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ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: L’ESPERIENZA CHE FA SCUOLA
Partecipano: Marino Golinelli, Fondatore e Presidente onorario Fondazione Golinelli; Maximo Ibarra, Amministratore Delegato Wind Spa; Bernardo Quaranta, Responsabile Risorse Umane e Organizzazione Italia, Enel; Emilia Rio, Direttore Risorse Umane del Gruppo A2A e Rappresentante Consorzio ELIS; Gabriele Toccafondi, Sottosegretario di Stato del MIUR. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: L’ESPERIENZA CHE FA SCUOLA
GIORGIO VITTADINI:
Grazie, buongiorno innanzitutto, colpiti dalle drammatiche notizie del terremoto di questa notte, oggi in tutte le sale del Meeting iniziamo con un momento di silenzio e di raccoglimento. Unendoci ai sentimenti di Papa Francesco, il nostro pensiero va alle vittime e alle loro famiglie. Desideriamo essere vicini a loro continuando a vivere questa giornata con ancora maggiore serietà.
Silenzio
Il Meeting aiuta ad aderire a qualunque iniziativa sarà indetta in questo momento drammatico e invita tutti i partecipanti ad aderire alla proposta della Presidenza della CEI di una colletta nazionale da tenersi in tutte le chiese italiane il 17 settembre in favore della popolazione colpita dal sisma.
Arriviamo all’incontro di oggi dal titolo: “Alternanza scuola lavoro: l’esperienza che fa scuola”. Un tema che ha avuto parecchi incontri nel Meeting, perché costruire il tu, che è una possibilità per me, vuol dire soprattutto il tema dell’educazione: un io che apre un tu ad avere delle possibilità che prima non aveva, a costruire superando la sua ignoranza e arrivando a poter dare qualcosa di più a se stesso e alla società. Allora, in particolare in questo incontro abbiamo messo al centro una delle esperienze professionali più importanti d’Italia, l’esperienza del Consorzio Elis, che è un consorzio che nasce, come ebbi occasione di conoscere quando andai a trovarlo, addirittura per iniziativa di un santo, il fondatore dell’opus Dei, Escrivà de Balaguer, e che quindi mostra come un’apertura all’altro di tipo cristiano permetta a tanti, in modo laico, di crescere. Ce ne parlerà innanzitutto Emilia Rio, Direttore delle Risorse umane del Gruppo A2A, che è appunto rappresentante del Consorzio Elis, e ci dirà cos’è questo consorzio Elis. Interverranno inoltre Marino Golinelli, Fondatore e Presidente onorario della Fondazione Golinelli; Maximo Ibarra, Amministratore delegato Wind Spa; Bernardo Quaranta, responsabile Risorse umane e Organizzazione Italia, Enel che collaborano tutti in diversa maniera con il Consorzio e infine Gabriele Toccafondi, Sottosegretario all’Istruzione, che concluderà i lavori. Quindi darei innanzitutto la parola a Emilia Rio.
EMILIA RIO:
Grazie, buonasera a tutti. Io racconterei un pochino come anch’io sono venuta a conoscenza del Consorzio e dell’ attività del Consorzio e di questa alleanza che poi ne è nata. Il Presidente in questo momento del Consorzio, amministratore Delegato di Terna, Matteo Del Fante, ha scritto una lettera al mio capo, Amministratore delegato di A2A, raccontando appunto di questa iniziativa. Lui la gira a me e dice: guarda Emilia, può essere interessante per noi? A quel punto io, della “Buona Scuola” avevo sentito parlare francamente perché leggo i giornali, mi sembrava un’ottima idea e chiamo il Direttore di Elis che, per chi non lo sapesse, è una scuola che da 50 anni si occupa della professionalizzazione dei ragazzi, ed è nata proprio come un’attività di solidarietà, indicata anche dal Papa 50 anni fa nella periferia romana, per riqualificare e far lavorare i giovani che non avevano grandi opportunità. Quindi Elis ha 50 anni, credo che proprio quest’anno, a fine anno, celebri questo cinquantesimo, ed ha voluto in qualche modo concretizzare questo suo impegno sulla sostenibilità, creando questa alleanza per l’alternanza. Quindi, che cosa si è proposta di fare? Si è proposta di unire 40 tra le primarie aziende italiane per poter dare attuazione della legge della “Buona Scuola” sull’alternanza, sul fatto che i ragazzi debbano avere l’opportunità di entrare in contatto con il mondo dell’azienda prima di finire il percorso scolastico e quindi di comprenderne un po’ i meccanismi, con delle ore definite e dei programmi definiti. Questa alleanza proposta da Elis è dare concretezza, opportunità e attuazione a una cosa che, essendo una novità, in un qualche modo ha disorientato un po’ tutti. Anche noi come aziende abbiamo dovuto capire come accogliere questi ragazzi, perché questa esperienza possa essere fruttuosa per loro, ma anche per noi. Perché obiettivamente è una esperienza che costruisce, costruisce qualcosa di più che prima non c’era. Allora c’è un po’ di disorientamento ancora, io lo noto avvicinando i presidi, i ragazzi, gli studenti, perché ancora non lo conosciamo, non lo conosciamo come opportunità. Ora, queste 40 aziende, insieme a Elis, che cosa si sono impegnate a fare? Ci siamo impegnati a dire: l’1% della nostra forza lavoro, sarà pari agli studenti che noi accoglieremo all’interno delle nostre organizzazioni. E questo mi sembra significativo e che possa essere di trascinamento e invogliare altre aziende a farsi parte attive rispetto a questo processo. Allora, chiarito l’obiettivo che si pone l’alleanza per l’alternanza, viene un po’ da raccontare anche che cosa fa l’azienda che rappresento. Ebbene, all’interno di questo gruppo, A2A ha deciso di aderire in cinque regioni, che sono le cinque regioni in Italia dove noi abbiamo degli impianti e dove noi siamo presenti. A2A, per chi non la conoscesse, è la più grossa multiutilities in Italia e si occupa di energia, di reti, di calore e di ambiente, in ultimo anche di tutto il trattamento dei rifiuti, che è un tema abbastanza critico e importante su cui ci stiamo misurando. Nel piano strategico della società c’era proprio una linea guida che diceva dialogo, dialogo con il territorio e dialogo con i nostri dipendenti, e in essa si è inserita benissimo l’idea di aderire all’alleanza, perché questo vuol dire essere presenti sul territorio in modo concreto, aiutando l’attuazione di una legge dello Stato. Quindi, il primo anno, ci impegniamo a dare ai ragazzi di terza (noi lavoriamo con gli studenti degli ultimi tre anni delle secondarie) un’informazione su cos’è l’azienda, qual è il significato, quali lavori possono essere svolti all’interno dell’azienda. Gli studenti invece del quarto anno potranno poi accedere invece proprio a un lavoro: cinque settimane di lavoro concreto all’interno dei nostri impianti, dei nostri stabilimenti. Noi, per tipologia, un po’ di business eccetera, abbiamo scelto 30 scuole che sono Istituti Tecnici. Perché questo? Perché al quinto anno faremo un orientamento a questi ragazzi e non è escluso che poi diventi anche per questi ragazzi un’opportunità di lavoro stabile all’interno di un’organizzazione, quindi un’opportunità per trovare anche occupazione. Quindi, formazione come prima cosa, secondo le indicazioni di una legge che può accompagnare a un’occupazione più consapevole i ragazzi della scuola. Ecco, io credo di aver illustrato e di non aver trascurato niente di quello che è un po’ la mia esperienza. Dicevo prima a Toccafondi che personalmente sono contenta di questa legge, perché avendo lavorato all’ estero, e avendo dei nipoti che hanno studiato all’estero posso dire che l’alternanza scuola lavoro è presente in altri Paesi e funziona. Noi iniziamo ora e mi sembra un passo positivo e direi che sono contenta di essere qui a rappresentare il Consorzio, e anche la mia azienda che ha aderito per strategia e per tattica a questa iniziativa.
