Chi siamo
AFFRONTARE LA CRISI E RILANCIARE LE IMPRESE: DA DOVE PARTIRE?
In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Raffaele Bonanni, Segretario Generale CISL; Giorgio Guerrini, Presidente Confartigianato; Corrado Passera, Consigliere Delegato e Ceo Intesa Sanpaolo. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.
BERNHARD SCHOLZ:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro nel quale ci siamo proposti di affrontare la crisi. La crisi c’è, e noi non vogliamo subirla, vogliamo affrontarla, mobilitare tutte le risorse che abbiamo per affrontare questi problemi che la crisi ci pone. Una crisi, qualunque essa sia, tende a ridurre le nostre risorse, a chiuderci, a renderci autoreferenziali, depressi. Invece, una crisi, qualunque essa sia, e questa sicuramente, deve aprirci al dialogo, alla conoscenza, come dice il titolo di questo Meeting. Perché non basta l’informazione, occorre la conoscenza, bisogna reinterpretare ciò che succede, dare significato, valore alle cose che capitano, per poter cambiare. E la sfiducia è la mobilità più inappropriata in questo momento. Mi permetto di leggere una frase sola dell’enciclica nuova di Benedetto XVI, dove dice: “L’idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell’uomo e in Dio, è quindi un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare la distorsione dello sviluppo o addirittura ignorare che l’uomo è costitutivamente proteso verso l’essere di più”. In questo senso, proprio di fronte alle sofferenze che la crisi produce, vogliamo essere protesi in questo essere di più. E la modalità più appropriata è il dialogo perché, di fronte a questa crisi, è inutile dividerci, dobbiamo stare uniti, ognuno con il suo compito: imprese, banche, sindacati. In questo senso, vogliamo anche dare il segnale, con questo incontro, che bisogna lavorare insieme, bisogna affrontare insieme i problemi e trovare insieme le soluzioni. Accenno brevemente che si è costituito un forum delle associazioni del lavoro di ispirazione cattolica, nel mondo, del quale fanno anche parte la CISL, Confartigianato, la CdO e altri: lo scopo del forum è un nuovo protagonismo delle associazioni che si ispirano alla dottrina sociale della chiesa, per rivitalizzare la qualità dell’azione sociale della politica, opponendosi ai dettagli ideologici e cooperativi che concorrono a impedire innovazione e coesione sociale. Quindi, è anche un contributo per collaborare, per dare nuova linfa vitale a questo paese e all’Europa. Sono molto grato che Raffaele Bonanni, Segretario generale CISL, Giorgio Guerrini di Confartigianato e Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo, abbiano aderito a questo incontro. Penso che con le loro competenze ed esperienze possano contribuire veramente a darci conoscenze importanti, per comprendere meglio il contesto nel quale stiamo lavorando e dare suggerimenti, anche se non istruzioni per l’uso, per tirare fuori tutte le capacità che abbiamo, per lavorare insieme ad una ripresa della quale nessuno sa quando verrà, ma che sicuramente verrà. Cominciamo con le imprese. Confartigianato, che tra l’altro associa 520.000 imprese, ha accolto positivamente lo Small Business Act dell’Unione Europea. Dico questo, perché la valorizzazione delle piccole-medie imprese in Europa oramai è consolidata. C’è stata per tanto tempo l’idea che il piccolo non andava bene, che tutti dovevano diventare grandi, anzi, tutti dovevano diventare delle multinazionali. Invece, adesso, si capisce che non è così, che le piccole-medie imprese hanno una grandissima capacità di sprigionare creatività e innovazione. Una cosa riconosciuta oggi anche dall’Unione Europea, che con questo atto vuole dare alcune direttive per tirare via pesi amministrativi dalle piccole- medie imprese, liberare le energie che hanno, chiedere detassazioni: sono anche le richieste che Confartigianato ha fatto in questi mesi. Quindi, io passo subito la parola a Giorgio Guerrini, con una domanda: quali sono le fondamenta, le basi, le richieste che permettono alle piccole-medie imprese in Italia di affrontare costitutivamente questo momento difficile?
GIORGIO GUERRINI:
Innanzitutto grazie per l’invito, è per me un’occasione importante, un’opportunità grande per poter sviluppare insieme ad altri importantissimi relatori una riflessione su quali possono essere le opportunità per il nostro paese, per poter uscire, prima possibile, da una delle crisi più importanti dal dopoguerra fino ad oggi. Per la mia generazione – io ho poco più di cinquant’anni – è una prova molto importante. Volevo prima dare una risposta concreta alla domanda di Scholz e fare una piccola introduzione che è questa: normalmente, quando una persona ha una malattia piuttosto seria, che si protrae nel tempo, prima di dare la cura adeguata si fa una diagnosi del paziente, perché spesso le cure che possono essere offerte non sono adeguate. Allora, il paziente è l’impresa italiana, un’impresa molto diffusa nel territorio. Pensate che il 98,7% delle imprese italiane sono sotto i venti dipendenti. Un’impresa che ha radici territoriali importanti e che ha fatto la fortuna dello sviluppo del nostro paese: questo è il panorama di riferimento, lo dico perché abbiamo spesso un’idea dell’impresa italiana, quindi del malato da curare, diversa dalla realtà, e che viene presentata per secondi o terzi fini. Non è a caso l’accenno iniziale allo Small Business Act, anche perché – è una scoperta per molti, ma per noi no – nel panorama europeo, Francia, Germania, Spagna, la dimensione di impresa non è così differente da quella italiana. Non si raggiungono i vertici del 98,7%, ma le imprese in Francia sotto venti dipendenti sono l’85%. Quindi, l’Europa è fatta di piccole-medie imprese. Noi abitiamo in un paese straordinario, che ha saputo uscire dalle ceneri della guerra, dalla distruzione, diventare in pochi anni la sesta potenza industriale del mondo. Il miracolo all’italiana lo hanno fatto i nostri padri, non è roba della pietra. Un paese che nei primi vent’anni cresceva il doppio della media europea, dopo, per altri vent’anni, è sempre cresciuto più degli altri paesi europei. Poi, improvvisamente, c’è stata una maledizione divina, non si riesce a capire come mai. Da vent’anni cresciamo costantemente meno del resto d’Europa. Si sono alternati governi di centrodestra, centrosinistra, e noi cresciamo costantemente meno degli altri. Allora, secondo me, questa crisi potrebbe essere un’occasione straordinaria, lo diceva qualcuno più intelligente e più famoso di me, Einstein: “E’ nei momenti di crisi che l’umanità dà il meglio di se stessa, perché fa girare più velocemente le rotelline nel cervello”. Il modo per agganciare la crisi è rimuovere i vincoli alla crescita. Il nostro è un paese che ha per le imprese, quelle piccole, medie e grandi, vincoli alla produzione che sono bestiali. Nonostante questo, siamo il paese che al mondo ha il rapporto più elevato tra popolazione e imprese: e questo la dice lunga sulla capacità degli italiani di fare impresa nonostante tutto. Su questo, secondo me, dovremmo forzare la leva della ripresa: rimuovere gli ostacoli alla crescita. Quali sono? Io mi sono stancato di dirlo, perché sono sempre le stesse cose. Però, purtroppo, passa il tempo e non si vedono decise iniziative per fare sì che questi ostacoli si rimuovano, primo su tutto -uno potrebbe pensare la pressione fiscale, ma non lo è -, la burocrazia. Il costo della burocrazia, soprattutto per le piccole imprese, è una cosa bestiale. Noi abbiamo apprezzato nella prima parte dell’azione di governo questa decisa iniziativa di sfoltimento legislativo e burocratico, però non deve essere solo forma, deve essere sostanza, deve andare ad incidere. Noi abbiamo apprezzato, nella legislatura precedente e attuale, “l’impresa in tre giorni”, “l’impresa in un giorno”. Però voi tutti dovete sapere che sono due anni che si aspettano dei decreti attuativi. Allora, per fare l’impresa in un giorno ci vogliono due anni di burocrazia: questa è l’Italia! In che altro modo si può agganciare la crescita? Innanzitutto cercando di assistere lo sforzo che hanno fatto le imprese, soprattutto in questo ultimo anno: vi assicuro, è stato uno sforzo bestiale, perché il nostro paese ha un PIL che è diminuito del 6%. Alcune aziende in certi settori, la meccanica su tutti, hanno diminuito i fatturati del 30, 