Chi siamo
AL FONDO DELLA MANCANZA. DIALOGO CON…
Partecipa Piero Sansonetti, Fondatore e Direttore de Il Garantista. Introduce Alberto Savorana, Portavoce di Comunione e Liberazione.
ALBERTO SAVORANA:
Buonasera. Benvenuti a questo incontro del Meeting di Rimini dal titolo Al fondo della mancanza. Piero Sansonetti conosce il Meeting da quando si svolgeva negli assolati e caldissimi padiglioni della vecchia Fiera di Rimini, al suo inizio, e ci torna dopo tanti anni. E’ stato giornalista, Condirettore, inviato dagli Stati Uniti dell’Unità, ha lavorato a Liberazione, il quotidiano di Rifondazione Comunista, è fondatore e Direttore attuale del quotidiano Il Garantista. Una storia tutta a sinistra. Come sei arrivato al Meeting?
PIERO SANSONETTI:
Sono venuto al Meeting per la prima volta, credo, nel 1980, non mi ricordo l’anno esatto, come inviato de L’Unità perché, sì, ho una storia tutta a sinistra, ho fatto il giornalista in questi giornali che hai detto e poi sono anche stato iscritto al Pc, credo per venticinque anni. Mi sono iscritto da ragazzino e sono stato iscritto fino alla fine, fino a quando non si è sciolto, a Rimini si è sciolto, fra l’altro, proprio qui ma non c’entrava con il Meeting, lo scioglimento. E mi ricordo quando sono venuto per la prima volta a seguire il Meeting, avevo un atteggiamento…dire ostile è sbagliato, però sicuramente di forte contrasto. Comunione e liberazione – noi, Alberto, ne abbiamo parlato altre volte – è stato un fenomeno che la sinistra italiana non è che capisse benissimo, non so come spiegarmi, non si capiva bene che cosa fosse. Non si capiva bene innanzitutto perché non stava dentro i partiti tradizionali. Si sapeva chi era al potere, i democristiani, chi era all’opposizione di sinistra, i comunisti, poi c’erano i fascisti. Cos’era questa roba di Comunione e liberazione? E non si capiva, anche di questo una volta abbiamo parlato, nemmeno per queste due parole straordinarie che un po’ noi sentivamo usurpate: la parola comunione è una parola bellissima, naturalmente, non è vero che era usurpata però era una parola in contrasto con lo schema che noi avevamo del mondo borghese. Quello che era fuori dal Pc era il mondo borghese, poi poteva essere cristiano, liberale, ecc. Comunione assomiglia molto a comunismo. Sono due idee lontane però il concetto era quello. Quindi, che cosa erano questi ragazzini guidati da questo prete e da un paio di giovanotti (c’era Formigoni)? Che volevano? Che dicevano? Non erano facili da capire. Ricordo che mi colpì molto il Meeting quando sono venuto a seguirlo per il giornale: mi pare ci fosse Andreotti, non mi ricordo chi parlava, seguii naturalmente il dibattito ufficiale. Però poi mi fermai la sera dopo cena ed ebbi un incontro privato, chiesi di parlare con una quindicina di ragazzetti (anch’io ero abbastanza giovane nell’’80, non avevo ancora 30 anni, però questi erano ragazzini più giovani di me) e mi colpirono molto. Mi colpì che pensavano, sentivano, avevano emozioni molto simili alle mie e non mi tornava. Il dramma delle ideologie non sono state le ideologie, che avevano anche qualcosa di molto positivo dentro di sé, il dramma delle ideologie sono stati i fortini. Il problema non era l’ideologia, che anzi io oggi ne sento magari un po’ la mancanza, e forse magari anche voi la sentite. Il problema erano i fortini che si costruivano intorno a queste ideologie. Se costruisci intorno all’idea un fortino, non la metti in discussione, non la fai vivere, non la porti fuori, non la presenti, a rischio di essere demolita: quell’idea diventa una cosa che si incartapecorisce e che incartapecorisce anche te. Quando incontrai questi ragazzi, qual era la differenza? C’erano tante differenze, anche sui valori, io ero vecchio e loro giovani, ma per modo di dire, perché poi eravamo ragazzetti tutti quanti. Probabilmente sentii che avevamo in mente un’idea di futuro che non era poi così lontana. Da allora, guardo con curiosità Cl. Poi c’è stato tutto un periodo diverso, c’è stata la vicenda politica di Cl dentro le istituzioni. Il periodo di cui parlo è il periodo iniziale, in cui non era dentro le istituzioni, non era al potere, non aveva deputati, era molto legata soprattutto a don Giussani. Però è da allora che mi interessa, questa roba. Io sono diventato comunista molto piccolo, a 17 anni, c’è stato il ’68…. Però conoscevo bene il cristianesimo, da ragazzino ho avuto un’educazione cristiana quindi conoscevo anche il mondo cristiano, le organizzazioni. Anche per questo diffidavo di Cl, perché era un’organizzazione che non conoscevo: avevo conosciuto l’Azione Cattolica, avevo conosciuto i Boy Scout, avevo conosciuto le ACLI, ma questi… A parte che erano pure milanesi e a Roma, sai… bah! Chi sono? Cosa c’entrano? Non mi tornavano nemmeno rispetto alla mia formazione cattolica, mi tornavano più altre cose, mi tornava la sinistra Democristiana, ma questi non li potevi catalogare!
ALBERTO SAVORANA:
Avete cominciato a capire chi è Piero Sansonetti. L’anno scorso ho fatto due dialoghi con lui, uno a Cosenza e uno a Udine. Mi ha molto sorpreso il tono del dialogo perché la frase più ricorrente, che precedeva ogni sua affermazione, era: “Forse non l’avete capito ma io sono ateo”. E subito dopo poneva una domanda. Questo mi ha molto incuriosito perché ho incontrato un grande giornalista, un uomo che, al di là di qualunque stereotipo, schematizzazione, era curioso, interessato alla realtà, soprattutto si poneva delle domande che mi ponevo anch’io. E allora, questo è stato il motivo per cui abbiamo pensato di invitarlo al Meeting che ha per titolo una grande domanda, una poesia di Luzi: Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno? E il Papa, che ci ha scritto inviandoci un lungo e splendido messaggio, ci ha introdotto alla comprensione di questa domanda. Ti leggo questa frase, poi vorrei chiederti una reazione. “La suggestiva e poetica espressione scelta come tema di quest’anno pone l’accento sul cuore che è in ciascuno di noi e che Sant’Agostino ha descritto come un cuore inquieto, che mai si accontenta e ricerca qualcosa all’altezza della sua attesa. E’ una ricerca che si esprime in domande sul significato della vita e della morte. In questo impegno, è possibile ricorrere a qualche esperienza umana e frequente, come la gioia di un incontro, le delusioni, la paura della solitudine, la compassione per il dolore altrui, l’insicurezza davanti al futuro, la preoccupazione per una persona cara”. Allora, ti vorrei chiedere: c’è qualche episodio che ha segnato in modo particolare la tua vita, il tuo percorso umano e professionale, in cui è emersa ai tuoi occhi in modo più chiaro l’esperienza di questa mancanza, di qualcuna di queste domande?