GIORGIO VITTADINI:
La parola a Marino Golinelli.
MARINO GOLINELLI:
Buonasera, io ho cominciato da zero, andando a scuola, all’università, a curare i malati, a introdurmi nel mondo farmaceutico e, investendo in ricerca, ho creato un’industria farmaceutica a livello internazionale. La fortuna che ho avuto nel lavoro mi spinge a ridare alla società, quindi ai giovani, parte di quello che io ho ricevuto. Da questo è nata l’idea di creare una Fondazione, io sono il fondatore, la Fondazione si chiama Golinelli, io mi chiamo Golinelli, l’azienda si chiama Alfa, Wasserman, Sigma, un’azienda internazionale che produce farmaci veri e testati. Quindi, per ridare alla società, ho creato una Fondazione che porta il mio nome e che ha un obiettivo preciso: dare la possibilità ai giovani di creare la loro fortuna, aiutarli a capire quello che sarà il mondo del futuro, un futuro imprevedibile. Da questo punto di vista la Fondazione ha realizzato una sede che si chiama opificio, opus facere: è una cittadella, dove dai 18 mesi ai 32 anni vengono portati i ragazzi, i giovani, con i loro docenti, per una formazione e una didattica che riguarda una conoscenza completa, più completa possibilmente di quelle che sono le conoscenze di oggi, dalla matematica alla fisica, alle neuroscienze, oserei dire oggi anche alla fisica quantistica, a quello che saranno le nano tecnologie, il futuro. Lo scopo quindi è di elaborare un modello di formazione e di didattica che incontri le esigenze dei giovani. Ci sentiamo perciò onorati di poter collaborare con quello che è oggi l’impegno del Governo, l’impegno del Ministero, l’impegno del MIUR. Cos’è istruzione e cos’è ricerca? Viene prima l’istruzione o viene prima la ricerca? Istruzione vuol dire prepararsi per la ricerca del nuovo, e credo sia utile che venga conosciuta un’esperienza che è in corso di attuazione e che è la creazione dei laboratori territoriali. Cosa vogliamo dire con laboratori territoriali? Abbiamo anche la fortuna di dire che oggi il Ministero ha stabilito un fondo di 40 milioni da distribuire a mille progetti di formazione territoriali, uno dei quali è quello della Fondazione. A questa problematica di formazione e di didattica partecipano anche le aziende. Infatti, nel corso di questa formazione, gli studenti che partecipano ai laboratori hanno il supporto di esperienze di imprenditori, di chi ha fatto impresa. Qui al Meeting da vent’anni si parla dei problemi dei giovani. Il problema dei giovani di oggi è quello di pensare un mondo imprevedibile. Noi come Fondazione abbiamo un programma che si chiama Opus 2065. Non abbiamo la bacchetta magica, non vogliamo inventare niente, però bisogna credere che tutti noi dobbiamo pensare a un mondo che verrà non fra un anno, due anni, tre anni ma quello che sarà tra 20 anni, un mondo che sarà completamente diverso, e allora che fare? La nostra responsabilità di operatori, di padri di famiglia è dare ai giovani la possibilità di avere i cosiddetti attrezzi, di essere preparati a vivere in un mondo globale, in un mondo imprevedibile. I nostri laboratori territoriali, come li chiamiamo, sono sviluppati partendo dal basso, partendo dalle scuole, partendo dagli insegnanti, partendo quindi dalle esperienze di laboratorio pratico, perché insegnare vuol dire di accettare la critica, accettare di sbagliare, non aver paura di sbagliare, non aver paura di guardare al mondo, perché il mondo è dei giovani, ma dei giovani preparati. Vorrei chiudere con alcune considerazioni che riguardano il problema delle scuole, e il problema fondamentale delle scuole che è educare gli educatori. Formare gli educatori è una cosa fondamentale in un momento di grande cambiamento. Il nostro obiettivo è quello di portare i nostri laboratori territoriali di in tutta Italia. Noi siamo pronti perché riteniamo che questo è il dover di chi ha avuto fortuna come il sottoscritto, il dovere di ridare agli altri un poco di quello che è stato ricevuto. Auguri.
