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40 VITE: LA RICERCA DI SENSO DI ENRICO RUGGERI, TRA MUSICA E LETTERATURA
Enrico Ruggeri, cantautore, conduttore radiofonico e conduttore televisivo. Introduce Massimo Granieri, sacerdote, critico musicale e scrittore. Letture a cura dell’attrice Giulia Villa
Dai concerti negli anni di piombo al successo come autore e interprete, anticipando il punk e vincendo due volte il festival di Sanremo. Il racconto di quaranta album e quasi cinquant’anni di carriera di Enrico Ruggeri, un artista attratto dalla spiritualità e ispirato dalla letteratura di Modest Petrovic Musorgskij, Georges Simenon, Herman Melville, Alessandro Manzoni, Mary Shelley e Carlo Collodi.
Con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Illumia, Tracce
40 VITE: LA RICERCA DI SENSO DI ENRICO RUGGERI, TRA MUSICA E LETTERATURA
40 VITE: LA RICERCA DI SENSO DI ENRICO RUGGERI, TRA MUSICA E LETTERATURA
Mercoledì 21 Agosto 2024
Ore 21:00
Auditorium isybank D3
Partecipano:
Enrico Ruggeri, cantautore, conduttore radiofonico e conduttore televisivo.
Introduce:
Massimo Granieri, sacerdote, critico musicale e scrittore.
Letture a cura dell’attrice Giulia Villa
Granieri. Ho visto il mondo cambiare, la mia vita si è rotta in mille pezzi e si è ricostruita mille volte. Ho conosciuto gente di ogni tipo, persone deludenti e anime meravigliose. Molti mi hanno tradito, qualcuno mi ha salvato. Ho visto la morte in faccia e non ho ancora capito del tutto la vita. Comunque, non c’è mai stato un momento della mia esistenza che non sia stato accompagnato, raccontato e sottolineato da una canzone. La musica è un’avventura meravigliosa. Signore e signori, alla 45° edizione del Meeting di Rimini, che porta il titolo “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”, abbiamo il privilegio di avere su questo palco il maestro Enrico Ruggeri.
Ruggeri. Grazie, buonasera.
Granieri. Mi avevano detto che non c’era nessuno, quindi stavo più tranquillo. Pensavo fosse una cosa tra amici…
Ruggeri. E’ una cosa tra amici.
Granieri. Sì, assolutamente. Enrico, grazie per aver risposto al nostro invito, è veramente una gioia averti qui. Non so se ho fatto bene a spoilerare il tuo libro.
Ruggeri. Non ho mai detto, “Leggo l’ultima pagina.”
Granieri. Sì, l’ultimo capoverso del tuo ultimo libro…Allora, questo è un libro credo fondamentale, non soltanto per i tuoi fan, che sono tantissimi in Italia e anche in Europa, ma anche per i giovani che magari non conoscono tanto del mondo della musica, della fatica, del lavoro artigianale che c’è dietro.
Ruggeri. Beh sì, racconta ovviamente la mia vita attraverso i 40 album che ho fatto. Fare un album vuol dire mediamente stare 2-3 mesi chiuso da qualche parte con delle persone, e quindi è un racconto di vita in realtà. Naturalmente racconta di un’Italia che è cambiata, di una discografia che è cambiata, di un approccio alla musica che è cambiato e racconta di quanta fatica ci sia dietro a questa ricerca di questo santo Graal del suono. Tu hai in mente una cosa, hai già in mente una canzone, però la canzone non la suoni tu. Magari suoni uno strumento, ma devi spiegare come sarà la batteria, come sarà il basso, come saranno le tastiere, gli archi. Poi ti affidi a delle persone che devono mettere la loro creatività, ma anche ascoltare quello che tu avresti in mente. E quindi si crea un gruppo. La musica è una disciplina che si fa tra amici, con il sorriso sulle labbra. Come disse un musicista che si chiama David Byrne, “La musica contiene la sua ricompensa.”
Granieri. Diceva, a proposito di David Byrne, che la musica in realtà non ti aggiusta un rubinetto che perde, ma in qualche modo ti aiuta a capire il mistero della vita, è così?
Ruggeri. Sì, la musica, insomma, poi se abbinata alle parole, è una serie di domande, spesso senza risposta, una serie di sensazioni, empatia. Scrivere una canzone spesso vuol dire avere empatia con qualcuno e anche spettacolarizzazione, naturalmente, rendere anche delle cose apparentemente insignificanti, importanti. Io dico sempre che sulla vita di ogni essere umano presente al mondo, puoi scrivere una canzone, fare un film, scrivere un libro, puoi fare una piece teatrale, cioè le persone sono interessanti. Io non so se riesco ad amare il mio prossimo come me stesso, però sono molto interessato al mio prossimo. E naturalmente la discriminante è come racconti le storie, non è solo il tema che tratti. Se io ti dico che c’è un ragazzino indebitato che ammazza una vecchia usuraia, è una storia che potrebbe essere tranquillamente all’interno di una canzone trap, “Il ragazzino ha ammazzato la vecchia.” Poi in realtà Dostoevskij ci ha scritto “Delitto e castigo” su questo tema, quindi dipende poi da come le tratti le cose.
Granieri. Tu hai trattato il tema del rapporto padre-figli da una duplice visione, sia come figlio che come padre. Io vorrei partire in questo primo segmento che abbiamo scelto con una citazione di Papa Francesco che riguarda l’orfanezza. L’orfanezza è un tema piuttosto ricorrente nei discorsi pubblici di Papa Francesco. Tu come figlio, in qualche modo, hai vissuto un rapporto particolare con tuo padre, che è molto simile anche alla mia storia personale. Ecco perché, dal mio punto di vista, nella mia storia personale c’è un gancio anche con la tua storia. La citazione di Papa Francesco è questa, e la voglio commentare con te. Lui dice: “L’orfanezza è il sentimento di non avere un padre e dunque di non essere un figlio, di non camminare in un disegno, ma dentro un caso cieco.” Tu hai scritto bellissime canzoni come padre ai tuoi figli. Com’è l’esperienza di Enrico Padre? Parliamo di Enrico prima padre.
Ruggeri. Come tutti i padri di questi anni, finisco per trincerarmi dietro alla frase che la qualità del tempo è più importante della quantità, ma questo già denota una carenza. Chi fa il mio mestiere sa che qualcosa se la perde per strada. Io ho avuto figli di diverse generazioni, perché il più grande ha 34 anni, poi un maschio di 19 e una bambina, un’adolescente irrequieta di 14. Quindi ho avuto due generazioni di figli diverse, perché il 34enne è nato nel 1990, un mondo preciso, completamente diverso. Adesso è un uomo con una fortissima propensione spirituale, più forte della sua passione per la musica. La ricerca di se stesso è stata più importante della sua non-ambizione, anche se scriveva canzoni. I due adolescenti, soprattutto il 19enne, sono totalmente immersi in un mondo complesso che a me non piace, un mondo di desideri totalmente effimeri, di risposte vaghe, con dei tormenti. Per esempio, ogni tanto mi dice: “Papà, ma io non ho una passione come ce l’avevi tu.” E allora io gli dico: “Tu vai avanti a vivere, vedrai che arriverà una passione.”
Granieri. Ha fatto anche lui il musicista?
Ruggeri. No, il grande. Il 19enne ascolta musica, che io ritengo orrenda.
