare quelle risorse lì, invece che destinarle da un’altra parte, con tutte, ovviamente, le richieste che c’erano, è stato molto faticoso, perché erano tanti i soldi, sono, perché è ogni anno, è un aumento strutturale che durerà per sempre, quindi sono tanti i soldi che servono ad aumentare il reddito disponibile di un pezzo di società italiana che è in povertà. A me ha colpito l’inesistenza del tema mediaticamente, politicamente, l’assenza di rappresentanza di quel pezzo di società nel momento nel quale tutto il dibattito politico e l’impatto mediatico è dato da chi è rappresentato. Il sindacato che rappresenta una parte, ovviamente di tutto questo mondo, i rappresentanti datoriali che rappresentano un altro pezzo, i partiti politici che scelgono chi rappresentare; uno spinge più sul lavoro dipendente, un altro spinge più sul lavoro autonomo. Alla fine c’è il tema della marginalità, siccome la marginalità normalmente non vota, spesso e volentieri non vota, il tema della marginalità finisce per essere di impatto drammatico e i media raccontano tutto questo soltanto in modo parziale. Allora, qui c’è, credo, un grande problema, un grande tema che ha a che fare con interventi automatici che dobbiamo inventarci e inserire nel nostro Paese, e accanto a questo c’è un problema di rappresentanza della verità, che è l’altra faccia del tema della povertà in Italia. Perché in Italia purtroppo il tema della povertà è legato a un tema di opacità: “Come facciamo a sapere che è vero che quella persona è povera?”. Noi, in un dibattito, ne parliamo e va bene, ma sappiamo tutti benissimo che l’evasione fiscale in Italia nasconde un quarto della ricchezza nazionale, un quinto, un quarto, un quinto della ricchezza nazionale e sappiamo tutti benissimo che il nostro welfare è condizionato da questo tema, perché le tasse universitarie o le tasse scolastiche devono essere zero per chi ha veramente bisogno e devono essere elevate per chi può pagare. Solo così si riesce a rendere il sistema, un sistema efficiente, ma sono sicuro che l’esenzione che toglie le tasse a una persona è l’esenzione a una persona che ha veramente bisogno? o lì dentro c’è uno su cinque che invece è ricco, un falso ricco, un benestante che non paga un euro di tasse e che evade le tasse? Questo è un tema che in Italia colpisce, perché colpisce l’opinione pubblica. Quindi ho citato questo tema, la necessità degli automatismi, cito adesso la questione reddito di cittadinanza, che è probabilmente il tema che dobbiamo inserire e il tema del fatto che sono i Comuni, secondo me, i primi destinatari e coloro che dovrebbero essere in grado, in trincea, in prima linea di dare la prima risposta. Cosa che oggi fanno una grandissima fatica a fare, ma l’ultima parola la voglio dire su quello che diceva Luigi prima, che ho trovato molto efficace e aggiungo un pezzo alla sua riflessione. L’Italia degli anni ’60 ha fatto il boom economico, perché c’era la ricostruzione e c’era la fame e c’era quindi la fame di correre, la voglia di correre. Oggi c’è il benessere diffuso e c’è il sedersi. Io credo che l’unico modo, l’unico modo possibile, perché è difficile rimettere la fame là dove c’è il benessere diffuso, l’unico modo possibile è aprire le porte, è l’unico modo possibile. Aprire le porte metaforicamente parlando. Obbligare, obbligare i nostri ragazzi a uscire, obbligare i nostri ragazzi a uscire fuori, a confrontarsi con gli altri. Obbligarli a uscire fuori perché entrino altri. Quanto poco sono le nostre Università abitate, vissute da studenti stranieri e quanto invece l’incontro, scontro, confronto diventa competizione, elemento positivo.