MAXIMO IBARRA:
Buona sera a tutti, io direi che di stimoli ne abbiamo sentiti parecchi in questo ultimo intervento, a proposito del mondo che cambia. Proprio questa mattina leggevo in uno dei tanti libri che mi capita di leggere un po’ a pezzetti che, fondamentalmente, nello sviluppo della robotica, i robot potranno attingere a questa conoscenza comune che praticamente è fatta dal cloud. E’ come se tutti i robot un domani potessero fondamentalmente migliorare le prestazioni attingendo alle esperienze degli altri robot. Il mondo cambia così rapidamente che ogni giorno c’è una sorpresa di questo tipo, per cui anche chi è addetto al settore o comunque in qualche maniera avvezzo a tecnologie di innovazione, non riesce a stare al passo. Un secondo dato è quello relativo al fatto che, sempre secondo un articolo molto recente, gran parte delle start-up di cui tanto si parla, hanno dei fondatori il cui profilo non appartiene a coloro che hanno finito un certo percorso scolastico o universitario, sono percorsi completamente diversi spesso non hanno neanche un tipo di formazione tradizionale. Terzo dato è quello legato al tasso di disoccupazione giovanile: i giovani tra i 20-24 anni che non lavorano, che non cercano lavoro e che non hanno nessun tipo di attività educativa, di istruzione mi pare che siano il 35%. Pensate, il 35% dei giovani che hanno tra 20-24 anni sono completamente esclusi da tutto quello che avverrà nei prossimi 5,10,15 anni. E questo è un dato allarmante, legato all’andamento della piramide socio-demografica italiana, che sta peggiorando di volta in volta. Il numero dei giovani diminuisce perché la natalità non riesce a compensare l’aspettativa di vita, e quindi la maggioranza sono sempre meno giovani e una quantità allarmante di giovani non riescono fondamentalmente ad inserirsi nella società. Questo è un po’ l’introduzione a quello che voglio dirvi dal punto di vista del programma alternanza scuola lavoro che, secondo me, è fondamentale al punto tale che lo definisco obbligatorio. Lo possiamo vedere sotto tre punti di vista: il punto di vista della scuola, il punto di vista dei ragazzi, il punto di vista delle aziende. E guardiamolo per un istante dal punto di vista delle aziende: l’età media di chi lavora in un’azienda di telecomunicazione oggi è superiore ai 40 anni. 10 anni fa se non 15 anni fa, 20 anni fa, l’età media di chi lavorava in un’azienda di telecomunicazioni era ovviamente 15 anni in meno rispetto ai 40 anni, quindi stiamo parlando di qualcosa che gira intorno ai 25-28 anni. Il settore era in grandissima crescita, nella fase di nascita, nella fase di sviluppo, l’età media delle persone che ci lavoravano era intorno ai 30 anni. Oggi ovviamente questa età è aumentata, quindi potete capire da soli che i grandi cambiamenti di cui abbiamo parlato prima, diventa difficile affrontarli. I miei occhi non sono gli occhi di un diciassettenne, diciottenne, ventenne. Il modo in cui il mondo di oggi viene sostanzialmente interpretato, tradotto dagli occhi di uno che è più che adolescente, sono completamente diversi da chi ha fatto già un percorso, in ambito educativo, di istruzione aziendale, professionale, tale per cui manca quella vitalità, quell’energia e quella capacità di decodificare alcuni fenomeni che sono tipici dei millennials. Vi farò vedere un piccolo video che sostanzialmente spiega poi come l’azienda che rappresento interpreta anche questo mix di tecnologia – umanità – valori. E’ però importante capire che oggi le aziende hanno un bisogno incredibile non soltanto di avere giovani universitari, ma giovani che sono anche in una fase precedente, perché sono quelle persone che riescono a trasmettere quel tipo di visione del mondo che oggi le aziende non riescono ad avere, e non riescono ad averlo perché non ce la possono fare, manca loro a materia prima per poterlo fare. Quindi questo è il mondo delle aziende e il famoso programma dell’1% io lo farei diventare quasi 2%, se non il 3%.
Lato scuola. Lato scuola è un altro must. La scuola oggi è caratterizzata da un approccio, è diciamo orientata culturalmente a dare un tipo di formazione nozionistico. Tutti questi grandissimi zaini che addirittura si trasportano con le rotelle come se fossero fondamentalmente trolley in aeroporto, carichi di libri, dal punto di vista di quello che sta accadendo oggi nel mondo hanno ben poco da spartire. Il nozionismo è sicuramente molto importante, ma non è sufficiente, non lo è più appunto perché i cambiamenti ormai sono cambiamenti esponenziali che variano ogni anno.
Secondo aspetto della scuola è che la scuola non è solo nozionistica ma impartisce lo stesso tipo di educazione a tutti, nella stessa maniera, il che è un paradosso, perché provate ad immaginare quanti ragazzi, se avessero avuto la possibilità di vedere il proprio talento, che spesso non lo conosce nessuno, neanche loro, magari esplorato un pochino di più, analizzato un pochino più a fondo, se avessero fatto una attività più congeniale al proprio DNA, alle proprie passioni, al carattere secondo il quale riesce a interpretare e leggere il mondo, beh avremmo molte più persone oggi che farebbero un’attività, non sarebbero sicuramente nell’ambito del cluster 20-24 anni che non cercano lavoro, che non fanno nulla, ma avrebbero probabilmente stimolato anche di più la creatività. Oggi, la creatività può essere assolutamente stimolata, perché le tecnologie ce lo permettono, il costo per poter mettere in piedi una nuova realtà è molto più basso rispetto al passato appunto perché la tecnologia ce lo permette. Quindi questi due aspetti alla fine non danno la possibilità ai ragazzi di avere un’esperienza olistica. Nel momento in cui c’è l’alternanza scuola lavoro, c’è una possibilità in più affinché questi ragazzi possano vedere cose diverse. Nel vedere cose diverse per forza si contaminano di aspetti diversi e attraverso questi aspetti diversi possono fare delle scelte anche diverse, lo dicevo poco prima, magari anche facendo un piccolo stage in un’azienda capiscono che l’attività di quell’azienda non gli interessa: è già un contenuto dal punto di vista informativo fondamentale. Quindi attraverso questo tipo di contaminazione si viene a creare anche un altro aspetto molto positivo, che i ragazzi riescono finalmente a dare degli stimoli a chi poi decide quali sono i programmi scolastici, per poter identificare quelli che sono i programmi