PIERO SANSONETTI:
Io lo vedo da due punti di vista: cosa mi manca fondamentalmente nella mia esperienza umana e cosa manca a tutti noi. Posso cominciare a risponderti dalla prima domanda? Perché serve a chiarire. Tu l’hai detto e io lo ripeto: “Sono ateo”. Io dico sempre che “sono ateo”, non dico mai che sono non credente, sono due concetti diversi. Non credente è un “non”, io ho fatto una scelta di ateismo che tiene conto dell’esistenza della religione e della fede. E allora, siccome sono ateo, ti ripeto quello che ho detto anche a Cosenza, e forse anche a Udine, perché non è un fatto secondario. La differenza che c’è fra me e la maggioranza di voi che ascoltate è l’assenza della vita eterna. Non è un dettaglio, non è un fatto ideologico, non è un fatto culturale. La mancanza più forte che emerge soprattutto confrontandomi con voi, (magari anche fra voi ci saranno dei non credenti, però penso che la maggioranza di voi sia credente), è una differenza gigantesca perché cambia interamente la prospettiva del futuro e la prospettiva del rapporto fra la propria vita di tutti i giorni e i grandi valori. Non è uguale! Noi possiamo anche avere valori forse quasi identici su moltissimi temi, non su tutti: su alcuni temi li abbiamo decisamente diversi. Su molti temi possiamo avere valori quasi uguali però li viviamo in modo del tutto diverso. Voi li vivete dentro una fede che vuol dire tante cose ma, fra le altre, vuole dire vita eterna. E’ una differenza gigantesca ed è un aspetto decisivo della fede. Concepire la propria vita e il proprio passaggio sulla terra dal punto di vista della vita eterna o concepirla come la concepisco io, come una cosa che sta per finire, cambia totalmente anche le emozioni. E non può non determinare nell’ateo consapevole, nell’ateo cosciente, nell’ateo che è ateo per scelta, una gigantesca mancanza, una mancanza di prospettive che mette in discussione continuamente tutto. Mette in discussione tutto perché mette in discussione i valori, mette in discussione le relazioni. Tutte queste cose non possono mai essere ricondotte ad un disegno etico che si basa sul futuro e sulla vita eterna, devono essere ricostruite in laboratorio: e lì la mancanza è gigantesca. L’uso che nel messaggio del Papa si fa della parola cuore e non anima – io l’ho notato, magari è perché non l’ho letto tutto, magari è casuale -, è esattamente questo, perché si rivolge pure a me, si rivolge al mio sistema di emozioni, al mio sistema di affetti, al mio sistema di sentimenti, a prescindere dal fatto che io sia credente o non credente, che sia ateo o religioso. Mi porta dentro questa discussione mantenendo una differenza. Io provo una enorme attrazione per il mondo cristiano e una grandissima voglia di discutere, di parlare, di confrontarmi, di vedere le cose, soprattutto quelle su cui si è più lontani, perché sento l’enorme forza di questa posizione umana ma sento anche fortissima la differenza esistenziale che esiste tra me e voi. E’ un discrimine, la vita eterna o no, che cambia tutto, ed è un discrimine anche di mancanza e di non mancanza. In realtà, non ho risposto alla tua domanda perché tu mi hai chiesto un’altra cosa.
ALBERTO SAVORANA:
Però hai dato una risposta più interessante ancora!
PIERO SANSONETTI:
Mi hai chiesto una cosa che non c’entra niente! Però non riesco a parlare di mancanza, fra l’altro io non lo so, ma Luzi non credo fosse credente. Era credente?
ALBERTO SAVORANA:
Si dice che non abbia vinto il Nobel per la Letteratura proprio per la sua fede cattolica.
PIERO SANSONETTI:
Sì? Io me lo ricordo Luzi, lui è morto credo una quindicina di anni fa. Scriveva per L’Unità, era uno dei poeti, insieme ad altri, Giovanni Giudici, Raboni, che avevano un rapporto fortissimo con la sinistra e con il Partito Comunista, che scrivevano frequentemente su L’Unità. Quel suo verso è bellissimo ma difficilissimo da capire: io vi ammiro anche perché scegliete un verso di questo genere. Se uno sceglie “Tanto gentile e tanto onesta pare”, si capisce. Questo invece è un verso complicatissimo. Infatti il messaggio del Papa interpreta a sua volta. Però, ecco, se dovessi partire da quel verso, che è una cosa di negazione e di riaffermazione: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”, è chiaro che è tutte e due le cose. “Che a un tratto ne sei pieno”, sei pieno di questa mancanza: ma sei pieno in che senso, nel senso che ti manca o nel senso che è la mancanza stessa che si auto riempie, che si auto soddisfa? Io non so se posso interpretare questo verso piegandolo al ragionamento che stavo facendo e cioè al modo come io vivo la mancanza – adesso dico la parola forte – non più di vita eterna ma di Dio, a come io vivo la mancanza di Dio, perché l’ateismo è una scelta di mancanza di Dio. E’ possibile che questo verso mi spieghi la cosa? E cioè mi dica che questa mancanza poi si riempie: la vogliamo forzare paradossalmente?
ALBERTO SAVORANA:
Adesso torniamo su questa cosa dell’ateismo e della mancanza. Fin dalle prime battute di Papa Francesco, ti sei arruolato tra i suoi più fedeli e assidui seguaci.
PIERO SANSONETTI:
Ho chiesto dove ci si iscriveva.
ALBERTO SAVORANA:
Credo che dopo L’Osservatore Romano e Avvenire, Il Garantista sia il quotidiano che scrive con più assiduità di Papa Francesco, quasi ogni giorno, uno, preferibilmente due articoli, spesso firmati dal Direttore. E anche questo è interessante, perché non c’è la vita eterna, un’altra prospettiva esistenziale, un’altra direzione e sguardo sul futuro, eppure compare sulla scena del mondo un Papa che un po’ ci crede alla vita eterna, se no non avrebbe accettato di fare quel lavoro, e un Piero Sansonetti che si entusiasma. Com’è possibile?
PIERO SANSONETTI:
Ti dirò la verità. La frase che più mi ha convinto, mi ha colpito e mi ha conquistato di Francesco, è stata quella stupenda che ha detto in aereo tornando dal Brasile, era Papa da poco: “Chi sono io per giudicare?”. Perché è quella che ti apre la porta, no? Lui con quella frase ha aperto la porta del mondo intero e ai non cristiani ha detto: “Se volete entrate, io sto qui, non sono qui per giudicare, sono qui per parlare, per parlare al pensiero umano, al cuore, alle anime, per parlare di valori, per parlare di cristianità, per leggervi il Vangelo. Sono qui per leggervi il Vangelo, ma non sono qui per dare giudizi”. E’ una frase fortissima perché spezza tutta quella patina di arroganza che voi non potete pensare che un laico e un ateo non trovino nella Chiesa cattolica. Quella patina di arroganza, di superiorità, che in parte è data dai motivi che dicevamo prima: io sono la vita eterna, io ho Dio, tu che vuoi? E questo invece inizia a ragionare dicendo: “Chi sono io per giudicare?”. Dopodiché, è tutto il suo insegnamento, cioè è un Papa che di fronte a un mondo in cui la politica ha perso tutto, viene e ti ripropone i valori essenziali attorno ai quali si può immaginare la società futura. Da quando sono ragazzino ho fatto il giornalista, però per me fare il giornalista è stato molto fare molta politica. Ho lavorato a L’Unità, Liberazione, poi ho fondato un giornale mio. Per me il giornalismo è sempre stata una forma di impegno politico, questo non vuol dire che non creda al giornalismo, all’informazione, ecc. Tutto il mio impegno politico era rivolto, come credo quello vostro, di chi di voi comunque ha un interesse alla politica, a battersi: come la facciamo ‘sta società del futuro? Come si costruisce la modernità? Come si costruisce, data anche l’epoca in cui viviamo, il passaggio d’epoca, il passaggio del secolo? Io, per l’età che ho io, l’ho affrontato con le ideologie, il comunismo, il socialismo, tutta un’epoca della mia vita. Poi ho vissuto il passaggio clamoroso della scomparsa improvvisa del comunismo, dall’ottobre al dicembre del 1989, quando dal mondo è scomparsa improvvisamente una cosa che sembrava uno dei pilastri, è scomparso il mondo comunista. E chi non voleva chiudersi gli occhi e le orecchie si è dovuto porre dei problemi sul fatto che non aveva funzionato, che alcune di quelle cose lì non funzionano più. Era possibile però salvare dei valori, o no? C’erano dei valori dentro quell’ideologia? Sì, era piena di valori! Quell’ideologia era piena di schifezze, piena di violenza, piena di sangue e piena di valori. Non era un’ideologia che non aveva dei valori, aveva dei valori giganteschi! Essenzialmente aveva il valore della solidarietà e il valore dell’uguaglianza, che sono valori che valgono di per sé. Poi possono piacere o non piacere, sicuramente quello della solidarietà a tutto il mondo cristiano piace enormemente, senza quel valore non esisterebbe neanche il mondo cristiano. Quello dell’uguaglianza è già una cosa diversa, perché è un valore molto più politico, più discutibile. Ma quei valori si potevano salvare o no? Io ho assistito, da quel momento in poi, a qualcosa credo di simile a quello che ha raccontato in questi giorni Monsignor Galantino, cioè una politica che si è del tutto spogliata dei valori, li ha abbandonati. Ha detto: “Lasciamo stare, vediamo cosa possiamo salvare ma non i valori, mai!”