40, 50%, ma non è diminuita così tanto l’occupazione, per fortuna, altrimenti, con un PIL al 6% ci sarebbe stato un numero di disoccupati molto superiore a quello che c’è. Le imprese hanno fatto sacrifici, hanno cercato di tenere – soprattutto il sistema delle piccole e medie imprese – il valore aggiunto più importante, che sono i propri dipendenti. Il valore di un’impresa di 5, 10 dipendenti, sono i dipendenti, non è il capitale! E allora? Noi vorremmo che gli sforzi che sono stati fatti fino ad oggi, ma che io credo sarebbero dovuti essere anche più importanti, per mantenere questa forza lavoro a lavorare – perché una volta che si è persa, è difficilissimo reinserirla, soprattutto in questo momento che è quello più difficile in questa crisi, il rientro dalla pausa estiva e i primi mesi di autunno – fossero decuplicati, per mantenere le persone occupate nelle aziende. Ci sono moltissimi argomenti che vorrei affrontare in questa importante occasione, uno tra tutti, e lo voglio sottolineare, in conclusione di questa prima parte, per dare anche la possibilità di un confronto positivo. Quello che deve passare da questa riflessione in comune è che in un paese come il nostro, che spesso fa fatica ad avere un progetto e a guardare un po’ lontano, se non ci mettiamo tutti, quelli che hanno responsabilità di rappresentanza delle imprese, quelli che hanno responsabilità di produzione delle aziende del credito, quelli che hanno responsabilità di rappresentanza del lavoro dipendente, a riflettere insieme per trovare le strade giuste, non si va da nessuna parte. Allora, non c’è una contrapposizione ideologica fra l’impresa e la banca, fra l’impresa e il sindacato, ma si tratta, come adeguatamente è stato impostato dal Meeting di quest’anno, di trovare soluzioni intelligenti, soluzioni innovative. Allora, il rapporto fra le banche e le imprese è fondamentale per lo sviluppo del paese. E’ un rapporto dove l’impresa è partner della banca, e la banca è quella che ha consentito in questi sessant’anni lo sviluppo di tante imprese. Quindi, si tratta di trovare soluzioni più adeguate per uscire da questo tunnel. Io ne indico una: una rigidità messa da chi ha organizzato un’impalcatura di norme che reggono i rapporti fra le imprese e le banche, che si chiama Basilea 2, inadatta al sistema produttivo del nostro paese, per come è stata strutturata, soprattutto in un momento di crisi come questo. Quindi, nonostante sia difficile modificare quella mentalità e filosofia, noi dobbiamo, come paese Italia, far di tutto per far capire che, in un momento economico così difficile, rigidità di questo tipo sono un problema enorme per le imprese e per gli istituti di credito. Un altro argomento che vorrei sottolineare è un sistema nuovo di rapporti sociali, un sistema nuovi di rapporti sindacali. Noi abbiamo siglato nel mese di novembre dello scorso anno, come mondo della piccola impresa e dell’artigianato, un modello contrattuale innovativo, che valorizzasse la bilateralità, che valorizzasse la sanità integrativa, la previdenza integrativa, che andasse a registrare quella che è la competitività dei territori. Perché, poi, dai giornali e dalla televisione passano degli slogan stupidi, vecchi: le gabbie salariali, ma di cosa si parla? Il mondo dell’artigianato, insieme ai sindacati CISL e UIL, purtroppo non la CGIL, ha già firmato un nuovo modello contrattuale dove si va a definire un quadro di riferimento retributivo nazionale, e si fa una fetta di retribuzione misurata sul territorio, con un parametro regionale. Questa è roba già fatta, siglata dai protagonisti in campo. Poi c’è una fettina di questa rappresentanza che non la vuole firmare, non in merito agli argomenti ma per motivi ideologici, e condiziona tutto il resto, non va bene! Non va bene! E quindi io credo che lo sforzo che dobbiamo fare tutti, soprattutto in un momento difficile come questo, sia raddoppiare gli sforzi, mettere da parte certe vecchie appartenenze e affrontare in maniera molto pragmatica ma molto concreta i problemi. Qui ci sono tre rappresentanti di tre settori e di tre mondi che un tempo si parlavano con difficoltà, credo che ora si parlino, per fortuna, con maggiore semplicità, nell’interesse del paese.
BERNHARD SCHOLZ:
Questo nuovo modello contrattuale è stato accolto, come abbiamo sentito, e supportato positivamente dalla CISL. Bisogna anche dire che la CISL, rispetto alla crisi, ha sempre detto che l’origine è, cito, “la rimozione della centralità della persona e del lavoro produttivo”. Quindi, hanno messo al centro proprio la persona, e non un’ideologia, uno schema, e sono partiti da lì. La mia domanda a Raffaele Bonanni è questa: creare lavoro perché la disoccupazione è sicuramente la conseguenza più grave di questa crisi, adesso sulle cifre possiamo discutere a lungo, ma un disoccupato di per se è uno di troppo. Allora, cosa ci aspetta adesso in autunno? Bisogna fare di tutto per evitare una sola disoccupazione, le imprese sono già molto impegnate su questo fronte e fanno il possibile, però volevo anche chiedere a Raffaele Bonanni: per creare lavoro, per rendere il lavoro il più dignitoso possibile, cosa si può fare, a questo punto?
RAFFAELE BONANNI:
Buongiorno a tutti, sono contento di essere anche quest’anno a questo appuntamento importante. Questo è un anno speciale, a ridosso di eventi davvero molto, molto importanti, che ci hanno sovraccaricato di responsabilità ma, come si diceva giustamente, ci hanno dato anche stimoli fortissimi per innovare. E si innova davvero, come sapete, quando ciascuno di noi innova, cioè modifica il suo comportamento, e i comportamenti non possono che modificarsi con dei fatti davvero straordinari. Noi abbiamo cercato di fare questo, la storia dirà quanto siamo riusciti davvero a farlo fino in fondo, però alcuni risultati che possiamo già commentare ci dicono che questa strada è stata la più difficoltosa, forse la più complicata, che ci ha reso la vita anche un po’ difficile, però la più produttiva. Nell’ultimo anno, noi ci siamo mobilitati ogni giorno, non di quella mobilitazione che scarica ad altri ciò che bisogna fare, perché è chiaro che, con le polemiche cui molti sono adusi, anziché con l’operare, c’è una realtà imballata. Ma non è stata imballata la realtà del lavoro: sono orgoglioso di dire che la mia organizzazione ha contribuito a costruire un clima nuovo di cooperazione fra lavoratori, imprese e tutte le realtà di buona volontà presenti nelle istituzioni e nel civile. E non significa una condizione di valutazione distinta, ma significa aver privilegiato il meglio che si poteva fare, sottolineare coloro che hanno un comportamento virtuoso e coloro che non ce l’hanno, perché è proprio nell’opera che si vede chi vale e chi non vale. Noi, cosa abbiamo chiesto? Che nessun lavoratore italiano rimanesse senza reddito, nel caso che qualcuno perdesse il posto di lavoro, anche in quei posti di lavoro che nessuno conosce perché non fanno audience, non vengono citati dai giornali: le piccole e medie aziende, tutte quelle piccole e medie aziende che sono la nervatura del lavoro e la nervatura economica del nostro paese. Siamo riusciti ad usare lo stesso linguaggio, io, Guerrini, Marcegaglia, altri e altri sindacalisti. Dobbiamo chiedere tante risorse perché non avvenga che qualcuno non abbia più reddito, oltre ad aver perso il posto di lavoro. Poi abbiamo detto altro, insieme, ed è straordinario: abbiamo detto che bisogna fare in modo che quel poco di lavoro che abbiamo, a causa delle commesse che diventano inferiori per la crisi, si divida fra tutti. E sono rimasto soddisfatto quando anche gli imprenditori hanno detto sì, nonostante in passato non fossero stati mai d’accordo con questa soluzione. Abbiamo detto: vogliamo rafforzare, potenziare il contratto di solidarietà, dividendoci quel poco di lavoro fra tutti, in modo tale che tutti possano restare al lavoro, tutti possano restare aggrappati al loro posto di lavoro, conservare la propria professionalità e cimentarsi insieme nell’impresa che vede come sfruttare tutti quegli spazi che si hanno per organizzarsi il lavoro. Siamo riusciti a far passare questo, un’indennità che va oltre la Cassa Integrazione Ordinaria, per quegli spazi di lavoro che non sono sostenuti da parte delle istituzioni. Abbiamo mirato moltissimo a guadagnare il più possibile dal lavoro, dal lavoro