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1914: UNA TREGUA, UNA PROMESSA?
Incontro con Antonio Besana, curatore della mostra 1914, qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. Introduce e modera Davide Perillo, giornalista
Le testimonianze di coloro che sono stati protagonisti della Tregua narrano una delle più toccanti storie di Natale, capace di rompere anche i cuori di pietra degli uomini del nostro tempo. Sono fatti straordinari che meritano di essere celebrati ogni anno per rafforzare la certezza che tutto questo è stato ed è tuttora possibile. Per questo non possono e non devono essere dimenticati. Vogliamo far riscoprire che uomini con concezioni, idee e propositi diversi possono stare insieme se sanno ricercare l’essenziale.
1914: UNA TREGUA, UNA PROMESSA?
1914: UNA TREGUA, UNA PROMESSA?
Mercoledì 21 agosto 2024 ora 19:30
Arena Internazionale C3
Partecipano:
Incontro con Antonio Besana, curatore della mostra 1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale.
Introduce e modera:
Davide Perillo, giornalista
Perillo. Buonasera a tutti e benvenuti a questo incontro. Se ci vedete un po’ sfilati, c’è un motivo, lo scoprirete tra poco. Non è una posizione strana, ma funzionale al fatto che vorremmo farvi vedere qualcosa di ciò di cui parliamo stasera. Stasera parleremo di una cosa che è accaduta, di un avvenimento. Accaduto in un momento preciso della storia, erano 110 anni fa, siamo nel 1914, un momento duro, cupo, come, più del nostro, un momento in cui purtroppo divampava la guerra, come oggi. Morti, distruzione, ferite, come oggi. È un futuro incerto, cupo, come oggi. Però, in questo contesto, a Ypres, che è un paesino nelle Fiandre, la notte di Natale del 1914 succede qualcosa. Vediamo cosa.
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Perillo. Quello che avete visto è una rappresentazione di qualcosa che è successo veramente quel giorno. Quel giorno in cui, misteriosamente, tra le trincee degli uni e degli altri, la terra di nessuno si popola di un’umanità che si incontra. È impossibile, è un miracolo quello che è successo quel giorno. Eppure è successo a quella che è passata alla storia come la tregua di Natale, a cui è dedicata appunto la mostra che è pochi metri più in là, nell’altro angolo di questo padiglione, intitolata “1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale”. E noi ne parliamo stasera con il curatore, che è qui con noi e che vi prego di salutare con un applauso, Antonio Besana. Credo sia un applauso anche di un po’ di gratitudine da parte di quelli che la mostra l’hanno già vista, perché veramente vale la pena andarla a visitare. Colpisce anche perché arriva dallo sguardo di una persona che non fa lo storico di professione. Antonio per anni ha lavorato, e tuttora lavora, nel marketing, nella comunicazione, tutt’altra cosa, però è un uomo appassionato agli uomini, a ciò che succede agli uomini, a ciò che cambia l’umano e che lo cambia in meglio. E allora, quando si è imbattuto (lui che per passione scrive anche di storia) in questa vicenda, ha avviato il lavoro che ci racconterà stasera. Però, prima di chiederti come ti sei imbattuto e perché ti sei appassionato alla vicenda della tregua di Natale, raccontaci per bene un po’ il contesto. Che cosa succede quella notte del 1914?