Granieri.
Che musica ascolta tuo figlio?
Ruggeri. Quella che… (applauso) se ridono e applaudono… già sanno.
Ascolta dei cantanti per i quali la detenzione fa parte del curriculum. E’ così. E’ un bonus, un plus. E’ una cosa fondamentale, più che imparare a scrivere una canzone. E quindi naturalmente la cosa curiosa e terribile è che, quando aveva 7-8 anni, ascoltava i Led Zeppelin assieme a me, il suo pezzo preferito era un pezzo dei Joy Division. Poi arriva a scuola con altri bambini che probabilmente hanno anche loro i genitori che gli hanno fatto sentire Led Zeppelin, e per motivi complessi che non riesco bene a capire, a un certo punto si fossilizzano tutti su un tipo di musica con l’aggravante rispetto alla mia generazione che, nella nostra generazione, era fondamentale distinguersi. Tutti dicevano “mi piace quello”, tu dicevi “sì, forte”, però andavi a cercarti quello che non piaceva a nessuno, cercavi di essere particolare, mentre oggi c’è una generazione di terrorizzati al pensiero di uscire dal cerchio, e questo naturalmente mi amareggia. Spero che sia un periodo che passi.
Granieri. Hai scritto una canzone molto bella, a cui io sono molto legato, si intitola “E Geppetto rimase di nuovo solo”. Questo poi ci collega anche al secondo segmento che parla del tuo rapporto stretto con la letteratura. Mi ricordo nella mia esperienza di figlio con mio padre che questa canzone arrivò in un momento in cui, finalmente riconciliato con la figura di papà, pochi mesi dalla sua morte, vedevo mio padre che in qualche modo cercava di comunicarmi qualcosa, dopo 50 anni di silenzi, di lotte, di divisioni, eccetera. Lui non accettò mai la mia vocazione sacerdotale, eccetera. Ricordo che, non riuscendo proprio perché povero di vocabolario, a raccontarmi quello che provava nei miei confronti, di ritorno dalla chemioterapia ascoltavamo la tua canzone “E Geppetto rimase di nuovo solo” perché volevo che quelle parole fossero lui a dirmele. Adesso vediamo un contributo con le avventure di Pinocchio perché tu sei, lo dici nel libro “40 vite”, rimasto affascinato da questa figura di Geppetto, un uomo solo desideroso di amore.
SLIDE:
Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso. “Me lo merito” – disse allora fra sé. “Dovevo pensarci prima! Oramai è tardi”. (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)
Per qualunque padre, per qualunque madre “ormai è tardi”: la decisione di donare la vita porta con sé una responsabilità che non finisce mai. (Le avventure di Pinocchio commentate da Franco Nembrini)
Ruggeri. Beh, intanto nella prima frase c’è gran parte dell’esperienza di essere genitore, cioè dare sapendo che difficilmente riceverai in cambio tutto quello che stai dando. E questa è una cosa che nobilita tutti i genitori, lo sanno benissimo. Quindi, in realtà, il padre che gli fa i piedi e il figlio che usa i piedi per dargli un calcio è, come dire, emblematica, assolutamente sì. Io ho scritto una canzone su Geppetto nel momento della mia vita non felice, ero il classico padre separato che andava a prendere il figlio a certi orari, insomma con la voglia di costruire un rapporto che poi mi riuscì grazie a un concerto. Quando aveva 10 anni, l’ho portato a un concerto di Alice Cooper e lì è nato il rapporto tra me e mio figlio. A un certo punto, non è molto per un sacerdote, però te la racconto, in questo concerto di Alice Cooper usciva una sosia di Britney Spears, che in America era un tema, cioè Alice Cooper rappresentava il rock e Britney Spears l’immondizia. Alice Cooper arriva da dietro e, con uno dei trucchi, per chi conosce Alice Cooper lo sa, questo si fa realmente, arriva con una scimitarra e le taglia la testa con un gioco di luci. Mi immagino che la testa non fosse vera… e Alice Cooper infila la spada nella testa di Britney Spears e la mostra al pubblico grondante di sangue. Mio figlio, a 10 anni, mi dice: “Papà, questo è il giorno più bello della mia vita”, mi abbraccia e da quel momento è nato un rapporto molto stretto. Per cui, vedi, tu vai a cercare…
Tornando invece a Geppetto, Geppetto per me era un simbolo, un uomo talmente innamorato del ruolo della paternità che, non avendo una compagna, costruisce un bambino, costruisce un burattino che diventa un bambino che è causa di tutti i suoi guai, che lui affronta abbassando la testa, con spirito dolce, remissivo. Stavo per dire cristiano, ma soprattutto dolce e remissivo. Il suo amore per il figlio è tale che sopporta tutte le marachelle terribili che gli combina, lo insegue da tutte le parti. Quindi, insomma, era un’immagine forte che ho sposato per una canzone.
Granieri. Quando abbiamo deciso insieme all’organizzatore del Meeting di preparare questo incontro, all’inizio bisognava fare questo incontro insieme al professore Franco Nembrini, che abbiamo sentito prima al telefono, e nel preparare questo incontro Franco mi disse di annotare proprio questo passaggio della tua canzone e di metterlo in parallelo con il terzo capitolo di Pinocchio. Lui, nel commentare il terzo capitolo di Pinocchio, scrive questa frase che mi ha colpito molto: “Per qualunque madre, per qualunque padre, ormai è tardi, così come dice Geppetto nella favola, la decisione di donare la vita porta con sé una responsabilità che non finisce mai.” Questa è la paternità?
Ruggeri. Questa sì, la paternità, la maternità. Il fatto, come dicevo prima, intanto di sapere che ovviamente non si sa se è l’ultima persona che vedrai dal punto di vista tecnico, però i figli sono l’ultima.
Granieri.
Perché nella tua canzone dici, comunque torna, cioè un papà che aspetta comunque un figlio anche se è andato via.
Ruggeri. Ma certo, è nella natura umana. Per cui è un rapporto fortissimo, spesso univoco, non biunivoco. Il mondo è pieno di persone che dicono “poi, negli ultimi anni, nell’ultimo momento prima che morisse, ho trovato la quadratura del cerchio” oppure “ho capito dopo”, però sono pochi quelli che dicono “quando avevo 20 anni e lui ne aveva 50 io ero sempre con lui”, arrivano sempre dopo, come tante grandi cose della vita.
Granieri. Enrico, qui abbiamo sul palco un pianoforte e una chitarra. Non potevamo non approfittare della tua bontà per ascoltare delle tue canzoni. Hai provato all’inizio nel soundcheck la canzone “Dimentico”. Ci farai quella?
Ruggeri. Va bene. Ne parliamo prima.
Granieri.
Lo diciamo al pubblico. Fino a pochi minuti fa io non sapevo quali canzoni avrebbe fatto Enrico, ma vanno bene tutte, perché un uomo che ha 35 album all’attivo, più 4 con i Decibel anche random va tutto bene. “Dimentico” è una canzone molto particolare.