fatto, dal sudore. Perché questo, perché abbiamo insistito? Perché riassume la nostra filosofia: noi non vogliamo guadagnare solamente dall’assistenza, noi vogliamo innanzitutto guadagnare attraverso il lavoro, perché la dignità del lavoro non si svaluta allorquando ognuno resta al lavoro, la professionalità, i nostri talenti non si depauperano, non si perdono, quando siamo aggrappati al lavoro. La corresponsabilità si esalta quando, nel poco spazio di lavoro che abbiamo, riusciamo ad organizzarlo meglio tra noi e gli imprenditori, dividendo il lavoro fra di noi. Questa normativa, questo aiuto, questo ammortizzatore è quello che più assomiglia al nostro modo di vedere il lavoro e la dignità del lavoro e la responsabilità. E insieme, spero l’abbiate notato, noi e tutti gli imprenditori abbiamo detto: vogliamo norme che aiutino le imprese, quelle nuove imprese che fanno guadagno. Perché ci sono aziende che fanno ancora guadagno, pensate all’alimentare che ha guadagnato il 4% in più dell’anno scorso, che possono investire, dando un segnale di fiducia e anche di rinverdimento dell’azione economica. Detassare per la metà gli utili investiti, garantire la condizione di quella azienda, purché non si licenzi. Questa volta si è provato davvero, ed è stato bello che insieme l’abbiamo detto. Questa volta non si fa come in passato, come la Tremonti uno e due, questa volta si finanziano esclusivamente i macchinari. E poi abbiamo fatto il sistema contrattuale, che è un atto di fiducia, di speranza ma anche di garanzia. Gli imprenditori potevano dirci: CISL, cosa ne pensate? Invece hanno voluto rinnovare con noi il sistema contrattuale, impegnarsi. E vi assicuro, conti alla mano, che le condizioni di salario saranno migliori che in passato, al contrario di come alcuni profeti di sventura hanno segnalato. Ora vedo che hanno abbassato i toni perché è troppo evidente che il sistema che abbiamo utilizzato per ripagare la fiducia dei lavoratori è più che sufficiente rispetto al passato: è stato un atto di garanzia e di fiducia, che insieme abbiamo voluto costruire e che, come diceva Scholz, ha spostato – come la CISL chiede da vent’anni – il baricentro nelle aziende del territorio, dove la responsabilità e la dignità del lavoro possono essere messe a frutto nel costruire quantità e qualità del lavoro, lì dove la gente c’è. Anzi, approfitto della vostra presenza: siccome ho visto un’uscita oggi del Ministro del Lavoro, e ho visto anche che nei giorni scorsi Bossi ha insistito in modo sbagliato sui legami tra alleati, approfitto della vostra presenza loro per dire a loro, che sono molto attenti ai salari dei lavoratori, alla contrattazione territoriale, che, se vogliamo aiutare i salari e a che la responsabilità si eserciti ancora di più dove si produce quantità a qualità, devono produrre tasse zero sul secondo livello di contrattazione nelle aziende, nei territori. Tasse zero: questo aumenterà i salari ma aumenterà anche i consumi di cui abbiamo bisogno per sostenere l’economia, perché la nostra economia si sostiene attraverso gli investimenti, attraverso politiche anticicliche e attraverso i consumi che si innalzano. Due versanti su cui si sta zoppicando e per cui spero che si riesca a camminare più speditamente. Al ministro Tremonti dico che lui è fautore del colbertismo. Colbert sosteneva che nei momenti di grandi difficoltà lo stato interviene. L’Italia spende circa 850 miliardi di euro per la spesa pubblica, si potrà trovare un 5% per gli investimenti, per rendere la nostra economia più vivace? Ci sono tanti soldi già spesi, e già stanziati che non si spendono: 16 miliardi per le infrastrutture, 14 miliardi di soldi pubblici e di soldi privati per l’energia, che è il punto più nero della nostra economia, perché l’energia ci costa più degli altri paesi e le imprese fanno fatica a concorrere, le famiglie pagano l’energia più di altri. L’energia ha un effetto nefasto sui consumi e sulla nostra condizione generale: si può sopportare un fatto del genere? Prima di investire altri soldi, dico al governo con molta forza: dovete farci conoscere i nomi dei più esperti, gli specialisti d’Italia, da nominare commissari ad acta per tutte le opere che non vanno, per tutte le opere che non cominciano. 30 miliardi sono una cosa preziosissima, la non spesa segnala un comportamento sottoordinario e invece abbiamo bisogno di un comportamento molto, molto straordinario. Questo chiediamo al governo, quindi: di giocare sulle tasse a favore dei lavoratori e dei pensionati, di lavorare fortissimamente per dare un indirizzo all’economia, di spendere i soldi che ci sono, di spendere altri soldi sui settori strategici per la ripresa del futuro. Noi pensiamo all’energia, insisto, alle energie rinnovabili, che danno più lavoro e che possono dare anche nuove tecnologie, che possono darci forti remunerazioni. Poi pensiamo alle scienze della vita. Su questi tre settori riteniamo che occorra lavorare più fortemente, e per la ripresa facciamo bene a dare una mano, a cooperare. Non si è mai visto che le grandi difficoltà si risolvano litigando, come fa la gran parte della dirigenza italiana, che dovrebbe vergognarsi di continuare a creare una situazione di così grande ingestibilità del paese e di così grande sfiducia, quando invece occorrerebbero iniezioni di fiducia a dosi da cavalli. Detto questo, se posso continuare, penso però che questo riguardi il mettere le pezze a pantaloni bucati: noi vogliamo nuovi abiti per la nostra comunità. Quello che è accaduto negli ultimi vent’anni non ci va più bene, vogliamo un nuovo modello di sviluppo. E sono d’accordo con Guerrini, lo diciamo per responsabilità e per far fronte ai guai che abbiamo, che però vengono fuori da vent’anni di scelleratezze, di squilibrio fra poteri: un potere finanziario che ha fatto tutto ciò che ha voluto, ha impoverito le persone, ha distrutto le aziende e anche la democrazia, in molti paesi. Vogliamo cambiare abito, vogliamo abiti nuovi che annuncino che il mondo sarà governato attraverso la partecipazione, non vogliamo più un potere così verticalizzato, affidato solo a finanzieri, manager e azionisti. Io stimo molto Passera, lo dico perché l’abbiamo visto all’opera nel riadattamento di un istituto molto importante, un’azienda come le Poste, e sarò l’uomo più felice del mondo quando indosserà la veste di sacco perché sarà la veste di gioia, quando il suo potere sarà in equilibrio con quello democratico, con l’Italia, con l’Europa e il mondo indosserà abiti nuovi e potrà andare verso una nuova condizione. Diversamente, ci ridurremo ancora allo stesso modello di sviluppo che ci ha distrutto perché privo di equilibrio. Spero che i grandi della terra, che negli ultimi giorni vedo in difficoltà, trovino la forza per darsi regole universali, per governare finanza e lavoro. Però i lavoratori e i cittadini non avranno regali da nessuno se non si rimboccano le maniche: la partecipazione è spendersi fino in fondo, è costruire sussidiarietà, che è un concetto non moderato ma radicale, perché sfidi te stesso, non domandi ad altri cosa devi fare per te ma lo fai tu stesso, e in questo modo produci forza, responsabilità, consapevolezza. E’ un atteggiamento non moderato, è radicale perché ci mette in discussione fino in fondo, e metti in discussione fino infondo chi non condivide un potere condiviso, perché lo sfida, perché sono io che mi risolvo i problemi, lo faccio per me e lo faccio per gli altri, e creo una rete forte di consapevolezza. Diceva Scholz del Forum: lo abbiamo costruito come un cantiere in costruzione, perché abbiamo voluto raccogliere la chiamata di papa Benedetto che, l’anno scorso, ha chiesto ai cristiani di muoversi nella società, di non farsi vedere attraverso quello che dicono ma di farsi notare per quello che fanno. E siccome la CISL, la Compagnia delle Opere, la Confartigianato, hanno milioni di persone ed esperienze nella realtà sussidiaria che riguarda il Paese, che riguarda i servizi, che riguarda il lavoro, che riguarda il welfare, noi insieme vogliamo darci da fare per sottolineare cosa sappiamo fare, cosa vogliamo, prima di chiederlo agli altri. Questa è la testimonianza più forte che intendiamo portare avanti, rinverdita e rafforzata fortemente dall’enciclica che ci spinge a fare questo, con carità, appunto. E ci spinge a fare questo correndo molti rischi, ma i cristiani, voi