. Ma non per cinismo, adesso dobbiamo anche capire un po’ cosa è successo. Chi è un po’ più vecchio si ricorderà… Adesso non vi vedo, per cui non conosco la vostra età media. Però chi è un po’ più vecchio si ricorderà che un leader comunista, Berlinguer, pose la questione morale all’inizio degli anni ’80, quindi trentacinque, quarant’anni fa. Guardate che io sono convinto che lui non pose la questione morale per dire: “Qui girano le tangenti”. Le tangenti le prendeva pure lui, peraltro, il Pc prendeva le tangenti come gli altri partiti, non era quella la questione. Lui pose la questione morale per dire: “Badate che qui i fini stanno superando i mezzi!”. La politica è fatta di mezzi e di fini, di obiettivi e di strumenti. Lui segnalò il fatto che in quel passaggio (c’era stato il compromesso storico, c’era stato il consociativismo), nella politica i fini stavano perdendo la leadership e i mezzi stavano prendendo il sopravvento, l’amministrazione e il potere prendevano il sopravvento rispetto alla strategia. Questa è la questione morale che ha posto Berlinguer. Com’ è andata a finire? I mezzi hanno preso il sopravvento sui fini? No! I mezzi hanno annientato i fini! Li hanno annientati, non esistono più, i mezzi sono tutto! Oggi la politica è solo mezzi! Non si pone nemmeno la questione dei fini! A me pare che molto sobriamente Monsignor Galantino non ha nemmeno denunciato ma segnalato questo fatto. La politica ai tempi di De Gasperi – ma anche di Togliatti, di Nenni, di Lussu, di Ferruccio Parri, di La Malfa, era una politica in cui i fini erano essenziali, i grandi disegni strategici. De Gasperi aveva un grande disegno strategico e intorno a quel disegno strategico si è costruita l’Italia. Anche Togliatti aveva un grande disegno strategico, diverso, e in parte si è aggregato al disegno di De Gasperi, perché poi la formazione dell’Italia democratica e moderna non è solo De Gasperi. Vivevano i grandi disegni strategici che potevano anche essere terrificanti, perché badate, io non do un giudizio se fosse meglio quella politica o questa. Quella politica ha prodotto delle cose orrende, ha fatto Portella delle Ginestre, una strage orrenda fatta in Sicilia dalla mafia, mi pare nel ’47, ha fatto Piazza Fontana, ha fatto le stragi, ha fatto cose orrende alle quali hanno partecipato tutti, la destra, la sinistra, il centro. Non è in questione dire che “quelli erano più bravi”. La questione è dire che “si è rovesciato il rapporto tra fini e mezzi”. Ed è una fotografia, non un grido, una denuncia, un ritenersi superiori. Oggi la politica ha accettato di essere relegata da altri poteri, dal potere economico, dal potere della magistratura, dall’Europa. Ha accettato di essere messa da parte e ha chiesto in cambio solo la gestione del sottogoverno. Ha chiesto solo questo, in cambio, questa è l’operazione che è stata fatta. Non mi importa di dire: “Siete sporchi, siete brutti, siete ladri”. Non è questo! Mi chiedo: può la politica sopravvivere se rinuncia… Che c’entra col Papa? C’entra col Papa. Perché in questa situazione arriva al vertice della Chiesa cattolica un signore che pone le grandi questioni politiche: i migranti vanno accolti. Non è che i migranti vanno accolti chissà perché! I migranti vanno accolti perché è un diritto dei migranti sopravvivere, perché esiste il concetto di solidarietà, perché esiste il concetto di umanità che è molto superiore al concetto di nazionalismo, alle piccole patrie. Questa è un’idea, non è una politica! Poi ho letto che un uomo politico importante, per il quale non ho neanche antipatia, ha detto: “Ma cosa crede, il Papa?” – l’ha detto gentilmente, non con questi toni – se San Martino avesse diviso il suo mantello, anziché in due, in un milione di pezzettini, non copriva nessuno”. E’ un’idiozia, gli immigrati sono un centesimo della popolazione italiana, quindi non bisogna dividerlo per sessantamila. Si tratta di sapere se l’Italia è un Paese così ricco – essendo il sesto o settimo Paese più ricco del mondo – da potersi permettere di fare arrivare alcune decine di migliaia di profughi, centinaia di migliaia di profughi, all’anno. Certo che può! Poi si tratta di vedere quali sono le politiche, ma vogliamo prima affermare questo concetto? Viene prima l’umanità o viene prima la piccola patria? O viene prima il fortino dentro il quale siamo chiusi? Questa è una questione di idee! E’ una questione di idee e oggi il Papa, e fondamentalmente la Chiesa cattolica, è l’unica istituzione che affermi questa idea. La differenza che c’è fra Francesco, Monsignor Galantino e la politica italiana, è enorme! La distanza che c’è fra Renzi e Salvini è piccolissima, su questi temi. Possono esserci piccole differenze, ma non c’è una differenza vera. La differenza enorme è nell’idea di fondo: viene prima l’interesse nostro o viene prima l’interesse dell’umanità? L’interesse dell’umanità, il diritto dell’umanità a sopravvivere, viene prima o viene dopo? Di fronte a una guerra, alle spietatezze delle quali per altro leggiamo tutti i giorni, abbiamo o no il dovere di aprire le porte e di salvare alcune centinaia di migliaia di persone che rischiano di essere stuprate, rischiano di essere ammazzate, rischiano di avere la testa tagliata? Io vedo questa differenza, mi è impossibile non fare una scelta di campo. Mi è impossibile: di fronte a una differenza così violenta, fra l’idea del Papa e l’idea della politica italiana, non posso non fare una scelta di campo. E allora ti ho chiesto, l’altro giorno: “Dove ci si iscrive?”.
ALBERTO SAVORANA:
Dovete convenire con me che, data la premessa – e cioè che per lui non c’è vita eterna e che questo cambia interamente la prospettiva del futuro, perché per Piero la vita è una cosa che sta per finire – tutto questo intervento è pieno di ansia, di attesa, di domanda, di ricerca della possibilità di costruire qualcosa di bene nel futuro. Allora, ti ributto ancora la palla di Papa Francesco, perché nel messaggio, non so se sapendo che saresti venuto, ti lancia anche qui un input, e sta parlando a te: “Perché dobbiamo soffrire e alla fine morire? Perché c’è il male e la contraddizione? Vale la pena vivere? Si può sperare ancora davanti a una terza guerra mondiale combattuta a pezzi e con tanti fratelli perseguitati e uccisi a motivo della loro fede? Ha ancora senso amare, lavorare, fare sacrifici e impegnarsi? Dove va a finire la vita mia e quella delle persone che non vorremmo perdere mai? Cosa stiamo a fare al mondo? Sono domande che si pongono tutti, giovani e adulti, credenti e non credenti. Anche il negatore più incallito non riesce a estirparle del tutto dalla propria esistenza”. Ma allora, non ti pare che questo livello di domande, negatore o credente, riconoscitore o meno della vita eterna, sia un terreno su cui possiamo forse fare un pezzo di strada insieme?
PIERO SANSONETTI:
Sì, io penso di sì. Prima devo dirti un’altra cosa: io penso che a queste domande si può rispondere anche negativamente. Non disprezzo di rispondere negativamente a queste domande. Non a caso, le pone addirittura il vicario di Cristo. E forse le poneva pure Cristo. La domanda se vale la pena vivere la vita è una domanda legittimissima, non vedo come si può non farla. E naturalmente si possono dare due risposte. Questo io lo chiedo a voi, che risposta date. Perché una risposta facilissima è: “Sì, vale la pena viverla perché dopo c’è il paradiso”. E’ una risposta piuttosto semplice: c’è la finalità del dopo, la vita è vista come sofferenza e come pedaggio, passaggio terreno, ma la vita vera per voi è l’altra, non è questa. La vita vera è l’altra e quindi è semplice. Se invece uno pensa che non ci sia il dopo, allora la risposta è subito: vale la pena? E’ difficile dire di sì, perché davvero è complicato dire che vale la pena vivere questa vita. Si può vivere in vari modi: si può vivere per le emozioni, si può vivere per le speranze, si può vivere per i progetti, si può vivere per la comunità. Io non disprezzo chi dice di no. Per esempio, una delle cose che più mi faceva arrabbiare, adesso è superata, però una delle cose che più mi faceva arrabbiare della dottrina cattolica era la negazione del funerale ai suicidi. Io ho un rispetto enorme per i suicidi, concepisco il suicidio come un gesto di grande autonomia. Non ho manie suicide, eh!, però concepisco il suicidio come un gesto drammatico, la scelta più drammatica di vita che può compiere un individuo. Per questo mi ha conquistato con quella frase, Francesco: “Chi sono io per giudicare?”. Chi sono io anche per giudicare il suicida? Adesso la Chiesa cattolica molto raramente nega il funerale ai suicidi.
