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AMBIENTE: DALLO SFRUTTAMENTO ALLA TUTELA
Ambiente: dallo sfruttamento alla tutela
Partecipano: Corrado Clini, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; Roberto De Santis, Presidente di CONAI; Andrea Illy, Presidente di Illy Spa; Antonino Turicchi, Presidente di Alstom Italia. Introduce Robi Ronza, Giornalista e Scrittore.
AMBIENTE: DALLO SFRUTTAMENTO ALLA TUTELA
Ore: 15.00 Sala C1 Siemens
ROBI RONZA:
Iniziamo con qualche minuto di ritardo, ma recupereremo in intensità, questa tavola rotonda sul tema ambiente: dallo sfruttamento alla tutela. Partecipano a questo incontro Antonino Turicchi, Presidente di Alstom Italia, società che forse non a tutti è nota nel nome ma è ben nota nei prodotti; Roberto De Santis, Presidente di CONAI, Il consorzio per l’imballaggio e quindi per il riciclaggio, siamo tutti utenti finali del suo servizio ma questa volta conduciamo all’altro estremo della catena. Alla mia destra, Corrado Clini, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Andrea Illy, Presidente di Illy Spa: più che mai, in questo caso, bisogna dire che non c’è bisogno di aggiungere nient’altro. Non è soltanto un imprenditore ma si occupa di ambiente per suo piacere personale. Questi sono i partecipanti al nostro incontro. Dirò qualche parola per spiegare perché noi come Meeting ci occupiamo di questo tema. Ci occupiamo di questo tema perché è un discorso di grandissimo interesse e a noi interessano tutti i discorsi di grandissimo interesse. E poi, questa rinnovata attenzione per l’ambiente, che è di pochi decenni: una rinnovata attenzione, perché per tutta la storia l’uomo si è molto occupato del suo ambiente, in proporzione alle sue capacità di influire su di esso. C’è stata una breve interruzione, diciamo due secoli di minore sensibilità, e adesso si torna a questa sensibilità, che è un misto di elementi positivi e negativi. A noi interessa sottolineare che la Terra è dimora dell’uomo e che l’uomo non è un intruso nell’ambiente. L’uomo è un momento di coscienza dell’ambiente, noi amiamo dire del creato. L’aumento delle sue capacità implica un aumento delle sue responsabilità. Allora, è sulla responsabilità che si deve fare leva. Il ritorno a questa attenzione nella condizione moderna vuol dire il ritorno con maggiori energie, risorse. Infine, vale la pena sottolineare, in un momento di crisi come questo, che il rapporto con l’ambiente, la relazione con l’ambiente, la cura per l’ambiente e il trattamento dei rifiuti non sono attività di scarto ma centrali, sempre più centrali. Più aumenta la nostra capacità di trasformazione, più aumenta la nostra responsabilità riguardo all’uso di materiali trasformati. Dunque, stiamo parlando di qualcosa che non è a margine dell’economia e della società. E’ un’attività centrale. Siamo lieti di poterne parlare quest’oggi con persone che rappresentano istituzioni e imprese che hanno quest’atteggiamento e contribuiscono a far sì che la presenza dell’uomo nell’ambiente sia quello che deve essere, una grande presenza equilibrante, com’è sempre stata. L’uomo può causare grandi squilibri ma anche grandi equilibri. E’ anche una presenza che è sempre proporzionata alle risorse. La popolazione umana è sempre aumentata ma storicamente sono sempre aumentate le risorse. Ci sono sempre stati gli squilibri fra popolazioni e risorse, ma sono sempre stati temporanei. L’importante è che le gestioni di questi squilibri non siano tali da inficiare l’equilibrio nel tempo lungo. E’ una questione antichissima, quella della relazione fra popolazione umana e mondo: già san Girolamo temeva che gli uomini fossero troppo numerosi in un’epoca in cui erano meno di un sesto di adesso. Quella che gli uomini siano troppi è una paura ricorrente ma la storia dimostra che non è così. Gli uomini e le risorse sono sempre cresciuti. Ribadisco concludendo che la responsabilità di oggi è tanto più forte, tanto più forti sono le nostre possibilità di influire. Darò la parola prima a persone che rappresentano imprese e istituzioni, e da ultimo al Ministro Clini, perché da lui potremo sentire non soltanto quello che ha a cuore di dirci ma potremo anche dargli la possibilità di rispondere come rappresentanza delle istituzioni alle osservazioni o ai quesiti degli altri relatori. Comincio dando la parola ad Antonino Turicchi, Presidente di Alstom Italia, a cui chiedo di dirci che cosa sia Alstom.
ANTONINO TURICCHI:
Visto che i nostri prodotti sono molto più famosi del nostro nome, cominciamo allora a spiegare un po’ la nostra azienda. Alstom è un’azienda internazionale, con una presenza ormai storica in Italia, da oltre dieci anni. Siamo un gruppo attivo nella produzione d’infrastrutture per il trasporto ferroviario, per la produzione e trasmissione di energia. Abbiamo una forza produttiva di 3500 dipendenti, organizzata su 13 siti produttivi. Siamo una delle realtà produttive più importanti. Soltanto in Lombardia, nell’area produttiva di Sesto, abbiamo 100 dipendenti. In termini di fatturato, un miliardo e duecentomila euro di fatturato nell’ultimo anno, rappresentato per circa l’ 80% dai trasporti. I nostri prodotti consentono, praticamente, agli operatori ferroviari – le Ferrovie dello Stato – e al nuovo operatore, di poter svolgere al meglio il servizio. Il prodotto per il quale il nome di Alstom è conosciuto, dal momento in cui ha acquisito Fiat Ferroviaria, che continua ad essere una tecnologia utilizzata in tutto il mondo, è la tecnologia del Pendolino. Il Pendolino è un treno conosciuto da tutti, che continua ad essere il prodotto che esportiamo in tutto il mondo.
Nel mio intervento parlerò della sostenibilità dell’ambiente come strumento per contribuire alla prospettiva di sviluppo e di crescita. Il 60% delle infrastrutture che dovranno soddisfare il fabbisogno di energia nel 2030 deve essere ancora realizzato. E’ fondamentale, praticamente, immaginare e progettare queste infrastrutture in maniera tale che la compatibilità ambientale sia pienamente rispettata. Alstom, come dicevo, è attiva dalla produzione alla trasmissione di energia, ai trasporti. La compatibilità ambientale deve essere realizzata dal momento in cui questi prodotti vengono progettati.
Quali sono in questo momento gli sforzi e le tecnologie in relazione alle quali viene assicurata da parte di infrastrutture pesanti come treni, centrali e trasmissione di energia, questa compatibilità ambientale? Viene ad essere immaginata attraverso nuove tecnologie, ad esempio nella produzione di energie che devono consentire la cattura della CO2. Utilizzerò anche le slide. Con la terza slide, vediamo gli aspetti legati alla cattura della CO2, per il fatto che le infrastrutture che realizziamo devono consentire la riciclabilità di tutti i materiali utilizzati. L’altro elemento importante sono le energie rinnovabili: far sì che le energie rinnovabili siano integrate nella rete. Vediamo come questi tre aspetti, nell’ambito dei tre settori e nelle sfide che questi tre settori dovranno affrontare, vengono ad essere realizzati.