Quando dico aprire, è un fatto metaforico, vuol dire la lingua, vuol dire il confrontarsi con gli altri, vuol dire uscire dal problema italiano. Secondo me il problema italiano oggi è che in questa epoca di globalizzazione noi non abbiamo ancora deciso se siamo come, scusatemi la banalità del paragone ma lo faccio per alleggerire in chiusura, quelle squadre di calcio di provincia. La città dalla quale vengo ha vissuto sempre questo dilemma: “Preferisci essere la prima squadra della serie “B”, vincere la serie “B” o preferisci giocarti la salvezza in serie “A” a rischio di essere in fondo e di retrocedere?”. L’Italia nella globalizzazione di oggi ha quella taglia che non ti rende serie “B” secco e non ti rende però nemmeno la squadra che si gioca il campionato. Ti mette in quella fascia in cui devi decidere se ti giochi la tua missione in un modo o in un altro e probabilmente il nostro problema su tanti temi è che non abbiamo deciso, quindi pensiamo di essere ancora una squadra di serie “A” e quindi ci parliamo tutti la nostra lingua tra di noi, non ci poniamo nessun problema del fatto che ce la parliamo solo noi e che quando vai fuori o ne sai un’altra oppure sei completamente fuori e questo meccanismo di provincialismo ce lo giochiamo anche su tanti altri aspetti. Basta pensare alle dimensioni del mercato, abbiamo un mercato ancora troppo grande per obbligarci ad essere più aperti. Cito questi temi per dire che io ho l’impressione che la risposta si giochi in gran parte sulla parola apertura, apertura mentale, apertura di regole, apertura di mentalità. La chiusura è la risposta o sarebbe la risposta peggiore. Allora forse mi viene da dire che il tema “quarta settimana” lo si può affrontare soltanto cercando di superare, di andare oltre, di tirare il cuore oltre l’ostacolo, dicendo: “E’ l’apertura e non la chiusura, come invece si è portati a ritenere”. La chiusura, immaginando che la chiusura diventi il modo per difendersi tra di noi. No, è l’apertura l’unico modo in un Paese il cui benessere è diffuso come il nostro, che può far mettere in circolazione quei neuroni, quelle risorse, quei talenti, quelle energie che invece nel nostro Paese ancora oggi sono così bloccate. Credo che questo tema dell’apertura è la conclusione che io immagino rispetto a una conversazione, almeno per me, così stimolante, così interessante, rispetto ai temi di cui abbiamo parlato.
MODERATORE:
Alessandro, mi colpiva quando mi dicevi prima che tu hai sempre detto, è vero perché te l’ho sentito dire più volte: “Noi non siamo preoccupati di dare profitto agli azionisti, ma di dare valore”. Come puoi trasferire questo valore che possa quindi poi permettere che quello che, sia Luigi ed Enrico dicevano, possa accadere, visto che hai un contatto così frequente, mediante la tua organizzazione con la gente?
ALESSANDRO PROFUMO:
Ma è una cosa molto complicata. Intanto…
MODERATORE:
Solo 5 minuti.