ALBERTO SAVORANA:
Anche perché la dottrina cattolica sui suicidi, proprio perché, come dice il papa, “Chi sono per giudicare?”, usa questa espressione: “De internis neque ecclesia”. Di ciò che è più intimo nel cuore dell’uomo, che può portare a un gesto così estremo, neanche la Chiesa può permettersi di giudicare, perché è mistero.
PIERO SANSONETTI:
Sì, non c’è dubbio, ma oltretutto, il gesto di negare il funerale a un suicida è di una arroganza quasi blasfema, un sostituirsi a Dio, negare il diritto. Adesso io mi intrometto in cose vostre, non dovrei, però trovo blasfemo quando ci si sostituisce a Dio. Sebbene non ci creda, ho un grande rispetto per questo signore, diciamo, non credo che esista ma se esiste è Dio, insomma, non stiamo scherzando, non è che arriva un pretino o un vescovo e dice: “Ti giudico io, stai tranquillo, vai all’inferno”. Non si può fare, è chiaro che non si può fare! Adesso stiamo giocando, però io non gioco quando dico che non sono indignato di fronte alla risposta: “No, non ne vale la pena”. La risposta “vale la pena” si può trovare in quei modi che ho detto: si può trovare nelle emozioni, si può trovare nella gioia di vivere e si può trovare nella comunità. Per questo questa parola torna, vedete che torna? Comunione e liberazione, comunità: penso che lì si possa trovare. L’unica via terrena per dire “vale la pena di vivere” è stare e costruire la comunità, stare dentro delle relazioni, costruire relazioni. E’ l’unico modo per cui un ateo può pensare che valga la pena vivere la vita e quindi valga la pena affermare dei valori. E’ impossibile vivere la vita senza affermare dei valori, perché se non affermi dei valori tutte quelle domande hanno la risposta: “No, non vale la pena”. Non può valere la pena vivere una vita intera di settanta, ottanta, novant’anni per godere ogni tanto. No, non vale la pena se non c’è una struttura. La struttura si può ritrovare solo nelle relazioni, si può ritrovare nella comunità, cioè nell’essere dentro un corpo collettivo. Per questo dico che certo, si può fare un cammino insieme a voi. E credo che voi possiate fare un cammino insieme a tanti altri. Uno dei grandi difetti di tutte le religioni, anche di quella cristiana, è l’integralismo. Non sto parlando del fondamentalismo teologico, adesso, ma l’integralismo nel senso della chiusura, del non aprirsi agli altri, del rifiutare. Questo è uno sforzo che dovete fare anche voi, nel senso del mondo cristiano. Questo Papa sta facendo una cosa talmente enorme per aprire in quella direzione…Un mondo cristiano che sia in grado di aprirsi al resto del mondo, e che quindi sia in grado di discutere e di non giudicare, di difendere i suoi valori senza pretendere di imporli, è un mondo cristiano che può dare un contributo decisivo alla modernità. Oggi, guardate, la partita della modernità è la grande partita: come si entra nella modernità? Cos’è la modernità? La modernità è il rifiuto degli immigrati? La modernità è l’esaltazione del profitto? La modernità è la riduzione a zero delle regole in difesa del lavoro? La modernità è la raccolta di pomodori che porti a stroncare di fatica una signora di 47 anni? Se è questa la modernità, francamente temo che torniamo indietro. Temo che fossero più moderni gli anni Sessanta e gli anni Settanta. Se la modernità è l’esatto contrario, e cioè l’affermazione della necessità di questa civiltà di fare un passo avanti, non un passo indietro, di essere più libera, di essere più liberale, di essere più garantista, di essere più aperta, di essere più giusta, di essere più solidale, è una tendenza minoritaria in questo momento. Nella cultura occidentale e nella cultura italiana, quello che prevale è l’opposto, è l’idea dell’efficienza come idea contrapposta all’idea dei diritti, l’efficienza contro i diritti. Sul lavoro, sugli immigrati, sul rapporto fra maschi e femmine: l’efficienza contro i diritti. La modernità è efficienza. Guardate che è il Medioevo, questo concetto di modernità! E’ un concetto di modernità che viene prodotto da un’intellettualità che è morta, è stata travolta dalla fine delle ideologie. Aveva vissuto 50 anni meravigliosi perché aveva vissuto dentro le ideologie, era un’intellettualità del tutto subalterna alle ideologie. Guardate, insisto, io non lo dico sprezzantemente, perché consideravo le ideologie una cosa importante, ma quell’intellettualità non aveva prodotto, era stata prodotta! Nel momento in cui sono crollate, si è trovata come dei bambini senza mamma, si è trovata come travolta da uno tsunami, non ha prodotto più nulla e si è ridotta dentro questa idea piccina, piccola e stupida, inesistente, che è l’efficienza e basta, il profitto e l’efficienza. Il profitto e l’efficienza arrivano al decimo posto nei grandi valori. Io non dico che non esistano come valori ma possono esistere solo se subalterni a tantissimi altri valori. La modernità può essere costruita solo facendo un passo avanti e cioè avendo un mondo più solidale e più giusto, non avendo un mondo che produce di più.
ALBERTO SAVORANA:
Questa però è la documentazione, il lungo elenco di aggettivi sulla società che tu desidereresti, che desideriamo anche noi in quanto uomini. E’ la documentazione – non l’hai più detto che sei ateo – che questo desiderio che hai, quest’ansia di giustizia, di solidarietà, di umanità, di bene, per cui una donna non muoia raccogliendo pomodori, contengono in se stessi un qualche presentimento che si possa trovare una strada positiva, una risposta che la renda possibile, non solo un sogno o un’utopia. Don Giussani a questo proposito usava l’espressione “carattere esigenziale della vita” e diceva: “Per il fatto stesso che un uomo desideri il bene, il bello, la giustizia, la felicità, il bene, l’uomo ragionevole deve essere aperto alla possibilità che da qualche parte una risposta possa venire”. E lo dice il Papa nel messaggio: “La vita con quelle domande non è un desiderio assurdo. La mancanza” che tu stesso riconosci in te “non è il segno che siamo nati «sbagliati» ma, al contrario, è il campanello che ci avverte che la nostra natura è fatta per cose grandi”. E’ rinunciare a questo che ha prodotto, a mio modesto parere, quella riduzione per cui il mezzo si è mangiato il fine. Ha prodotto un oscuramento nella percezione delle cose, della realtà. Questa è la vera crisi che oggi attraversiamo, di cui la crisi della politica dei partiti, la corruzione, sono ultime, estreme conseguenze. Ma io non posso rinunciare al pensiero che, per il fatto stesso che desidero una società come tu l’hai descritta, sia possibile che da qualche parte si possa realizzare. Perché altrimenti, dice il Papa, vorrebbe dire che siamo sbagliati, che siamo nati con dei desideri che sappiamo a priori insoddisfabili. E questa, sì, sarebbe la dannazione eterna.