Per quanto riguarda il settore della produzione di energia, sappiamo che oltre un miliardo e mezzo di persone nel mondo ancora non ha l’energia elettrica. Prevalentemente si tratta di persone che sono localizzate in aree rurali. L’altra sfida importante è che le economie che stanno maggiormente crescendo (India e Cina) sono economie nelle quali praticamente, dalla produzione all’utilizzo di questa energia, devono essere realizzate linee che coprono centinaia e migliaia di chilometri. L’altro elemento è che, secondo l’Agenzia internazionale, si immagina che il consumo di energia, da qui al 2025, cresca del 2,2% all’anno. Quindi, il settore dell’energia ha di fronte a sé le seguenti sfide: innanzitutto, i combustibili fossili che continueranno, nella nostra visione, a rappresentare il 50% per soddisfare il fabbisogno. Nell’ambito dei combustibili fossili, poi, uno dei temi che è oggetto di dibattito e di analisi è il confronto carbone e gas, se il mondo sarà sempre più dominato dai gas, cioè da una fonte energetica che, oltre ad essere caratterizzata da maggiore efficienza, ha minore impatto ambientale. L’altro tema importante – vediamo tutta una serie di tecnologie che si stanno sviluppando – riguarda la cattura della CO2 con il suo stoccaggio. Questo è un tema importante, nel cui ambito si stanno già sviluppando tecnologie: noi riteniamo che la cattura della CO2 sia un elemento importante per raggiungere gli obiettivi fissati a livello europeo. Per quanto riguarda la trasmissione di energia, uno dei tempi importanti è la perdita che l’energia subisce dal momento in cui viene prodotta al momento in cui viene consumata. Il 16% dell’energia prodotta non riesce ad essere consumata perché si disperde durante la trasmissione. L’altro tema, nella trasmissione di energia, è l’integrare le fonti tradizionali di produzione di energia con le fonti rinnovabili che, negli scenari che si immaginano, si prevede di quadruplicare. Queste fonti sono caratterizzate da una produzione che non è stabile, e quindi è necessario, visto che le reti di trasmissione devono essere stabili, andare ad integrarle con il resto delle fonti tradizionali. Quindi, la rete ha due temi importanti, intesi come trasmissione. Il primo è ridurre le perdite: qui abbiamo le tecnologie che si stanno sviluppando, per le quali il gruppo Alstom è leader a livello mondiale, ovvero la trasmissione di energia in corrente continua. L’altro elemento riguarda l’integrazione delle energie rinnovabili nella rete, attraverso il concetto delle smart grid. Sono le due sfide nella trasmissione dell’energia che devono consentire, in particolare in quelle aree dove è necessario portare l’energia – le aree rurali – a reti che percorrono centinaia e migliaia di chilometri di non disperdere energia ed essere efficienti.
Il tema dei trasporti. Il 23% delle emissioni di CO2 nel mondo è legato ai trasporti. Negli scenari globali si immagina che i fenomeni di urbanizzazione debbano andare avanti, città sempre più grandi, città nell’ambito delle quali abbiamo due temi: la congestione delle città e il fatto di consentire alle persone di potersi muovere in maniera rapida e non inquinante. Che cosa notiamo, dal punto di vista della produzione della CO2? Che i sistemi di trasporto su rotaia sono i sistemi più efficienti. Pensate che, di quel 23%, soltanto lo 0,5% di questa produzione di CO2 è legata ai treni, e a livello mondiale soltanto lo 0,11%. Ecco, nel momento in cui confrontiamo i vari sistemi di trasporto, un treno TJV, ovvero un treno ad altissima velocità, per percorrere 100 km consuma 1,2 lt di carburante; una autovettura, 2,3 lt di carburante per ogni 100 km, un aereo, 5,7 lt di carburante per ogni 100 km. Quindi, il treno rappresenta il sistema di trasporto che, da un punto di vista della efficienza ambientale, è il più efficiente, il sistema che, dal punto di vista della mobilità nell’ambito della città e delle persone collegate con la città, ha sicuramente una efficienza maggiore.
L’altro tema importante è la riciclabilità del prodotto. Ecco il treno Coradia che è in servizio in Italia, è un treno che ha una riciclabilità di oltre il 95%. Su questo, cosa stiamo facendo? Stiamo sempre più migliorando i prodotti, studiando prodotti che migliorano questa riciclabilità, ad esempio utilizzando la lana e la canapa nell’isolamento, oli biodegradabili e, nel design, riducendo il peso per essere efficienti.
Tutto questo è un trend che sta trainando in maniera importante, per risolvere i problemi di mobilità e di inquinamento. Il nostro Gruppo ha fatto un esercizio, immaginando cinque scenari dal 2035, nell’ambito dei quali poi ha chiesto un confronto, una opinione ai maggiori rappresentanti dell’utility a livello mondiale, per vedere quali di questi scenari saranno più probabili. Il primo scenario è quello in cui prevarrà il gas come energia prevalente, perché il gas è una energia che, anche attraverso le nuove tecnologie – il cosiddetto gas non convenzionale – tende sempre più a trovarsi sul nostro pianeta ed è una energia caratterizzata da elementi importanti: è estremamente efficiente ed è pulita. Quindi, un mondo in cui, nel 2035, il gas rappresenterà l’energia prevalente che soddisferà i fabbisogni. Un altro scenario è il cosiddetto scenario Asian Dragon, ovvero uno scenario nell’ambito del quale le innovazioni saranno dominate dalle compagnie asiatiche, quindi, l’Asia tenderà a garantirsi le tecnologie più efficienti e più innovative, visto che rappresenta Paesi nell’ambito dei quali il fabbisogno di energia sta crescendo in maniera più importante: è il trend di tecnologie che vedono il dominio e l’acquisizione da parte delle società asiatiche. Un altro scenario è il cosiddetto Urban Sustainability, ovvero uno scenario nell’ambito del quale, visto che c’è nelle città questo fenomeno di urbanizzazione, con città sempre più grandi – oltre 360 città da qui al 2015 avranno un milione di abitanti -, c’è la necessità, che nasce soprattutto dal basso, di creare città ed ambienti sostenibili dal punto di vista ambientale. Poi abbiamo un altro scenario, anche questo trainato da una coscienza che richiede una decisione a livello mondiale, nell’ambito del quale si vuole limitare il surriscaldamento del pianeta a due gradi centigradi. E’ una sfida che riteniamo importante. Nell’ultimo scenario, la depressione economica vedrà una crisi prolungata, per cui, piuttosto che essere orientati a soluzioni di efficienza, si andrà verso soluzioni di basso costo.
