Chi siamo
AFRICA, ITALIA, EUROPA: UNA NUOVA COOPERAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Stefano Gatti, direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo; Robinah Nabbanja, primo ministro Repubblica dell’Uganda; John Makoha, rappresentante Paese AVSI in Uganda; Renzo Piraccini, presidente di Macfrut; Stephen Tumukugize, giovane agro-imprenditore coinvolto nel progetto SAY. In occasione dell’incontro video-intervento di saluto di Frederieke Quispel, ambasciatrice dei Paesi Bassi in Uganda. Modera Giampaolo Silvestri, segretario generale AVSI
Dai percorsi che hanno portato al Global Gateway al Piano Mattei emerge l’urgenza di costruire una nuova collaborazione alla pari tra Paesi africani ed europei per favorire uno sviluppo duraturo e sostenibile per tutti. Per rendere possibile questo, si deve partire da realtà già in atto, da casi di successo come il progetto SAY, che verrà presentato a Rimini come modello scalabile e replicabile: un progetto quadriennale, implementato da AVSI e finanziato dall’Ambasciata dei Paesi Bassi, che ha curato la formazione in campo agricolo di 18.000 giovani in Uganda e dato loro la possibilità di trovare lavoro dignitoso nel settore, grazie a partnership molteplici con il settore privato e a un approccio che pone al centro la persona.
AFRICA, ITALIA, EUROPA: UNA NUOVA COOPERAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
AFRICA, ITALIA, EUROPA: UNA NUOVA COOPERAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Martedì 20 agosto 2024 ore 16:00
Arena Internazionale C3
Partecipano:
Stefano Gatti, direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo; Robinah Nabbanja, primo ministro Repubblica dell’Uganda; John Makoha, rappresentante Paese AVSI in Uganda; Renzo Piraccini, presidente di Macfrut; Stephen Tumukugize, giovane agro-imprenditore coinvolto nel progetto SAY. In occasione dell’incontro video-intervento di saluto di Frederieke Quispel, ambasciatrice dei Paesi Bassi in Uganda.
Modera:
Giampaolo Silvestri, segretario generale AVSI
Silvestri. Buon pomeriggio, benvenuti a questo incontro che ha per titolo *Africa, Italia e Europa: una nuova cooperazione per lo sviluppo sostenibile*, con la straordinaria presenza dell’onorevole Primo Ministro dell’Uganda, Robinah Nabbanja, che ringrazio per essere qui con noi. Insieme a lei, ringrazio anche gli altri panelist di oggi, in particolare il Direttore Generale della Cooperazione allo Sviluppo dell’Italia, l’Ambasciatore Stefano Gatti. Siamo oggi ospiti del padiglione della cooperazione italiana, insieme a John Makoha, rappresentante di AVSI in Uganda, Renzo Piraccini, Presidente di MacFruit, e Stephen Tumukugize, giovane agroimprenditore coinvolto nel progetto SAY, di cui parleremo. Avremo inoltre un video intervento di Frederieke Quispel, ambasciatrice dei Paesi Bassi in Uganda.
Dal *Partnership for Global Infrastructure Investment* al *Global Gateway* dell’Unione Europea, fino al piano Mattei, oggi è sempre più evidente nel panorama nazionale e internazionale il bisogno di costruire nuove collaborazioni tra i Paesi africani, i Paesi europei e il resto del mondo. AVSI, come organizzazione della società civile fondata nel 1972 e oggi presente in 40 Paesi e da 40 anni opera in Uganda. Abbiamo voluto proporre questo dialogo per capire insieme come è possibile costruire questa nuova partnership, questa nuova collaborazione alla pari. Noi crediamo, e proviamo a dimostrarlo con i nostri progetti, che oggi non esista più una distinzione tra il sud e il nord del mondo, perché ormai siamo uniti da un’unica sfida che è affrontabile solo insieme, e questo è l’essenziale per il nostro lavoro. Tuttavia, siccome siamo orgogliosi della nostra origine di essere un’organizzazione di terreno, vogliamo partire da qui, dal terreno, da un caso concreto, per capire come questa nuova collaborazione sia possibile. Quindi, partiamo da un progetto che si chiama SAY, che sta per *Skilling in Agri-Preneurship for Increased Youth Development*, ovvero formazione per l’imprenditoria agricola per favorire un impiego di qualità per i giovani. Un progetto, cito solo alcuni dati, che ha permesso di accompagnare quasi 18.000 giovani ugandesi, tra i 18 e i 30 anni, all’impiego nel settore agricolo e formare 6.500 studenti nell’ambito dell’agricoltura. Ora però darei subito la parola a chi conosce questo progetto da vicino, in particolare a John Makoa, rappresentante AVSI in Uganda, per chiedergli appunto perché abbiamo scelto questo progetto come esempio, in quanto contiene alcuni elementi fondamentali per noi su come deve essere impostata questa nuova cooperazione. Allora, ti chiederei John di presentarci gli elementi innovativi di questo progetto, reso possibile grazie a un finanziamento dell’ambasciata olandese in Uganda. Prego, John.
Makoha. Grazie, Gianpaolo. Il progetto *Scaling Youth in Agropreneurship* è uno dei 29 progetti che portiamo avanti in Uganda. Questo progetto è importante per due ragioni. La prima è che in Uganda consideriamo l’agricoltura il pilastro della nostra economia. Ci è stato spesso ricordato che se non avessimo superato l’esame, non avremmo potuto andare avanti. La seconda è che abbiamo una popolazione giovane, e questo è cruciale per garantire il futuro del nostro Paese. Quando si arriva in Uganda, ci si rende conto che ci sono davvero tantissime risorse.