Ruggeri. Ma sì, allora, le canzoni si scrivono perché qualcosa ti sconvolge, arriva una sensazione forte che spesso è l’amore, ma non necessariamente è solo quello. Mi è capitato, perché come Presidente della Nazionale Cantanti, abbiamo fatto una partita a favore di un’associazione che si chiama La Meridiana, di passare prima qualche ora e poi di tornare in un posto dove sono ricoverati malati di Alzheimer. Intanto, la prima cosa che mi ha stupito è che uno pensa ai malati di Alzheimer e pensa a un 80enne, un 90enne. Non necessariamente, c’erano delle persone che non avevano compiuto 60 anni. Poi naturalmente il rapporto più sconvolgente è quello con i parenti, perché il malato di Alzheimer vive un paio d’anni nei quali inizia a vergognarsi, sente che sta perdendo colpi, si chiude in se stesso, si vergogna, dopodiché quasi sempre entra in una sorta di oblio ovattato per il quale, per quello che ci è dato a sapere, forse la vita non è neanche così infelice. Naturalmente lì la tragedia, la difficoltà, è nei familiari che vedono un genitore o addirittura un marito, un fratello, che perde colpi. Io lo so, mia madre e le mie due zie, cioè le persone che mi hanno cresciuto, sono morte molto avanti con gli anni, quindi non avevano l’Alzheimer, però perdevano colpi. Io dovevo veramente fare appello a tutto il mio amore, a tutta la mia pazienza, perché le andavo a trovare e vedevo queste donne che ricordavo, dinamiche, intelligenti, colte, curiose, cominciare a non essere all’altezza della situazione, e facevo fatica a non andar via. Qualche volta mi è capitato di fingere un impegno perché non reggevo il colpo. Quindi immagino la situazione dei parenti che sono in balia del destino, dovendo accudire delle persone che magari non le riconoscono. Anzi, siccome qua siamo in tanti, per un calcolo probabilistico c’è qualcuno che, quando finirà questa serata o questa settimana, tornerà da un nonno, da un padre, da un parente e avrà questo problema. Quindi a questa persona misteriosa io mando un abbraccio.
Granieri. Anche noi. Chiamiamo sul palco il maestro. Enrico, lo vuoi presentare? Un applauso anche al maestro Francesco Luppi che accompagna Enrico.
ENRICO RUGGERI CANTA “DIMENTICO”
Granieri. Posso dire da pelle d’oca. Allora, rimaniamo sempre in tema genitori-figli, però stavolta l’esperienza tua di figlio.
Ruggeri. Beh, non facile, molto particolare, perché non so come definirla. Mio padre era sempre stata una persona strana, non ha lavorato un giorno della sua vita, ha dilapidato un patrimonio di 3-4 generazioni, e devo dire di questo lo ringrazio perché io sono nato con un disprezzo del denaro aristocratico con la rabbia del povero, niente di che insomma, mia madre insegnava, diciamo del piccolo borghese. Quindi sicuramente se quel patrimonio di 4 generazioni fosse arrivato a me, probabilmente avrei avuto qualche molla, qualche spinta in meno nella vita, quindi di questo non lo rimprovero assolutamente. Era una persona con un’intelligenza superiore, totalmente disapplicata alla vita. Leggeva, ascoltava musica classica ma senza creare un ponte tra la sua cultura e la vita normale. Poi è andato peggiorando e a un certo punto ha smesso di comunicare, il mondo non gli interessava più, e questo è avvenuto peraltro negli anni chiave miei, io avevo 25 anni, quindi stavo andando a prendermi la vita, quindi probabilmente non ho saputo dedicare alla vicenda le attenzioni che la vicenda avrebbe meritato, e quindi è morto di consunzione quando avevo 26 anni. Poi rimane “se avessi potuto, se avessi fatto”, tutte queste cose qua. È una persona che sogno molto spesso. È curioso perché poi in realtà mia madre mi ha dato tutto, il triplo di tutto, e io sogno mio padre, forse perché con mia madre c’è stato un rapporto normale, affettuoso, di madre che ha difeso il figlio, lo ha mantenuto, gli ha pagato le rette universitarie anche quando non era più il caso di farlo, eccetera. Però sogno mio padre, mi fa piacere che accada, forse perché il rapporto con lui è stato incompiuto. Il problema nella vita è che spesso, non avendo mai avuto figure maschili, io avevo madri, zie, zie senza figli, quindi fino ai 14 anni pensavo che la donna fosse un essere mandato da Dio per renderti felice. Quando è arrivata la pubertà, sono passato al pensiero che la donna era un essere mandato da Dio per metterti alla prova. Poi, naturalmente, non era vera né una cosa né l’altra. Con un’altra quindicina d’anni di fatiche sono arrivato all'”in medio stat virtus”. Comunque, spesso ho sbagliato rapporti di lavoro perché ho riversato in rapporti di lavoro quella sete di amicizie e di complicità maschili che mi hanno causato delle fregature, insomma, tutto va.
Granieri. Ritorno di nuovo sul testo di “E Geppetto rimase di nuovo solo” perché, sempre preparando l’incontro con il professore Nembrini, abbiamo notato che c’era una similitudine con un canto che appartiene alla tradizione della fraternità di Comunione e Liberazione. Nel tuo testo, “Io che ho scavato nel legno per dargli una vita, torna e vedrai, saprò parlarti, staremo bene in due”. Dicevamo prima questa promessa, cioè il padre comunque rimane padre, al di là della scelta che compie il figlio di andare via di casa. Però io e te abbiamo vissuto un’esperienza simile, che è l’orfanezza. Noi questa promessa non l’abbiamo ricevuta dal nostro papà.
Ruggeri. Però uno cerca di cambiare il mondo nel suo microcosmo. Anzi, in realtà, spesso accade esattamente l’opposto. Non voglio che mio figlio abbia a soffrire di mancanze, quindi, anzi, diverso di più. Esatto. Così andrebbe fatto.
Granieri. Esatto, infatti, questa verità che tu dici l’abbiamo trovata in un canto di Claudio Chieffo, il compianto Claudio Chieffo che ha interpretato dal punto di vista musicale la spiritualità appartenuta a Luigi Giussani e ai suoi figli. Io direi, ti faccio vedere una clip.
VIDEO: MARTINO CHIEFFO CANTA “MARTINO E L’IMPERATORE” di Claudio Chieffo
Era la canzone “Martino e l’imperatore”, scritta da Claudio Chieffo. Martino era il giovane che ha cantato questa canzone. Saluto Martino e Benedetto che ci hanno dato l’ok per vedere questo video. Abbiamo fatto questa sinossi tra il tuo testo e il testo di Claudio Chieffo. Claudio scriveva, scrivendo al figlio Martino, “Credi solo nel nostro padre che è venuto e che verrà. Tieniti stretto alla mia mano anche se non ci sarà.” Cosa ne dici?
Ruggeri. Qui la ricerca, il padre con la prima maiuscola è un altro padre.
Granieri. Hai scritto una canzone “Padre nostro”.
Ruggeri. Ci sono tanti momenti nelle mie canzoni nei quali mi rivolgo in alto. “Padre nostro” è una di queste. Entriamo in un tema importantissimo.
Granieri. Tu senti questa mano di Dio?