Besana. Tutto inizia nel momento in cui i soldati tedeschi, che hanno ricevuto dall’imperatore degli alberi di Natale — l’imperatore aveva mandato a tutte le truppe, a tutti i reparti al fronte, inclusi quelli della Marina, quindi anche i sommergibili, degli alberi di Natale e delle candele — e i soldati tedeschi prendono questi alberi di Natale e ci mettono le luci e li pongono sul bordo della trincea, dopodiché si mettono a cantare, cantando dei canti natalizi: *Stille Nacht*, quello che per noi è *Astro del Ciel*, e *Adeste Fideles*. I soldati inglesi, che sono nella trincea di fronte, si accorgono che questi sono gli stessi canti che loro cantano nella notte di Natale e rispondono nella loro lingua. Poi succede qualcosa di pazzesco nel corso della notte: due ufficiali tedeschi vedono un uomo che esce dalla trincea e sale sul bordo della trincea. Già questa è una cosa pazzesca, perché fino a pochi minuti prima una cosa del genere avrebbe significato che il cecchino di fronte avrebbe aperto il fuoco, ma questo non succede. Esce un soldato anche dall’altra parte, cominciano a parlare e si accordano per una tregua. La cosa incredibile, veramente incredibile, è che questa è una tregua che non hanno deciso gli alti comandi; l’hanno decisa loro, quei due all’inizio, e questa strana cosa si riproduce in molti punti del fronte. Una cosa unica nella storia: non è mai successo che per oltre 18 km delle linee ci sia stata una tregua decisa da persone diverse. Poteva capitare che il reparto di fianco si stava ancora sparando addosso, mentre il reparto accanto aveva cessato il fuoco. Questo è quello che è successo. Poi i soldati sono usciti, si sono accordati per la tregua, il giorno dopo sono usciti nella terra di nessuno, si sono scambiati i doni, doni semplici, quelli che le famiglie avevano mandato loro. In alcuni casi, dei dolci. Ho trovato una testimonianza di un soldato inglese che scrive a casa: “Ho ricevuto il vostro plum pudding,” che è il dolce tradizionale inglese di Natale, “e l’ho dato ai tedeschi di fronte. Questi qui erano così contenti che credo che, se avessimo avuto un sacco di plum pudding e l’avessimo dato a tutti, la guerra sarebbe finita in quel momento lì”.
Perillo. La guerra era iniziata da poco, da non molto, ma era una guerra che poi purtroppo farà 16 milioni di morti, 20 milioni di feriti e mutilati. In questa devastazione che è agli inizi, appunto, succede questa cosa straordinaria. Tu come ti sei imbattuto in questo avvenimento, e perché ti ha colpito al punto da dedicarci mesi, anni di lavoro? Perché il lavoro che vedrete in mostra arriva da un libro, pubblicato da Ares, molto bello peraltro, che vi consiglio di prendere dopo. Ma insomma, anni di lavoro che nascono come?
Besana. Ma un bel po’ di anni fa, non ricordo quanti esattamente, sicuramente prima della fine del secolo scorso, sono stato invitato da un amico, che anche lui è un esperto scrittore di storia pur non essendo uno storico, Alberto Leoni, a una proiezione di un film che lui presentava al Cinema Palestrina a Milano. Il film era *Joyeux Noël*, di un regista francese, che raccontava questo fatto in modo molto romanzato, molto impreciso dal punto di vista storico. Però la storia mi piaceva enormemente, ero stupito che non se ne parlasse da nessuna parte, non c’erano tracce di questo. Ho cominciato a cercare su internet, sono entrato in contatto con due giornalisti inglesi che avevano raccolto le lettere scritte dai soldati e che erano state pubblicate dai giornali inglesi nel gennaio del 1915. Ho chiesto loro il permesso di tradurle e pubblicarle su un sito web, mi hanno detto che, se non fosse stato a scopo di lucro, si poteva fare. In realtà ho iniziato prima a tradurle per farle leggere a mia moglie, che non sa l’inglese. Qui è cresciuta tra noi due questa passione per questo fatto, al punto che nel 2015 abbiamo deciso di fare un viaggio lungo il fronte occidentale, percorrendo tutto il fronte lungo le principali battaglie: Verdun, la Somme, Vimy, arrivando fino a Ypres, dove siamo andati a cercare esattamente il posto dove la tregua è iniziata che ho cercato di spiegare perché, per come e dove, proprio dentro la mostra. Poi ho incontrato gli amici di Ares, a cui la storia è piaciuta, e abbiamo pubblicato questo libro. Da qui è nata la storia del libro e, di conseguenza, il desiderio di farla conoscere di più in occasione dei 110 anni dell’avvenimento.