Traduttore. La nostra popolazione è molto giovane e ha accesso a numerose risorse naturali. Questo progetto SAY è finanziato dall’ambasciata dei Paesi Bassi e, come ha detto Gianpaolo, ha sostenuto fino ad ora 18.000 giovani ugandesi. Ora, da un lato vogliamo formare questi giovani affinché possano avere accesso al mercato del lavoro; dall’altro, vogliamo anche che questa occupazione aumenti il numero di posti di lavoro nel settore agricolo. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali di questo progetto e perché per noi è così importante? Innanzitutto, perché si tratta di un esempio di cooperazione pubblico-privato. In questo progetto, abbiamo coinvolto il governo, il settore privato e anche organizzazioni della società civile, potendo così trarre il meglio da tutti questi enti per dare vita a una collaborazione utile per i nostri giovani. L’altro elemento fondamentale di questo progetto riguarda il fatto che cerchiamo di fare in modo che i giovani ritrovino interesse per l’agricoltura. Spesso i giovani sono impazienti e non hanno la pazienza di aspettare i risultati, quindi abbiamo deciso di mantenerli motivati con una serie di attività durante la loro formazione. Un altro elemento fondante è il cosiddetto “mentoring” e “coaching”. Grazie a questo progetto di “mentoring” e “coaching”, facciamo sì che i giovani siano sostenuti passo passo da qualcuno con grande esperienza, affinché possano essere accompagnati nella creazione di impresa e affrontare tutte le tappe di questo percorso. Inoltre, un altro elemento fondamentale è che esiste una rete di servizi legati all’agricoltura che sostiene questi giovani, consentendo loro di avere accesso a una serie di servizi forniti da questa rete. Questo approccio ha già sostenuto molti giovani, e oggi ne sentiremo uno che è qui con noi per condividere la sua esperienza e testimonianza. Ve lo presento affinché lui stesso possa condividere la sua testimonianza ed esperienza.
Silvestri. Grazie, John, per aver delineato in poche parole gli elementi essenziali di questo progetto. Ora passiamo la parola a Stephen Tumukugize. Lui è un giovane imprenditore coinvolto nel progetto, operante nel settore agricolo. A lui vogliamo chiedere una testimonianza diretta su come il progetto gli abbia cambiato la vita, incidendo sulla sua vita professionale e non solo, e cosa abbia innescato in lui e nei giovani che, come lui, hanno partecipato a questo percorso. Siamo desiderosi di capire l’impatto che il progetto ha avuto sulla tua vita. Grazie
Makoha. Grazie, grazie mille.
Traduttore. Io sono Stephen Tumukugize e sono un imprenditore nel settore del caffè, molto appassionato. Vengo da una famiglia di coltivatori di caffè e, dopo gli studi universitari, ho conseguito una laurea in contabilità e finanza. Ho lavorato come contabile in un’azienda di caffè e successivamente mi sono interessato a questo settore, fondando la mia azienda chiamata Darling Coffee, situata nella parte orientale dell’Uganda, in una zona montagnosa. All’inizio non è stato per niente facile perché l’Uganda sì è un Paese agricolo, di tradizione agricola, ma ci sono tanti problemi riguardanti la meccanizzazione e il valore aggiunto della filiera del caffè e quindi ho dovuto acquisire competenze specifiche per fondare la mia impresa. Nel 2021 sono venuto a conoscenza del progetto SAY di AVSI, finanziato dall’ambasciata dei Paesi Bassi, e li ho contattati. Sono stato formato da UBORA, un partner del progetto SAY, e ho lavorato sulla gestione della qualità nel caffè come barista, acquisendo tante competenze che mi hanno consentito di avere la giusta visione. Ho lavorato anche con Priscilla Lagudi e insieme abbiamo formalmente avviato la gestione dell’azienda. Anche lei è stata formata nell’ambito del progetto SAY. Alla Darling Coffee, stiamo ora collaborando con 415 piccoli produttori, molti dei quali giovani. Abbiamo dato lavoro a 18 giovani, uomini e donne, e 11 di loro sono stati formati nell’ambito del progetto SAY, proprio come me. Abbiamo un fatturato annuo di circa 95.000 euro e siamo specializzati nella produzione di caffè arabica, ideale per l’esportazione. Produciamo anche grani di caffè già macinati e torrefatti, destinati all’esportazione. Devo dire che questo progetto ha cambiato la mia vita, permettendomi non solo di formarmi ma anche di partecipare a fiere e saloni regionali e nazionali, come quelle di Nairobi in Kenya. Il nostro mercato è cresciuto molto grazie alla partecipazione a questi eventi. Inoltre, abbiamo acquisito competenze di business e posso formulare proposte e siamo riusciti anche a vincere un concorso specializzato nel settore, ottenendo finanziamenti. Abbiamo anche partecipato al forum per l’innovazione *High Innovators*, ottenendo risorse per finanziare nuove attività. Grazie a queste risorse, abbiamo acquistato un nuovo macchinario per la torrefazione dalla Turchia, che ha dato maggiore valore alla nostra produzione.