Quale di questi scenari si immagina più probabile, nel confronto tra i rappresentanti a livello mondiale? Dall’analisi, lo scenario dell’Asian Dragon viene considerato maggiormente realizzabile, seguito dallo scenario del Gas Wave, lo scenario dove il gas rappresenterà l’energia prevalente. In quattro di questi cinque scenari, i temi di sostenibilità aziendale rappresentano il driver principale delle scelte di investimento. Cosa stiamo facendo – e qui concludo il mio intervento – come azienda che si deve cimentare con le infrastrutture, come stiamo diffondendo questa cultura, anche a livello aziendale? Innanzitutto, riteniamo che l’ambiente sia patrimonio comune e da tutelare e ci siamo dati cinque obiettivi: aumentare il numero siti certificati ISO 14001, ridurre le emissioni di gas e di consumo energetico, ridurre il consumo di gas, limitare l’impatto delle attività industriali sulla qualità dell’aria e gestire in maniera efficace il ciclo dei rifiuti. Riteniamo che lo sviluppo di una cultura di tutela dell’ambiente debba nascere dall’interno. Ecco perché è molto importante far crescere queste idee dal basso, attraverso il contributo dei singoli lavoratori, per poter realizzare questi obiettivi. Grazie.
ROBI RONZA:
Grazie, Antonino Turicchi. Ora la parola a Roberto De Santi, presidente CONAI: si parla del suo tema, il riciclaggio come attività produttiva e anche come attività in cui una componente essenziale è l’autodisciplina. Si può riciclare soltanto se la gente è convinta che sia utile farlo, se la gente viene puntualmente informata dei buoni risultati del riciclaggio.
ROBERTO DE SANTI:
Invitato a parlarvi brevemente di 15 anni di storia del CONAI – quest’anno ricorre il 15° compleanno della fondazione -, vorrei portare la vostra attenzione non tanto sui risultati conseguiti dal nostra sistema ma su due aspetti fondamentali che, credo, emergeranno chiaramente dalla illustrazione di 5 slide che abbiamo preparato. Uno è sostanzialmente il concetto espresso dal nostro moderatore: come questo sistema abbia prodotto dei risultati sulla base di una forte assunzione di responsabilità, di impegno civile, non solo delle aziende che producono ed utilizzano imballaggi ma di un sistema che è a monte delle aziende, cioè sul comportamento dei consumatori e su un adeguato impegno delle amministrazioni locali. Questo è un primo aspetto. Un secondo aspetto è che questo sistema, nato da un preciso vincolo ambientale, ha prodotto significative conseguenze economiche. Vi illustrerò una slide in cui si verificherà che, dietro il conseguimento di una serie di obiettivi di carattere tipicamente ambientale – e quindi, sostanzialmente, la riduzione delle quantità di rifiuti di imballaggio che vengono inviate a discarica oppure la riduzione delle emissioni di anidride carbonica rispetto alle emissioni che si sarebbero verificate ove alcuni manufatti, anziché ottenuti da materie prime seconde, fossero stati ottenuti da materie prime vergini -, sia venuta fuori una serie di conseguenze di una crescita economica fondamentalmente basata su una forte capacità di innovazione, anche di tipo tecnologico.
Spenderò solo quattro, cinque slide, per raccontarvi le caratteristiche di questo sistema, facendo riferimento alla legge che lo ha istituito, per poi trarre queste due conclusioni sulle quali vorrei portare la vostra attenzione. La prima slide: vedete, questo è, in sintesi, lo scopo della nostra attività, come precisato dalla legge 152 del 2006, che riprende il cosiddetto Decreto Ronchi del 1997. Ecco i 15 anni di vita del CONAI. Recita testualmente la legge: “…per raggiungimento degli obiettivi di recupero di riciclaggio, i produttori e gli utilizzatori di imballaggio partecipano in forma paritaria al CONAI, Consorzio Nazionale Imballaggi, che ha personalità giuridica di diritto privato senza fini di lucro”. Partecipano quindi al Consorzio, tanto per darvi un ordine di grandezza, 1.200.000 imprese, sono tanti i nostri soci. Partecipa per intero la filiera della distribuzione che utilizza gli imballaggi, e partecipa a monte tutta una attività industriale che va dalla produzione, non soltanto degli imballaggi ma delle materie prime degli imballaggi, all’industria che utilizza questi imballaggi. Faccio l’esempio, credo, più significativo, l’industria alimentare. CONAI indirizza, come vedete, l’attività di sei consorzi di filiera dei produttori, sei, quanti sono i materiali di imballaggio: plastica, carta, vetro, acciaio, alluminio, legno. E garantisce le istituzioni sul fatto che vengano raggiunti alcuni obiettivi di legge di riciclo e di recupero che sono fissati da una legge italiana che recepisce una direttiva europea.
Qual è il meccanismo attraverso il quale opera CONAI? La legge dice che CONAI determina il valore, per produttori ed utilizzatori, del cosiddetto contributo ambientale, cioè il contributo che viene pagato da produttori ed utilizzatori di imballaggi. Le risorse ricavate dal contributo ambientale, dice la legge, devono essere impiegate prioritariamente per sostenere i maggiori oneri economici della raccolta differenziata organizzata dalle amministrazioni locali. Allora, lo strumento principale fissato dalla legge è un accordo che il CONAI stipula con l’ANCI, che è l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, un accordo con durata quinquennale che sostanzialmente ha l’obiettivo di sostenere i maggiori oneri per la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, garantendo una crescita omogenea sull’intero territorio nazionale della raccolta differenziata e garantendo l’avvio al riciclo dei materiali raccolti.