PIERO SANSONETTI:
Io non credo che siano insoddisfabili. Io credo molto alla politica. Di questo Papa mi entusiasmano un paio di cose, oltre al suo modo di pensare, al suo modo di parlare, di esprimersi, al coraggio, che è forse una delle sue doti maggiori. Ha fatto irruzione nel 2013 sfondando tutti i sensi comuni. Il coraggio è una cosa clamorosa. Un’altra cosa che mi interessa molto è la sua argentinità. Non la conosco bene, non sono in grado bene di percepirla e di capirla, però, certo, l’arrivo dall’America latina, preceduto anche da grandi fenomeni politici… Perché in America latina ci sono stati grandi fenomeni politici dopo l’epoca tragica delle dittature, dopo la grande crisi, ecc. Ci sono stati fenomeni molto interessanti, da Morales a Tica, lo stesso peronismo argentino, alla Cristina Kirchner, che credo sia in pessimi rapporti con Bergoglio. L’argentinità e l’America Latina sono una cosa molto interessante. È proprio argentino, ‘sto Papa, non è che ci sono dubbi. Si sente continuamente anche nel suo modo di parlare, nel suo modo di esprimersi, nel suo modo di pensare. Molto difficilmente un Papa italiano avrebbe potuto fare qualcosa di questo genere, ma proprio molto difficilmente dal punto di vista intellettuale, perché lo schema di mediazione intellettuale, di rapporti gerarchici, ecc. che ci sono anche in un grande intellettuale cristiano italiano, non credo che avrebbero potuto avere quella forza dirompente di novità che hanno avuto in Bergoglio. Detto questo, io penso che non sia vero che non è realizzabile. Una delle cose che mi piace di più di questo Papa è pure questa, che ti invita alla lotta, mi mancava! Lottiamo! Ma non eri il prete che doveva dire la messa? No, dice: “Lottiamo per i nostri diritti”. Insomma, non so se si può capire o se può sembrare una cosa magari poco elegante da dire, ma io ritrovo nella Chiesa la politica che avevo perso, che non trovavo più, cioè la politica vera che è lotta per migliorare il mondo, poi vediamo come. La politica ha un senso solo se è lotta per migliorare le relazioni tra gli uomini, per migliorare la società e per renderla più giusta. Poi uno può essere di sinistra, di destra, di centro, con idee stranissime, però l’idea è quella di rendere più giusta e più vivibile una società, se no, che cos’è la politica? Era scomparsa. Perché non è realizzabile, perché non è possibile? Io voglio saperlo, perché le risposte non me le danno. Perché non è possibile impedire che una signora muoia di fatica? Nell’Italia del 2013, non è possibile avere delle leggi e controllare il fatto che una signora non possa raccogliere pomodori per sedici ore a 2 euro l’ora? Io non credo che non sia possibile! Allora voglio sapere perché non è possibile accogliere i profughi. E perché bisogna raccontare un sacco di balle. E’ vero o no che oggi nell’economia italiana la partecipazione economica degli extracomunitari è decisiva? Il saldo fra ciò che costano e ciò che danno allo Stato in termini di tasse e di INPS e di contributi, è, mi pare, di 40 miliardi. Sono usciti l’altro ieri i dati. E’ vero o no? Perché dobbiamo raccontare balle? E’ possibile accogliere gli immigrati. Non diciamo che non è possibile. Bisogna organizzare delle politiche di accoglienza. Ce ne sono 3 mila, oggi, 3 mila immigrati in mare al largo della Libia. E’ ridicolo dire che è impossibile accoglierli. Non è vero che è impossibile. Poi, è tutto giusto. Se ne deve occupare l’Europa, dobbiamo distribuire le spese. Ma non si può negare l’evidenza, né si può dire: “ma io mi devo occupare prima degli italiani”. Cosa c’entra? Non è che uno deve sfruttare, torturare i poveri italiani e non dare loro da mangiare, lasciarli in mezzo alla strada, perché deve salvare i profughi. Non c’entra niente. Si possono fare delle ottime politiche sociali per ridurre la povertà e non rinunciare ad accogliere 100 mila/150 mila profughi l’anno. Non è vero che non è possibile, lo contesto fortemente. Non c’è da una parte l’utopia e dall’altra le persone sagge. Non è che Bergoglio è un utopista e Salvini è uno che fa le cose, no! Salvini è uno che non sa niente, non ha idea di che cosa sia l’immigrazione, dice delle stupidaggini enormi non perché ideologicamente dice le stupidaggini ma perché non sa nulla. E la Chiesa cattolica, francamente, adesso qui uno ci crede o non ci crede, quello che vi pare, ma con ‘sta roba qui un po’ si è misurata negli ultimi secoli, non è che sono 5 minuti che si occupa di immigrati e di profughi, diciamo le cose come stanno. E fate le cose concrete, poi, figurati, ha lo IOR, ma cosa c’entra lo IOR? Quello che vi pare, ma non c’entra niente. Ha tanti di quei difetti, la Chiesa cattolica, ma non c’entrano nulla con questi ragionamenti. Allora, smettiamola di dire che è un’utopia. Non è un’utopia. Non è per il fatto che il comunismo è finito a scatafascio, e ha commesso delitti orrendi, che l’aspirazione ad un mondo più uguale, più solidale, più civile è di utopisti. E’ quello che si può fare, esistono tutte le condizioni per farlo, esistono tutte le condizioni per andare nella direzione di un mondo più giusto. Certo, io credo che per andare verso questa direzione bisogna dare un freno al profitto. Io sono convinto di questo, perché sono una persona di sinistra e continuo a pensare fondamentalmente in quel modo. Penso che è molto difficile avere un mondo più giusto e più solidale che non stabilisca che il profitto non è Dio. Adesso, se non credo in Dio, figurati se posso credere al profitto. Credo che quello sia un meccanismo fondamentale. Che non vuol dire che bisogna fare il comunismo. Certo che, se tutta la politica moderna di destra e di sinistra, dice “facciamo le riforme”, che vuol dire? Intanto riduciamo un po’ i diritti del lavoro, sempre meglio. Poi tagliamo un po’ la sanità, riduciamo un po’ la scuola, perché troppa scuola costa troppo. Ma che riforme sono? Come si può pensare che in questo modo si vada verso la modernità? Io non ce l’ho con Renzi, perché l’ha fatto Bersani, l’ha fatto Prodi, l’ha fatto Berlusconi, l’ha fatto Reagan, l’ha fatto Clinton, l’hanno fatto tutti. L’unico che non l’ha fatto è Obama, l’unico che ha fatto una riforma sola e comunque era una riforma sanitaria. Se facciamo la riforma sanitaria, aboliamo gli ospedali e mettiamo i ticket. Per noi le riforme sono riduzioni dei diritti. O si inverte questo criterio oppure è un po’ difficile che si vada avanti. Ma come si può pensare che la modernità sia la riduzione dei diritti? Io non riesco a capirlo. Adesso ho fatto un po’ il comunista…
ALBERTO SAVORANA:
Ci stava… Nell’autunno del ’92, quando stava cominciando a franare l’Italia sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, don Giussani in un’intervista al Corriere parlò dell’Italia come segnata da un terremoto in cui tutto stava per venire giù. E invece di fare di questo l’occasione di un lamento o di una semplice accusa agli altri, si domandò: “Chissà se il desiderio di assicurare un futuro ai propri figli invece di comunicare loro solo un’ansia di benessere, di riuscita, chissà se questo desiderio di un futuro per i propri figli non sia in grado di sfondare l’orizzonte?”. E concluse: “Mi sembra che questo sia possibile solo perché vedo intorno alcuni uomini che questo desiderio lo hanno”. Lo diceva nel ’92, è venuto giù tutto, siamo nella situazione che tu hai descritto. Tu credi che oggi questa possibilità ci sia? Che sia possibile in questo quadro così fosco in cui ci troviamo a vivere, che qualcuno possa ricominciare a dialogare, a incontrarsi, per sfondare un orizzonte che sembra destinato a un futuro cupo per i nostri figli, per la società in cui siamo?