Sempre rispetto al progetto SAY, essendo riconosciuto dal governo ugandese, questo consente di dare spiegazioni anche ad altri giovani in Uganda affinché possano partecipare a iniziative simili anche sostenute dalla FAO. Noi cerchiamo sempre di favorire la crescita della nostra azienda, continuando a formarci e migliorando le nostre competenze. Vogliamo anche formare gli stessi giovani. Abbiamo avviato un’attività di Academy dal 2026 e vogliamo formare almeno 500 giovani all’anno. Vogliamo anche aprire tre stabilimenti per potenziare la nostra produzione e trasformazione; vogliamo anche aumentare la nostra penetrazione nel mercato dell’export. Essere qui in Italia mi riempie di orgoglio perché oltre il 40% del caffè ugandese viene esportato in Italia. Questo mi dà grande gioia e spero di poter avere una collaborazione futura ancora più prospera e fruttuosa. Grazie mille ancora per l’invito.
Silvestri. Grazie, Steven, per la tua testimonianza che mi sembra faccia capire bene alcuni elementi essenziali del progetto; in particolare, il ruolo della formazione, una formazione tecnica fatta attraverso le imprese. Hai citato altre imprese attraverso cui ti sei formato e questo evidenzia il forte ruolo del settore privato in questi progetti che è fondamentale per il successo. Inoltre. Hai dimostrato come questo progetto abbia coinvolto altri giovani, creando sviluppo, come hai spiegato, dando lavoro ad altre persone e coinvolgendo fornitori e clienti. Ora direi di far vedere il video con il discorso dell’ambasciatrice olandese in Uganda, poiché questo progetto è stato reso possibile grazie a un finanziamento della cooperazione olandese.
VIDEO
Traduttore. Eccellenze, autorità, onorevoli rappresentanti, signore e signori, vi parlo da Kampala, in Uganda. Per prima cosa vorrei ringraziarvi per avermi invitata a questa 45esima edizione del Meeting e per darmi l’opportunità di parlare dei partenariati e delle collaborazioni per aumentare le competenze dei giovani nel settore dell’agricoltura. Vorrei anche ringraziare i relatori precedenti per aver espresso il loro supporto a queste iniziative. Ebbene, migliorare la produttività dei giovani, incrementando le loro competenze, è molto importante non solo per l’Uganda, ma per tutta l’Africa. Come mai? Perché la disoccupazione giovanile è molto più alta rispetto a quella degli adulti. Inoltre, spesso i giovani subiscono la precarietà, con lavori part-time, salari bassi e contributi minimi. Ogni anno in Uganda, 400.000 giovani entrano nel mercato del lavoro e competono per 80.000 posti di lavoro regolari. È quindi chiaro che il numero di giovani che entrano nel mondo del lavoro ogni anno supera di gran lunga il numero di posti di lavoro disponibili. L’età media degli agricoltori in Uganda è intorno ai 60 anni. Ecco perché questo ci pone di fronte a molte sfide: come possiamo rendere l’agricoltura un settore attraente per i giovani? Ebbene, l’Uganda sta vivendo un ricambio generazionale. Il 74% della sua popolazione ha meno di 30 anni e il 22,7% ha tra i 18 e i 30 anni. Secondo alcune opinioni, tutti questi giovani rappresentano un grande potenziale; per altri, una sorta di bomba a orologeria sociale. Ma indipendentemente dalla posizione assunta, una cosa è chiara: sono necessarie misure ambiziose per affrontare queste sfide. Abbiamo molto lavoro da fare. Dobbiamo innanzitutto creare opportunità nel settore agricolo e agroalimentare. Malgrado la quota di forza lavoro in questo settore stia calando, rappresenta ancora il 60% della manodopera. Ecco perché è importante continuare a creare occupazione. Ci sono tantissime risorse non sfruttate e numerose opportunità nel settore agroalimentare. Si prevede che entro il 2030 saranno creati molti posti di lavoro nel settore agricolo e in quello legato alla natura. Questo settore offre tante opportunità per i giovani a livello di trasformazione, distribuzione, servizi tecnici, trasporto, logistica e vendita al dettaglio. Ecco perché dobbiamo coinvolgere di più i giovani nell’agricoltura. Come possiamo farlo? Bisogna mettere in atto strategie efficaci per l’occupazione giovanile, soprattutto su due livelli. Innanzitutto, a livello micro, lavorando sull’istruzione, il miglioramento delle competenze, il rafforzamento delle competenze e il mentoring, affinché i giovani attraverso un approccio integrato possano sviluppare tutte queste competenze. Ma dobbiamo agire anche a livello macro rendendo il settore agricolo più produttivo. Noi sosteniamo e investiamo in tutto questo. Vogliamo sostenere i giovani nello sviluppo delle loro competenze affinché possano trovare un posto di lavoro retribuito equamente. In particolare, i nostri programmi si rivolgono a piccoli imprenditori agricoli, ma vogliamo anche stimolare una nuova imprenditorialità che includa i giovani e le donne. Ma soprattutto vogliamo migliorare la produttività del reddito, sostenere la trasformazione agricola e un utilizzo più sostenibile del terreno, valorizzando filiere come quelle delle patate e dei prodotti lattiero-caseari, favorendo anche l’accesso ai fattori di produzione, ai finanziamenti e alla meccanizzazione. Dobbiamo inoltre affrontare il disallineamento tra le competenze necessarie e quelle effettivamente acquisite dai giovani durante la formazione. Ci sono molti giovani che non possiedono competenze occupazionali che permettano loro di accedere a lavori ben retribuiti o di creare imprese proprie. Ecco, il progetto SAY, finanziato dall’ambasciata dei Paesi Bassi e realizzato da AVSI, mira a coinvolgere partenariati pubblico-privato per mettere a disposizione le risorse necessarie ai giovani per sviluppare competenze utili per trovare occupazione e generare produttività. Ebbene bisogna poi continuare a livello di scuola e formazione per sviluppare un interesse per l’agricoltura già durante la formazione, poiché più presto si sviluppa questo interesse, maggiore è la probabilità che i giovani si formino ad hoc e trovino un’occupazione. Vogliamo avviare i giovani alla creazione di startup per generare posti di lavoro per altri giovani, migliorando così le prospettive di sviluppo per tutti i giovani. Ho già visto esempi significativi di giovani che hanno preso in mano il proprio destino grazie a questo progetto, creando aziende nel settore della produzione agricola. Abbiamo, per esempio, un’imprenditrice che ha avviato un’azienda di coltivazione di funghi, dando lavoro ad altri. Molti giovani hanno trovato lavoro anche nel settore del caffè, nei vivai, nella torrefazione, acquisendo competenze che li hanno resi lavoratori autonomi o fornitori di servizi tecnici come l’analisi del terreno e quella chimica. Questi giovani hanno studiato duramente, si sono impegnati con passione ed entusiasmo e hanno cambiato la propria vita e il loro futuro e si possono prendere cura di loro stessi. Ora sono fieri di ciò che hanno raggiunto.