per il domani. Ripeto, noi potremmo anche dire che nelle scuole bisogna insegnare il digitale, però se il digitale lo insegniamo in modo nozionistico non serve assolutamente a nulla, se invece il digitale lo insegniamo dal punto di vista più olistico, dando più spazio all’intelligenza emotiva, cognitiva, sociale delle persone, a quel punto vedremo una realtà completamente diversa. Quindi i ragazzi possono trarre un beneficio incredibile dall’alternanza scuola-lavoro, perché la loro formazione si completa di stimoli esterni, non necessariamente stimoli che diano l’indicazione precisa di quello che deve fare questo ragazzo, ma stimoli che permettono a questo ragazzo di identificare percorsi diversi o semplicemente che lo stimolano: lo stimolo è fondamentale. Tra l’altro l’alternanza scuola-lavoro ha anche un altro vantaggio: oggi gran parte dei ragazzi, molto spesso nei momenti di svago, nei momenti in cui si è in vacanza, non hanno nulla da fare. Attraverso questo programma, esteso anche nei momenti in cui le aziende sono obbligate gioco forza a lavorare sempre, potrebbero avere anche l’opportunità di fare qualche cosa di interessante, di importante, di stimolante nel momento in cui non hanno nulla da fare. Pensate che addirittura nei rapporti che ci sono tra le aziende e i propri fornitori, si sta facendo strada un modo di lavorare, di collaborare che si chiama “agile”: significa che quello che tu decidi oggi, fra tre mesi potrebbe essere diverso, perché fra tre mesi quello che tu hai deciso oggi, tre mesi prima, non serve più. Quindi, quello che tu hai dato come indicazione a qualcuno da fare, non serve più. Provate ad immaginare questo quale tipo di ragionamento possa innescare. Quindi, è un must per tutti. Noi questo progetto dell’alternanza lo vediamo sostanzialmente come luce negli occhi. Penso che sia fondamentale, ne parlavamo prima anche col Sottosegretario, credo che la collaborazione di tutti sia necessaria, le scuole devono entrare in questa logica culturale. Mi è capitato anche di parlare con un’altra persona che diceva che i suoi figli, nel momento in cui hanno parlato di questo progetto nel liceo, a Roma, non hanno ricevuto dalla scuola nessuna indicazione. Speso le scuole non sanno cosa fargli fare ai loro studenti. Poi sono anche le aziende che molto spesso sono refrattarie a questo tipo di cambiamento, per cui non è colpa di qualcuno nello specifico, ma è colpa di tutti nel bene e nel male: aziende, Fondazione, Ministero, scuole, docenti. I ragazzi, prima dei 18 anni, passano più tempo a scuola che con i propri genitori e si sa perfettamente che nell’imprinting di una persona hanno molta importanza i genitori, la famiglia e la scuola, ma se la scuola diventa più importante, provate ad immaginare se questa scuola, come dicevo poc’anzi, è nozionistica, verticale non interattiva e se anche i docenti non ti stimolano. Tu fondamentalmente rischi di rovinare questi ragazzi per tutta l’esistenza. Ci sono quelli fortunati e quelli sfortunati: fortunati se hanno trovato un docente illuminato, sfortunati se hanno trovato un docente demotivato. Ecco perché la scuola può compensare questi momenti in cui magari da una parte o dall’altra viene a mancare lo stimolo. Più stimoli ci sono a 360 gradi, più i ragazzi possono trovare delle strade che non necessariamente sono quelle tradizionali, anzi non debbono essere quelle tradizionali. Ultime battute: si parla tanto di questo digitale, che alla fine anch’io ne sono stufo, però il digitale rappresenta le fondamenta, le colonne portanti di quello che stiamo costruendo. Digitale significa che avremo a disposizione sempre di più informazioni, dati che viaggiano velocemente per poter meglio comprendere la realtà che ci circonda. Il digitale però genera anche un comportamento nei ragazzi che può essere qualche volta non necessariamente virtuoso. Noi tutti ormai siamo pieni di schermi (cellulare, tablet, computer), è un numero esagerato, io tipicamente nel mio zaino ne ho diversi, ma vedo sempre più persone che ne possiedono sempre di più. Questa cultura dello schermo penso ci impedisca di guardare il mondo in modo diverso. Io chiudo il mio intervento con un piccolo video, ogni anno ne facciamo uno e lo mettiamo in onda sui canali digitali, un video che non ha a che fare con i prodotti che vendiamo, ma ha a che fare con i valori e con il tipo di cultura che noi vorremmo che i ragazzi e le persone tramandassero, portassero avanti nelle società di oggi. Grazie mille.
Video
BERNARDO QUARANTA:
Buonasera a tutti. Consentitemi innanzitutto di esprimere un pensiero riconoscente alle centinaia di tecnici, di colleghi dell’ENEL che in queste ore stanno lavorando in condizioni molto difficili e anche rischiose nei territori colpiti dal terremoto. ENEL è anche questo, stanno lavorando per rialimentare l’energia elettrica che in queste situazioni non vuol dire soltanto illuminare le case, ma vuol dire, in molti casi, anche riuscire a salvare delle vite umane. ENEL rappresenta anche questo, quindi un’attività che ha un contenuto, un connotato di forte messa a disposizione del proprio know how nei confronti della collettività, nei confronti, come in questo caso, del Paese. Noi oggi vorremmo parlare in maniera molto rapida di quelle che sono state le nostre esperienze nel settore dell’inserimento dei giovani al lavoro. È un tema che stiamo affrontando in maniera abbastanza innovativa già da molti anni. Dodici / tredici anni fa, avevamo individuato già un problema per quanto riguardava le assunzioni dei nostri operai: noi reclutavamo tendenzialmente giovani con il diploma triennale degli istituti professionali e c’eravamo resi conto che il livello di preparazione di questi ragazzi non consentiva un inserimento immediato in quelle che erano le attività lavorative dell’azienda. E allora, progressivamente, abbiamo spostato verso i diplomi quinquennali gli inserimenti dei nostri operai. Tenete conto che noi abbiamo assunto negli ultimi dieci anni circa diecimila giovani dei quali la metà sono appunto operai. Nell’ambito delle attività operaie, noi abbiamo la necessità di un continuo cambio generazionale, perché potete immaginare che dopo i cinquant’anni tendenzialmente salire sui tralicci non è proprio l’attività più indicata, quindi è abbastanza fisiologica la necessità di inserire continuamente delle risorse nuove. L’altro elemento che già da tempo stava