Perillo. Senti, cosa ti ha colpito di più dei fatti che incontravi, che scoprivi man mano? Perché la cosa straordinaria di questa vicenda, che appunto, come ci stiamo dicendo, è successa davvero. Quindi ci sono i testimoni, ci sono testimonianze, ci sono documenti, ci sono fatti. Cos’è che ti ha colpito man mano che scoprivi, che approfondivi questo lavoro?
Besana. Innanzitutto c’era una meraviglia nel leggere le lettere, in tutto quello che questi soldati spiegavano, scrivevano. Il desiderio di scrivere subito a casa una lettera per non dimenticarsi di ciò che i loro occhi avevano visto. Ci sono state alcune condizioni facilitanti la tregua, come spieghiamo nella mostra: vivevano nelle stesse condizioni, erano vicini, potevano parlarsi. C’era anche un grosso sostegno a questa idea, che era il fatto che nel 1914 le radici cristiane dell’Europa erano ancora una cosa viva, non qualcosa di marginale come purtroppo sono considerate oggi. Per rispondere alla tua domanda, quello che mi ha stupito di più è stata una sorta di riflessione fatta su me stesso, pensando ad alcune cose che avevo incontrato, che mi erano state dette. Don Giussani ha spesso parlato del sì di Pietro, un sì che non è limitato a Pietro, ne parlava come qualcosa che deve capitare, o che può capitare, a ciascuno di noi. Quei soldati lì, per un attimo, si sono scontrati o si sono interfacciati con un fatto che era accaduto 2000 anni prima, il Natale. E di fronte a questa cosa, magari per un attimo, hanno detto sì. Io sono quasi certo, da ciò che ho letto, da ciò che ho trovato, che questi non avevano in mente di fare la tregua all’inizio. Non sapevano neanche che cosa sarebbe successo e come sarebbe successo. Ma, come ha sempre detto Don Giussani, quando tu dici sì, il perché, il per come, il come, lo scopri dopo. E l’hanno scoperto dopo. L’hanno scoperto dopo, e se leggete le loro lettere, vedete tutto lo stupore per questa cosa. Questa è la stessa cosa che ha veramente colpito profondamente me, che è stato un po’ il motore di tutto questo.
Perillo. Che cosa si incontra nella mostra? Questo lo diciamo per chi non ci è ancora andato. E soprattutto, ci fai qualche esempio di queste testimonianze?
Besana. Sì, beh, nella mostra abbiamo cercato innanzitutto di portarvi sul posto. Cioè, cercare di immergervi nella situazione, quindi spiegare un po’ la situazione storica. Ma questo è solo l’inizio. Cercare di farvi immedesimare con questo film e poi di descrivere le condizioni nelle quali i soldati vivevano, e questo fa parte del miracolo, perché le condizioni nelle quali vivevano erano tutto, ma tutto il contrario di quello che sarebbe successo prima. Mettere fuori la testa da una trincea nella Prima Guerra Mondiale voleva dire essere immediatamente uccisi dal cecchino che stava di fronte. Quindi abbiamo descritto tutte queste condizioni disumane nelle quali loro vivevano, che ci fanno, immedesimandoci, capire quanto sia stato un miracolo il fatto che è accaduto dopo. E poi c’è un bel filmato che, se non avete visto la mostra, vi invito ad andare a vedere. È un filmato che dura 12-14 minuti, nel quale ho chiesto – ed è anche qui un piccolo miracolo – a due amici che fanno gli attori di leggermi le lettere. Ho montato delle fotografie dell’epoca e un altro amico, che fa il tecnico, mi ha aiutato a montare la musica e il filmato. Un’altra cosa che mi ha colpito è stata l’amicizia degli amici che avevo intorno e che mi hanno aiutato. Io ero da solo a fare questa cosa, non c’erano altri curatori, e invece è venuta fuori. I contenuti sono venuti fuori negli incontri che a Milano abbiamo fatto con le guide, quindi con quello che loro mi dicevano, come reagivano di fronte alla cosa, ho alimentato i testi. Tutto una serie, se volete, di piccole casualità. Io le chiamo piccoli miracoli, poi ognuno la vede come vuole.