Il mentoring è un’altra chiave importante del successo di questo progetto, perché i giovani che ce l’hanno fatta possono fungere da esempio per altri. Tutto questo ci dà speranza: i giovani possono davvero ringiovanire il settore agricolo e agroalimentare in Uganda. Speriamo di poter continuare questo tipo di progetto anche grazie al vostro sostegno. Ma soprattutto i governi possono svolgere un ruolo importante; quindi, facciamo appello a tutti i governi affinché sostengano queste attività e facilitino la partecipazione del settore privato per poter continuare a fornire le risorse necessarie per sostenere le riforme concrete nel settore della formazione professionale. Vorrei ringraziare AVSI, il nostro partner per aver fatto un lavoro eccellente, per essere stato un ottimo partner nel mettere in relazione pubblico e privato. Grazie anche a tutti voi e agli organizzatori per l’invito a partecipare a questo incontro. Vi ringrazio molto per l’attenzione.
Silvestri. Grazie. Ora passiamo al settore privato. Abbiamo qui con noi Renzo Piraccini, presidente di MacFruit, una delle più importanti fiere internazionali nell’ambito dell’ortofrutta dove è presente tutta la filiera: produzione, commercio, tecnologie pre e post-raccolta, packaging, logistica e servizi. Come si è visto fino ad ora, questo progetto ha l’approccio che interessa a noi di AVSI e che è l’approccio della cooperazione italiana: l’approccio multi-stakeholder, ovvero la presenza di soggetti diversi che lavorano insieme per un unico obiettivo. Un’organizzazione della società civile si occupa della formazione e del rapporto con i beneficiari, i giovani, individua i bisogni, coinvolge il settore privato, che ha un ruolo importante nella formazione e nell’impiego di questi giovani e agenzie di cooperazione che forniscono le risorse e si occupano dell’aspetto delle politiche governative. La domanda che farei a Renzo Piraccini è: come vede questo tipo di approccio e se ritiene che sia corretto per questo nuovo tipo di partnership ce si intende stabilire tra Italia, Europa, Africa? Quali sono i bisogni e i limiti che possono ostacolare la realizzazione di questa partnership?
Piraccini. Grazie per l’invito, è molto interessante. Per me, che mi occupo da sempre di agroalimentare, in particolare di ortofrutta e che conosco molto bene l’Africa, devo dire che è una questione molto interessante. Innanzitutto, credo che tutti noi abbiamo capito che l’Africa è diventata un tema di attualità. Questo è un aspetto da non sottovalutare. Per troppo tempo abbiamo visto l’Africa come il continente dei problemi. Oggi stiamo cominciando a capire – e io sono di questa opinione- che questo è un continente di opportunità. Non è la stessa cosa. Voglio raccontare l’esperienza diretta di MacFruit, la fiera della filiera dell’ortofrutta che ha deciso di puntare decisamente sull’Africa, un continente dove c’è bisogno di produrre di più e meglio, soprattutto per i consumi interni di una popolazione in crescita che ha sempre maggiori esigenze. Ricordo che a causa della deperibilità del settore ortofrutticolo circa un terzo della produzione africana di frutta e verdura non arriva sul mercato, sui mercati locali. Quindi c’è tanto da fare e l’Italia e l’Europa possono dare una grande mano. Se dovessi sintetizzare ciò che serve per sviluppare il mercato africano dell’agrofood, direi tecnologia e formazione. Ecco perché questo progetto mi sembra che vada esattamente in questa direzione. Il grande successo che MacFruit ha avuto nei confronti delle imprese africane e dei Paesi in via di sviluppo in generale è dovuto al fatto che una fiera professionale è un momento di business. Le persone vengono per vendere i propri prodotti, ma poi vogliono vedere cosa c’è, quali sono le tecnologie per migliorare, quali sono gli standard di produzione, come impacchettare, perché il prodotto non va da solo sul mercato, ha bisogno di refrigerazione, di un imballaggio primario e di un imballaggio secondario. Il grande successo di MacFruit è legato proprio a questo aspetto: in tre giorni, uno riesce a vedere tutto e a farsi un’idea di cosa serve per migliorare. Il processo non è così semplice e, come dicevo, manca tecnologia e, soprattutto, formazione. Intanto, una fiera è l’espressione di una filiera, quindi non abbiamo un business nostro, ma siamo espressione delle imprese nostre espositrici. Organizziamo missioni in Africa con gli imprenditori per far toccare con mano le opportunità di questo