Ruggeri. Assolutamente sì. Temo che, se uno mi chiedesse, “Ma tu sei un credente?”, darei quella terribile risposta che danno ormai milioni di italiani: “Sì, sono credente, però non vado qua, non vado là”, eccetera, eccetera, che non mi fa onore. Però in realtà io sento una presenza che mi accompagna. Non ho dubbi in questo. Non ho dubbi nel fatto che, al di là dell’egoismo di dire “la preghiera è un atto consolatorio” pregare mi fa stare meglio, però questo può voler dire poco. In realtà io ho un dialogo, sento che tutto questo nostro percorso terreno non è fine a se stesso. Naturalmente non posso dimostrarlo, però dentro di me lo sento concretamente. Non so come, quando, in che modo. Spero che sia nel tuo, cioè in quello che tu professi. Spero tantissimo che tu abbia ragione al 100%.
Granieri. Anch’io ho dei dubbi, però siamo in ricerca, in cammino.
Ruggeri. Se poi c’è una moratoria sui reati a sfondo piccante, andiamo in paradiso tutti.
Granieri. Il Signore misericordioso, ama tutti. Adesso c’è la prima sorpresa, Enrico, per te. A proposito di padre, tu hai scritto tre canzoni, “Polvere”, “La medesima canzone”, che non canti mai dal vivo.
Ruggeri. Ma no, perché è una canzone che mi viene chiesta, perché non è una canzone da album, ma in più si riferisce a un episodio preciso, molto doloroso, che a un certo punto mio padre viene ricoverato a Niguarda, Padiglione Origgi, e viene messo proprio con i matti. Vedo una serie di persone, capisco che ognuna ha un demone diverso dall’altro, ma sono messi tutti assieme, persone miti, persone aggressive, persone sole, persone iper-sociali, troppo sociali, e quindi insomma capisco la follia di tutto questo e scrivo una canzone. Ne ho scritto anche un’altra che si chiama “La preghiera del matto”…
Granieri. E ti fermo. Ti fermo. Cosa scrive Enrico in “40 vite” riguardo “La preghiera del matto”? “La preghiera del matto è uno dei migliori testi che io abbia mai scritto, con il racconto del dolore lacerante di chi si rende conto che si è rotto qualcosa in quel punto misterioso che sta tra anima, cervello e cuore. Ancora una volta, mentre scrivevo, il pensiero andava a mio padre.”
Villa. Io sono l’ospite che vaga dentro a un cortile con il pensiero lento più del passo, come un maiale nero abbandonato in un porcile a cui si tira un sasso. I miei ricordi del passato non ho più per il troppo dormire. È tutto quanto confiscato e non c’è più. L’hanno fatto sparire. O Gesù mio, figlio di Dio, abbi pietà di tuo figlio. O Gesù mio, o Gesù mio, lascia un sorriso per me. Io sono il peso su coscienze poco attente alla vita, opulente e sposate tra loro. Sono la carta rovinata dentro alla partita, canto fuori dal coro e mangio pane e bevo vino che non ha più quel santo sapore e devo chiudere la porta sopra il mio vergognoso dolore. O Gesù mio, figlio di Dio, abbi pietà di tuo figlio. O Gesù mio, o Gesù mio, lascia un sorriso per me. Sono il custode di una cattedrale abbandonata, senza minimi cenni di vita. Sono la rondine a cui l’ala è stata frantumata a estate finita. Nella voragine dei miei silenzi c’è il destino di un uomo, ma della voglia di morire chiusa in me. Io non chiedo perdono. O Gesù mio, figlio di Dio, abbi pietà di tuo figlio. O Gesù mio, o Gesù mio, lascia un sorriso per me. O Gesù mio, figlio di Dio, abbi pietà di tuo figlio. O Gesù mio, o Gesù mio, lascia un sorriso per me.
Granieri. Mi devo riprendere anch’io perché è stato commovente. Questa è la canzone “La preghiera del matto”, di cui parlavamo prima. Abbiamo deciso di recitarla perché nella tua scrittura la parola ha una forza creatrice incredibile. Quindi recitare il testo significa esaltare anche la forza della parola nelle canzoni. Credo sia un po’ la tua cifra stilistica. Tu sei amante della letteratura, sei un romanziere, sei uno scrittore.
Ruggeri. Scrivo romanzi.
Granieri. Ragazzi, uno dei romanzi più belli che abbia letto negli ultimi anni è “Un gioco da ragazzi”, poi ne parliamo. Il rapporto con la letteratura per te è veramente molto stretto. Dicevi prima nelle interviste che abbiamo fatto, anche a Radio Vaticana c’era anche il direttore dell’Osservatore Andrea Monda, dicevi che un artista più legge libri più è capace di scrivere, di andare a fondo.
Ruggeri. Assolutamente, io credo che una cosa che salta all’occhio è che le canzoni di oggi, quelle almeno che sentiamo, e non è detto, ci sono anche delle cose interessanti ma non sono certamente quelle che sentite quando salite in macchina e accendete la radio, sono scritte da persone che non hanno letto, che usano 500 parole invece di 50.000, che hanno, come direbbe Gaber, lo scopo dichiarato di passare alla cassa e non alla storia, e quindi sono miserrime. Ma il discorso è complesso, oggi la discografia non ha più tempo per investire. Io sono figlio di una generazione alla quale facevano contratti per cinque album, che vuol dire, puoi anche sbagliare, può anche darsi che la gente non si abitui a te immediatamente, ma noi crederemo in te e investiremo forza, denaro, forza lavoro, persone e speranze. Per cui è un mondo completamente diverso. Però indubbiamente, insomma, io credo che leggere sia fondamentale nella vita. Però se vuoi scrivere, non puoi non leggere. È proprio strutturalmente impossibile.
Granieri. Abbiamo fatto un gioco grafico, abbiamo cercato di mettere, come se fosse un grande puzzle, i romanzi, i libri che sono citati o comunque che sono stati per te fonte di ispirazione. Ho provato a fare un elenco, vediamo se ci sono riuscito. “Frankenstein” di Mary Shelley, hai dedicato un intero album, anzi addirittura poi hai fatto una seconda versione di “Frankenstein”.
Ruggeri. “Frankenstein” è un prodigio scritto da una 19enne che, secondo me, scrive un libro che va al di là di quello che lei voleva scrivere, perché le è esplosa una bomba in mano. “Frankenstein” è una storia intanto di ambizione. Il professor Frankenstein vuole diventare il numero uno. La filosofia incontra l’etica, la medicina, non gli importa niente di nulla, vuole diventare il numero uno, e asseconda quella che è una tendenza sempre più pericolosa dell’uomo, la paura di morire, di invecchiare. Guarda cosa succede oggi, lifting, parrucchini, ma non io, però tutti noi cerchiamo di spostare il pensiero della morte. Poi c’è il tema dell’amore: il mostro quando si arrabbia veramente? Quando va dal dottor Frankenstein e gli chiede una compagna. Dice: “Se tu mi costruisci una compagna io vado via, tu non avrai più mie notizie”. Il dottore, che aveva già fatto abbastanza casini, ha paura e non lo fa, e lui lì si arrabbia veramente, gli ammazza la fidanzata, eccetera. Per cui il pensiero che l’amore è un bene primario, esattamente come bere, mangiare e dormire, c’è anche quello. Poi c’è l’incontro con l’infinito, alla fine, i due vanno incontro alla loro fine assieme, in fondo padre e figlio in un certo senso. Quindi è un romanzo di un’attualità incredibile. C’è anche la diversità, perché a un certo punto il mostro incontra una bambina. La bambina è innocente e lì chissà se la Shelley ha capito la genialità di quel momento. La bambina gioca col mostro perché per lei non è un mostro, è semplicemente un omone grande e diverso. A un certo punto arrivano i genitori, urlano, e la bambina si spaventa, e in quel momento lo vede come mostro. Quindi un architrave che c’è, che è stato costruito ma che tu da bambino non hai, quindi anche il tema così attuale della paura, della diversità. Insomma c’è veramente di tutto in questo romanzo, e io ci ho fatto un album concept dove ho scritto le canzoni in quell’ordine, le ho registrate, le ho suonate, registrate e mixate in quell’ordine in cui le ho composte.