PIERO SANSONETTI:
Innanzitutto, voglio essere molto sincero, credo che la Chiesa cattolica in quegli anni mancò. Ha avuto un ruolo importantissimo il papato di Wojtyla nel superamento delle dittature comuniste. Non ha avuto la grinta che forse doveva avere negli anni successivi. Perché la caduta del comunismo non è stata una robina – si è sciolto il Pc, Occhetto è andato a casa, tutte queste cosine così -, ma è stato un cambio formidabile nella politica mondiale. Per esempio, la caduta del comunismo ha comportato una crisi furiosa delle socialdemocrazie europee che oggi sono praticamente scomparse. Non c’è più traccia delle politiche sociali. Lì la Chiesa avrebbe dovuto svolgere un ruolo molto forte e invece secondo me Wojtyla è stato molto timido. Non che le cose che dicesse non fossero giuste, Wojtyla diceva molte cose che oggi dice Bergoglio. Non è che l’analisi è cambiata, però è cambiata la grinta e la capacità di esposizione, la presa di leadership sul mondo esterno. Wojtyla si è anche spostato su posizioni importanti, in una parte consistente del mondo cristiano, ma non ha avuto nessun appeal, nessuna leadership sul mondo non cristiano. In quei momenti, ci poteva essere una leadership come la sta esercitando adesso Bergoglio. Non voglio fare il tifoso. Però, visto da fuori, visto da uno che stava fuori, la crisi fra il ’92 e gli anni successivi, aggravata in Italia da Tangentopoli, c’è stata in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti. Io stavo in America in quegli anni, andai in America dal ’94, quindi ho vissuto tutto il periodo Clinton, che era periodo interessantissimo perché non si capiva bene, si andava avanti, tornava indietro. Lui provava a fare una riforma, poi arretrava. Clinton è stato un buon Presidente, non è stato un cattivo Presidente, non è stato neanche un cattivo leader del mondo, però molto debole, inconsistente. Nessuno è stato in grado di guidare il mondo, in quel momento. La caduta del comunismo è stata la caduta del comunismo e basta. E dopo, chi riusciva a monetizzare qualcosa la monetizzava e molti hanno monetizzato, soprattutto i grandi poteri economici. Il grande vantaggio è stato portato dai grandi poteri economici. Non c’è stata un’intellettualità in grado di misurarsi con quella crisi. Non c’è stata una leadership politica né socialdemocratica né liberale in grado di confrontarsi con quella crisi. Il mondo cattolico è mancato, in Italia, in maniera vistosissima, perché scompariva un partito gigantesco che aveva dominato e governato il Paese fino a quel momento. In altri Paesi del mondo, in modo più vistoso ma è mancato, è mancato comunque. Non è nemmeno una critica, la mia, è un’osservazione, però questo c’è. Dopo di che, invece, alla domanda che fai rispondo: “Sì, esistono le possibilità di ricominciare”. Credo che per ricominciare bisogna avere anche il coraggio di rompere tutto, cioè di non affidarsi più a questi schieramenti. Io non mi ci ritrovo, sulla gran parte delle cose non mi ritrovo nei partiti politici che ho seguito fino adesso. Ho pubblicato ieri sul mio giornale un articolo di Renata Polverini che è dirigente importante di Forza Italia, è stata Presidente della Regione, sull’immigrazione. L’ho pubblicato come editoriale e mi si è aperto il cuore. Era un articolo bellissimo nel quale un’esponente importante del Centrodestra si schierava con Galantino e contro Salvini. La trasversalità a questo punto diventa decisiva. Io voglio sapere solo tre o quattro cose: come si fa una battaglia per modificare la struttura di questo Paese? E non credo che ci si possa basare sui partiti politici o sui vecchi schieramenti, non mi pare, non esistono, non c’è questa possibilità. Ma per questo, anche facendo lo spiritoso continuo a chiedertelo. Dimmi: chi è il tuo leader politico? Io ti dico Galantino.
ALBERTO SAVORANA:
Hannah Arendt, che tu conosci, diceva che il vantaggio delle crisi è che ci costringono a ritornare alle domande fondamentali. Se tu dovessi identificare tre interrogativi fondamentali che urgono in te e che senti di poter condividere con chi non ha rinunciato alla partita della vita, alla partita di una speranza per il futuro, quali formuleresti?
PIERO SANSONETTI:
Prima di tutto bisogna dire che Hannah Arendt non la facevano più neanche parlare nelle università. Poche persone sono state isolate come Hannah che è una delle più grandi intellettuali moderne, era una di quelle che se ne fregava dello schieramento, se ne fregava del politically correct e diceva le cose come le vedeva, come stavano: l’hanno massacrata. C’è un film, probabilmente quasi nessuno di voi l’ha visto, se riuscite a vederlo, vedetelo. E’ un film bellissimo, di una regista tedesca comunista, peraltro, la Von Trotta, l’avete visto?
ALBERTO SAVORANA:
Quasi tutti.
PIERO SANSONETTI:
Ah, scusate, pensavo….
ALBERTO SAVORANA:
Ha girato come il samizdat…
PIERO SANSONETTI:
A Roma stava al Farnese solo dalle sei alle sei e mezza del pomeriggio, per qualche giorno. Un film bellissimo. Mi è venuto in mente adesso perché mi hai detto Hannah Arendt. Quali sono i tre interrogativi? Io credo che la questione dell’immigrazione sia veramente fondamentale, sia perché è una grande questione storica che ci pone di fronte a dei problemi nuovi, di immigrazioni, di spostamenti, e a problemi vecchissimi che sono il rapporto fra la parte più ricca del mondo e la parte più povera, sia perché è una grande questione simbolica. E’ una cartina di tornasole e lì si decide come vogliamo costruire il mondo moderno. Se siamo disposti a rinunciare a qualcosa, è impensabile una distribuzione delle risorse che renda più giusto il mondo se la parte più ricca del mondo non è disposta a rinunciare a nulla. Naturalmente, il più ricco del mondo è Donald Trump e non siamo te ed io, ma te ed io non siamo la parte più povera del mondo. E comunque te ed io siamo dei privilegiati, siamo della gente che vive in condizioni assolutamente incomparabili con quelle in cui vive la maggioranza dell’umanità. Siamo disposti a rinunciare a qualcosa? Non solo ad annientare il patrimonio di Trump ma anche a rinunciare a qualcosa del nostro stile di vita? Se non siamo disposti, è inutile che parliamo! Abbiamo in mente allora la difesa di questa società, va benissimo. Vogliamo difendere questa società. Poi, non ci lamentiamo troppo, almeno un po’ di ipocrisia in meno. Se vogliamo difendere questa società, difendiamola, diciamo che va bene così, che ci teniamo i nostri soldini, le nostre ricchezze, le nostre sicurezze, questo certo politico va benissimo per amministrare questa società. Non diciamo stupidaggini, va benissimo. Il ceto politico che abbiamo è adeguatissimo a gestire lo status quo. Se vogliamo cambiare lo status quo, dobbiamo essere disposti a cambiarlo. Siamo disposti, tutti voi, siete disposti a mettervi in discussione? A perdere qualcosa? A perdere qualche privilegio? Altrimenti non discutiamo di niente. Se pensiamo che vale la pena perdere qualche privilegio per avere un mondo più equilibrato, più giusto, per costruire comunità nuove, per affermare dei valori nuovi, allora possiamo dire che facciamo politica. Per rispondere al Papa, va bene, lottiamo anche noi: altrimenti, questo è abbastanza inutile. Dopo di che, io vedo un altro problema nemico. Lo dico con tristezza. Io vedo un altro grande nemico che è il populismo, che è un nemico un po’ diverso da quello che generalmente noi indichiamo. Il populismo è un nemico bestiale. Perché ammanta con la parola “popolo” la difesa dei propri privilegi e basta, la difesa delle idee che io sono giusto e tutti gli altri sono ingiusti. Il rifiuto di guardare all’altro, l’idea che sull’intolleranza, sulla ricerca della punizione, della vendetta, si costruisce una società migliore. Non è vero. Si costruisce una società peggiore. Mi ha molto colpito questa cosa che tutti avete visto dei Casamonica, perché è una buffonata. Hanno fatto un funerale, ci hanno messo i cavalli, hanno girato con l’elicottero, cosa assolutamente antiestetica, ma mi ha colpito l’improvviso liberarsi delle coscienze. Possiamo finalmente maledire qualcuno, i Casamonica! Io non so manco chi sono, i Casamonica, ma nessuno lo sa. Ho cercato per tre giorni di capire che cosa aveva fatto questo Vittorio Casamonica, in tutti i giornali non c’era scritto. Alla fine, naturalmente, l’ho trovato in Travaglio, che è l’unico che queste cose le sa: ha comprato una Ferrari senza pagare l’IVA e si è preso 8 mesi di galera. Nessuno sa nemmeno chi è, però è talmente bello scaricarsi la coscienza! Finalmente ho trovato il male, è quello lì: è Casamonica. E’ la chiave del populismo, cercare il male, cercare il modo di criminalizzare l’altro e a quel punto mettersi tranquilli. Anche con i politici. C’è un astio, talvolta, che poi i politici in gran parte sono dei mascalzoni, ma in gran parte sono delle persone per bene. Molti di loro sono persone per bene. Io credo tutti modestissimi, oggi, condivido pienamente il giudizio di Galantino. Il dramma della politica non è che è corrotta, è che non è all’altezza, non ha strategie, non ha capacità politiche, non ha intellettualità, non produce idee, non produce progetti, è quello il dramma! Craxi era un grande uomo politico. Non so se fosse corrotto o no, non credo nemmeno che fosse molto corrotto, comunque era un grande uomo politico. Poi lo osteggiavo, però era un grande uomo politico. Berlinguer era un grande uomo politico, Moro era un grande uomo politico, poi magari rubavano pure, non lo so, rubavano forse più di questi, non lo so ma non mi interessa, però erano dei grandi personaggi politici e avevano delle grandi strategie politiche. Oggi il problema non è che rubano, il problema è che non hanno strategie politiche, non hanno idee, non sono a quel livello, non sono capaci intellettualmente. Ma la rabbia antipolitica che monta nel popolo, nel popolo populista, e che viene gestita molto bene da alcuni grandi, in tutta Europa, perché non è un fenomeno solo italiano, è un fenomeno di tutta Europa, è quella che porta la politica a fare l’opposto di quello che penso io, cioè non a provare a costruire un mondo migliore, che è lo scopo fondamentale della politica, ma a provare a punire. Cioè, la giustizia politica vuole dire punire più gente possibile, aumentare gli anni di prigione, trovare i colpevoli. E’ il grande nemico della modernità, il populismo.