mercato, che spesso non è conosciuto. Non è conosciuto perché, quando si parla di Africa, si pensa sempre che vogliano produrre per esportare in Europa o negli Stati Uniti. Oggi il mercato più interessante per i Paesi africani è la distribuzione africana. In molti supermercati africani, la frutta costa più che a Milano o Dubai, perché spesso si ricorre alle importazioni, dato che non c’è ancora la possibilità di produrre gli standard qualitativi richiesti da una certa fascia di consumatori africani che ha un alto potere di acquisto e che ha richieste di qualità che spesso non sono soddisfatte dalla produzione locale. Questo è, secondo me, nell’immediato la cosa che si può fare: cercare di favorire i processi di integrazione tra il sistema produttivo africano e le imprese italiane che producono tecnologie e operano nella filiera. Il nostro business è organizzare una fiera, ma ci stiamo impegnando seriamente con diversi Paesi africani anche per andare oltre e costruire centri tecnologici in alcuni Paesi, per mostrare concretamente il supporto che la tecnologia italiana può offrire. Le tecnologie italiane nel settore ortofrutticolo sono leader mondiali: esportiamo circa il 70% delle macchine prodotte in Italia in questo settore. L’Uganda, tra l’altro, è un grandissimo produttore di ortofrutta, producendo circa 10 milioni di tonnellate di ortofrutta, e un importante Paese esportatore di ortaggi, fagiolini, mini verdure, mango, avocado e altri prodotti. È un Paese molto interessante, con molti giovani che hanno voglia di fare, con un’abbondanza di acqua, fondamentale per lo sviluppo dell’ortofrutta. Ci sono tutte le condizioni perché questo percorso di sviluppo del settore ortofrutticolo, finalizzato prima di tutto al mercato interno, vada in questa direzione. Ho accettato molto volentieri di partecipare perché ritengo che la strada intrapresa da AVSI sia quella giusta. Grazie.
Silvestri. Grazie. Sulla base di quanto detto da Piraccini, mi sembra che si aprano grandi possibilità e opportunità. A questo punto, chiederei al Direttore Gatti di esprimere il suo parere su questo tipo di progetti che, come ho detto prima, hanno questo approccio multi-stakeholder che è il cuore della cooperazione italiana. La legge sulla cooperazione si basa su questo principio. Inoltre, vorrei chiedere come queste esperienze positive possano essere replicate. Il tema vero è come rendere replicabili queste esperienze positive come la nostra, ma ce ne sono altre, in altri Paesi e su scala più ampia. Queste sono le questioni che pongo al Direttore Gatti.
Gatti. Grazie, grazie mille. Innanzitutto vorrei esprimere, anche a nome del governo italiano, la gioia di avere qui con noi la Prima Ministra dell’Uganda. Ci siamo incontrati non molte settimane fa a Kampala, dove abbiamo avuto bellissimi incontri e iniziato a discutere importanti progettualità. In questo caso, intervengo più come inviato speciale per la sicurezza alimentare che come Direttore Generale della Cooperazione. Faccio una introduzione di quello che è l’approccio italiano: noi abbiamo in Africa non solo il continente più giovane del mondo, ma anche il Paese più giovane dell’Africa, l’Uganda – che contrasta l’Italia perché come avrà notato il Primo Ministro girando per l’Italia. – la popolazione giovanile è molto ridotta. Ma soprattutto, stiamo sviluppando un partenariato importante con un continente dove, secondo dati FAO, il 70% della popolazione riceve ancora il proprio sostentamento dall’agricoltura. Citerei le parole di Ibrahim Mayaki, inviato speciale per la sicurezza alimentare dell’Unione Africana, che alla prima riunione di quest’anno del G7 sul tema della sicurezza alimentare ha detto che “la povertà inizia nei sistemi alimentari e finisce nei sistemi alimentari”. Quindi, la grande sfida è trasformare i sistemi alimentari in Africa per garantire uno sviluppo economico. L’Italia può essere un partner importante, essendo uno dei Paesi più sofisticati al mondo in termini di sistemi alimentari, un modello a cui molti guardano. L’Italia è un Paese relativamente piccolo ma produce una quantità di cibo ricercata in tutto il mondo. Non so se la Prima Ministra lo sa, ma la domanda di cibo italiano nel mondo è tre volte superiore alla nostra produzione. Questo significa che due terzi del cibo venduto come italiano nel mondo non è realmente prodotto in Italia. L’Italia è una delle culture alimentari più influenti al mondo ed esporta prodotti alimentari per circa 65-70 miliardi