Granieri. E torniamo al tema della Trap, con due citazioni che ho scelto. La prima è di Lorenzo Milani, tratta dal libro “La parola fa eguali”, e la seconda di Orwell. Perché secondo me il problema della Trap è un problema proprio di linguaggio, lo dicevamo prima. Don Lorenzo scriveva: “Abbassarsi al loro linguaggio e non dire più cose alte, a me non va.” Orwell, nel famoso romanzo “1984”, scriveva: “Che bella cosa, distruggere le parole.”
Ruggeri.
Sì, che in realtà viene detto, non da Winston, ma dai suoi carnefici. “1984” è veramente un libro che, riletto oggi, non devi leggerlo se sei una persona impressionabile, perché è un libro terribile. Raramente un essere umano ha scritto un libro così anticipatore. Il discorso di distruggere le parole, di distruggere il passato, di riscrivere il passato, di pilotare le decisioni. Orwell aveva capito nel ’48, quindi è appena finita la guerra, che da quel momento non ci sarebbero più state le dittature,quelle in cui tu arrivi col mitra, entri nei palazzi del potere, prendi la televisione, ma che le dittature sarebbero state in maniera più dolce, più sottile, insinuante. La dittatura, per esempio, è convincerti: tutti i grandi tiranni hanno prosperato convincendo qualcuno che doveva avere paura di qualcosa. Hitler, gli ebrei sono la causa dei vostri guai economici, la crisi del ’29, colpa degli ebrei, ma io vi posso difendere da loro. Il comunismo, non ne parliamo, il capitalismo distruggerà, eccetera, ma io vi posso difendere da loro. Le analogie con quello che è successo tre anni fa… c’è una malattia terribile, ma io vi posso difendere, basta che obbediate a delle regole senza senso, è abbastanza evidente. Io temo che sia stata una prova generale.
Granieri. Insomma, c’è bisogno, Enrico, di una rivoluzione, e arriviamo al disco “La rivoluzione”. C’è questa meravigliosa copertina che è stata una sorpresa per tutti.
Ruggeri. Mi sa che un paio sono qua.
Granieri. Già li hai visti, ti hanno già messaggiato…
Ruggeri. Allora, questa è la seconda H, liceo Berchet di Milano. Avevo pensato a varie copertine per un album che si chiamasse “La Rivoluzione” e che raccontasse anche la storia di una generazione particolare come la mia. Poi stavo mettendo veramente… sono quelle cose che in genere i cantanti raccontano, ma non sono mai vere, ma invece è stato così: la copertina stava per andare in stampa e io stavo rimettendo a posto dei cassetti, ho visto questa foto e ho detto: “Questa è la copertina”, perché sto parlando di queste persone qua. Ascoltiamo la canzone, “La rivoluzione”. Altra postilla, questa canzone parla di una generazione come la mia che è stata da un lato superfortunata, cioè noi abbiamo beccato la musica migliore possibile, qualsiasi genere ti piacesse. Ti piacevano le grandi canzoni? Avevamo i Beatles. Ti piaceva il Progressive? Avevamo gli Yes, i Genesis. Ti piaceva il Rock? Avevamo i Deep Purple. Ti piaceva il Rock più sofisticato? C’era David Bowie e Lou Reed. Poi è arrivato il Punk, abbiamo avuto il meglio. Io ho visto dei concerti incredibili, per questo quando mi chiedono: “Ma chi ti piace oggi?” Io sono imbarazzato, ma con quello che ho avuto io mi ascolto quelle cose lì, cioè non mi interessa, non mi interessa, è vero. Per contro, la nostra è anche la generazione degli anni di piombo, è la generazione della violenza, in quel libro ne ho parlato parecchio, è la generazione nella quale, come manovra di marketing, arriva l’eroina. Ognuno, o ogni persona della mia generazione ha qualche amico che è morto o di eroina o di AIDS dopo. Quindi è una generazione che ha vissuto un tale saliscendi emozionale che si colloca in un modo diverso, cioè una generazione che ha subito e goduto in maniera infinitamente superiore a tutte le altre, sempre con una parola che girava, che era la rivoluzione.
ENRICO RUGGERI CANTA: LA RIVOLUZIONE.
Granieri. Allora, in questa fotografia… noi del Vaticano abbiamo i nostri servizi segreti, quindi le nostre informazioni. Allora, c’è l’ultimo in basso seduto, si chiama Maurizio Floris, è stato il mio gancio. Poi ti spiego come sono arrivato a lui.
Ruggeri. Perché c’era molto CL in questa foto. Praticamente, allora, al Berchet o eri a sinistra del Partito Comunista Cinese, come diceva Paolo Villaggio, o eri di CL o suonavi. Non c’era una quarta possibilità.
Granieri. Noi abbiamo trovato, penso che forse la carrambata ti sia stata anticipata, abbiamo trovato due di CL, penso, perché sono qui al Meeting, e sono in questa foto. Io li chiamerei qui sul palco. Sono Laura Belelli e Dario Frisio. Vi invito a venire qui sul palco. Questa è proprio una carrambata questa qui, eh. Ciao, Laura, è un piacere, ci mettiamo qui. Allora io adesso veramente invoco la buonanima di Raffaella Carrà, ci guarderà dal cielo.
Un aneddoto su Enrico, una cosa simpatica che non ha mai rivelato, non ha mai detto. Come era in classe? Che tipo era?
Belelli. Allora, prima di tutto, questo è uno scherzo da prete.
Granieri. Eh vabbè, ci sta, ci sta. Solo noi siamo capaci di fare queste cose. A proposito, dove siete in foto voi due?
Belelli. Io sono seconda fila, quella con i capelli lunghi. Quarta da sinistra.
Ruggeri. Maurizio Floris è quello in basso a sinistra.
Belelli. Cinquant’anni fa.
Granieri. Seconda H del liceo Berchet.
Belelli. Seconda H. Allora, come diceva Enrico, bisogna un attimo pensare come erano quegli anni, i primi anni ’70. Il Berchet, il liceo classico, eravamo a Milano nel cuore della competizione per affermare una verità, in qualche modo.
Ruggeri. Quello più per bene di quella parte lì era Gad Lerner. Era quello più moderato.
Belelli. Quindi noi, io e Dario, che eravamo di GS, era una bella presenza e lottavamo perché la rivoluzione la facevamo, cioè lottavamo perché ci fosse la possibilità di una presenza anche dei cristiani e di una comunità cristiana, perché pensavamo che la salvezza o comunque un cambiamento positivo della società potesse essere fatto non solo…
Ruggeri. Avete sfiorato il ritorno nelle catacombe.