Voglio portare la vostra attenzione su questo accordo con l’ANCI, su tre punti che credo siano fondamentali. L’accordo è volontario. Il CONAI agisce soltanto in maniera sussidiaria: se il singolo comune d’Italia ci chiama a stipulare un accordo, noi interveniamo. Ove il comune, il singolo gestore locale, decidesse non essere suo interesse sottoscrivere la convenzione con CONAI, perché, per esempio, il valore delle materie prime seconde generate dai rifiuti di imballaggio avesse quotazioni di mercato parecchio elevate, non solo può evitare di sottoscrivere l’accordo ma anche, in itinere, uscire dall’accordo stesso, naturalmente secondo alcune regole fissate dall’accordo. Quindi, un accordo volontario e sussidiario. Il secondo discorso mi pare molto importante, è stato anche motivo di polemica in sede di Parlamento: noi garantiamo con questo accordo il ritiro dei rifiuti imballaggio sull’intero territorio nazionale, nonostante, come si vedrà fra poco, il CONAI abbia abbondantemente superato gli obiettivi che la legge gli imponeva. Noi ci siamo impegnati a ritirare ed avviare a riciclo tutti i rifiuti di imballaggio, ovunque si realizzino sull’intero territorio nazionale. E’ molto importante perché, come vedremo fra poco, anche in questo contesto ci sono due Italia. C’è un Italia del sud che è parecchio in ritardo nella raccolta differenziata e quindi nella consegna dei rifiuti di imballaggio al sistema consortile. Nonostante si siano realizzati questi obiettivi, noi garantiamo il ritiro in tutte le parti d’Italia, non soltanto a corrispettivi economici definiti, legati alla quantità di rifiuti di imballaggio che i gestori locali, le amministrazioni locali sono in grado di consegnarci, ma anche legati alla qualità. E’ evidente che la raccolta differenziata degli imballaggi non è un fine, il fine è il riciclo dei rifiuti di imballaggio. Sostanzialmente, la qualità, la purezza dei rifiuti di imballaggio raccolti in maniera differenziata determina il successo economico e tecnologico delle fasi di avvio a riciclo. Terzo. Un onere che ci siamo assunti è questo impegno straordinario per lo sviluppo delle raccolte differenziate delle aree in ritardo che, come dicevamo prima, sono al Sud. Non fa parte dei nostri compiti quello di organizzare i sistemi di raccolta differenziata, tuttavia pensiamo che sia nostro compito – l’abbiamo sancito all’interno dell’accordo – mettere in campo una serie di strumenti per aiutare quelle amministrazioni locali che sono in palese ritardo negli obiettivi di raccolta differenziata. Voglio anche citare – c’è il Ministro testimone – il recente impegno che ha riguardato la capitale d’Italia in cui, da circa un mese, abbiamo consegnato un corposo progetto pressoché operativo di crescita della raccolta differenziata riguardo alla quale, come probabilmente molti di voi sapranno, la capitale è in ritardo, ricorrendo in maniera sistematica alla discarica. Su questo, volevo anche dire che siamo stati con forte insistenza, sempre con cortesia, mossi dall’impegno personale del Ministro su Roma.
Due, tre numeri del CONAI. Quanti denari il sistema raccoglie attraverso il contributo ambientale? Nel 2011, le risorse finanziarie sono state pari a 482,8 milioni di contributo ambientale, che fanno riferimento agli 11,6 milioni di tonnellate di imballaggi messi al consumo. Abbiamo finanziato i Comuni d’Italia, per questi maggiori oneri, nella misura di circa 300 milioni di euro: sono andati ai Comuni, secondo l’impegno di destinare ai Comuni risorse che coprano i maggiori oneri per l’organizzazione della raccolta differenziata. Con un pizzico di orgoglio, vi voglio dire sinteticamente le nostre performance complessive.
Oggi in Italia, come vedete – 73,7 % -, tre imballaggi su quattro vengono recuperati: significa che solo un imballaggio su quattro viene inviato a discarica e che il 64,4 % degli imballaggi, cioè circa due imballaggi su tre, sono riciclati, 47 % dalla gestione diretta del sistema consortile. Tra parentesi, è indicato l’obiettivo fissato dalla legge: 60% di recupero contro il 73,7% conseguito e 55 % di riciclo contro il 64,4 % conseguito. Qui c’è brevemente, nella slide successiva, la storia di questi 15 anni, che per noi è parecchio significativa perché dei circa 7 milioni e mezzo di tonnellate avviate a riciclo in Italia nel 2011, 47 % sono realizzati dalla gestione consortile, quella indirizzata dal sistema CONAI, 53 % da altri operatori privati. Come vedete, il ruolo del CONAI è andato via via, crescendo a partire dalla sua nascita. Si è sviluppata in questi 15 anni in maniera significativa la raccolta differenziata degli imballaggi e quindi, con l’accordo ANCI – CONAI, è progressivamente aumentata la quantità di rifiuti di imballaggi urbani avviati a riciclo dal sistema consortile, ma questo non ha impedito che gli operatori privati che si occupano prevalentemente di avvio al riciclo di rifiuti di imballaggio non urbani ma industriali e commerciali continuassero la loro attività e anzi crescessero anche loro, dal 1998 fino al 2011.
Le conclusioni di questo discorso sono quelle che vi dicevo. Se va avanti la prossima slide, vi voglio sostanziare il concetto con il quale ho aperto. Questo sistema, nato da un preciso vincolo ambientale, ha avuto precise conseguenze economiche. E’ evidente che è un sistema economicamente chiuso in se stesso, in perdita economica. Il fatto che i produttori e gli utilizzatori di imballaggio paghino un contributo ambientale per riportare a zero il conto economico, significa che questa è un’attività che, nell’interesse dei nostri soci, è economicamente deficitaria; ma ove noi allargassimo lo sguardo e verificassimo quali sono le conseguenze economiche, non per il sistema consortile ma per il sistema Paese, queste conseguenze economiche diventerebbero parecchie più significative e parecchio più interessanti. Qui c’è una slide nella quale viene sintetizzato il risultato di un lavoro fatto da una società di consulenza, Artesia, guidata dal professore Marangoni dell’università Bocconi, che ha detto sostanzialmente quale è stato, nei 15 anni di funzionamento del sistema CONAI Consorzi, il saldo netto tra costi e benefici di questo sistema. E quindi, come verificate, partendo dalla fine, questo studio dimostra che per l’intera collettività, per il nostro Paese, questo sistema ha generato benefici netti, quindi saldo tra benefici e costi per circa 11 miliardi di euro. Credo che possiate leggere nella prima parte della tabella i costi incrementali della raccolta, i costi incrementali per il trasporto e la selezione e il riciclo dopo la raccolta differenziata, i costi di struttura del sistema CONAI Consorzi: un totale di costi sostenuti, in questi 15 anni, di circa 4 miliardi di euro. Successivamente, nella parte inferiore, guardate le voci di beneficio. Le voci di beneficio sono i costi di smaltimento in discarica evitati, le emissioni di anidride carbonica inferiori, come dicevamo prima, quantificati economicamente, il valore della materia prima seconda generata. Il sistema CONAI oggi è in grado di mettere sul mercato 3.700.000 tonnellate di materie prime seconde a disposizione dell’industria italiana, materie prime seconde che sostituiscono, grazie a fortissime innovazioni di prodotto e di processo, l’utilizzo di materie prime vergini. I costi evitati grazie ai sistemi di prevenzione, cioè all’innovazione nelle performance degli imballaggi, e poi l’intero sistema dell’indotto generato a livello di gestori della raccolta differenziata, ma in tutte le imprese che ci sono tra i gestori della raccolta differenziata e l’avvio al riciclo di attività di pressatura, di selezione, cose di questo genere; come vedete, la somma di questi benefici è superiore ai 15 miliardi di euro. Questa società di consulenza stima che, sostanzialmente, CONAI, da un vincolo ambientale, abbia prodotto questo tipo di beneficio complessivo economico per l’intero Paese.