ALESSANDRO PROFUMO:
Noi siamo 180.000. Ci tengo a sottolineare il tema del valore, non profitto, perché il valore è un qualcosa, cioè un utile che è sostenibile nel tempo. Io rendo sostenibile questo risultato se i miei clienti ritengono di avere uno scambio vantaggioso, quindi se soddisfo i loro bisogni e, a fronte di questa soddisfazione, ritengono che lo scambio economico fra la loro soddisfazione per i servizi che ricevono e quello che mi pagano sia vantaggioso per loro. Se i miei dipendenti hanno un senso di appartenenza, una motivazione a lavorare per noi e se le comunità locali nelle quali sono inserito non mi fanno regolazione avversa, è perché ritengono che io sia un buon attore sociale. Secondo me, quindi, riesco a generare questo valore nella misura in cui ho legittimazione sociale. Dopodiché, andando ai clienti, avendo 180.000 persone che ogni giorno si interfacciano con più di 40.000.000 di clienti, ho un numero di interazioni molto elevato, l’unica speranza che ho, che il numero di errori siano limitati, è avendo un sistema di valori forte e condiviso e una missione chiara dell’azienda. E qua mi vorrei riallacciare un attimo a quello che diceva prima Enrico, perché io condivido molto, ne abbiamo parlato un centinaio di volte, il tema dell’apertura, però io credo che sia fondamentale, anche di questo con Enrico abbiamo parlato, spiegare il perché mi apro. Il perché mi apro. Perché se io ti dico: “Fai tanto movimento” tu dici: “Ma mi stanca”. Noi siamo ricchi è vero Enrico, ma stiamo anche invecchiando come Paese e quando invecchiamo tendiamo a voler rafforzare le nostre sicurezze. Proponiamo il tema dell’immigrazione, io credo che il tema dell’immigrazione oggi sia posto molto male. Perché poi andiamo in qualsiasi delle Province italiane, abbiamo un problema di forza lavoro per certi tipi di attività e ti dicono che dobbiamo aumentare il numero degli immigrati. Dopodiché dobbiamo prendere atto che l’apertura, l’immigrazione è apertura, genera insicurezza. In una popolazione che invecchia l’insicurezza è ovviamente più elevata che in altre situazioni. Allora tutti questi fenomeni noi li dobbiamo accompagnare con una grande chiarezza del dove vogliamo andare e del perché vogliamo andare là. Quella che per me, in azienda, è una missione, è quella che credo che ci debba essere, diciamo, per un Paese, la visione politica di chi ti fa una proposta, per richiedere il tuo voto. A quel punto io sono convinto che razionalmente arriviamo a spiegare che dobbiamo aprirci. Però dobbiamo avere grande coscienza del fatto che questo è un fenomeno non facile. Appunto, deve avere grande chiarezza del perché si va e dev’essere accompagnato nei territori, nelle comunità, nell’accompagnare tutti quei problemi che l’apertura genera. Si diceva prima dell’Ikea, quello è un fenomeno di apertura. Consente di avere la casa arredata spendendo meno, quindi ci sono tanti cittadini che ne beneficiano. Chi lavora nel settore dell’arredamento, o ha imprenditori che hanno saputo riposizionarsi su fascia molto alta, cosa che è accaduta, perché poi se andiamo a vedere, la Federlegno va bene, non è vero che soffre per l’Ikea. Però si sono tutti riposizionati. Pensiamo al distretto della seggiola, della sedia, il Friuli e così via, non vanno male. Però, diciamo, hanno avuto una grande sofferenza, perché si sono dovuti riposizionare come tipologia di lavorazione, come contenuti, in parte hanno dovuto andare a produrre all’estero e così via. Allora tutto questo richiede un grande cambiamento dei posizionamenti sociali che dev’essere accompagnato, dev’essere accompagnato sul territorio, non dal centro. E credo che i fenomeni che stiamo vedendo vadano in questa direzione. Io penso che in parte anche questa crisi può essere salutare, perché andare un po’ col sedere per terra, aiuta ad avere di nuovo, diciamo, quella voglia di fare che magari, diciamo, mio figlio ha meno di quella che avevo già io e io avevo già meno di quella dei miei genitori. Tutti, diciamo, siamo stati un po’ con la bambagia intorno e quindi il fatto che c’è più necessità aiuterà. Però ritorno a dire: io penso che dobbiamo prendere atto che siamo una società mediamente ricca e che mediamente invecchia quindi o c’è grande visione di dove vogliamo andare oppure i problemi diventeranno molto complessi da gestire.
MODERATORE:
Ringrazio anche voi di aver partecipato. Ringrazio loro perché le ritengo proprio tre testimonianze che ci dicono una cosa semplice, che ciascuno di noi deve diventare protagonista, altrimenti anche loro tre, nei loro ruoli importanti, non ce la faranno. Quindi insieme, sicuramente, questa speranza la possiamo vivere da subito. Grazie. Arrivederci.