di euro l’anno. Se si considera che l’intero continente africano importa circa 50-60 miliardi di cibo ogni anno, l’Italia esporta più di quanto l’intero continente africano importa. Questo dimostra la capacità dell’Italia basata su un principio fondamentale che è quello della qualità. Qualsiasi operazione tu vai nella tua filiera alimentare devi sempre puntare alla qualità. Molti dei Paesi in cui operiamo con aziende italiane e organizzazioni della società civile ci dicono: noi vogliamo produrre cibo di qualità come quello italiano. Il tema è come possiamo aiutare questo processo di transizione verso prodotti di qualità, che garantiscono la vendita, il ritorno economico e l’impiego dei giovani. E’ molto significativo che oggi abbiamo parlato del caffè. Il caffè è un prodotto importantissimo dell’Africa, ma è proprio un prodotto significativo perché è parte della cultura di un Paese come l’Uganda, ma è parte della cultura di un Paese come l’Italia. Perché l’Italia non produce caffè (in realtà di sono due posti in Sicilia dove si produce caffè in quantità limitatissime), ma in realtà lo trasforma e ha portato la cultura del caffè di qualità nel mondo con le grandi imprese (Lavazza, Illy). Il 40% del caffè prodotto in Uganda viene acquistato dalle aziende italiane. Abbiamo importanti sfide che emergono da questo progetto. Innanzitutto se si produce caffè, ma può essere cacao, può essere la frutta tropicale che è richiesta molto in Europa e che dobbiamo portare a un livello di qualità sia per l’Africa che per l’Europa, il tema sul quale dobbiamo lavorare insieme è come aiutare questo processo di transizione verso un prodotto di qualità. Perché la qualità è poi ciò che ti consente di avere la vendita, il ritorno economico, l’impiego dei giovani. Noi come Italia cosa proponiamo? Proponiamo un sistema fatto non solo dal Governo che parla con i Governi interessati, ma una filiera che è fatta dal settore privato – che genera gran parte del cibo italiano venduto in Italia o all’estero – e da organizzazioni della società civile come AVSI. AVSI lavora in Uganda da 40 anni e penso che sia un fatto davvero importante che noi abbiamo un rappresentante di AVSI qui presente che non è italiano. Noi come Cooperazione possiamo finanziare i progetti sia finanziando il Governo direttamente sia finanziando le organizzazioni come Avsi una volta che abbiamo concordato con i Paesi i progetti. Poi devo dire che sono particolarmente soddisfatto che questo progetto non è stato finanziato dalla Cooperazione italiana, ma da quella olandese. Congratulazioni. Un applauso a Giampaolo Silvestri che riesce a fare queste cose qua che significano che l’organizzazione funziona bene. Abbiamo tutti gli ingredienti di quello che l’Italia sta facendo e vuole continuare a fare in Uganda. Il caffè – ne parleremo domani – è una priorità, l’Uganda è uno dei cinque paesi prioritari con cui noi opereremo con un progetto molto importante. Qui c’è il sistema, c’è la filiera, ci sono le capacità e, soprattutto, c’è la volontà di lavorare insieme con un paese come l’Uganda che è adesso uno dei paesi prioritari della Cooperazione italiana in Africa.
Silvestri. Grazie, Stefano. Mi sembra che ci sia molto lavoro da fare e ottime prospettive, ma è necessaria un’azione comune tra tutti i diversi soggetti. In Africa, ma in particolare in Uganda – che è diventata un Paese prioritario per la cooperazione italiana, per noi lo è sempre stato – e noi siamo contenti che la DGCS e il Ministero abbiano deciso di farlo diventare un Paese prioritario, aprendo così di molto le possibilità di partnership. Ora darei la parola per l’intervento conclusivo al Primo Ministro dell’Uganda, Robinah Nabbanja. Noi come AVSI lavoriamo nei Paesi affinché ogni persona possa essere protagonista del proprio sviluppo e di quello della propria comunità e Steven ce ne ha dato testimonianza raccontando cosa significa essere protagonisti del proprio sviluppo. Noi lavoriamo affinché, alla fine, AVSI non serva più, affinché il Paese possa andare avanti da solo, diventando realmente protagonista del proprio sviluppo. A un Primo Ministro di un Paese che è il più giovane dell’Africa e, quindi, del mondo e che sta facendo passi significativi dal punto di vista della crescita economica, chiediamo: su quali pilastri si può fondare questa nuova partnership tra Paesi come l’Italia, l’Europa e l’Uganda e su cosa possiamo veramente lavorare assieme, affinché lo sviluppo sia di tutti o di nessuno?