Belelli. Esatto. Abbiamo difeso la possibilità di non tornarci anche. Tu sai bene, menati ripetutamente… Io mi ricordo una cosa che devo dire di Enrico. Beh, si può capire da tutti gli accenni che faceva anche alla letteratura che lui, anche se non mirava al voto, però studiava, leggeva, gli piaceva la letteratura greca, latina, inglese. Ma se penso a quell’epoca lì, in cui la parola era soprattutto slogan, slogan della sinistra extraparlamentare, tante volte anche slogan nostri, invece lui si distingueva perché aveva la poesia. Cioè, anche quando non cantava in classe, arrivava lì e magari ti prendeva un po’ in giro per tutto quello che era l’ambaradan che era successo magari in quei giorni, con una citazione magari di un poeta inglese, anche canzoni ovviamente, soprattutto canzoni inglesi, ma anche poesia. Io ritengo infatti che lui abbia tante doti, ma soprattutto è un poeta.
Ruggeri. Grazie, grazie.
Frisio. Ma io vado un po’ più indietro.
Ruggeri. Noi eravamo assieme in prima elementare.
Granieri. Ah, proprio fratelli gemelli.
Frisio. Alla fine della prima elementare vedemmo arrivare questa faccia simpatica e intelligente.
Ruggeri. Uditore si chiamava. Mi hanno messo in banco con te.
Frisio. Siamo andati avanti fino alla terza liceo classico. Non diciamo quanti anni fa…
Ruggeri. Ormai vai a fare i conti, sì.
Frisio. Impressionante. Allora, quello che dicevi prima sulla musica, perché noi due avevamo diverse passioni in comune. Anzitutto l’Inter.
Ruggeri. Questo creerà una spaccatura.
Frisio. Secondo il Manchester United. Perché c’era Best.
Ruggeri. C’era un giocatore, George Best. Erano ancora gli anni in cui il fantasista aveva la maglia numero 7. Best aveva i capelli lunghi.
Frisio. Per cui era il suo idolo in assoluto. E poi la musica, perché a tutti e due piaceva molto la musica.
Ruggeri. Lui aveva un fratello più grande che ci iniziò ad una serie di cose musicali.
Frisio. …e iniziammo a strimpellare, cioè a fare rumore insieme. Lui però era il maestro concertatore, nel senso che aveva già allora la passione per la musica molto più spinta di noi. Ma la cosa. importante è che noi ci divertivamo a fare una specie di musica, però da lì nasce la sua carriera, mi ricordo di esibizioni, diciamo un po’, davanti alle sue mitiche zie.
Granieri. Le prime fan. La prima fan base di Enrico Ruggeri.
Frisio. Enrico è sempre stato così. Nel senso che aveva questa passione, questa voglia. L’altra cosa è il suo amore per la letteratura. Lui mi regalò, credo alla fine elementari, l’opera omnia di Rudyard Kipling. Alla fine delle elementari.
Ruggeri. Rudyard Kipling mi piaceva.
Granieri. Un bel tipo, Enrico. Abbiamo una sorpresa, la commentiamo tutti e tre. Riconoscete questo Enrico?
Frisio. Sì, Enrico delle Cantine.
Granieri. Maurizio Floris aveva questo rullino, mai sviluppato, di un concerto del ’74 di Enrico, e per gentile concessione l’ha donato al Meeting. Eccolo qui. Ti riconosci Enrico in queste foto?
Ruggeri. Sì. Era una cantina, come sempre il padrone della cantina era il batterista, perché aveva uno strumento che non poteva essere suonato in casa, quindi c’erano una serie di batteristi a Milano ambitissimi, non tanto per come suonassero, ma perché avevano il posto per suonare. Si chiama Maurizio Franzosi, me lo ricordo. Figlio di un grande portiere dell’Inter, Maurizio Franzosi, ma questo è ininfluente. All’inizio suonavo indegnamente il basso e qui mi sa che Frisio lo becchiamo.
Granieri. Questa è la prima H, è il primo anno.
Ruggeri. In fondo a destra c’è Frisio, e io sono quello con i capelli… sì, non facciamo ironia, ma insomma ero quello con più capelli.
Granieri. Però c’è anche una dedica molto bella dietro questa foto. La prima H senza Enrico sarebbe come l’Inter senza Mazzola. Perciò riguardatelo Enrico in tutta la sua accecante bellezza. Enrico the best.
Ruggeri. Avevo già degli amici che mi volevano bene al di là di tutto.
Granieri. Grazie, grazie a voi della disponibilità. Grazie di cuore. Grazie agli amici di Enrico. Eh beh, una bella carrambata. E a proposito di Comunione e Liberazione, c’è questo meraviglioso romanzo, veramente una delle cose più belle che ho lette della letteratura italiana negli ultimi anni, “Un gioco da ragazzi”. È un libro incredibile. C’è tutta la storia.
Ruggeri. Ma sì, è la storia… Intanto è un libro che è stata la prima volta che io sono riuscito a dedicarmi a un progetto per dei mesi, e devo dire grazie al lockdown, perché arriva un momento nel quale, come tutti, avevamo un sacco di tempo libero, e io, che ho avuto come forse caratteristica, non voglio dire pregio o difetto, ma io ho passato la vita… Iniziavo a lavorare a un disco, poi preparavo la tournée, poi scrivevo una cosa e poi ne facevo un’altra, cioè ho sempre fatto fatica a portare avanti un progetto alla volta. E con il lockdown, se dormi sette ore ne avanzavano diciassette, una per mangiare sedici, una per stare in palestra, avevo già una palestrina, quindi per fare un po’ di ginnastica quindici, restavano quindici ore. E quindi mi sono buttato su questa storia che forse non avrei mai finito se non ci fossero stati quei quattro mesi, in questo caso per me provvidenziali. Ho scritto un libro nel quale ogni pagina era un campo minato. Perché il libro è la storia di due fratelli, uno nato nel 1955 e uno nel 1956, che vengono educati dalla famiglia a un grande senso della giustizia. Questo però fa sì che uno dei due fratelli riversi il suo senso della giustizia in quella che lui pensava essere la voglia di uguaglianza e quindi piano piano si sposta e diventa un terrorista rosso. L’altro fratello, il suo senso della giustizia è sentire quella prevaricazione che c’era, come parlavamo prima, che dovevi essere per forza di sinistra, quindi diventa di destra fino alla deriva di diventare un terrorista nero. Poi c’è la sorella che cerca di equilibrare, insomma è una storia molto complicata, dove la maggior parte degli episodi si appoggia a episodi realmente accaduti, terribili di quegli anni. Però, naturalmente, il mio principio era l’equidistanza, la pietas e l’equidistanza. E quindi bastava un aggettivo sbagliato e la pagina pendeva da una parte o dall’altra. Ci ho messo veramente tanto a scriverlo.
Granieri. A proposito di Comunione e Liberazione, tu citi in un episodio del libro su un’assemblea studentesca. All’inizio del 25esimo capitolo tu scrivi: “L’assemblea continuava, si parlava di come un omicidio potesse essere giustificabile quando la vittima era un aguzzino del popolo. Un ragazzo di Comunione e Liberazione, l’associazione cattolica che era da sempre guardata con sospetto e ostilità, provò a dire che in un paese civile nessuno può troncare una vita umana. Non ci si può mettere sullo stesso piano di chi sbaglia”. Questo ragazzo venne sommerso dai fischi. Era così per CL?