lo sapete, si richiamano al primo e secondo Testamento, un insieme di indicazioni rischiose ma il rischio spesso ti pone in una nuova dimensione, quella che abbiamo cercato. Noi dobbiamo saper rischiare, come lo stesso Cristo dice quando preferisce la straniera samaritana ai ricchi e ai sacerdoti; quando sceglie il figliol prodigo, rispetto al comportamento molto più corretto del fratello più grande; quando sceglie Maria anziché Marta, e quando sceglie il buon servo che conserva i talenti e li fa fruttare. Perché quella è la logica: ciascuno faccia per se stesso e per gli altri e dia quel qualcosa in più. E’ un atteggiamento rischioso ma carico di speranza, come quello che dobbiamo saper conservare in questo momento: solo la speranza di vesti nuove ci porterà in una nuova condizione. Ecco perché io spero che il Forum che è nato abbia il conforto e il sostegno di voi tutti. Perché c’è un grande scontro che non si vede, la nostra classe dirigente non sta facilitando le cose, c’è chi vuole conservare le vecchie vesti, ed è debole la voce di chi vuol cambiare nella finanza e nel lavoro. Ma noi non crolleremo se nemmeno in questo momento di grande difficoltà non riusciamo a cambiare la situazione che abbiamo di fronte: ecco perché dobbiamo davvero darci una mano tutti. Ecco perché il nostro motto principale è: non chiedere agli altri ciò che possiamo fare da noi stessi. Ma cominciamo a fare perché abbiamo parecchio, abbiamo una forza straordinaria. Il Forum è un insieme di realtà, di uomini, che già sanno fare tante cose – penso alla CdO, penso alla Confartigianato, penso ai sindacati, penso ai territori densi di persone, di tante formiche che fanno qualcosa. Se questa forza viene impiegata, rinnoveremo noi stessi, il paese e, spero, anche l’Europa, che non può rimanere in questa condizione asfittica. Questa è la mia opinione, quindi, niente disastri ma nuove posizioni, niente panico ma un nuovo cantiere che insieme possiamo saper allestire. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Corrado Passera, la crisi è partita dalle banche, certamente non dalle banche italiane, quindi la finanza è stata accusata pesantemente, spesso anche ingiustamente, perché abbiamo sentito che buona operazione fa Intesa in modo produttivo ed elevato. Io parto da una citazione recente: “Non sono sfiduciato ma preoccupato sicuramente. La mia sensazione è che l’Italia sia ancora forte ma non abbia un progetto in cui crede. Noi stiamo investendo per far crescere il paese, ma chi ha la responsabilità sembra spesso non avere idee e soprattutto non avere fiducia nelle possibilità e nelle capacità di questo paese”.
CORRADO PASSERA:
Innanzitutto, grazie, considero un vero privilegio anzitutto essere invitato qui al Meeting ma un po’ di più perché, dopo aver sentito i tre relatori che hanno parlato prima di me, ho idea di poter contribuire al dibattito, che ha chiaramente come voglia di messaggio da trasmettere l’augurarsi di uscire insieme da questa situazione – trasformiamo un momento di oggettiva crisi, che ci può portare dei guai, in un’opportunità di ripensamento di tante cose che nel nostro paese non funzionano -, ed è un privilegio di cui ringrazio. Allora, Scholz ha accennato un tema impossibile da gestire in pochi minuti: magari buttiamo lì solo alcuni punti. Però è vero, lo sappiamo tutti, il nostro paese – forse è questo il male cui si accennava prima – cresceva e poi, ad un certo punto, si è impantanato. Credo che un paese, come una famiglia, come un’azienda, che non ha un piano in cui credere, che non ha un programma di lungo periodo, completo, fatto di diagnosi corrette, come diceva prima Guerrini, rischia quello che oggi stiamo rischiando noi, la mancanza di crescita. Noi, oggettivamente, in tutto il mondo, ma l’Italia in modo particolare, manchiamo di crescita sostenibile, buona, forte. E quando non c’è crescita, sono soprattutto le fasce più deboli che pagano il costo di questa situazione. Lo sapete voi, le organizzazioni sul territorio che devono avere a che fare sempre di più con fenomeni di disagio, sempre più forti. Ieri sera, parlando con un gruppo di amici qua, ci siamo detti: “Forse un’emergenza che in Italia non era ancora emergenza potrebbe diventarlo, quella della povertà alimentare che, bene o male, fino ad oggi è stata una non emergenza, perché in qualche modo la si gestiva, è a rischio. Quindi, è tanto più vero quello che diceva Scholz: che alla crisi, se non è gestita, poi possono succedere tante cose, dalla sfiducia al tessuto della società che non tiene. Certamente, abbiamo di fronte a noi un rischio di occupazione grave. Sta succedendo quello che in tanti ci siamo detti negli ultimi mesi. Finora, come diceva l’amico Guerrini, solo in parte si vede, anzi si vede già, però in parte è ancora coperto dalla resistenza, dallo stringere i denti di tante aziende e di tanti lavoratori, dalla cassa integrazione, dal fatto che abbiamo comunque tassi di occupazione bassi: questi fenomeni ci stanno tenendo un po’ al di sopra delle statistiche mondiali in termini di disoccupazione, ma il problema sta al di sotto di questa montagna. E per far crescere l’occupazione non basta che l’economia non cali, come in alcuni paesi, fortunatamente, l’abbiamo saputo pochi giorni fa, ha smesso di calare. Purtroppo non nel nostro: per creare occupazione è necessario che l’economia cresca e cresca in maniera sostenibile. Come fare per far crescere l’economia? Tante cose le hanno già dette Guerrini e Bonanni e le sottoscrivo completamente. Certamente è una responsabilità complessiva, cumulativa, comunitaria: non c’è qualcuno che può fare una cosa e succede, è solo se insieme lavoriamo nella stessa direzione, e come banche lo sentiamo in modo particolare. Ecco, le banche sono state a livello del mondo l’elemento che ha messo in moto una crisi che ha toccato poi l’intero pianeta. È un settore dove oggettivamente il nostro paese, non per merito delle banche ma di tante cose, si è comportato meglio di altri. Il credito ha tenuto, il sistema bancario ha tenuto. Questo è successo per la combinazione di tanti fattori, prima di tutto la saggezza degli italiani che non è andata all’estremo degli indebitamenti, certamente le regole. Se tutto il mondo avesse avuto le regole e i controlli italiani, non sarebbe successo quello che è successo. E quindi, non andiamo a cercare strane regole complesse, regole che in Italia ci sono sempre state e che sono state verificate e controllate: sull’indebitamento non eccessivo, sul non squilibrio tra attivo e passivo, sulle non passività fuori minaccia. Basterebbero queste tre cosette e il disastro che è partito dagli Stati Uniti non sarebbe diventato la crisi che è successa. Certamente, oggi ci troviamo, come diceva Guerrini, in una morsa che anche nel campo del credito è molto difficile. Abbiamo meccanismi regolatori che, invece di gestire il momento più critico della crisi, tendono ad enfatizzarne la portata. Siamo in un momento in cui, da una parte, i tassi bancari sono al minimo, da un’altra parte i tassi di cattivo credito al massimo, e stringono in maniera preoccupante i bilanci delle banche. Però noi sappiamo che tutti dobbiamo fare di tutto e di più per rimettere in moto la crescita in tutti i settori: nelle industrie, nei servizi, nelle famiglie, nelle infrastrutture, nel terzo settore. Ecco, questa è una responsabilità di tutti ma che noi, sicuramente, sentiamo in maniera importante. Il fatto di dare 500 miliardi, tante sono le linee di credito che l’Intesa San Paolo dà al sistema Italia, ne dà il senso pratico, stiamo parlando di quasi un terzo del PIL: all’interno di questi 500 miliardi ce ne sono 61 affidati e non utilizzati, quindi c’è lo spazio per la crescita, e parlo soltanto di quelle linee di credito date e non utilizzate nel piccolissimo, dalle piccole e medie imprese. Giusta l’iniziativa delle moratorie: noi lo abbiamo fatto per i privati e per le imprese ben prima che poi diventasse una regola per tutti. Però tutto questo fa parte delle cose che noi possiamo fare per gestire il problema nella sua immediatezza, poi ci vuole di più, ci vuole il progetto, il progetto che manca al paese e a cui tutti devono contribuire. Un progetto che, anche in altre occasioni, ho avuto modo di sintetizzare, giusto per poterne mettere i capitoletti. Lo sviluppo sostenibile, che crea vera occupazione, vero