Nabbanja. Prima di parlare di questo, vorrei presentare la mia delegazione. Con me c’è il Ministro di Stato per l’Agricoltura, il signor Chakuraga, l’Ambasciatore dell’Uganda in Italia, Sua Eccellenza Nathio, il Direttore Esecutivo dell’Autorità di Investimento Ugandese e una rappresentante dell’Autorità per il Caffè Ugandese. Sono venuta anche con Gingo Francis, Segretario per la Stampa del Primo Ministro e la mia segretaria privata, Fatou Manangora. Permettetemi di salutare il popolo italiano. Vi porto i saluti di Sua Eccellenza, il Generale Jovierika Guta-Museveni, Presidente della Repubblica dell’Uganda e del popolo ugandese. A nome del governo della Repubblica dell’Uganda esprimo apprezzamento per il ruolo svolto dal governo italiano nello sviluppo socioeconomico del nostro Paese. Ringrazio AVSI per avermi invitato a partecipare a questa 45esima edizione del Meeting di Rimini. AVSI è operativa in Uganda dal 1984 e gestisce 29 progetti con un impatto molto positivo su molte persone. So che AVSI investe circa 20,7 milioni di euro all’anno, contribuendo significativamente allo sviluppo del nostro Paese. I progetti di AVSI sono presenti in 80 distretti su 146 totali. Ringrazio AVSI per essersi unita agli sforzi di sviluppo del nostro governo e vogliamo continuare a collaborare per formare i giovani, ma non solo: anche per lavorare in altri settori importanti per la vita delle persone. Secondo un recente censimento avviato nel 2024 dall’Ufficio Nazionale di Statistica, l’Uganda ha una popolazione di 45,9 milioni di persone, con un tasso di crescita annuo del 3,7%. I giovani tra i 18 e i 35 anni sono 10,4 milioni, rappresentando il 23% della popolazione. Ci sono inoltre poco più di 23 milioni di bambini tra 0 e 17 anni, che rappresentano oltre il 50% della popolazione. Entro il 2050 la popolazione ugandese supererà i 100 milioni di persone. L’Uganda ha più di un milione di giovani istruiti che entrano nel mercato del lavoro ogni anno, una grande sfida in termini di disoccupazione giovanile e sottoccupazione. Il governo dell’Uganda, supportato dai partner allo sviluppo, tra cui il governo italiano e AVSI, è impegnato a far fronte a questa sfida attraverso programmi di formazione, di sostegno alle imprese giovanili e promozione di idee innovative. Abbiamo creato centri di formazione industriali regionali, parchi industriali e hub di innovazione per promuovere competenze pratiche nella popolazione giovanile, affinché diventi imprenditrice autonoma. Gli hub di innovazione sono catalizzatori per soluzioni digitali e accelerano il processo imprenditoriale e l’occupazione digitale in tutto il Paese. L’Uganda ha 8 parchi industriali e vuole portarli a 25, per migliorare e potenziare la catena del valore industriale sfruttando al meglio il settore agricolo e le nostre materie prime, creando così 5 milioni di lavori diretti, soprattutto per i giovani. Ogni parco avrà una sezione legata alla creazione di piccole e medie imprese, dove i giovani potranno essere formati per acquisire nuove competenze. Nel 2020, il governo ugandese ha creato un programma per l’imprenditoria e l’innovazione giovanile che ha creato 7.500 piccole e medie imprese, promuovendone le competenze. Il programma ha sostenuto 582 imprese creative nei settori delle arti visive, delle arti dello spettacolo, della moda, del design, dell’editoria, dei media digitali, del cinema, dell’animazione e della bellezza, creando oltre 16.000 posti di lavoro dignitosi e nuove opportunità di sussistenza. Oltre a queste iniziative, il governo porta avanti altri programmi speciali, tra cui il modello di sviluppo delle parrocchie (PDM), il programma EMIOGA e il programma per l’imprenditoria femminile dell’Uganda. Un altro programma chiamato programma per la sussistenza giovanile e il programma per le opportunità di crescita e la produttività delle donne, programma che si chiama GROUA. Il PDM è un’iniziativa rivoluzionaria che offre servizi alla popolazione a livello parrocchiale che per noi è il secondo livello amministrativo nel nostro sistema di governo. Questo programma mira a responsabilizzare le comunità affinché individuino le proprie esigenze di sviluppo e trovino le soluzioni giuste al riguardo. L’obiettivo è decentralizzare i servizi affinché nessun ugandese venga lasciato indietro. Il programma offre anche finanziamenti al settore agricolo per promuovere la trasformazione socioeconomica. Ogni anno, un milione di famiglie riceve 270 dollari per acquistare attrezzature agricole, migliorando la produzione, la produttività e il reddito. L’Uganda è un Paese agricolo e il 30% dei fondi va ai giovani, il 30% alle donne, il 10% alle persone disabili e il 10% agli anziani, mentre il resto va agli uomini tra i 35 e i 59 anni. L’obiettivo ultimo è creare fonti di autofinanziamento, promuovere il risparmio e creare cooperative di credito in ognuna delle 10.000 parrocchie del Paese che vengano gestite dai cittadini stessi. Un altro programma, EMI-OGA, è uno strumento di credito gestito a livello distrettuale che si rivolge a imprese esistenti in difficoltà. Ogni anno, il governo stanzia 150.000 dollari per ognuna delle 353 cooperative di credito esistenti a livello regionale. Il programma per l’imprenditoria femminile, UEP, è un altro strumento governativo a livello distrettuale che si rivolge a donne imprenditrici in difficoltà. Creato nel 2015, offre credito senza interessi, formazione e programmi di tutoraggio. Ogni gruppo, formato da massimo 15 persone, riceve 25 milioni di scellini ugandesi. Un altro programma, il programma per la sussistenza giovanile, avviato nel 2013, è un’iniziativa faro del governo ugandese per far fronte alla disoccupazione e alla povertà giovanile. Il programma GROW, invece, mira a generare opportunità di crescita e a potenziare la produttività delle donne. Finanziato dalla Banca Mondiale, offre crediti tra 1.000 e 100.000 dollari per promuovere l’imprenditoria femminile, aiutando le donne in difficoltà con le loro imprese. Queste iniziative mirano a potenziare le capacità e le competenze di giovani, donne, disabili, anziani e dell’opinione pubblica in generale, affinché partecipino alla lotta al cambiamento climatico e rafforzino i partenariati tra settore pubblico e privato, promuovendo il rispetto dei regolamenti europei sulla deforestazione per evitare l’esclusione dell’Uganda dai mercati di esportazione. Come detto, l’Uganda è un grande produttore di caffè e il 40% del caffè ugandese viene esportato in Italia. Tuttavia, un produttore di caffè guadagna solo 2 dollari al chilo, mentre le aziende italiane ne guadagnano più di 30 al chilo. Per questo vogliamo creare un partenariato che consenta ai nostri produttori di caffè di vivere dignitosamente. Per concludere, tutto ciò che il Governo ugandese fa è possibile perché l’Uganda è uno dei Paesi più stabili e pacifici in Africa. È dotato di buone infrastrutture, strade asfaltate, rete elettrica, connessione Internet, e cerchiamo di creare opportunità di lavoro e ricchezza per promuovere la trasformazione socioeconomica del Paese. Il governo ugandese vuole continuare la collaborazione e il partenariato con il Governo italiano, AVSI e il settore privato, come evidenziato nel Piano Mattei per l’Africa del 2024. La cooperazione deve proseguire nella formazione, nel trasferimento tecnologico, permettendo all’Uganda e agli altri Paesi africani di raggiungere una crescita socioeconomica e uno sviluppo sostenibile. Invito tutti a valutare le grandi opportunità di investimento nel nostro Paese. Il nostro quadro giuridico e istituzionale è stato adattato, creando un ambiente favorevole agli investimenti. Grazie della vostra attenzione, in nome di Dio e del mio Paese.