Perillo. Ma qualche esempio delle testimonianze che hai raccolto per dare una idea. Perché una cosa che colpisce è lo stupore degli stessi protagonisti di fronte a quello che stava succedendo a loro.
Besana. C’è il racconto di un soldato che va a messa il giorno di Natale, o il giorno dopo Natale, in una chiesa completamente bombardata e distrutta. Insieme a lui, dice: “La chiesa poteva contenere 300 persone ma eravamo circa 30, e durante la predica del sacerdote piangevano tutti e io ero l’unico che non piangeva perché non capivo quello che dicevano”. Poi c’è un altro che scrive a casa: “Questa mattina alle 6 ero di vedetta e, quando mi sono sporto alla feritoia – sporgersi alla feritoia voleva dire ricevere un colpo in fronte – ho provato a guardare e ho visto un tedesco dall’altra parte sul bordo della trincea che mi salutava”. Descritta così, è veramente pazzesca. Poi un altro che dice: “Oggi ho avuto il piacere di stringere la mano a dei nemici di fronte. Erano delle bravissime persone, ci siamo scambiati le cose. Ho scambiato il mio passamontagna con un cappello suo”. Succedono delle cose tremende, cioè incredibili, come un barbiere tedesco che aveva lavorato in Inghilterra trova un suo ex cliente inglese che esce dalla trincea di fronte e, in mezzo alla terra di nessuno, gli taglia i capelli. Non abbiamo potuto raccontarle tutte nella mostra, ma nel libro ci sono tutte le lettere che ho trovato. Questi sono un po’ degli esempi. Il libro lo racconta sicuramente meglio di me perché sono le parole dei soldati che le hanno scritte.
Perillo. La marcia di avvicinamento, se iniziate il percorso della mostra, appunto, aiuta a immedesimarsi nelle condizioni, nel buio della trincea, nell’umore della guerra, nella fatica di vivere in quel contesto. Aiuta molto a immedesimarsi perché anche oggi noi sentiamo tanto parlare di guerra a due passi da casa ormai, a volte quasi dentro casa, ma facciamo molta fatica a immedesimarci. Continua a restare una cosa lontana. Per te cosa vuol dire un lavoro di questo tipo?
Besana. Io stavo pensando una cosa mentre parlavi: sentiamo tanto parlare di buoni sentimenti, di pace, di buona volontà, di inclusione, tutte cose buone, ma queste cose da sole, la benevolenza per gli altri, da sole non servono, non sono sufficienti, perché a mio parere i buoni sentimenti senza una radice profonda nel cuore dell’uomo diventano una realtà un po’ evanescente, lasciata al sentimento individuale. Piccinini diceva una volta che quello che serve è un’ontologia, cioè una parola difficile, dice lui, però bisogna andare alla realtà, a qualcosa che il cuore dell’uomo non può negare. Questo è quello che fa cambiare le persone e che fa accadere le cose.
Perillo. Come dicevi prima, ci sono state delle condizioni che hanno aiutato, che hanno facilitato questa realtà. Dicevi la vicinanza fisica.
Besana. Quando si fa fatica insieme, credo che sia esperienza comune che si diventa più amici. So che chi di voi va in montagna, quando si arriva in vetta e si è camminato per diverse ore ci si sente più vicini. Ma poi anche facendo fatica insieme in altre cose, la condivisione aiuta a far crescere la relazione tra le persone. Poi le trincee erano vicine in quel punto lì, poche decine di metri; i soldati potevano parlarsi, molti sapevano l’inglese perché avevano lavorato in Inghilterra. Poi, come dicevo, c’era una percezione delle radici cristiane dell’Europa. Poi, se mi permettete, tutte le lettere parlano di una notte gelata e stellata. Fino al giorno prima c’era stata pioggia, c’era fango dappertutto, navigavano nel fango fino alle ginocchia. La notte di Natale ha gelato, il fango è gelato, i soldati erano fuori dall’acqua e la notte era stellata, si vedevano le stelle. Forse il regista aveva preparato lo scenario giusto perché questo potesse accadere e i soldati in qualche modo l’hanno colto.