ALBERTO SAVORANA:
Quando tu hai saputo della indizione dell’Anno Santo, hai scritto sul Garantista un editoriale parlando di Papa Francesco che aveva lanciato – hai usato questa espressione, correggimi, se ricordo male – “la bomba atomica della misericordia”, che evidentemente ha a che fare con qualche cosa che sembra non avere né capo né coda e che ha a che fare proprio con l’oggetto dei due temi che tu hai indicato, l’immigrazione e il populismo. Perché in entrambi il problema è l’altro, è la persona, è l’individuo singolo, questa cosa così fragile in cui però si concentra tutto il mondo e che evidentemente è l’oggetto più interessante a cui si rivolge continuamente il Papa. E la misericordia – diceva don Giussani – è una cosa che sembra non avere né capo né coda, perché sembra contraddire tutte le regole umane. Addirittura lui diceva che bisognerebbe cancellarla dai vocabolari della lingua italiana, perché sembra non avere a che fare con regole, leggi, misure, perdoni e condanne. Che cosa ti ha acceso questa notizia che ti ha fatto parlare di una bomba atomica?
PIERO SANSONETTI:
E’ una bomba atomica perché fa saltare tutti i principi essenziali del senso comune degli ultimi vent’anni. Da vent’anni a questa parte, il senso comune, lo spirito pubblico va in quella direzione, la ricerca della punizione. La punizione è diventata un valore assoluto in una parte vastissima del popolo. Il vero valore è la punizione, funziona lo Stato che punisce, funziona la comunità che punisce, il dramma è restare impuniti. Poi potete prenderla come vi pare, ma la parola misericordia e la parola punizione sono due parole che non vanno d’accordo, sono l’opposto. Non c’è niente da fare. Poi vediamo cosa intende Bergoglio per misericordia e si farà un intero Anno Santo, quindi hai voglia! Ma punizione e misericordia sono due parole che non stanno insieme. Nel momento in cui lancia l’idea del grande valore della misericordia, rompe e sfida tutto il senso comune. Ora sarà complicatissimo, perché purtroppo poi nella discussione pubblica, anche nella formazione dello spirito pubblico, talvolta le parole e i fatti se ne vanno ognuno per conto suo. Sarà difficilissimo provare ad affermare davvero la misericordia. Spacca tutto. Nel ragionamento che facevo prima, l’affermazione della misericordia come primo valore, nel momento in cui tu fai un Giubileo, spacca tutto perché rende impossibile qualunque altro ragionamento, rende impossibile qualunque tipo di populismo e rimette in discussione quell’altra cosa che dicevo, l’efficienza. Efficienza e misericordia, anche, sono due parole che non valgono molto, non stanno molto bene insieme. Come dice don Giussani, cancelliamo la misericordia dal vocabolario oppure dobbiamo cancellare moltissime altre parole alle quali invece non sappiamo rinunciare e che sono le parole chiave del dibattito pubblico e dello spirito pubblico in questo Paese ma più in generale in Europa. E’ una bomba atomica com’era una bomba atomica il Vangelo. Era inascoltabile, l’insegnamento di Gesù, andava completamente tutto controcorrente, rimetteva in discussione tutto, era uno scandalo costante. Ti ricordi che quando ci siamo visti la prima volta, mi pare a Cosenza, vi feci questa domanda: “Posso essere seguace di Gesù senza credere in Dio?”.
ALBERTO SAVORANA:
La domanda era diversa.
PIERO SANSONETTI:
Adesso non mi ricordo come la formulai, però….
ALBERTO SAVORANA:
E mi aveva molto colpito. Ho provato a buttar lì una rispostina ma… Ha fatto nove punti di intervento, ogni punto iniziava dicendo: “Forse non avete capito ma sono ateo”. Al nono punto, ha detto:”Dopo aver letto questo libro, don Luigi – perché ormai lo chiamo così – mi interessa, ma mi interessa anche Gesù. Io sono ateo. Ma Gesù – avevi domandato – lo posso prendere così in quanto tale? E’ un po’ diversa.
PIERO SANSONETTI:
Ma adesso vado oltre. Posso essere seguace di Gesù senza credere in Dio? E’ più forte, ma è la domanda decisiva. Ve la dovete fare anche voi, perché lì sta la grande rottura. Sai cos’è che a me non era piaciuto per niente? A me non sta simpatico Ratzinger, anzi, mi sta simpaticissimo però ho trovato delle grandi difficoltà. Non mi è piaciuta per niente l’enciclica che si chiamava Caritas in Veritate. Perché non mi è piaciuta? Perché ho avuto l’impressione, forse un po’ più dell’impressione, che quella enciclica ponesse di nuovo la fede come valore essenziale e la carità e speranza come valori subalterni. La tesi era – adesso forse esagero un po’ – che la carità avviene solo attraverso Dio, cioè che è una triangolazione, essere umano, Dio, essere umano, e la carità avviene attraverso Dio e quindi è subalterna alla fede. In Bergoglio, ho l’impressione esattamente opposta, da quella frase in poi, che la carità diventa il valore essenziale e la fede e la speranza siano due valori, virtù. Per me questo è fondamentale: è possibile aspettarsi questo dal mondo cristiano, che si faccia un Giubileo per lanciare la misericordia, che è cosa leggermente diversa dalla carità, però è molto vicina? E’ possibile aspettarsi dal mondo cristiano che con la sua forza gigantesca irrompa nella battaglia politica – che si creda in Dio o che non si creda in Dio -, e butti sul piatto il suo peso per cambiare il mondo e per cambiare le relazioni tra gli uomini, che ci credano o non ci credano? Quando chiedo se posso diventare seguace di Gesù senza credere in Dio, lo chiedo anche a voi. Potete portare Gesù anche a chi non crede in Dio?