benessere, vero sviluppo, è un qualche cosa che cammina su quattro ruote. Cioè, non c’è una sola cosa che fa la competitività, certo, la competitività è un pezzo, ma se si vuole crescita sostenibile a lungo termine ci sono quattro ruote su cui sostenere lo sviluppo, e se soltanto una di queste è sgonfia o è bucata, ferma tutto il resto. Quali sono i quattro pezzi? Sicuramente la competitività dell’impresa, perché è lì che si può creare l’occupazione; certamente l’efficienza del sistema paese; certamente – è una delle principali lezioni anche dell’ultima crisi – la coesione sociale, questa cosa che era stata un po’ sminuita quando parlavamo di beni comuni e venivamo un po’ quasi sbeffeggiati, quasi fosse soltanto la competitività, il darwinismo sociale, la molla delle cose. Il Paese poi sta insieme, cresce in maniera sostenibile se c’è competitività, se c’è efficienza del sistema, se c’è coesione e se c’è dinamismo. Cosa sono questi pezzi? Lo dico solo per capitoletti perché poi, se mai approfondiamo nella seconda parte, descrivo i vari pezzi. Competitività delle imprese, lo sappiamo, oggi noi ce la giochiamo in tutto il mondo sulla innovazione, sulla internazionalizzazione e sulla forza, che non vuol dire necessariamente dimensione, in taluni casi sì, ma diciamo sulla forza delle imprese, la loro patrimonializzazione. Ecco, questo vuol dire che dobbiamo trovare in ogni modo il mezzo per favorire, spingere, incoraggiare, premiare gli investimenti privati. E questo è il tema – ancora tutto aperto – della competitività delle imprese. E poi c’è quello che ci sta intorno, perché non basta che un’impresa funzioni se tutto intorno all’azienda poi non funziona: quindi, è l’efficienza del sistema paese, fatto di tante cose, innanzitutto di infrastrutture, poi ci torniamo. Certamente del sistema di istruzione e di formazione che, se mette in moto i disoccupati invece che gli occupati, come nel nostro caso, è un bel problema. C’è tutto il sistema della tutela dei diritti, dalla sicurezza al diritto vero e proprio, alla giustizia, tutte queste cose che stanno intorno alle aziende e, se non funzionano, le tengono zavorrate. E poi, il funzionamento della pubblica amministrazione, su cui dopo ci fermiamo un attimo. Naturalmente, questo vuol dire che, così come abbiamo bisogno di un progetto a lungo termine per il paese, di investimenti curati, abbiamo bisogno di quello che ha sottolineato giustamente Bonanni. Siamo un paese dove il culto capitale, la costruzione del futuro, la costruzione del paese che vogliamo intorno a noi, sta andando molto lentamente. Coesione sociale, cos’è? È tante cose, è valori, è senso di comunità, però è certamente welfare, è certamente reti di protezione, che oggi non solo non vanno indebolite – certo, vanno rimodernate, certo, vanno eliminati gli sprechi -, ma sono fondamentali per tenere insieme la società, per eliminare quella cosa che blocca la società, che è la paura del presente o del futuro ed è quello che poi ferma le cose. Poi, ho accennato anche al dinamismo, che è una cosa un po’ diversa. Dinamismo è l’energia che c’è dentro alla società: anche queste sono cose molto pratiche, molto concrete, su cui dobbiamo lavorare. Il dinamismo di una società viene innanzitutto dalla sua mobilità sociale. Noi siamo al minimo storico, e comunque al limite più basso, delle classifiche internazionali di mobilità orizzontale o verticale. Poi, c’è tutto quello che è merito, meritocrazia: sussidiarietà è meritocrazia, concorrenza è meritocrazia. Quanti settori ancora non sono in moto perché non sono gestiti e non sono informati alla regola della concorrenza! Ma poi, ciò che fa dinamico un sistema rispetto ad un altro, è la sua capacità di decidere, la sua velocità di decisione, la sua capacità di prendere buone decisioni velocemente: e qui noi troviamo il più grande dei nostri guai. Quando Bonanni prima diceva che ci sono 30 miliardi da spendere che non spendiamo, è la dimostrazione che quello che dobbiamo fare non sono i soldi, sono la nostra capacità – lungo tutto il sistema istituzionale, giudiziario, amministrativo e burocratico – di prendere decisioni, di far succedere nella società quelle cose che le singole aziende non possono fare, che le singole persone non possono fare, che solo la società nel suo insieme può fare. E questo ci porta a parlare dell’innesto di un piano per il paese, perché noi non solo dobbiamo lavorare sul piano del lungo periodo, che necessariamente prende dei tempi, abbiamo bisogno anche di dare uno shock positivo alla nostra economia e alla nostra società, perché se no lo scivolamento continua, e ripeto, quando poi lo scivolamento va oltre un tanto, lo dicevano sia Guerrini che Bonanni, tornare indietro diventa molto più difficile. Cosa può essere lo shock positivo, cosa abbiamo a disposizione per far succedere subito delle cose che abbiano effetto immediato ma anche di lungo periodo? Mi riaggancio al tema delle infrastrutture, a tutte quelle cose che vanno dalle reti telematiche alle autostrade, che vanno dalle reti ferroviarie regionali a quelle dell’alta velocità, che vanno all’energia, tradizionale e innovativa, i porti, i centri logistici, i termovalorizzatori, i rigassificatori, le scuole, gli ospedali, i musei. Ecco, noi abbiamo accumulato su tutti questi capitoli ritardi importantissimi e abbiamo in parte, addirittura, i soldi già stanziati e non li utilizziamo. In parte, queste operazioni possono trovare soldi privati, in parte, possono trovare delle partnership private o pubbliche, in parte, dobbiamo metterci una componente della fiscalità oltre i recuperi di spesa pubblica mal fatta, di evasione fiscale, di patrimonio pubblico cedibile su un progetto che costruisce il paese, che costruisce con continuità, che costruisce con coesione sociale, che rimette in moto l’economia. Credo che tutti, come diceva Bonanni, dobbiamo trovarci insieme: è un capitolo, quello delle infrastrutture, dove l’effetto congiunturale – dunque l’immediato effetto sull’economia, se ci sono i meccanismi decisionali – e l’effetto strutturale vanno insieme. Ripeto: il problema numero uno non sono i soldi, è il processo decisionale. Se vogliamo tornare a crescere, dobbiamo avere il coraggio di rimettere in funzionamento il meccanismo decisionale – politico, istituzionale, giudiziario, burocratico – che si è bloccato. Noi, ripeto, abbiamo iniziato, e siamo entrati in questa crisi con una serie di vantaggi rispetto agli altri paesi. Questo poteva farci pensare che avremmo subìto meno e che saremmo usciti più velocemente di altri. Ma non sta succedendo, sta succedendo addirittura l’opposto, per cui la crescita economica, che è la priorità numero uno per tutte le classi dirigenti del mondo, nel nostro paese lo deve essere in modo particolare. Quando dico crescita, parlo di tutti i settori, perché uno dei vantaggi del nostro paese, una delle saggezze del nostro paese, è che ha saputo mantenere tutti i settori, non ha buttato via, come hanno fatto altri paesi, settori tradizionali come la manifattura, l’industria. Noi ce li abbiamo e siamo contenti di averli, perché lì c’è uno spazio di crescita importante. L’agricoltura, il turismo, i servizi – all’interno dei servizi, pensate a che sviluppo e che fonte di crescita possa essere tutta la filiera della salute -, l’agricoltura, che era quasi fuori moda negli anni passati si è dimostrato un settore altrettanto strategico. Sia nel profit che nel non profit, dove lo spazio di uomini è enormemente cresciuto, perché i bisogni e i servizi alla persona sono esplosi, il pubblico non ha più le risorse per stare dietro al fabbisogno: quindi, il terzo settore l’impresa sociale, tutto ciò che è non profit, hanno un ruolo importantissimo. Torniamo a spingere su tutte queste cose, sappiamo che l’Italia ha forze superiori in tanti campi, una sua unicità da mettere in gioco. Dobbiamo innanzitutto rimuovere i vincoli alla crescita con lo spirito giusto, con lo spirito che si respira in questa sala e in tutto il Meeting, che poi è legato al concetto di bene comune che, durante tutta la storia, ha caratterizzato quelle società che hanno saputo lavorare insieme, mettersi insieme per superare periodi anche molto difficili. È un tema di responsabilità che tutti dobbiamo accogliere: quello che ho sentito dire prima di me a questo incontro mi riempie il cuore di gioia.