Un ultima cosa, velocemente, per riprendere il concetto di responsabilità: in questa tabella viene indicata la performance, misurata in chili per abitanti, raccolti in maniera differenziata e avviati al riciclo nel nord, nel centro e nel sud. Guardate la tabella nord per i diversi materiali e la tabella sud. Come vedete, nel nord viene raccolto in un anno, in alcuni casi, il doppio, in altri casi più del triplo, di quello che viene raccolto nel sud. Ci sono due Italia, qui. Qual è la differenza di performance? E’ quello che dicevamo prima: una forte assunzione di responsabilità, non soltanto da parte dei produttori e degli utilizzatori di imballaggio ma anche un comportamento virtuoso dei consumatori, che fanno per bene la raccolta differenziata, ma, permettetemi di dire, con riferimento prevalentemente al sud, la forte assunzione di compiti di responsabilità, l’etica della responsabilità delle amministrazioni locali nel sud che, molto spesso, non è adeguata, impedendo a quelle regioni, non soltanto di conseguire obiettivi ambientali ma anche di neutralizzare possibili occasioni di crescita economica. Grazie.
ROBI RONZA:
Grazie, De Santis, per questa interessante informazione che ci riguarda tutti come utilizzatori finali del suo servizio. Io però devo fare l’avvocato d’ufficio dei meridionali. Essendo nato e cresciuto a 12 chilometri dalla frontiera Svizzera, sono stato testimone recente di questa notizia drammatica, per noi, di Varese. E’ uscita una statistica da cui risulta che noi di Varese ricicliamo meno di Pordenone. Lì ci siamo detti: “Va beh! Pordenone!”. Meno di Salerno… e c’è stato un brivido in tutta la città. Ricicliamo meno di Salerno!. Salerno è una città meridionale che ricicla tantissimo.
ROBERTO DE SANTIS:
Mi hai dato un assist, usando un termine calcistico! Salerno è una delle realtà urbane per cui c’è stato un significativo impegno del sistema CONAI. Abbiamo realizzato un’intera progettazione, c’è una amministrazione comunale che si è assunta in pieno la responsabilità. Salerno è in linea con i migliori standard del nord, a conferma del fatto che anche nel sud si possono fare queste cose, naturalmente scontando questa forte assunzione di responsabilità condivisa dai consumatori ma soprattutto dalle amministrazioni locali.
ROBI RONZA:
Comunque noi ci siamo detti, non soltanto in consiglio comunale ma anche nei bar: l’anno venturo dobbiamo riciclare più di Salerno. Bene. Andrea Illy.
ANDREA ILLY:
Buongiorno a tutti. Grazie di avermi invitato a parlarvi di questi temi appassionanti. Io vi racconterò quello che facciamo come impresa, ma prima vi dico due parole sul perché lo facciamo, sulla filosofia di impresa, quella che scherzosamente amo chiamare fillysofia, perché è stata portata avanti già da mio nonno e poi da mio padre. Secondo noi, lo scopo dell’impresa è quello di creare benessere attraverso il comportamento virtuoso e l’armonia con l’ambiente. E’ per questo motivo che l’impresa deve rivolgersi non all’azionista ma ad un insieme di portatori di interesse – in inglese c’è questa parola, stakeholder, che si differenza dagli shareholder. Gli shareholder sono azionisti, gli stakeholder sono i portatori di interesse -, che sono la società, coloro che, direttamente o indirettamente, vengono influenzati dall’attività di impresa. E in tal senso l’impresa deve essere anche un agente di cambiamento rispetto a quelli che possono essere gli squilibri che si vengono a creare di volta in volta nel percorso evolutivo. E questo, secondo un percorso ideale, utopistico. Se ogni impresa coltivasse il proprio giardino, sicuramente – come dice Candide – il mondo sarebbe migliore. L’idea come impresa è quindi di rappresentare anche un modello, e sono ben lieto di fare questa testimonianza.
Di squilibri, in questo momento ce ne sono tante, e anche piuttosto macroscopici. Io dico sempre che mai come in questa epoca si dimostra che il mondo in cui viviamo è totalmente insostenibile, sia dal punto di vista economico, ambientale e sociale, e vi spiego in due parole perché. Quando sono nato io, e mi considero abbastanza giovane, eravamo meno di metà dei cittadini che siamo oggi sul pianeta e l’economia, presumo fosse la metà anche quella, perché andando a vedere le cifre si vede che nell’ultimo secolo e mezzo è cresciuta proporzionalmente all’esplosione demografica. Il problema è che la demografia non può continuare a crescere all’infinito, e il secondo problema è che l’economia non può vivere soltanto se cresce. L’economia e il sistema economico in cui viviamo, o cresce o collassa, come sta dimostrando il sistema chiaramente, dal 2002 innanzi, perché la crisi che stiamo vivendo è iniziata in realtà nel 2002. Il motivo di insostenibilità ambientale è che l’economia in cui stiamo vivendo è alimentata dalla combustione come fonte di energia, che è il modo più primordiale di generare e consumare energia. Bruciare è la cosa più semplice: siccome c’è un gas che è incompatibile con la vita sul nostro pianeta, il carbonio, la Terra si è organizzata per sequestrare in forma solida, vegetale e anche minerale questo elemento. E noi, nell’ultimo secolo e mezzo, in due secoli di storia, abbiamo bruciato tutto quello che la Terra aveva sequestrato in quattro miliardi e mezzo di storia. E’ evidente che rilasciare questo quantitativo ingente di gas carbonio nell’atmosfera crea degli squilibri ambientali che sono sotto gli occhi di tutti. Per fortuna, questo modo primordiale di consumare energia è solo uno dei tanti modi possibili e quindi, a fronte di questa insostenibilità, dobbiamo avere una soluzione che risolva i problemi ambientali, sociali ed economici, che sono tutti e tre collegati.
Io credo molto nell’energia solare. Essa ci permetterà di avere rinnovabilità totale e una quantità di energia che giunge dal Sole è pressoché inesauribile. Noi abbiamo più di trenta volte per metro quadrato l’energia necessaria dei consumi di un anno, lo dimostra la calura che c’è in questo capannone, anche con tutta l’aria condizionata. Di tecnologie per produrre e convertire l’energia solare in elettricità, ce ne sono già, come dimostra l’Italia che è un Paese sempre più avanzato, ma ne arriveranno di sempre più avanzate in futuro. E’ simbolico che quest’anno si dia inizio al progetto molto ambizioso che si chiama DESERTEC, che comincia dal Marocco, ma poi è un progetto dell’Unione Europea che coinvolgerà tutto il Nord Africa, che prevede di produrre energia elettrica e anche desalinizzazione dell’acqua di mare per l’irrigazione dei campi in tutto il Nord Africa e poi di trasportare in Europa, attraverso il Mediterraneo, questa energia prodotta in Africa, con una dispersione quando ci saranno le nuove reti a basso tensione di meno del 10% per ogni duemila kilometri. Quindi, capite che il futuro è molto promettente perché con questo tipo di futuro noi avremo una rivoluzione economica: infatti, tutto questo comporterà degli investimenti, delle infrastrutture, anche dei cambi tecnologici che porteranno al prossimo boom economico. Noi siamo soltanto nella fase di sboom dell’informazione, queste macro ere economiche durano una cinquantina d’anni, sta finendo una che è quella dell’informazione, ne comincerà un’altra che è quella delle nuove tecnologie basate sull’energia. Questa era anche la profezia dei Maya, speriamo che effettivamente accada a partire dal 2012 e che l’Italia sia prima, come è già prima nel mondo per installazione di energia solare. Voi capite che questo produrrà un enorme beneficio sulla sostenibilità sociale, perché l’insostenibilità sociale, che è dovuta sostanzialmente all’intolleranza rispetto ai problemi dell’insussistenza, si concentra prevalentemente nei Paesi poveri. E’ l’ultimo problema della primavera africana dell’anno scorso, e Paesi qui vicino che non stanno ancora bene sono quei Paesi poveri, paradossalmente, per l’eccesso di sole che inaridisce tutto e crea povertà. Se noi cominciamo ad usare il sole per creare ricchezza, questi Paesi potranno arricchirsi e risolvere i loro problemi di intolleranza legati alla scarsa sussistenza. Questo è già avvenuto storicamente in molti Paesi del mondo, ricordiamoci che la Cina stessa era un Paese decisamente povero (ancora lo è, in molte aree) fino a pochi decenni fa, ma quello che è più importante è che la crescita del benessere dei Paesi porta anche ad un calo di demografia.