emergendo, era la necessità di avere delle risorse che fossero sempre più dotate di una preparazione completa, di una preparazione che non fosse più la preparazione standard dell’elettricista di un tempo, ma che fosse anche la preparazione arricchita di tutta una serie di competenze legate al software, legate in generale alle tematiche digitali. L’operaio elettrico di oggi è molto diverso da quello di qualche tempo fa, perché diversa è la tecnologia applicata anche sulle stesse reti in particolare. E quindi abbiamo iniziato, circa dieci anni fa, con l’apprendistato professionalizzante, quindi con l’inserimento in azienda di giovani che venivano tenuti in questa situazione con contratti di apprendistato triennale e che, nella stragrande maggioranza dei casi, una percentuale vicina al 99% dei casi, venivano poi confermati con contratti a tempo indeterminato. È un istituto, quello dell’apprendistato professionalizzante, sicuramente tutt’ora valido, che ha soltanto un punto debole: il punto debole è legato al fatto che, chiaramente, essendo i ragazzi provenienti da un’esperienza esclusivamente scolastica, c’è la necessità di un periodo abbastanza lungo, quantificato in tre anni, di loro graduale formazione per cominciare a entrare a pieno titolo nei ranghi delle nostre strutture. Tenete conto che, ovviamente, il lavoro in una società elettrica, in particolare per gli operai, ha una componente di sicurezza sul lavoro estremamente delicata ed estremamente importante. Allora qual è il salto di qualità ulteriore che abbiamo voluto fare nel 2014? Credo che da questo punto di vista siamo stati probabilmente dei precursori nel panorama generale. Il sottosegretario prima parlava di azione da rompighiaccio che in qualche modo abbiamo esercitato. È stata quella di partire già dal biennio della formazione scolastica superiore, quindi sostanzialmente riuscire a inserire all’interno delle nostre strutture, con delle modalità ovviamente peculiari tipiche dell’alternanza scuola – lavoro, giovani di sedici anni che si stavano accingendo a iniziare il quarto anno degli Istituti Tecnici, in particolare quelli rivolti ai periti, quelli che poi devono consentire di diplomarsi ai periti – elettrotecnici. Questa fascia di popolazione è stata selezionata in varie scuole presenti sul territorio nazionale con la collaborazione del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, del Ministero del Lavoro e con il coinvolgimento anche dello stesso ISFOL. I ragazzi li abbiamo selezionati ovviamente in tutte le aree nelle quali noi, come azienda, avevamo una presenza più significativa e gli Istituti sono stati individuati in collaborazione, ovviamente, con il MIUR. Questi ragazzi vengono assunti da noi, dal primo giorno di scuola del biennio. Questa è la novità rilevante che nel 2014 è stata sicuramente una novità estremamente significativa. Quindi, praticamente, questi ragazzi vengono assunti, vengono regolarmente retribuiti in funzione di quello che è l’orario di attività che svolgeranno, che è sostanzialmente di un giorno alla settimana durante il periodo di lezioni e nei mesi estivi, invece, durante i quali le lezioni non ci sono è un’attività a tempo pieno. I giovani vengono affiancati dai nostri operatori, ovviamente con tutta una serie di cautele e con la presenza di tutor aziendali, ognuno dei quali cura non più di cinque ragazzi. Avendo sviluppato nel 2014 un battente complessivo di 145 ragazzi, dei quali 139 sono arrivati a diploma nello scorso mese di luglio, io credo che questi ragazzi abbiano sostanzialmente avuto la possibilità, durante il biennio, di vedere tradotte in pratica le cose che avevano studiato, abbiano avuto la possibilità di accorciare quelli che poi saranno i tempi di apprendistato in senso stretto che comunque faranno, ma non per un periodo di tre anni come invece capita a chi viene assunto dopo il diploma, ma per un solo anno dopo il biennio di alternanza scuola – lavoro fatta presso le scuole superiori. Quindi, che cosa c’è dietro questa scelta che abbiamo portato avanti nel 2014 e che riproponiamo nel 2016, ad altri 150 ragazzi? Tenete conto che 150 ragazzi, considerando che noi facciamo in media circa 500 assunzioni ad anno di operai, sono una bella percentuale, quindi è uno strumento che non è soltanto decorativo, ma è uno strumento che ha un’ incidenza reale in quella che è l’economia della nostra modalità di procedere al reclutamento di personale. Cosa c’è, dicevo, alla base di questa nostra scelta? Per anni e anni noi abbiamo sentito un po’ le aziende rimproverare alla scuola di essere lontana dalle proprie tematiche, dalla concretezza e la scuola molto spesso criticare le aziende per un approccio magari troppo utilitaristico e poco legato invece allo sviluppo dei giovani. È un discorso per certi versi abbastanza stucchevole, bisognava secondo noi rompere anche un po’ questo tipo di sterile polemica, di sterile dinamica e abbiamo pensato che un modo per poterlo rompere era proprio questo: costruire un rapporto su base paritaria con gli istituti scolastici, che consentisse innanzitutto di conoscerci meglio, per collaborare meglio. E devo dire che, fino a questo momento, il rapporto che siamo riusciti a costruire tutti insieme con i presidi, con gli insegnanti, oltre che naturalmente con i ragazzi e con le loro famiglie, ha dimostrato che quando ci si conosce, ci si rende conto delle reciproche esigenze e anche dei vincoli che in un qualche modo condizionano le nostre attività, sicuramente non può venire fuori che qualcosa di buono. L’altro elemento importante che secondo noi occorreva in un qualche modo smuovere, è il tema in generale dell’approccio a tutta la tematica delle scuole professionali. Noi in Italia abbiamo avuto per molti anni un atteggiamento di grande preconcetto rispetto alla possibilità che questi Istituti Professionali potessero poi stabilire un rapporto molto stretto e molto forte con le aziende, quasi che ci fosse il rischio di una contaminazione negativa nell’istaurarsi di questo rapporto. Ecco, questa esperienza consente, ci sta consentendo di riaffermare la valenza positiva dell’approccio professionale di certi Istituti, che per altro è molto presente in questo momento in altre realtà europee, penso per esempio alla Germania che sul tema dell’alternanza scuola – lavoro è tra le realtà europee che sono partire prima, ma penso anche a tante esperienze italiane che erano