BERNHARD SCHOLZ:
Abbiamo concordato di fare un secondo giro, anche per permettere di approfondire temi particolarmente cari a chi ha aderito a questo incontro. Mi permetto solo di dare ad ognuno una parola chiave: Giorgio Guerrini, liberalizzazione.
GIORGIO GUERRINI:
Prima delle liberalizzazioni, la parola chiave, vorrei sviluppare questa riflessione iniziale insieme a voi. Abbiamo sentito dalle riflessioni fatte in questa oretta, che il nostro paese è veramente di fronte ad un punto cruciale: possiamo rassegnarci al declino, è una scelta che si può anche fare, si risparmiano energie, si campa ogni anno un pochino meno bene e ci si adatta a questa situazione. E’ quello che è successo negli ultimi venti anni: il nostro paese si è adeguato ad un inesorabile declino. Basta andare fuori, vedere quello che succede negli altri paesi, nel nord Europa o nel Nordafrica. Oppure, se non ci rassegniamo a questo declino, dobbiamo trovare il coraggio, la forza, le energie, la voglia per modificare tutto quello che finora ha prodotto questa situazione e che il Santo Padre, nella sua preziosa enciclica, ha individuato come bene comune. In Italia, in questi vent’anni, al bene comune ci hanno pensato in pochi: i più si sono impegnati a mantenere parecchi privilegi di categoria, di consorteria, di appartenenza. Io ricordo la stagione delle liberalizzazioni del ministro Bersani, tre anni fa, le lenzuolate: si sono liberalizzati i panificatori, i parrucchieri e gli estetisti, che valgono lo 0,02% del PIL del paese, una roba ridicola! Lì è finita! Se andiamo a vedere nel programma del PdL e nel programma del PD, c’è scritto: liberalizzazione dei servizi pubblici locali, del trasporto, dell’energia. Perché nessuno ha il coraggio di fare una cosa di questo genere? Piccole opposizioni si mettono contro e impediscono la conclusione di certi percorsi che il paese attende da anni. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali: esistono in questo Paese più di mille piccole IRI locali che sono il più delle volte, soprattutto nel Meridione, poi questo è un tema che voglio riprendere a conclusione dell’intervento, occasioni di diseconomia, clientelismo e spesso anche mala gestione, che disperdono risorse clamorose. Perché non aprire questo mercato protetto? Io mi auguro che ci sia, in questo momento, la forza politica per poterlo fare, cosa che non è accaduta nella legislatura passata, nonostante fosse nel programma, nonostante avessimo un ministro lì, a portare in fondo questo argomento: si è messa contro Rifondazione comunista, che rappresenterà un pezzettino del paese, e non si è conclusa. E questa volta la Lega ha un atteggiamento non così disponibile, e rischia che non si conclude. È un dato, per il paese, clamoroso, va contro il bene. Allora, prendiamo tutti coraggio e cerchiamo, per quello che ognuno può fare rispetto alle proprie responsabilità, rispetto alle opportunità che gli sono state date, di fare proprio il messaggio del Santo Padre. Se questo paese comincia a pensare diversamente e fa lo sforzo di impegnarsi su cose che servono alla maggioranza del paese, non a piccole minoranze, cambia il vento, perché purtroppo oggi è successo il contrario: allora, è rivoluzionario pensare al bene del paese. Il Sud è un altro enorme problema. Sono state fatte in questi sessant’anni, credo, le iniziative più impegnative per riuscire a diminuire la forbice di sviluppo e di ricchezza che c’è tra le regioni di centro nord e quelle del sud. Con risultati che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. Lo sviluppo del paese passa anche, e credo soprattutto, da questa inversione di attività economiche che ci sono nelle regioni meridionali, ma è inutile fare gli investimenti se non si rimuovono le cause che ne impediscono la crescita: la sicurezza e la lotta alla criminalità, perché nessuno va a investire in un posto in cui, anche se ha tutti gli incentivi di questo mondo, le 488, quello che volete, non è sicuro che l’investimento che fa non gli viene portato via dalla malavita. Quindi, l’investimento dello stato sulla sicurezza, e poi anche la possibilità per le imprese meridionali di un accesso al credito meno difficoltoso e meno oneroso di quello che hanno adesso. Io qui, l’appello, lo faccio all’amico dottor Passera ma anche a tutto il sistema bancario: Tremonti ha avuto un’idea, che è quella della banca del Sud, può essere discutibile, è da verificare, ma senz’altro credo che risponda a questa necessità. Lo vedo nelle migliaia di mie imprese associate dove, al di là di tutte le difficoltà che normalmente le imprese italiane hanno, l’accesso al credito delle imprese del Meridione è un ulteriore problema: e allora, trovare un meccanismo mettendo in campo quello che di buono esiste – faccio riferimento ad uno strumento che il nostro mondo ha avuto per cinquant’anni, che si chiama Artigiancassa, soprattutto presente nelle regioni meridionali -, che potrebbe essere utilizzato, potrebbe raccordarsi bene con un sistema di confini che per fortuna funziona. Si tratta di trovare delle iniziative che non sono propriamente nuove, si tratta di valorizzare le tante cose positive che già esistono. Valorizzare gli enti bilaterali: per il mondo che rappresento, sono una cosa importante, che funziona, che ha permesso in questa crisi, senza gravi ricorsi, di mantenere il livello occupazionale nelle piccole e medie imprese. Purtroppo funziona bene in certe regioni e funziona male in altre, ma allora la spinta deve essere a farla funzionare bene dappertutto, ma bisogna investirci su. Bisogna far sì che siano collocate delle risorse e che siano creati spazi, perché se ci sono le risorse ma non si creano gli spazi non serve a niente: e quindi, trasporti, società pubbliche e locali, sono settori che hanno bisogno di una spinta per aprire i mercati, altrimenti il paese non riparte. Credo che in una fase, poi, di rientro, dopo qualche settimana di riflessione che tutti abbiamo fatto, che anche il governo avrà fatto, adesso sia necessaria una iniziativa molto forte nei prossimi mesi, per andare a rimuovere questi che sono i macigni veri alla crescita del paese. Altrimenti sono solo parole. Lo ha detto Raffaele prima, lo voglio ripetere: io appartengo ad una cultura che è quella del mondo dell’artigianato. In concretezza si fissano gli obbiettivi, si decide qual è la strada e poi si va. Mi sembra che fino ad oggi si siano fatte tante parole, credo che su questi argomenti si siano fatti più convegni, si siano dette più cose, ci siano state tantissime iniziative di leggi, ma non siamo arrivati al risultato. Bisogna arrivare al risultato, altrimenti ci dovremo tutti accontentare di un paese – e la nostra generazione sarebbe la prima – che si accontenta di essere nelle classifiche sempre all’ultimo posto. Dal Belpaese, che aveva il primato del turismo nel mondo, siamo arrivati alla 10°, 12° posizione. Per come sono fatto, io cercherei di reagire, di trovare delle iniziative, nuove forme. Credo che, ringraziando il Signore per averci concesso in questo momento di poter riflettere su queste parole così importanti del Santo Padre, questa sia una opportunità da cogliere, per i cattolici ma anche per i non cattolici, perché può essere un modo concreto e reale di uscire da questa crisi che altrimenti, credo, produrrà effetti molto più gravi di quelli prodotti fino ad oggi.