Silvestri. Ringrazio il Primo Ministro innanzitutto per essere qui con noi e per aver deciso di partecipare. Noi di AVSI abbiamo insistito molto, ma siamo contenti che il Primo Ministro sia qui con noi non solo per l’incontro di oggi, ma anche per tutti gli incontri che si terranno nei prossimi giorni. AVSI lavora in Uganda da 40 anni, e io non posso che confermare quanto detto dal Primo Ministro: l’Uganda è un Paese in grande crescita, che sta facendo grandi progressi anche dal punto di vista dello sviluppo sociale, come evidenziato dai programmi descritti. È un Paese in cui abbiamo sempre trovato ottime condizioni di lavoro e un ottimo supporto dalle istituzioni ugandesi, sia a livello locale che centrale. Lavoriamo molto anche nell’ambito dei rifugiati, con un accordo con l’Ufficio del Primo Ministro, incaricato della gestione dei rifugiati nel Paese. L’Uganda è un modello mondiale per la gestione dei rifugiati, riconosciuto come un caso di successo da istituzioni internazionali e forse anche l’Italia potrebbe imparare qualcosa.
Nabbanja. Vorrei semplicemente dire che l’Uganda ospita 1,6 milioni di rifugiati.
Silvestri. Se fate le proporzioni con la popolazione italiana, 45 milioni, e 1,6 milioni di rifugiati, capite quanti rifugiati potrebbe accogliere l’Italia se adottasse il modello ugandese, che è riconosciuto come un caso di successo nella modalità di accoglienza dei rifugiati, come confermato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Volevo solo confermare che quanto detto dal Primo Ministro è vero e noi lo abbiamo visto nei nostri 40 anni di storia. Faccio un’ultima considerazione prima della conclusione: oggi abbiamo voluto raccontare una storia, la storia di un progetto di successo che ha raggiunto buoni risultati, per dimostrare come sia possibile lavorare insieme in Africa, tenendo conto di due elementi. Primo, oggi siamo in una situazione favorevole, con un approccio diverso all’Africa, una nuova visione e un atteggiamento positivo. Dobbiamo sfruttare questo momento in Italia, in Europa e questo è fondamentale. Oggi è il momento giusto e dobbiamo coglierlo. Secondo, se lavoriamo insieme, ognuno facendo la propria parte, possiamo creare sviluppo. Abbiamo dimostrato che ognuno ha fatto la propria parte: noi, come organizzazione ci siamo occupati della formazione, il settore privato ha creato valore aggiunto, posti di lavoro e sviluppo, le agenzie di cooperazione hanno fornito le risorse, e il governo ha fatto la sua parte. Se tutti fanno la loro parte e la fanno bene, lavorando per un obiettivo condiviso, si può creare sviluppo. Questo sviluppo in Africa è a beneficio di tutti, perché l’accesso ai mercati dei prodotti ugandesi e la tecnologia per le aziende italiane sono vantaggiosi per tutti, non solo per gli ugandesi o gli italiani. Quando c’è sviluppo, ci sono benefici per tutti. Oggi abbiamo voluto raccontare questa storia attraverso un progetto e dei dati. Speriamo di poter replicare questa esperienza con il governo italiano e la cooperazione allo sviluppo, che oggi è fortemente impegnata in nuove progettualità. Sentiamo il supporto del governo ugandese e vogliamo capitalizzare questa situazione favorevole. Vi ringrazio tutti per la partecipazione. Spero che quanto avete sentito sia stato utile e interessante. Il Primo Ministro rimarrà al Meeting anche nei prossimi giorni. Domani ci sarà un altro incontro qui, alle 18, già annunciato dal Direttore Gatti, dove si parlerà delle sfide più ampie della cooperazione italiana in Africa e Uganda. Vi invito anche a visitare il padiglione della cooperazione italiana con le diverse installazioni, tra cui quella di AVSI, e a sostenere il Meeting di Rimini attraverso le donazioni, perché questo evento è possibile grazie al contributo di tutti. Grazie e buona serata.