Così, la vision, il sogno, come cittadino e imprenditore, è che da qui al 2050 si possa stabilizzare la demografia intorno ai dieci miliardi di cittadini, come siamo previsti diventare, e di avere una energia totalmente pulita con zero emissione e con un essere nel mezzo di un boom economico che creerà più ricchezza di quanta ne sia mai stata prodotta fino ad oggi. Lo dico perché ci vuole ottimismo, ci vuole vision, soprattutto nei giovani. Si parla in Italia del fatto che ci sono più del 30 % dei giovani disoccupati, è una piaga. Ma ci sono anche opportunità, e credo che sia mio dovere, anche come imprenditore, evidenziare loro quali sono le opportunità che hanno di fronte. Ecco cosa fa la Illy per cercare di essere un’azienda possibilmente modello o, quanto meno in una piccola parte delle sue attività, essere imitata anche da altri. Mi piace sempre dire che noi abbiamo una missione per il consumatore, una passione per la nostra cultura e una ossessione per il prodotto. Oggi vi parlerò della passione per la nostra cultura. Ho già detto che siamo una Stakeholder Company, quindi una azienda orientata e portatore di interessi che hanno una gerarchia molto chiara. Innanzitutto, il consumatore, che è il vero padrone delle aziende, poi i clienti, che sono i nostri partner, “per deliziare i consumatori”, come dice la nostra missione, poi ci sono i collaboratori dell’impresa, senza i quali non potremmo avere né consumatori deliziati, né clienti partner. Poi ci sono i fornitori, senza i quali non potremmo avere il prodotto eccellente, proveniente dall’agricoltura, che cerchiamo di trasformare. Poi ci sono le comunità, quindi il concetto di interesse generale, lo Stato, la nazione ed infine c’è l’azionista, che è a sostegno dell’impresa. Quindi, l’interpretazione del profitto nel caffè è che il profitto è un mezzo e non un fine, per poter fare attività di impresa perseguendo quello che è il nostro obbiettivo primario, il miglioramento della qualità della vita. La ricerca della felicità: felicità attraverso il piacere. Il piacere che, nel nostro caso, essendo caffè, è il piacere dei sensi e l’ispirazione dell’intelletto.
Il caffè è sempre stata la bevanda ufficiale della cultura, da quando è stato scoperto in Europa, quindi è una esperienza importante. Ma anche una felicità attraverso il concetto di altruismo, di cura per il prossimo. Con questo tipo di approccio, noi abbiamo due valori fondamentali: uno è la passione per l’eccellenza, l’altro è l’etica intesa come costruzione di valore nel lungo termine, attraverso la trasparenza, la sostenibilità e la valorizzazione dell’individuo. La sostenibilità viene perseguita per tutti gli stakeholder che ho avuti modo di elencare nelle sue tre componenti: sostenibilità economica, sociale ed ambientale. Perseguiamo la sostenibilità economica attraverso il concetto della share value, come dicono negli Stati Uniti, che vuol dire valore condiviso e quindi creazione di valore condiviso per tutti gli stakeholders derivanti dalle attività di impresa. Perseguiamo il concetto di sostenibilità sociale attraverso il concetto della crescita dell’individuo, il miglioramento, l’autorealizzazione. Lo facciamo prevalentemente attraverso la divulgazione di conoscenza. Quindi, conoscenza attraverso una organizzazione che abbiamo creato all’uopo, l’Università del Caffè, che esiste ormai da dodici anni e che tocca anche qui a Rimini ormai più di ventimila persone ogni anno, con corsi che vanno dai rudimenti della cultura del caffè di mezza giornata fino ad un Master Degree in Coffe Economy and Science, che forma le future generazioni di professionisti del caffè sia nei Paesi produttori che in quelli consumatori. Infine, la sostenibilità ambientale che è quella che vi interessa di più, ma che, vorrei sottolineare, non è perseguibile se non c’è prima quella economica, la sostenibilità ambientale attraverso il concetto semplice del rispetto. Rispetto che significa innanzitutto non inquinare, poi non sprecare e utilizzare il massimo possibile di risorse rinnovabili e di materiali riciclabili semplici. Ecco, con questo tipo di manifesto della sostenibilità – che è un documento ufficiale che è stato approvato dal Consiglio di Amministrazione degli azionisti, per il quale l’azienda ha preso un impegno solenne, importante e duraturo -, con questo tipo di impianto, perseguiamo molteplici progetti, che non elenco ma che sono suddivisi in tre aree tematiche: quella della sostenibilità in agricoltura, quindi nelle piantagioni dei caffè, quella industriale, quindi nella fabbrica principale, e la sostenibilità sulla catena distributiva a valle. Sulla sostenibilità ambientale in pianta facciamo degli studi, siamo stati i primi ad adottare quelle che sono le buone pratiche agronomiche o agronomiche integrate, che sono semplicemente quelle pratiche agronomiche che massimizzano il beneficio per il consumatore, quindi qualità, salubrità ed economicità del prodotto, che massimizza il profitto per il produttore senza causare nessun danno all’ambiente.