esperienze assolutamente positive e che risalgono addirittura agli anni ’50. Io ho avuto la grande opportunità e la grande fortuna di iniziare la mia carriera professionale, ahimè, quasi trentaquattro anni fa, in Olivetti. In Olivetti c’erano i CFM, i Centri di Formazione Meccanica, che erano delle scuole professionali alle quali si accedeva all’età di quattordici anni e che consentivano ai ragazzi di avere una preparazione completa non solo dal punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista culturale complessivo, e avevano anche un canale di accesso privilegiato ovviamente alla Olivetti, parlo della Olivetti degli anni ’50 e ’60, sia all’interno delle varie aziende meccaniche che operavano nel territorio del Canavese. Quindi noi abbiamo in realtà anche nel nostro Paese tante esperienze sul tema dell’inserimento dei giovani in azienda, tante esperienze positive che dobbiamo riuscire a recuperare, a rivalorizzare e, secondo me, per farlo, è molto importante che ci sia anche un cambiamento culturale perché, qui chiudo, io ricordo la grande diffidenza con la quale, dieci anni fa, siamo partititi con i primi contratti di apprendistato professionalizzante. C’era da una parte innanzitutto una grande frammentazione regionale, e un grande preconcetto rispetto a questo Istituto, quasi che l’azienda avesse la volontà di eludere quelli che erano i contratti tradizionali a tempo indeterminato, quando ormai in tutto il Paese dilagavano ben altri strumenti atipici dell’utilizzo della forza lavoro. Poi grazie anche alla sensibilità molto forte e alla comprensione delle organizzazioni sindacali, le vedo qui rappresentate in sala, siamo riusciti a superare questo tipo di diffidenza, ad affermare la validità del modello dell’apprendistato professionalizzante e poi successivamente, da due anni, quello dell’alternanza scuola – lavoro. Riteniamo che il solco nel quale siamo inseriti, sia un solco assolutamente positivo e capace di portare ancora grandi vantaggi, non soltanto all’azienda ma direi anche un po’ alla collettività e allo sviluppo comunque del lavoro Ricordiamoci sempre che i robot sono sicuramente inevitabili e hanno una grande importanza nella innovazione tecnologica, però hanno un grande difetto: non acquistano i prodotti che contribuiscono a produrre, quindi riuscire ad estendere la base lavorativa, soprattutto tra i giovani, credo sia un elemento di grande importanza.
GABRIELE TOCCAFONDI:
Grazie, vorrei anche io esprimere un messaggio di vicinanza a chi è stato colpito in queste ore dal terremoto, un ringraziamento a chi sta presentando i primi soccorsi e anche al mondo della scuola, al personale docente, non docente, ma anche ai tanti giovani che come sempre sono in prima linea a prestare i primi soccorsi. “Alternanza scuola-lavoro, l’esperienza che fa scuola”: il titolo è già sufficiente, è già un programma e io vorrei partire dal concetto centrale di questo titolo. Per 30/40 anni abbiamo costruito un muro tra questi due mondi, tra il mondo della scuola e quello del lavoro, mentre, se dialogano, vediamo che fanno solo il bene dei nostri ragazzi, oltre che del sistema produttivo italiano. Il tema è culturale, è di conoscenza: se si può conoscere qualcosa in maniera diretta, appunto facendo esperienza, oppure restando fermi su una propria idea, che rischia di diventare ideologia. Allora quando, adolescente, io dissi ai miei genitori di voler fare un Istituto Tecnico, la risposta fu assolutamente negativa, perché era una scuola di serie B. Questa situazione inizia ad essere sanata. Non ci siamo inventati niente nella riforma, il tema dell’alternanza scuola-lavoro, lo dirò successivamente, lo abbiamo visto all’opera nelle scuole in maniera un po’ discreta, non facendolo sapere troppo a livello centrale, ma siccome era un’esigenza che partiva realmente dalla richiesta dei ragazzi, allora è partito il tema dell’alternanza. La parola chiave è esperienza. La scuola è un percorso di esperienza, è sempre stato questo percorso di esperienza e sarà sempre questo percorso di esperienza. In questo percorso servono due soggetti: l’allievo, con le sue domande e i ragazzi ne hanno da vendere e non lasciano mai tranquilli genitori e insegnanti e maestri, perché un ragazzo da solo con le proprie domande non può affrontare il mondo e la scuola; per questo ci vuole anche il secondo soggetto: servono maestri, insegnanti, ma non solo, genitori, ma non solo, ed ecco allora che il muro che divide mondo della scuola e mondo del lavoro viene giù. Sull’alternanza e sul saper fare come esperienza non ci siamo inventati niente. Già don Bosco, San Giovanni Bosco, parlava di intelligenza delle mani, quando esisteva l’apprendistato, ora l’abbiamo ripreso, come veniva ricordato dalla bella esperienza di Enel. Quando decenni fa esisteva l’apprendistato vero, l’alunno terminava il suo percorso con il capolavoro, cioè un’opera prima, sua, fatta con le proprie mani. Non ci siamo inventati niente anche nel senso che, da buon fiorentino, ricordo le botteghe rinascimentali: nel 1460 a Firenze, nella Firenze rinascimentale, vi erano 45 botteghe dei maestri di prospettiva, perché l’artista isolato che lavorava per sé non esisteva, doveva tramandare la sua arte, e tra i maestri c’erano Giotto, Brunelleschi, Arnolfo, Donatello e tra gli allievi c’erano Botticelli, Poliziano, Da Vinci, Machiavelli. Ora noi abbiamo nelle scuole maestri e allievi così, non dobbiamo partire perdenti e lo dico avendo visto le nostre scuole avendole visitate, perché mi sono promesso, come metodo di lavoro, di visitare una scuola almeno ogni due settimane. Questo perché la conoscenza o è diretta o non è, la terza via non esiste e allora cosa abbiamo portato nel tema della riforma? Abbiamo portato quello che abbiamo visto, abbiamo inserito in maniera curricolare 400 ore di alternanza scuola lavoro nei tecnici e nei professionali. Capite che è una rivoluzione culturale, e anche pratica. Se è scuola a tutti gli effetti e fa bene a tutti i ragazzi, perché ai licei no? E quindi è nata l’idea di 200 ore nei trienni dei licei. E’ facile? Lo dico io: no. Dopo 50 anni in cui abbiamo teorizzato e messo in pratica l’assoluta divisione, nessuno ha la bacchetta magica. Però se è scuola e fa bene ai ragazzi, allora la dobbiamo rendere obbligatoria. Perché non l’abbiamo lasciata non obbligatoria? Perché nelle ultime tre riforme della scuola degli ultimi 20 anni, l’alternanza scuola lavoro ha sempre trovato ampio spazio nelle riforme, ma veniva lasciata al buon cuore delle aziende, dei presidi e dei ragazzi, e così l’alternanza non si faceva. L’abbiamo resa obbligatoria perché far fare esperienza ai ragazzi è complicato e difficile, lo dico io dal Ministero, ma è utile, quindi abbiamo iniziato. Le varie problematiche le affronteremo come le stiamo affrontando e siccome è obbligatoria e curricolare, possiamo investirci. 