Perillo. Ma cosa ci dice oggi un fatto di questo tipo? Anzitutto, tu dicevi prima che non ci sono altri casi simili nella storia.
Besana. No, ci sono altri casi di tregue individuali. Faccio uno spot pubblicitario: ho scritto un altro libro che si chiama *Vita in crociate*, che racconta dodici fatti di pietà verso il nemico nella Seconda Guerra Mondiale. Ci sono state tante altre tregue prima della Prima Guerra Mondiale e dopo, però sono state cose piccole; mai è successo che centinaia di uomini siano usciti dal posto dove combattevano e si siano guardati in faccia in questo modo.
Perillo. Ed è una cosa molto drammatica. Adesso lì si è vista la partita di pallone. La partita di pallone, tra l’altro, è forse quella, quella è la parte un po’ più romanzata nella narrativa che è venuta fuori su questo episodio.
Besana. Sì, molto spesso io reagisco un po’ male su questa cosa qui, scusatemi, perché tutte le volte…
Perillo. Infatti sapevo di toccare un tasto dolente.
Besana. Tutte le volte che si parla della tregua di Natale, si dice che hanno giocato a calcio insieme. A parte che nel libro ho fatto un’analisi, una ricerca molto approfondita, e forse c’è stata una partita tra tedeschi e inglesi. Sicuramente gli inglesi hanno giocato spessissimo a calcio, dietro le linee, ma non è condivisibile che taluni abbiano contrabbandato questa cosa scrivendo che hanno smesso di combattere per giocare a calcio. Ecco, questa cosa qui dimenticatela, perché è assolutamente falsa. Qualcuno comincia a dire che il calcio unisce. Andate fuori dagli stadi, andate dentro agli stadi e vedete quanto unisce il calcio, i tifosi. Sì, giocare a calcio unisce perché è uno sport di squadra, unisce chi gioca insieme, ma la tregua non è accaduta perché volevano giocare a calcio, su questo ci gioco i gioielli di famiglia.
Perillo. Non è accaduta per quello, non è accaduta neanche perché … Eppure è una cosa straordinaria. La guerra oggi, persino per chi la combatte, è quasi astratta cioè, i droni, i missili che arrivano da lontano… Pensate cosa vuol dire, invece, sentire la voce del nemico a pochi metri di distanza, il respiro quasi. Però, come dicevi tu, non bastava neanche questa comunanza umana.
Besana. Non bastava la buona volontà e la bontà d’animo, benché siano presenti negli uomini in guerra, perché comunque desiderano, nella maggior parte dei casi, la pace, desiderano qualcosa di diverso. Infatti, la frase che ho deciso di mettere sulla parete all’inizio della tregua è una frase scritta da un militare, un comandante della seconda guerra mondiale, della compagnia Easy dei paracadutisti americani lanciati in Normandia, e lui è Richard Winters che dice: “La guerra tira fuori il peggio e il meglio delle persone. La guerra non rende grandi gli uomini, ma fa emergere la grandezza degli uomini buoni. La guerra è romantica solo per coloro che sono lontani dai suoni e dal tumulto della battaglia”. Guardate che i più grandi pacifisti non sono quelli che fanno le manifestazioni nelle strade, sono i soldati che hanno combattuto una guerra e che si sono resi conto di che cosa vuol dire.
Perillo. E tu dicevi che quello che alla fine rende possibile quello che è successo era la scoperta di una radice, la riscoperta di una radice comune ancora più profonda del fatto di condividere lo stesso tessuto umano, la stessa umanità.