E’ un punto di equilibrio che esiste, queste pratiche agronomiche le abbiamo studiate con i nostri team di agronomi e chiediamo a tutti gli agricoltori che ci vendono il caffè di essere conformi. Abbiamo recentemente ufficializzato anche degli studi in Brasile per il perseguimento della riduzione della emissione di gas carbonio in agricoltura, perché non bisogna dimenticare che l’agricoltura è una delle prime fonti di gas serra. Sul lato industriale, abbiamo uno stabilimento con doppia certificazione ISO14001 – EMAS, per quanto possibile abbiamo fatto una delle più grandi istallazioni solari per cercare di avere più energia rinnovabile possibile, recuperare calore. Ed infine, abbiamo siglato un accordo con il Ministero dell’Ambiente per diventare l’azienda pilota sulla riduzione del gas carbonio su tutta la filiera. A tutto questo si è voluto dare una certificazione che prima non esisteva, perché non esistono norme in tal senso. E quindi il leader mondiale delle certificazione, che si chiama Det Norske Veritas, ha lavorato due anni per mettere a punto uno schema di certificazione completamente innovativo secondo il quale noi dobbiamo rispettare non meno di duecento criteri: e la nostra azienda è stata la prima ad essere certificata in questo senso. Direi che la sfida adesso è la partnership con il Ministero dell’Ambiente, che ha un livello di competenza veramente straordinaria sulle metodologie di riduzione della emissione di carbonio, sfida che consiste nel cercare di lavorare assieme ai nostri clienti sulla riduzione di emissioni a valle, dove la tazzina viene prodotta e servita. Di tutto questo potete trovare informazioni diffuse sul Value Report, un documento in cui con trasparenza vengono esposte le iniziative che facciamo. Grazie per l’attenzione e spero di non essere stato troppo lungo.
ROBI RONZA:
Grazie, ora la parola al Ministro Corrado Clini che invito ad approfittare del podio, perché noi siamo già arrostiti dai riflettori.
CORRADO CLINI:
Grazie. Intanto voglio dire che sono molto contento e un po’ emozionato di essere qui, come Ministro. Ero venuto qui spesso con Paolo Valli, con gli amici con cui abbiamo presentato e discusso quello che stava avvenendo a livello globale, i cambiamenti climatici. Abbiamo parlato qualche anno fa del progetto DESERTEC, di cui ora ci parlava Andrea Illy. In questo contesto, abbiamo sempre avuto in mente l’idea che la protezione dell’ambiente sia una delle forze vitali del progresso e della crescita. E oggi il tema che ci viene posto si presta a una lunga, se volessimo, riflessione filosofica e teologica, perché il tema dell’uomo nella natura è stato al centro di molte discussioni, confronti e polemiche. Io sono un fanatico di san Francesco, perciò ho una visione un po’ particolare, ma insomma la cultura antropocentrica che ha pensato che l’uomo potesse consumare e crescere perché tutto il creato era a sua disposizione, è una cultura che ha fatto molti danni. E’ la cultura che oggi invece ritorna ad essere vista con una riflessione critica, positiva rispetto al posto dell’umanità nel pianeta, nella natura. L’umanità che non può vivere senza la protezione e la conservazione delle risorse naturali; l’umanità che potrebbe autodistruggersi, se immaginasse di poter continuare ad usare l’acqua, il sole, l’aria come un bene da consumare perché tanto è infinito. C’è un bellissimo video di National Geographic, di due anni fa, che si intitola Il pianeta dopo l’uomo e fa vedere come potrebbe evolversi la vita sul pianeta senza l’umanità, perché l’umanità si autodistrugge attraverso il consumo delle risorse.
E allora, è interessante oggi cercare di capire come questa riflessione che viene dalla filosofia, dalla biologia, dalla teologia, diventi anche il punto di forza di una cultura economica diversa. Perché se guardate cosa sta avvenendo, quali sono le forze che trainano la crescita economica, quali sono le imprese che hanno maggiore successo oggi, vedete che la protezione, la conservazione dell’acqua, l’uso efficiente dell’energia e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la protezione del suolo, la protezione delle risorse agricole, delle risorse alimentari, sono le grandi forze – si chiamano le driving forces – che stanno trainando la crescita economica, lo sviluppo delle imprese e la crescita economica di grandi economie. Noi siamo stati in Brasile nel mese di giugno per il Vertice mondiale sullo Sviluppo sostenibile: è impressionante vedere come la parola d’ordine, “sostenibilità”, sia la chiave delle scelte che stanno mandando avanti questa grande economia del pianeta, il Brasile, che oggi è una delle grandi economie che trainano la crescita, nonostante la drammatica crisi che vivono l’Europa e gli Stati Uniti. E’ anche interessante vedere che le grandi imprese multinazionali hanno messo al centro del loro sviluppo le strategie per la sostenibilità, le strategie per ridurre i consumi di materia prima, per ridurre i consumi energetici, le strategie e le politiche per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, così come per la conservazione dell’acqua. E queste sono le forze sulle quali il nostro Paese può consolidare una traiettoria di sviluppo, di crescita.
Le nostre piccole e medie imprese, che oggi hanno grande successo nei mercati internazionali nonostante la crisi italiana ed europea, si caratterizzano per produzioni e per prodotti che sono nel segno della sostenibilità, trasversalmente a tutti i livelli, da quello dei trasporti a quello dell’energia, da quello della produzione alimentare a quello della conservazione delle acque. E questo, io credo, dovrebbe essere il punto di riferimento di una strategia di crescita per il nostro Paese, una crescita che guarda al futuro e alla domanda dell’economia globale, perché è lì dove si può trovare la chiave per la crescita dell’economia italiana: la popolazione che cresce e che, man mano che cresce, ha bisogno di servizi, ha bisogno di energia. Un miliardo e mezzo, due miliardi di persone che non hanno accesso all’elettricità. E’ una domanda che trova una risposta soprattutto nello sviluppo di tecnologie nuove per le fonti rinnovabili, che possono avere in Italia, in qualche modo, la culla, la capacità di crescere per poi espandersi, come sta avvenendo per molte imprese che lavorano in questo settore. Una popolazione che cresce e che ha bisogno di acqua, che sempre più rara, bene sempre più prezioso, e ha bisogno cioè di tecnologie per conservare l’acqua e per rendere disponibile acqua potabile a più di due miliardi e mezzo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Ma non solo, tecnologie che servono alle economie emergenti che hanno consumato rapidamente le loro risorse. Pensate che il 78 % delle acque sotterranee della Cina è contaminato, non è usabile, che nel piano quinquennale, appena approvato dal Governo cinese, sono stanziati 50 miliardi di dollari soltanto per la conservazione e la purificazione delle acque della Cina, per rispondere alla domanda di acqua di questo immenso Paese. E questa è un’area enorme di potenziale sviluppo per le imprese italiane.
Allora, qual è la chiave positiva della sfida ambientale? La sfida ambientale è un’opportunità di crescita, un’opportunità di sviluppo, un’opportunità per mettere a punto tecnologie e soluzioni nuove che fanno fare il salto all’offerta di servizi e di prodotti per la popolazione mondiale, che ha bisogno di questo. Il rapporto dell’OCSE, pubblicato alla fine di aprile di quest’anno, dice in maniera molto chiara che non c’è prospettiva di crescita, a livello globale, se non è crescita verde. Lo dice l’OCSE, l’organizzazione che raccoglie le maggiori economie del pianeta e, nelle conclusioni del Vertice di Rio de Janeiro, molto difficili e molto sofferte, tutti i Paesi hanno accolto nel documento finale il riferimento alla green economy come lo strumento che serve alla crescita e alla lotta alla povertà. Ma non solo, nel documento finale di Rio de Janeiro si introduce un criterio nuovo a livello globale, che è quello di modificare gli indicatori per il calcolo del prodotto interno lordo per fare entrare all’interno del calcolo della crescita economica dei Paesi un indicatore del consumo di risorse come fattore negativo per la crescita, mentre la conservazione delle risorse è un fattore positivo. E’ questo un tema molto importante, sul quale l’Assemblea Generale si pronuncerà a settembre e sul quale l’Unione Europea sta già lavorando, per introdurre nel calcolo del prodotto interno lordo dei Paesi membri questo criterio riferito al consumo delle risorse.