RAFFAELE BONANNI:
La vera risorsa di cui possiamo disporre in un momento come questo: in effetti, ci vuole una energia nuova. Se noi rimettessimo i conti a posto, istituti di credito e aziende e così via, ricadremmo nuovamente negli stessi errori che abbiamo già conosciuto. Perché? Perché si è allentata la responsabilità, ci hanno trasformato, noi tutti, in telespettatori e direttori, e questo non può andarci bene. E’ la partecipazione che costruisce una condizione nuova, che ci libera da tanti problemi che provengono dall’egoismo di pochi che non discutono con nessuno poteri che riguardano tutti. Quando a governare è uno e si teorizza questo, perché è quello che è successo nell’ultimo ventennio – ci pensiamo noi a fare i soldi, voi decidete attraverso il voto, e tutto finisce lì -, non può che andare a finire così, perché si produce un potere irresponsabile e a noi tocca solo essere, a quel punto, ribelli o populisti, che in questo momento sono i nemici dei cittadini, dei lavoratori, delle persone che per vivere devono lavorare. Populisti e ribellisti, il vero antidoto è questo, perché ci dà una nuova dimensione di dignità, una nuova capacità di padroneggiare ciò che abbiamo. Tutto ciò che portava la partecipazione è stato divelto nell’ultimo ventennio. Vi faccio degli esempi? Nella scuola è stato distrutto tutto ciò che porta a decidere cosa vale la pena di fare per i nostri figli. Nella sanità, il disastro lo vediamo, dobbiamo essere sinceri fino in fondo, accade in tutta Italia ma ancora più nel Sud perché, non essendoci alcuna attività, vinci le elezioni ed è come se vincessi un’impresa economica. Ti prendi l’ospedale e ne fai quello che vuoi, e a quel punto quello che succede è ciò che abbiamo di fronte, non c’è alcun livello di partecipazione nel decidere, e finisci per fare una degenza di venti giorni quando ne basterebbero dieci. Perché usi quella attrezzatura anziché altro? Perché non usi una parte di risorse per l’ospedale e tanto altro, per esempio, per il servizio sociale ed assistenziale a casa? Non c’è alcuna partecipazione a nessun livello. Si parlava prima di liberalizzazione: noi siamo d’accordo, però anche lì, senza partecipazione, la liberalizzazione sarà passare dalla padella alla brace. Le liberalizzazioni degli ultimi quindici anni hanno liberalizzato ma senza fissare alcun criterio. A che cosa dovranno obbedire le liberalizzazioni, quali garanzie devono dare alla collettività? La partecipazione è l’ingrediente più importante, io spero che le forze politiche, o almeno quegli uomini di buona volontà che hanno voglia di fare una battaglia vera, lavorino su questo, e noi dobbiamo chiedere di spingere su questo. Come lavoratori, la CISL ritiene da sempre che la partecipazione nei posti di lavoro, attraverso meccanismi sussidiari come la bilateralità, che costruisce occasioni di autogoverno, per esempio il welfare che contrattualmente sappiamo costruirci, e le altre garanzie, sia la scelta migliore. L’opposizione di taluni a questa nostra opinione ancora resiste, con buona pace anche dei giornali borghesi, a loro va bene perché comandano ancora di più, se esiste chi si ribella e chi è antagonista: è più facile governare la società italiana attraverso la verticalizzazione che si è prodotta negli ultimi anni. Il sistema bilaterale è il meglio che possa esistere per costruire collaborazione e cooperazione tra noi e le imprese, per rendere responsabili tutti e per capire fino a dove possiamo arrivare per darci quello che possiamo darci noi. Quello a cui non arriviamo ce lo dà lo stato, ma se noi non facciamo questo non c’è neanche un confronto, un paragone su ciò che deve fare il pubblico. Ecco perché alcune realtà borghesi avversano questo sistema, perché vogliono mantenere la verticalizzazione del potere a cui si sono abituati nell’ultimo ventennio. Al di là delle chiacchiere, preferiscono avere ribelli e populisti anziché fare i conti con la gente che chiede partecipazione: e la partecipazione la troviamo più in là. Però queste aziende non potranno partire bene se non vedranno il lavoratore non solo come un salariale ma anche come azionista… Perché solo alcuni devono sapere come è buono il formaggio con le pere? Lo vogliamo sapere anche noi, quanto è buono il formaggio con le pere, vogliamo partecipare almeno agli indirizzi e ai controlli con i nostri rappresentanti, per sapere come va l’azienda, quali sono i conti, quali sono le strategie. Il paese più industrializzato del mondo, la Germania, ha un sistema partecipativo dentro gli organi del governo da cinquant’anni: e mi pare che vada bene. I cosiddetti progressisti italiani, se lo sono davvero, sostengano questa tesi che rinnova la società, che ci libera dal nichilismo, dal ghibellismo e dal populismo che, in questi momenti, rischiano di attecchire moltissimo, se rimaniamo inermi. Rispetto alla partecipazione, finora, la spinta è stata forte e l’abbiamo contenuta. Non voglio fare nomi e circostanze, però state attenti, se la crisi diventa ancora più cruda costoro, in assenza di una nostra azione, rischiano davvero di minacciare di più ancora la nostra realtà. Non esiste sistema politico che possa governare un paese facendo a meno dell’apporto della realtà civile organizzata che gratuitamente si esprime, sostiene e mette a disposizione opere, realizzazioni, condizioni, dimostrazioni di come si possono governare i processi. E’ la parola d’ordine che ci ricorda anche l’enciclica, quando dice di esprimere il dono di Dio verso noi stessi e verso gli altri: non è altro che questo, il dono. Come possiamo farlo? Noi non abbiamo potere, non abbiamo soldi, come possiamo farlo questo dono? L’unico dono che possiamo fare é nel nostro lavoro, in ciò che facciamo, in ciò che noi stessi, attraverso la nostra intelligenza, la nostra forza, mettiamo in piedi. Questo è l’unico dono che possiamo dare, ecco perché si tratta, attraverso la partecipazione, di sfidare, forzare la realtà per creare quella condizione di rinnovamento della società che, insisto, è molto radicale, non è moderata. Moderato é chi si rifugia nel ghibellismo, perché tanto se la prende un altro, e basta. È radicale chi si propone, non di chiedere ma di dimostrare, attraverso la propria opera, la possibilità di costruire, la speranza di una dimensione nuova, che rinnova la realtà perché siamo rinnovati noi, perché ci portiamo il nostro fardello che a quel punto non ci pesa. E’ un qualcosa che ci fa più dignitosi, che ci da più personalità, per i cultori della politica, è un qualcosa che ci dà dimensione politica. Io spero che insieme, davvero, nel tempo che ci aspetta, saremo in grado di avere un progetto. L’Italia si rinnova in questo modo, altrimenti assisteremo ancora a tante bugie che noi stessi accarezzeremo per giustificare la nostra incapacità di muoverci e di portare i pesi. O li portiamo noi o altrimenti non li porta nessuno, accumuleremo ancora di più pesi che già si sono accumulati e che oggi ci fanno piangere. Se non vogliamo piangere, dobbiamo prendere spunto da questa esperienza educativa per uscirne nel modo migliore, secondo quello che pensiamo, oltre che per la nostra tradizione. Vi ringrazio davvero per la vostra attenzione e spero che insieme si possa fare quello che stiamo dicendo.
BERNHARD SCHOLZ:
Corrado Passera, prego.