ALBERTO SAVORANA:
Non faremmo il Meeting. Perché duemila anni fa, quando Gesù incontrava i primi per la strada in Galilea, non gli chiedeva un certificato di battesimo, non domandava loro se credevano in Dio oppure no. Quando va per la strada e vede su un albero, perché era piccolino ed era salito sopra per curiosità, quello che don Giussani chiama il capo mafia di Gerico, si chiamava Zaccheo, non gli fa un processo, non gli chiede l’anamnesi della sua storia, tanto meno gli chiede: “Scusa, credi in Dio?”. Gli dice: “Zaccheo, scendi. Vengo a mangiare da te”. Premiando che cosa? La curiosità di un uomo che voleva vederlo. E quando incontrava la gente, non è che gli diceva: “Guarda! Per venirmi dietro devi credere in Dio, perché io sono la seconda persona della Trinità, tra qualche tempo mi mettono in croce ma stai tranquillo, perché dopo tre giorni risorgo”. No, incontravano un uomo in quanto tale. La stessa domanda che tu poni, che è la domanda che vale per noi cristiani, perché Cristo documenta la sua divinità attraverso un’umanità eccezionale che ha portato nel mondo. Era così strano che a quelli che lo incontravano veniva una domanda: “Ma chi è questo qui? Chi è questo che va a mangiare con i pubblicani e le prostitute”. Uno che dice agli intellettuali, scribi e farisei dell’epoca: “Questi vi passano davanti nel Regno dei cieli”. Era un uomo che aveva questa pretesa sulla vita, ma era la sua diversità umana per cui piangeva per l’amico Lazzaro morto, si fermava a parlare con la Samaritana al pozzo, si lasciava baciare i piedi dalla prostituta Maddalena. Per questo, io allora dissi: “Certo, guai a te se non lo prendi in quanto uomo, in quanto tale, perché è prendendolo in quanto tale che uno può aprirsi alla scoperta che forse lì c’è qualcosa di strano, che non aveva mai trovato altrove. Perché questa è la forza che consente a Bergoglio di lanciare la bomba atomica della misericordia, senza bisogno prima di fare una lezione di teologia, ma introducendo qualcosa che, come dici tu, sfida il senso comune, fa saltare in aria tutto, tanto che uno si domanda: ma chi è questo? E allora provo a immaginare: sarà perché è argentino? Sarà perché viene dal Sudamerica? Sarà perché è gesuita? Sarà perché, sarà perché? Perché non si spiega questa stranezza, che, ateo o non ateo, credente o non credente, smuove le acque, fa parlare di bomba atomica questa umanità. Perché non c’è altro modo da che è cominciata la storia cristiana, per cui uno possa arrivare – ed è mistero – a riconoscere che c’è Dio se non attraverso l’incontro con degli uomini. E questo nell’esperienza cristiana è il metodo che Dio, noi crediamo, ha scelto. Nessuno l’ha mai visto ma noi abbiamo visto gente che viveva diversamente, in cui quell’ansia di giustizia che tu ci hai documentato questa sera trovava una strada, una strada offerta, non imposta e in questo la Chiesa ha dovuto fare molta strada prima di riconoscere che la libertà è un fattore decisivo tanto quanto la verità. E quindi lo si può prendere in quanto tale. Non è necessario credere prima in Dio, ma a una cosa non si può rinunciare. Tu ce l’hai fatto vedere, questa sera. A quelle domande di fronte alla donna morta, ai barconi degli immigrati, al tracollo della politica, ai mezzi che prendono il sopravvento sui fini, non rinunciare a questo. Quando nel messaggio il Papa, sempre al Meeting, dice il compito del Meeting, e lo dice pensando a se stesso, perché è quello che sta facendo nella Chiesa e nel mondo: non è vostro compito – dice il Papa – fare in modo che tutti credano in Dio, che tutti si convertano, che tutti diventano cattolici, così la chiesa vince. No! Il vostro compito – dice il Papa – per collaborare alla missione della chiesa oggi nel mondo, cioè per introdurre questa novità che tu desideri, che auspichi, è «non consentire che qualcuno si accontenti di poco”. Sembra niente. Ma io ho visto in te, stasera, uno che non crederà alla vita eterna, che penserà che con la fine della vita finisca tutto, ma non uno che si accontenta di poco. Allora ti faccio un’ultima breve domanda, forse una ultima, piccola curiosità. Tu hai citato don Giussani, avendone letto, conosciuto qualcosa della sua vita. Se tu dovessi sintetizzare in poche parole in che cosa ti interessa, che cosa ti colpisce di quest’uomo e della sua vicenda, la ragione per cui lo trovi interessante per te e per la società oggi, dopo dieci anni che è morto, cosa diresti?
PIERO SANSONETTI:
Per me è una cosa semplicissima, la leadership sembra niente, ma è una cosa enorme. La leadership, la capacità di leadership. Don Giussani era un intellettuale che resisteva, che funzionava: io sento moltissimo l’assenza dell’intellettualità. Prima ne ho accennato. La fine dell’ideologia ha lasciato un deserto: non esistono intellettuali, non esiste leadership. Io di don Giussani posso contestare centinaia di cose, quando abbiamo parlato del libro ne abbiamo viste molte, il modo, soprattutto, ti ricordi? La cosa che più gli contestavo era il modo nel quale lui ha vissuto il ’68, che io ritengo sia stato un fenomeno grandioso di rinnovamento e penso, anche oggi penso, che la Chiesa lì abbia perduto una grandissima occasione. Perché aveva l’occasione di starci dentro questo movimento, anche perché poi c’era stato il Concilio. Paolo VI è stato un Papa che accelerava e frenava molto, alle volte lo trovavi molto avanti, alle volte molto indietro. Io penso che la Chiesa abbia perduto l’occasione del Sessantotto e don Giussani abbia perduto l’occasione del Sessantotto. Ti ricordi? Lo contestai sul giudizio che lui dava sull’Isolotto, quel quartiere di Firenze dove un sacerdote che si chiamava don Mazzi, morto un paio di anni fa, ebbe questa esperienza di contestazione del Vescovo. Nel libro si ricostruisce un giudizio sprezzante di Giussani che io ho vissuto alla rovescia, perché allora ero un ragazzino cattolico e di sinistra e non ero nemmeno di Firenze. Detto questo, la grandiosità di Giussani, rarissima, è la leadership, non ci sono stati più personaggi in grado di essere così. Per leadership intendo la capacità di comunicare, di aggregare, di fare comunità, di insegnare, di imparare, di lanciare idee, di tenere insieme, di mediare e di non seguire, non seguire semplicemente il luogo comune. La grandiosità di Cl è stata questa: rompere, io non la capivo per questo, perché non stava nel luogo comune. La capacità di Cl, di Giussani, è stata rompere il luogo comune, non accettare mai il luogo comune, imporre un punto di vista e fare comunità intorno a un punto di vista. Poi io spessissimo questo punto di vista non lo considero giusto, ma quella capacità è una capacità straordinaria ed è quello che oggi ci manca. Oggi in Italia manca completamente l’intellettualità. Io ti dico che mi trovo anche a disagio, un po’ per scherzo e un po’ per davvero: il mio leader politico sarà Galantino, il mio punto di riferimento sarà Bergoglio, ma è una difficoltà per me, non è semplice. Uno non può andare da un’altra parte. L’assenza di una intellettualità in Italia è un problema drammatico, l’assenza di una intellettualità che permetta poi di connettere il mondo cattolico, il mondo laico, molto liberale, ex comunismo, ci sono tante cose, ci sono tante idee, è complicato tenerle insieme E’ complicato riuscire a trovare un percorso in cui si aggregano: ho un dubbio che la Chiesa possa svolgere una funzione di surrogato totale. Può svolgere il suo compito, ha il suo compito, questo è un grande Papa, però non può prendere il posto… E poi ci vogliono gli intellettuali, ci vuole un’altra cosa. Io voglio avere un grandioso dialogo con la Chiesa e voglio essere gesuista, non gesuita, senza essere cattolico. Però poi il dialogo vuol dire il dialogo. Io ho i miei punti di vista, contesto tantissime cose che voi dite. Se entriamo su alcuni particolari, sull’aborto, sull’eutanasia, sul divorzio…
ALBERTO SAVORANA:
No, perché se no…
PIERO SANSONETTI:
… è evidente che le posizioni sono lontanissime. Voglio avere un colloquio con voi ma non voglio che surroghiate un compito che non è vostro. La Chiesa deve mettere tutto il suo peso e lo sta facendo nella discussione e nella lotta politica, però poi emergono degli intellettuali o dei leader in grado di guidarla. La grandiosità di Giussani è stata questa: di essere un grande leader e di essere un leader su posizioni difficili, minoritarie e anticonformiste, in un periodo molto difficile. E’ quello che mi ha affascinato di lui.
ALBERTO SAVORANA:
Ti ringrazio e ti faccio un augurio che spero sia condiviso e condivisibile, prendendo in prestito alcune parole di una canzone di Vasco Rossi, Dannate Nuvole. Adesso parlo all’ateo che è in te, perché stasera però non è stato così ateo nelle cose che ha detto. “Niente dura e questo lo sai, però non ti ci abitui mai. Chissà perché”. L’augurio che ti faccio, perché ne abbiamo solo da guadagnare, è che tu non ti abitui mai all’idea che niente dura, perché la mancanza che abbiamo messo a tema con una frase che sarà anche un po’ difficile di Luzi, è proprio il segno più grande del cuore, cioè di un uomo che può subire difficoltà, prove, ostilità, avversità della vita, ma non si abitua al pensiero che non ci sia una possibilità di futuro. Questo è l’augurio che ti facciamo e così ce lo facciamo anche a noi. Grazie, Piero.
PIERO SANSONETTI:
Grazie anche a voi, grazie moltissime. Auguri. Buon Meeting.