Besana. Riconoscere un fatto, un fatto accaduto duemila anni prima che era importante per tutti loro. Duemila anni prima, in quella notte lì, Cristo era arrivato sulla terra e questa è la cosa che hanno riconosciuto, non c’era un altro motivo. La riprova di tutto questo è un racconto che mi ha fatto un amico che è militare nell’esercito estone ed è stato in servizio in Iraq. Lui è un cattolico, uno dei pochi cattolici estoni, perché quasi tutta la popolazione è protestante in Estonia. Mi ha raccontato che parlava con i suoi colleghi la notte di Natale in Iraq e si sono resi conto che quella cosa lì probabilmente non poteva accadere perché la comunanza di riconoscimento di Cristo, in quel caso lì, non c’era con quelli di fronte, che erano comunque musulmani. Quindi, forse sarebbe stato possibile, ma sarebbe stato molto meno facile trovare nel nemico lo stesso desiderio per quella notte lì. E poi il fatto che è accaduto proprio quella notte lì e non un’altra rende evidente che era il riconoscimento di quella cosa lì. Nei cinque anni dopo sono andati avanti a ammazzarsi per cinque anni. Non è più successo.
Perillo. E questo cosa ci dice però oggi? Perché appunto oggi gli scontri sono tra gente che quella radice comune non la riconosce più.
Besana. Sì, purtroppo. Io, al di là della guerra, perché i proclami di Benedetto XV per fermare la guerra hanno avuto esattamente gli stessi effetti che hanno avuto i proclami di Papa Francesco per Gaza e per l’Ucraina: non si è fermato nessuno. Mi sono, scusami, perso in quello che stavi dicendo. Cosa ci dice oggi? Secondo me, ci dice che quando noi, magari non in guerra, magari non al fronte, riconosciamo questa cosa nei piccoli avvenimenti di ogni giorno, la realtà può cambiare col collega d’ufficio, col tifoso della squadra avversaria, in tanti altri casi, trovateveli voi. Non è una cosa che è capitata quella volta lì e basta, ed è così bella che la possiamo ricordare. La dobbiamo raccontare. La dobbiamo raccontare perché, raccontandola oggi, questa cosa è capace di cambiare i cuori delle persone. Ho visto un sacco di gente uscire dalla mostra commossa. Evidentemente ha toccato anche il loro cuore.
Perillo. Puoi già raccontarci qualcosa che ti hanno detto quelli che uscivano dalla mostra?
Besana. Mi ringraziavano per l’idea, per la cosa che avevo fatto. Mi sento un po’ indegno del ringraziamento perché era una passione mia, l’ho fatta con grande piacere ed è venuta fuori una cosa grande per le persone che l’hanno vista, e credo che non sia tutto merito mio. Soprattutto è merito anche dei miei amici, delle guide che hanno studiato un sacco l’argomento e che mi sembra che lo presentino molto bene, tanto che ho detto a una di loro che io vado via, mettano lì un avatar mio e la spiegano loro la cosa, che forse la spiegano ancora meglio, perché si sono appassionati alla stessa cosa.
Perillo. È impressionante se ci pensate, perché subito dopo quella notte – Antonio lo spiega bene nel libro e nella mostra anche – tanti di quei soldati sono stati spostati?
Besana. Sì, sì, li hanno spostati dal fronte perché innanzitutto i comandi non avevano fatto i conti con i morti che c’erano in mezzo; questi hanno seppellito i cadaveri che c’erano tra le due trincee. E poi questi soldati non volevano più sparare a quello che avevano conosciuto davanti, col quale avevano scambiato il plum pudding, i sigari, le sigarette, i bottoni della giacca, gli indirizzi, la cartolina da spedire alla fidanzata lasciata in Inghilterra dai tedeschi, e così via. Quindi, hanno dovuto spostarli sul fronte, metterci altri reparti. Tanto che alcuni raccontano: ci siamo accorti che la tregua era finita perché la trincea di fronte ha cominciato a sparare e forse in una lettera scrive: “I nostri amici sassoni sono stati spostati da un’altra parte”.