CORRADO PASSERA:
Non mi sembra particolarmente originale. Prima magari due piccole reazioni ai due begli interventi che hanno fatto Guerrini e Bonanni. Concordo, con due precisazioni. Mi piace ricordare, parlando di partecipazione e di condivisione di responsabilità, che negli ultimi dieci anni io ho avuto una fortuna di vivere due grandissime operazioni di ristrutturazione, di rilancio, di ripensamento di interi settori: il sistema postale e quello bancario. Negli ultimissimi anni, in entrambi i casi, mai sarebbe stato possibile fare quello che è stato fatto. Sono state entrambe cose molto buone: e in entrambe le esperienze, sono state partecipate con il sindacato. Ci tengo sempre a dire a quei rappresentanti della politica e della imprenditoria, che certe volte usano il sindacato come scusa per non fare le cose che vanno fatte, magari difficili ma comunque importanti e necessarie, che nella mia esperienza personale, anche di fronte a situazioni difficilissime, a piani seri, all’esercizio di responsabilità dignitosa da parte di tutte le componenti aziendali, il sindacato non si è mai tirato indietro. Ci devono essere forme diverse, ulteriori, di partecipazione: certamente, il livello di profondità con cui, soprattutto nelle grandi aziende, si discute e si approfondiscono i temi con il sindacato, fino a vent’anni fa era sconosciuto. La cosina su cui non sono perfettamente d’accordo con Guerrini: la banca del sud è benvenuta, la facessero, attenzione però alle diagnosi perché, se sono sbagliate, si rischia di fare terapie sbagliate. Allora, sarà perché nella nostra banca abbiamo deciso di tenere il modello di banca dei territori – per cui abbiamo la banca per le regioni del Sud, abbiamo fatto una banca per la Sardegna, una per la Sicilia -, non sentiamo un non attaccamento a queste regioni. Sarà perché crescono le variabili, sia di raccolta e sia di impieghi, superiori più in queste regioni che nel resto d’Italia, sarà perché le risorse che lì raccogliamo, lì vengono destinate, sarà per tutte queste ragioni, noi per lo meno ci sentiamo che ci stiamo implicando. L’importante è che la nuova banca del sud non sia una struttura non vera. Noi abbiamo deciso di far sì che il settore bancario smettesse di essere un settore molto politicizzato, molto clientelare, cosa che portato ai grandi disastri nei decenni passati. Per cui la banca del sud, semmai venisse fatta, noi speriamo che sia partecipe di questa visione aperta, vera, trasparente e comunque non saremo mai noi a dire di no a un nuovo entrante, come abbiamo fatto con le banche di altri paesi, per cui evviva se c’è un’altra banca del sud, non ne sento un gran bisogno, però avrai ragione tu. Per quanto riguarda il credito, oggettivamente ha tenuto e sta tenendo, malgrado le variabili che lo determinano siano andate in tutt’altra direzione. Cos’è il credito? Lo sapete meglio di me: si finanzia il fatturato, si sconta la fattura e si finanziano gli acquisti degli impianti. Adesso, per farla semplice, siamo in una situazione in cui il fatturato è calato drasticamente, anche le esportazioni, e non soltanto quelle, gli investimenti sono crollati. A fronte di tutto questo, abbiamo ancora un credito che ha un segno positivo e questo ci deve dire qualcosa comunque di positivo sull’impegno che ci si mette. Certamente, nell’indebitamento, soprattutto delle piccole e medie imprese, c’è una componente patologica che deve essere contraria all’interesse immediato delle banche. Ma quei cento miliardi che derivano dal non pagamento regolare, sia dei privati che dei pubblici, nei confronti dei loro fornitori, che sono le piccole e medie aziende, è un qualcosa che appesantisce le aziende, le mette in difficoltà, stressa la loro patrimonializzazione. Indebolendo le piccole e medie aziende, indebolisce anche il settore creditizio e finanziario nel suo insieme. Questa è un’altra di quelle cose su cui, io credo, aziende, sindacato e banche si trovano nella stessa parte del tavolo. Noi dobbiamo risanare un paese che effettivamente nel campo dei “scaduti” è diventato oggettivamente patologico. Dobbiamo sapere che abbiamo davanti a noi un bel problema perché, con l’arrivo dei bilanci 2008/2009, dare credito seguendo le regole, osservando fino in fondo il codice, sarà ancora più difficile. E sul tema codici, un ripensamento sulla normativa fallimentare, in generale più orientata al recupero delle aziende dell’impostazione attuale, credo ci debba ritrovare ancora tutti dalla stessa parte del tavolo perché, con i numeri che stanno venendo fuori dai bilanci aziendali, Basilea 2 più il codice penale sarà un grosso problema da gestire tutti insieme. In tale situazione le banche hanno la grande sfida di sapere ancora di più valutare i progetti, valutare gli imprenditori, i piani, i risanamenti e come banca penso che non ci siamo mai tirati indietro. Ovunque ci sia un progetto industriale che salva occupazione, che fa investimenti e che ha delle gambe per camminare, noi, anche se con difficoltà, ci siamo sempre stati, in certi casi anche mettendoci dei capitali, che non è tipico delle banche ma è necessario. Noi viviamo di credito, le banche vivono di credito, quindi non è che meno credito fanno meglio stanno, solo se fanno credito hanno un conto economico che sta su. Quindi noi siamo più che interessati, noi per legittimazione nostra, per ragion d’ essere nostra facciamo credito, però non dobbiamo cadere nell’ errore che ha portato alla crisi globale, cioè quello di fare cattivo credito, di dare credito sapendo che indietro questo credito non può tornare. Questa sarebbe la peggiore delle irresponsabilità da parte nostra. E’ chiaro che è un lavoro difficile, è chiaro che distinguere tra le aziende è difficile. Voi lo sapete, sono diversi tra loro gli imprenditori, sono diverse tra loro le aziende, sono diversi tra loro i settori, quindi saper fare questo distinguo è un lavoro di grande ansiogenità, di grande responsabilità, che caratterizza il nostro lavoro. Certamente, per chiudere con Guerrini, non vogliamo essere quella generazione che cerca il declino, ma quella che avrà saputo reagire a un momento oggettivamente difficile. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Vista l’ora, mi voglio limitare a una sola osservazione. In tutto quello che è stato detto, emerge che processi decisionali più veloci, partecipazione, bene comune, presuppongono responsabilità. E’ stato detto da tutti e tre: responsabilità. Ma la responsabilità non può essere imposta: tutto quello che abbiamo visto, é segno di una non responsabilità. Come è possibile che ognuno si assuma la sua responsabilità nel pubblico, nel privato, nella politica, ovunque si trova? E’ la fedeltà a se stesso, perché io ritengo che tanti problemi che abbiamo, la miopia di cercare il profitto breve, di fare il proprio interesse, di non guardarsi intorno, di non essere interessati al bene comune, non corrisponda al desiderio umano. Sono azioni istintive, chiamiamole come vogliamo. Ma ciò che occorre è assumersi una responsabilità, essere fedeli a quel desiderio, che è presente in ognuno di noi, di contribuire, attraverso la propria vita, al bene di tutti. Non c’è altra strada, tutte le impostazioni etiche che conosciamo non hanno portato da nessuna parte. Quindi, vi dico anche francamente che sono sfiduciato, in questo caso, di fronte ai tanti appelli etici. Noi dobbiamo ritornare a considerare la persona che ognuno di noi è, in grado di muovere il mondo. Se non partiamo da lì, tutto il resto non può funzionare. L’enciclica, da questo punto di vista, oltre a dare indicazioni anche più precise, è un grande richiamo alla verità di sé. Carità e verità, perché la carità non è un sentimentalismo, non nascerà mai da meccanismi e sistemi, non nascerà mai aspettando che altri facciano qualcosa. Nasce quando io mi metto in moto, e forse questo ci procurerà un po’ meno piacere ma sicuramente una grande soddisfazione. Io ringrazio per questa mattina i nostri tre ospiti, perché hanno testimoniato questa cosa: che è più soddisfacente assumersi la responsabilità, anche con tutte le fatiche che questo crea, perché è più vero essere un uomo nuovo, che contribuisce con tutto quello che fa al bene comune, perché altrimenti anche questa parola, bene comune, rimane una parola astratta. Il bene comune non nasce dalla politica, nasce dal contributo di ognuno di noi. Per questo ringrazio tantissimo voi che siete intervenuti con questa trasparenza, con questa chiarezza e con questo impegno personale responsabile. Grazie mille.
(Trascrizione non rivista dai relatori)