Era così. Il Berchet era veramente una palestra di vita durissima, come palestra di vita vuol dire anche vedere delle ingiustizie e dover comunque andare avanti, con una relativa possibilità di protestare, molto relativa. Però sai, lì si formava una classe dirigente, dal Berchet sono usciti magistrati, sono usciti giornalisti, sono uscite persone di potere.
E’ nato il movimento di Comunione e Liberazione.
La sinistra ebbe un’intuizione che la destra non ebbe, cioè quella di investire nella cultura per andare a occupare ruoli chiave. La destra non ha avuto questa intuizione negli anni ’60-’70, o non ha potuto averla. È un dato di fatto. Va detto anche che l’arrivo di Berlusconi è stato un po’ il carico da undici su questo problema, perché può piacere o non piacere, di certo insomma non ha investito sulla cultura, su questo siamo d’accordo. Quindi in realtà la destra è ripartita con trent’anni di svantaggio. Adesso arrivano i Marcello Veneziani, i Buttafuoco. Piano piano si arriva a pensare che può esistere un intellettuale di destra, o comunque un intellettuale non di sinistra. Ma allora era improponibile e in effetti non succedeva. Ti faccio vedere una foto.
Ruggeri. Ma non l’ho mai vista, questa foto.
Granieri. Allora, è una foto che risale al 1975, David Bowie, che per te è un punto di riferimento importante, con la statua di Dante Alighieri. Qualche anno fa uscì questa famosa lista dei 100 libri più amati di David Bowie, non so quanto sia vera, perché poi non ho mai verificato la fonte di questa notizia, e tra i libri che lui amava c’era la Divina Commedia di Dante, e soprattutto la Cantica dell’Inferno. Cosa ha rappresentato per te David Bowie?
Ruggeri. Oltre a aver scritto canzoni meravigliose, ma questo è soggettivo, quasi oggettivo, David Bowie ha cambiato mille volte. David Bowie arriva finalmente al successo, lui nasce nel ’47, quindi il successo vero è quando crea il personaggio di Ziggy Stardust, questo alieno con gli Spiders from Mars, con i ragni di Marte. Ha un successo che sta diventando planetario, è il ’72, lui ha 25 anni e si sta per prendere il mondo in mano. Nel giro di un anno, nel luglio ’73, lui fa un concerto all’Hammersmith di Londra, e dice: “Questo è il mio ultimo concerto”. Non il mio ultimo di David Bowie, ma il mio ultimo del personaggio Ziggy Stardust. Riappare pochi mesi dopo in America vestito di bianco, che fa un altro tipo di musica, poi fa ancora altre cose, poi va a Berlino e fa la trilogia berlinese insieme a Brian Eno e Robert Fripp. Poi fa altre cose ancora, cioè di David Bowie ammiro il fatto che non si è mai adagiato, non ha mai pensato al mercato, oppure, essendo stato un venditore formidabile di dischi, in un mondo nel quale molto spesso gli artisti fanno i loro dischi migliori da giovani e poi vanno un po’ a calare, lui scrive un album meraviglioso che è “Blackstar”, il suo ultimo album, e lo scrive sapendo che stava per morire. A un certo punto il suo produttore storico, che si chiama Tony Visconti, che ancora non sapeva nulla, aveva capito qualcosa ma non sapeva nulla, gli dice: “David, hai fatto un album meraviglioso, ci vorrebbe una grande operazione di marketing”. E Bowie, sereno, sorridendo, gli risponde: “Ho in mente la più grande operazione di marketing che tu possa immaginare”. E Bowie muore il giorno dopo l’uscita di “Blackstar”.
Granieri. Il tema della morte è presente nelle sette tracce di questo disco di David Bowie. Io, per esempio, che amo Bowie, ho impiegato un anno e mezzo ad ascoltare il disco. Ho visto in qualche intervista che anche tu hai fatto fatica ad ascoltare quel disco.
Ruggeri. Molta fatica, però è anche vero che è curioso il fatto che così poche canzoni siano state scritte su un tema come la morte. In realtà noi viviamo in una società che rimuove questo, facci caso, nei telegiornali. La gente usa la parola morte impropriamente, tiro a foglia morta, binario morto, ha fatto la mano morta… Poi, quando muore qualcuno, si è spento, ha perso la sua battaglia, ha cessato di vivere. Hanno paura di dire “è morto”. I cimiteri vengono messi fuori come a esorcizzare in maniera sbagliata un evento che, ahimè, intanto è naturale. È un motore formidabile, perché tu pensa se non esistesse la morte: ma che ti importa a te di stare lì a salvare anime, a me di scrivere canzoni? Ognuno sposterebbe il tema in avanti, perché tanto tempo c’è. Invece la morte è un motore. Tu devi lasciare un segno del tuo passaggio, quindi ti devi svegliare, devi fare delle cose subito, prima possibile, perché non sai quanto tempo avrai a disposizione per mettere a frutto i tuoi progetti. È un tema… per qualcuno è una fine, per qualcun altro è un inizio. Io ho scritto una canzone che si chiama “Forma 21”. La Forma 21 è una figurazione del Tai Chi. Il Tai Chi è una via di mezzo tra una ginnastica, un modo di pregare, una disciplina orientale. Lou Reed stava eseguendo la Forma 21, che è quella nella quale tu alzi le braccia verso il cielo. C’è la moglie che lo sorregge e lui muore con le braccia rivolte verso il cielo. Lou Reed, uno che ha vissuto una vita, dire laica è poco, muore con le braccia rivolte verso il cielo, e la moglie dice: “Ho visto nei suoi occhi un’espressione di stupore”. Siccome anch’io ho avuto la vita, mi ha messo nella condizione di vedere delle persone nei loro ultimi istanti, e ho visto sempre questa espressione di stupore. Vedo qualcosa che non posso raccontarti. Questa per me è la grande speranza.
Granieri. Grazie. A proposito di David Bowie e di “Blackstar”, c’è una canzone che mi ricorda molto le sonorità di “Blackstar” ed è “Il punto di rottura”.
Ruggeri. Beh, sono le canzoni nelle quali si esorcizza la disperazione, il momento in cui tutto va male. La canzone è anche uno spettacolo della sofferenza che chi scrive ha il dovere di raccontare. Per cui spesso si va a pescare anche in sensazioni forti.
Granieri. Spiego “Il punto di rottura” così come Enrico la descrive nel suo libro. “Il punto di rottura si avvaleva di un testo molto intenso. C’era una ragazza che da Pescara veniva a quasi tutti i nostri concerti. Ogni volta che partiva questo brano scoppiava a piangere, cosa che mi gratificava perché dimostrava quanto una canzone possa segnare la nostra vita.”
Villa. Portare avanti certi amori che non hanno senso e rifiutarsi di morire e ribellarsi al tempo e riscaldare una serata con un fuoco spento dal vento. Non so come ci sono arrivato. Non so quando è che tutto è cambiato, però ho solamente provato a riprendere i crediti dati alla vita. Io ho cercato semplicemente amore. Quando ti ritrovi con le spalle al muro, quando ciò che vedi non ti sembra vero, quando stai cadendo e non ti sai fermare e ti manca perfino la solitudine, quando nello specchio ti fai paura, quello è il punto di rottura e non si torna indietro più. Ma non è facile la scelta di guardarsi dentro. Tirare fuori quella lama conficcata in centro e non c’è modo di trovare una persona accanto nel pianto. E non so come ci sono caduto, non so quando mi sono perduto, però ho solamente provato a riprendere i crediti dati alla vita. Io ho cercato semplicemente amore. E quando ti ritrovi senza più futuro, quando non c’è più niente di cui sei sicuro, quando non ti importa neanche di morire e hai bisogno soltanto di solitudine. Quando vedi che non c’è nessuna cura, quello è il punto di rottura e non si torna indietro più. Quando ti ritrovi con le spalle al muro, quando ciò che vedi non ti sembra vero, quando stai cadendo e non ti sai fermare e ti manca perfino la solitudine, quando nello specchio ti farai paura, quello è il punto di rottura e non si torna indietro più.