Perillo. Pensate cosa vuol dire. Che è come se si dovesse quasi cercare di cancellare questa cosa qui subito per rendere possibile andare avanti con quello che stava succedendo. Però è impossibile cancellare una cosa che accade: puoi cancellare un buon sentimento, un proposito, un’idea, ma non puoi cancellare un fatto accaduto. E infatti, 110 anni dopo, c’è gente che continua a commuoversi incontrando questo fatto. Ma io volevo avviarci verso la chiusura, perché poi, insomma, questo è un assaggio. La cosa bella è entrare lì dentro, chiedendo a te come questo viaggio (lungo, complesso, anche accidentato e molto bello, iniziato dieci anni fa, come dicevi) che sta continuando in questi giorni del Meeting, se e come sta cambiando te?
Besana. Ma io in questi giorni sto trovando stupefacente una cosa: io sono venuto qui pensando “va bene, sto qui un po’, poi sono un vecchietto, ho quasi 70 anni, e stare tutto il giorno in Fiera è pesante”. Tant’è vero che il primo giorno, mi vergogno un po’ a dirlo, sono venuto via alle 4, sono andato un attimo in albergo e ho detto che mi rilasso un attimo e ho dormito per due ore. Perché la sera prima avevo dormito poco perché ero preoccupato della partenza della mostra, che tutto funzionasse bene. Ma la cosa che mi sta piacendo di più e che mi stimola a rimanere in Fiera è che sto incontrando un sacco di gente che non conoscevo e che mi chiede di raccontare questa cosa, di andarla a raccontare da altre parti. Questa è la cosa che sta cambiando me. Pensavo che con la mostra avrei chiuso un ciclo e ci avrei messo una pietra sopra, evidentemente non è così.
Perillo. Ma io credo che quello che ci ha raccontato Antonio, soprattutto quello che ci racconta attraverso il lavoro che potete vedere, in cui potete entrare. Perché, ripeto, una delle cose più belle di questo lavoro è che ti accompagna nell’immedesimarti. Credo che sia un regalo che ci viene fatto anche stasera, anche in questo momento. Perché la grande sfida che abbiamo davanti è questa: se entrare con tutti noi stessi dentro la realtà che abbiamo davanti, se accettare la sfida di immedesimarci fino in fondo, di prenderla sul serio fino in fondo, di fare su di noi il lavoro che, per esempio, ha fatto Antonio generando questi contenuti bellissimi che potrete andare a vedere, di prendere sul serio quello che abbiamo davanti. E questo apre un viaggio possibile anche per noi, è un viaggio sorprendente perché ti può capitare oggi di restare colpito, di commuoverti, di interrogarti e di andare a cercare quello che ha reso possibile una cosa successa quella notte di Natale di 110 anni fa. Io credo non ci sia da aggiungere altro, se non un altro ringraziamento per Antonio e per il lavoro che ha fatto. Naturalmente l’invito ad andare a vedere la mostra e a comprare il libro, l’invito anche a sostenere concretamente questo luogo che rende possibile che succedano eventi come la mostra. Quindi, quando vi chiediamo di aiutare economicamente il Meeting e di fermarvi alle postazioni del “Dona Ora”, tra l’altro tenendo conto che il Meeting, come sapete, è un’ETS, quindi le donazioni che vengono fatte possono essere detratte dalle tasse. Quando ve lo chiediamo è per rendere possibile l’incontro che sta succedendo a tanti di noi oggi con questi avvenimenti. Quindi vi preghiamo davvero di farlo. Vi ringraziamo per la vostra presenza qui. Ringraziamo il Ministero che gestisce questo spazio bellissimo che dà la possibilità di fare anche incontri di questo tipo. E diamo appuntamento alla mostra e alla prosecuzione del Meeting. Buon Meeting a tutti e buona serata.