100 milioni di euro l’anno, non una tantum, che arrivano alle scuole in proporzione ai ragazzi che hanno in terza, quarta e in quinta e tra tre anni i ragazzi in alternanza saranno un milione e mezzo. Quindi sono cosciente delle difficoltà, ma sono e siamo assolutamente coscienti della bontà di questa riforma come le esperienza hanno raccontato. E’ un cambio culturale, è scuola a tutti gli effetti, non è post scuola, non è la vacanza, non è uno sfuggire all’interrogazione o alla lezione. E’ scuola a tutti gli effetti, fatta con metodologia didattica differente dalla lezione frontale insegnante allievo. E non ci fermiamo al tema dell’alternanza: il grande tema del far fare esperienza è nei laboratori territoriali, che noi abbiamo finanziato e continueremo a finanziare e non ci fermiamo qui. I laboratori sono uno strumento fantastico perché sono un volano per scuole, aziende, Enti locali, Camera di commercio; laboratori che verranno utilizzati sì dalle scuole, ma anche da giovani diplomati e laureati che hanno un’idea imprenditoriale, per esempio, o per la formazione continua di personale di aziende. E’ un luogo di incontro post scuola o durante il percorso scolastico tra più soggetti. La scuola non più chiusa in se stessa. E’ la via italiana al sistema duale tedesco. I ragazzi della sperimentazione di Enel per due anni sono andati in azienda a fare scuola e sono stati selezionati non perché erano bravi, per i voti, ma per la motivazione e noi li abbiamo monitorati passo per passo, quasi li conosco uno a uno, e abbiamo visto che i ragazzi che facevano più difficoltà nei primi tre anni con le materie generiche, dopo e durante il percorso di apprendistato hanno dato i risultati migliori. Questo è il segno che il ragazzo, se fa esperienza, nel percorso di esperienza scopre anche il suo percorso e scopre anche che tra il sapere il congiuntivo e non sapere il congiuntivo c’è una bella differenza, stando in un’azienda. Vado alla conclusione.
Perché l’abbiamo reso obbligatoria e abbiamo contato sul tema dell’alternanza? Anche per i numeri. Siamo partiti due anni e mezzo fa con il 44% di disoccupazione giovanile, nel 2008 era sotto il 20 %, adesso siamo al 36,5%. Siamo contenti che stia scendendo, ma non basta. Abbiamo il 17,6% di abbandoni scolastici nel nostro Paese. Media nazionale della secondaria di secondo grado, le superiori. Nei professionali, cioè le scuole che devono mettere in contatto con il mondo del lavoro, questa percentuale schizza in alcune aree geografiche anche al 35%. Un ragazzo su tre scappa da scuola perché? “Pensavo mi insegnassero un mestiere”. E’ questa, se si ascoltano i ragazzi, la motivazione e paradossalmente abbiamo il 28% delle aziende che oggi, oggi, non 10 anni fa, fa fatica a trovare i lavoratori con qualifiche professionali medio e medio alte. Nei prossimi 5 anni, i nuovi posti di lavoro, tra turn over e nuovi posti di lavoro, per il 70%, ci dice ISTAT, saranno su professioni medio alte. La scuola non può essere un mondo a sé stante rispetto a questi numeri, deve garantire la conoscenza, ma anche le competenze che il mondo del lavoro richiede, senza snaturare il luogo del sapere supremo che la scuola è. Questo abbiamo inserito nella riforma. Esperienze. E qui parlerò di alcune esperienze. Ho inserito alcune foto di alcune visite che ho fatto in questi anni nelle scuole, perché quello che vi ho raccontato nasce da questi incontri. Guardate la foto in basso a sinistra: quella è stata la prima scuola che ho incontrato, era il Marconi di Prato, e lì mi ricordo bene di aver incontrato un istruttore tecnico professionale, gli ITP, cioè un insegnante di laboratorio che si chiama Doriano che l in lacrime mi diceva: “Faccia ritornare il laboratorio, le ore di laboratorio per questi ragazzi, perché con l’ultima riforma il laboratorio è sparito e questi ragazzi hanno bisogno dell’esperienza e l’esperienza la si vede nel laboratorio, facendo. Io spiego loro guardano e riprovano”. E sempre in quella visita, ironia della sorte, nella prima visita, ho incontrato Andrea, un ragazzo che stava iniziando il 5 anno, che al 4 anno aveva fatto quelle famose 70 ore di alternanza. A giugno, finita la scuola e finita l’alternanza, il datore di lavoro, gli propone di lasciare la scuola e di andare a lavorare e la famiglia aveva anche bisogno. Lui, anche dopo un dialogo con la famiglia, dice no, perché dice “se io a 17 anni ho avuto una proposta di lavoro è perché ho fatto questa scuola. Se finisco va da sé”. Capite che quando noi adulti pensiamo all’alternanza o pensiamo ai giovani, dobbiamo sempre classificare qualcosa, allora la scuola è svenduta alle aziende, oppure diamo lavoratori gratuiti alle aziende, oppure i ragazzi sono bamboccioni, sono chiusi, non hanno voglia di fare niente. Ma io nelle esperienze vissute all’interno della scuola ho trovato l’esatto contrario. Ed è da queste esperienze che è nato il tema dell’alternanza. Concludo dicendo che però le competenze non bastano. Che non è una contraddizione rispetto a quello che ho detto finora. Le competenze e l’alternanza sono un metodo didattico, che noi vogliamo favorire. Ma le competenze da sole non bastano. Possono ridestare la passione, anzi, sono uno strumento che ridesta la passione del ragazzo, ma servono maestri che accompagnino i giovani, servono maestri, servono persone adulte, che possano accompagnare i ragazzi, anche utilizzando le competenze. I ragazzi da sempre e per sempre chiederanno il senso delle cose. Vogliono dialogare con il mondo esterno alla scuola. Vogliono fare esperienze, ma capiscono che da soli non possono farle o non possono arrivare alla conclusione delle loro domande o delle loro preoccupazioni o dei loro ideali o della mossa dei loro ideali. Uno, chiunque, anche i ragazzi, scopre l’utilità per sé, e per gli altri, quindi anche per il mondo, quando si vede all’opera e l’alternanza vuole essere in questo solo e soltanto uno strumento. Grazie.