Granieri. Questo male ce l’abbiamo conficcato dentro.
Ruggeri. Vivere è complicatissimo, naturalmente. Ogni volta che qualcuno ti racconta una sua storia dolorosa, ti racconta una storia nella quale lui è il buono e qualcun altro è il cattivo. Però qualcuno la parte del cattivo la deve fare. Per cui la paura è che tutti noi, a turno, siamo i buoni e i cattivi, perché poi anche senza essere cattivi d’animo, spesso nel vivere siamo talmente maldestri che diventiamo la parte negativa della storia, se non il cattivo, quello che ha fatto del male.
Granieri. Siamo quasi arrivati al termine dell’incontro. Il titolo del Meeting è “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?” Tu hai vinto un Festival di Sanremo con una canzone strana, anche dal punto di vista musicale, ma particolare anche per quanto riguarda il testo, “Mistero”.
Ruggeri. Avevo già vinto, ma con una canzone, come dire, una vittoria più annunciata anche, con un testo più fruibile, Baudo avrebbe detto nazionalpopolare,”Si può dare di più”, mentre “Mistero” era un brano senza inciso, c’erano delle strofe che finivano con una parola ricorrente che era “mistero”, era una canzone nella quale c’era questo artificio stilistico che non ho inventato io, che è parlare dell’amore senza dire mai la parola amore. E poi c’era questo ponte: “Sarai sincera, dimmelo, dimmelo”, eccetera eccetera, molto Queen, mediato dal mio amore per i Queen, che arrivava come un fulmine a ciel sereno. Ma certo non era considerato accattivante. Per cui fu un po’ un colpo di scena la vittoria di “Mistero”. Mi fece molto piacere.
Granieri. C’è una cosa che mi colpì di Luigi Giussani le prime volte che l’ho conosciuto e ho letto i suoi scritti. Lui definiva il creatore che c’è lassù con il termine appunto “mistero”. Tu sai dare un volto, una carne a questo mistero, sei riuscito, ancora sei in ricerca.
Ruggeri. Ma il mistero o il Mistero con la M maiuscola? Perché c’è una bella differenza. Allora, i misteri con la M maiuscola sono tutte le cose della vita strane, le coincidenze, gli inciampi, i colpi di fortuna…
Granieri. I tanti misteri di cui canti anche in “Polvere”, mi ricordo.
Ruggeri. Sì, ti danno delle carte, cerchi di giocarle al meglio possibile, le cambi, te le ridanno, sono meglio o peggio. Il Mistero con la M maiuscola… Ne abbiamo parlato prima. Innanzitutto è il tuo rapporto con te stesso. Se prima di dormire prego e se prima di dormire ripenso alla giornata, sto parlando con me, con Dio, con la mia coscienza, con chi sto parlando? Non lo so esattamente. A me sembra che qualcuno mi ascolti. Ma naturalmente c’è quel gradino che si chiama fede che fa sì che tu dal sentore che qualcuno ti ascolti passi alla certezza, e lì è un percorso, insomma. Siamo in lavorazione.
Granieri. Siamo tutti in cammino. Siamo arrivati quasi al termine dell’incontro con Enrico Ruggeri, che è stato generosissimo in tutti i sensi. Prima di chiudere con una delle canzoni secondo me più belle della storia della musica italiana, “Il mare d’inverno”, che ce la farà dal vivo, vorrei, innanzitutto, chiamare qui sul palco la nostra cara, brava attrice Giulia Villa. Vieni, Giulia. Tutto per te. Te lo meriti.
Villa. Grazie.
Granieri. Poi vorrei ringraziare, diciamo, tutta l’organizzazione del Meeting perché ha avuto il coraggio di affidarmi questo incontro. Io sono Don Massimo Granieri, sono sacerdote della Diocesi di Roma, insegnante e mi occupo di critica musicale per l’Osservatore Romano. Ringrazio tutti quelli che hanno reso possibile questo incontro con Enrico, perché stiamo lavorando da mesi a questo incontro, io sono soltanto il risultato finale di qualcosa di più bello che abbiamo vissuto insieme.
Ruggeri. Ma solo per riuscire a combinare le date, perché detta così sembra che… da mesi io ho detto, ma non so se vengo, chissà, è che sono in tournée, ieri ero a Loano e domani sono a Brindisi.
Granieri. No, lo so, lo so. È per fare un po’ di scena. Ringrazio Guido Giunchi, Giovanni Assandri, Nick di cui ancora non conosciamo il nome di battesimo, Andrea Bardelli, Alberto Pasqualotto, Francesco Castellanza, Nico Di Leone. Ringrazio la regia di Alessandro Torraca, qui veramente va il mio grazie, al direttore di studio Alberto Macchini. Enrico, tu hai detto una cosa molto bella, perché parlavamo dell’aspetto più bello di questo Meeting che sono i 3.000 volontari che tengono su questa manifestazione.
Ruggeri. I grandi movimenti di pensiero che poi organizzano cose come questa, si devono reggere sul volontariato. Io negli anni ’80 e ’90, soprattutto negli anni ’80, suonavo molto ai festival dell’Unità, soprattutto in Emilia, Toscana, Umbria. E lì vedevi, c’erano i volontari, quelli che credevano in un progetto. Poi col tempo, adesso non ci sono più, li devi pagare. In effetti, fare le salsicce per Berlinguer era un’altra cosa che, con tutto rispetto, farle per Gentiloni o Letta. Cioè lì, obiettivamente, senza cattiveria, ma è chiaro. Quindi in realtà i volontari, soprattutto i giovani, vengono perché credono in un progetto. Qui la cosa bella è che, in un periodo nel quale tutto si divide in tifoserie, cioè qualsiasi cosa sul web, dopo due giorni c’è una spaccatura, uno sta da una parte, un gruppo dall’altra, e lo scopo è delegittimare l’altro, fargli fare la peggior figura possibile per renderlo inoffensivo. Che non è dialettica quella, è un’inimicizia atavica, perfida e poco costruttiva. Mentre invece, leggi i nomi che arrivano al Meeting e non è che tutti la pensano allo stesso modo. C’è modo di confrontarsi e di ascoltare persone che non la pensano come te, e pensare che a volte uno che non la pensa come te potrebbe anche arricchirti interiormente. Pensa, può succedere questa cosa. Quindi bocca al lupo, perché ne sono rimasti due o tre di posti così.
Granieri. Allora, Enrico, io sono stato, posso dirlo, onorato di aver parlato con te questa sera su questo palco grazie al Meeting. Grazie a tutti quanti voi che siete qui stati attenti e numerosi, e ci godiamo “Il mare d’inverno” di Enrico Ruggeri.
ENRICO RUGGERI CANTA “IL MARE D’INVERNO”