Per lavorare in questa direzione, abbiamo bisogno di una politica ambientale, a livello nazionale così come a livello europeo, che deve essere politica di sviluppo. Questa idea del secolo scorso, per cui le politiche ambientali sono in contrasto con le politiche dello sviluppo, che, richiamata drammaticamente dai provocatori che in questi giorni a Taranto hanno cercato di impedire il processo di risanamento dell’Ilva, è un’idea sciagurata, non solo sbagliata. Perché, se si contrappone sviluppo e ambiente, noi non riusciremo a risolvere la nostra crisi economica attuale, ma soprattutto non riusciremo a dare una prospettiva alle future generazioni nel nostro continente e del nostro pianeta. A questo proposito, io voglio semplicemente richiamare l’attenzione su due dati che sono di politica interna, attuali e molto controversi. Il primo è la discussione che abbiamo avuto e che è ancora presente sulle fonti rinnovabili: c’è stata e rimane presente ancora, un’opinione secondo la quale investire nelle fonti rinnovabili fa aumentare il prezzo dell’elettricità nel nostro Paese. Questo è sbagliato da un punto di vista del calcolo del costo e dal punto di vista della prospettiva, perché la prospettiva sulla quale si costruisce futuro e valore aggiunto e reddito è quella dello sviluppo di tecnologie che riescono ad utilizzare le fonti rinnovabili nel modo più efficiente. Quella prospettiva che, per esempio, consente di legare l’offerta di energia alla domanda, diversamente da come avviene oggi. Oggi il sistema elettrico italiano è un sistema rigido, è il sistema del monopolio, per cui l’offerta è rappresentata dalla quantità di energia elettrica prodotta dalle grandi centrali elettriche che producono sempre la stessa quantità, sia che la domanda sia più bassa rispetto all’offerta sia che la domanda sia più alta. Questo elemento di rigidità del nostro sistema elettrico ha portato i prezzi elevati dell’elettricità in Italia, molto più alti di quelli degli altri Paesi europei, e molto prima che entrassero in vigore gli incentivi sulle fonti rinnovabili. Le fonti rinnovabili danno la possibilità anche alla nostra economia di ridurre il costo dell’elettricità, come dimostra la Borsa elettrica, perché l’offerta di elettricità si muove in relazione alla domanda. E’ questa la prospettiva delle smart cities: città intelligenti, reti elettriche intelligenti. E’ una prospettiva sulla quale bisogna investire perché su questo c’è un futuro, anche a livello europeo. Pensate alla Germania che esce dal nucleare. Ha due alternative: costruire, come qualcuno immagina, ventiquattro nuove centrali a carbone o sviluppare un sistema di reti intelligenti all’interno delle città e del sistema economico tedesco, costruite sulla combinazione di gas e di fonti rinnovabili, che rispondano a quella domanda di elettricità alla quale non riuscirà più a rispondere il nucleare. Ma questa è una sfida tecnologica importantissima, investire su questo vuol dire posizionarsi, a livello europeo, ai livelli alti della competizione. Per cui, una scelta importante per la nostra crescita è lavorare sulle fonti rinnovabili, eliminando quelle che sono state le distorsioni, le posizioni di rendita, ma senza perdere in questo momento il passo su queste tecnologie sulle quali si investe di più a livello globale. L’anno scorso, 260 miliardi di dollari sono stati investiti nello sviluppo delle nuove fonti rinnovabili a livello globale, una cifra superiore agli investimenti per l’estrazione dell’olio e del gas. Come Ministro dell’Ambiente che pensa che l’ambiente sia il traino dello sviluppo, devo dire che questo è un investimento sul quale non possiamo ritornare indietro.
Secondo elemento di politica interna attualissimo, quello che ruota attorno alla vicenda dell’Ilva. La vicenda dell’Ilva è l’epifenomeno, la manifestazione ultima di una situazione di conflitto che si è consolidata nel nostro Paese negli ultimi vent’anni e che è stata caratterizzata dall’incapacità del Governo di governare politiche ambientali di sviluppo sostenibile, stretto tra i ritardi dell’industria, che non voleva investire come ha fatto l’Ilva, e i ritardi della cultura estremista che impediva soluzioni razionali alla crescita perché nel conflitto ha trovato la rendita politica che ha fatto crescere nel nostro Paese posizioni politiche estreme, contrarie alla protezione dell’ambiente ma speculari agli interessi dell’impresa che non ha investito.
Qual è la via di uscita per l’Ilva di Taranto, quella che serve allo sviluppo sostenibile? Fare in modo che l’impresa investa nelle nuove tecnologie che noi abbiamo indicato, che l’Europa ha indicato, che la magistratura locale ha indicato, per fare in modo che la produzione del grande centro siderurgico di Taranto sia compatibile con l’ambiente. Chi si oppone a questa prospettiva? Prima di tutto, quelli che vogliono la chiusura del centro siderurgico, che non è la soluzione. Guardate la Stoppani di Cogoleto, aGenova, guardate Bagnoli a Napoli, guardate porto Marghera, guardate Crotone. Questi, che erano centri della produzione industriale, da vent’anni sono un deserto da bonificare. Aree preziose per lo sviluppo che sono bloccate dalla contrapposizione tra l’industria che non vuole investire e l’estremismo ambientalista che dice che non si può fare nulla. Questa è la battaglia che abbiamo di fronte. La nostra angoscia, l’angoscia del Governo e la mia personale di queste settimane, è cercare di lavorare per trovare una soluzione positiva per lo sviluppo sostenibile a Taranto. Dobbiamo confrontarci con chi alza i cartelli con il numero dei morti. Lo sappiamo molto bene, quella è la tragedia di uno sviluppo sbagliato. Ma quella tragedia si ferma, si blocca, investendo nell’innovazione tecnologica, non lasciando un deserto di contaminazione di suolo, di contaminazione di acqua, che non riuscirà a risolvere i problemi dell’ambiente. Credo che, dovunque sia possibile, sia necessario fare in modo che funzioni la capacità di ragionamento e di analisi, perché oggi difendere l’ambiente vuol dire investire nello sviluppo del nostro Paese. Ma difendere facendo, mentre difendere bloccando vuol dire fermare lo sviluppo del nostro Paese, e aggiungere ai problemi ambientali, problemi sociali che sarebbero drammatici.
ROBI RONZA:
Grazie a tutti i nostri relatori. Condivido il vostro applauso. Vi auguro buona continuazione, mi sembra che, anche questa volta, abbiamo speso bene il nostro tempo. Arrivederci.