GIORGIO VITTADINI:
Oggi è una giornata tragica. Ogni ora che passa aumentano i morti. E allora non si può buttare via una giornata così, bisogna capire che cosa genera una giornata così, misteriosamente e tragicamente di positivo. Genera il fatto che il titolo del Meeting, “Tu sei un bene per me”, in questi momenti si capisce che è vero, perché non si può rimanere chiusi nel proprio egoismo. Il pensiero va non in generale, ma a quello, a quello, a quello che ha perso la vita e quell’altro, a quella vita, a quella storia, alla famiglia che è rimasta, al dolore che c’è. Mentre di solito “Tu sei un bene per me” è un buonismo astratto, in questi giorni si capisce che questo è l’umano, non si può vivere diversamente, se non nella barbarie. Perché dico questo alla fine di questo incontro? Perché questo tema, non è un tema tecnico. La prima cosa che c’è, da cui nasce la formazione professionale, l’alternanza, è un bene, io voglio il bene per te. Il punto di partenza di questo tema, non è un tema tecnico, ma nasce da santi. Nasce da san Giovanni Bosco, nasce da san de Balaguer, nasce da tante esperienze di uomini che hanno desiderato il bene per l’altro e non si può desiderare il bene senza che questo implichi lo scoprire che l’altro desidera risorse che non ha. E come davanti al terremoto si è spinti ad agire per aiutare, così nei confronti di questi ragazzi che non hanno né arte né parte, nasce un’azione, nasce un impegno. Nei giorni del terremoto si capisce se un Paese, al di là della formazione professionale, ha generato gente che sappia il mestiere. Perché pensate cosa vuol dire adesso, nelle prime ore, sapere dove scavare, e poi ripristinare la luce, il gas, l’acqua, che sono fondamentali: ci vuole gente che sappia usare le mani, al contrario di Sartre che diceva che le mani sono una maledizione. Le mani sono quel punto in cui si vede se c’è un’intelligenza. Allora in questi momenti si vede se un Paese ancora è capace di generare il mestiere. Questa commozione per qualcuno, questo fare per qualcuno diventa la comunicazione di un mestiere, dell’intelligenza, perché per insegnare a un elettricista bisogna sapere cos’è l’elettricità, se no ci si scotta o peggio; per insegnare a uno a fare il muratore, bisogna sapere come si tirano su le case, ma questo è un percorso che arriva fino alla fine, è un mestiere, è un modo con cui si usano le mani. In questo giorno si capisce che se un Paese non ha questo, non è più un Paese sviluppato. Il ragazzo per imparare non può essere introdotto da un mero tecnico, ma da un tecnico che lo guarda così, che supera il suo scetticismo, supera la sua depressione, che supera il suo essere subordinato perché non crede in se stesso, ma allo stesso tempo è uno che sa muoversi, che sa costruire e questa stessa cosa la si vede in questi giorni, è il bisogno di un Paese che produce. Perché mi colpisce sempre molto il dato per cui ci sono tanti neet e c’è poca gente che sappia fare i mestieri. Si dice tante volte che le imprese fanno fatica ad avere quello che sa fare il mestiere, l’elettricista che sa fare l’impianto, quello che sa mettere le mani in un telefonino, quello che, come ho imparato una volta a Bergamo, sa fare le barche. Voi capite che se noi non comunichiamo questo a dei ragazzi, lasciamo le nostre imprese incapaci di quello che fa la differenza. Mi diceva una volta un mio amico che lavorava come consulente per Del Vecchio, che avendo appunto Del Vecchio verificato se valesse la pena spostare la produzione dei Ray-Ban in Cina, l’aveva poi lasciata in Veneto perché in Cina gli operai costano meno, ma nessuno sa fare un occhiale così bello e tecnologico come gli operai delle valli venete. Se noi non facciamo questo, noi rimarremo a piedi, noi non sapremo neanche avere quello che fa il valore aggiunto delle nostre imprese. Allora voi capite da tutto questo che non stiamo parlando di un settore tecnico, ci vogliono i numeri, le quantità, i soldi, le leggi, ma stiamo parlando di qualcosa che è il nostro umano, che è il cuore del “Tu sei un bene per me”; la formazione, l’alternanza scuola-lavoro è qualcosa che è al centro e infatti non per niente è stata attaccata per anni, perché se vai a fare un lavoro pratico, tu stai in qualche modo asservendo il settore dell’istruzione al capitalismo – si dicevano queste cose-. Di conseguenza, l’Istituto tecnico professionale, che era il migliore del mondo negli anni ’70 e ha fatto il boom, è stato massacrato, perché uno deve fare solo il liceo, perché se no non c’è la mobilità verticale, e infatti non c’è. Oggi è il momento in cui noi dobbiamo riprendere in mano queste cose, come abbiamo visto oggi, dobbiamo ripensare che questo è qualcosa che fa parte del nostro umano, che siamo coinvolti tutti, perché la cosa interessante a questo tavolo è che non è che questo è di qualcuno, è di tutti. Noi dobbiamo guardare queste cose con affetto, con passione, come nel momento del terremoto, guardarlo come qualcosa di nostro, anche se non facciamo niente, e spingere a riprendere questa possibilità di un Paese in cui c’è della gente che sa usare le mani, perché sono il terminale di un cuore e di un cervello. Io penso che parte dell’affronto della crisi sia la riscoperta di questa miniera che abbiamo nella nostra tradizione, per renderla diversa. Il mestiere, la coniugazione della mano alla bellezza è italiana. È il sistema Italia, il mobile, la macchina utensile, è l’impianto, pensate quando qualche decennio fa costruimmo la diga di Assuan. Noi siamo per definizione gente che mette le mani. Rischiamo di perdere la nostra capacità di carpentieri, di costruttori. Noi dobbiamo riprendere in mano queste cose come qualcosa che esprimono il tu, superando le ideologie e penso che da questo punto di vista l’incontro di oggi sia stato per la ricchezza dei contenuti e delle possibilità e per la presenza del Sottosegretario Toccafondi che si sta così battendo per questo, una pietra miliare di questo lavoro. Continuiamolo. Grazie.