Cézanne. L’espressione di quel che esiste è un compito infinito
a cura di Marco Vianello e gli studenti di Lettere dell’Università Cattolica di Milano.
Quando si pensa a Cézanne, la mente torna subito alla frase con cui è sinteticamente riportato nei libri di scuola, “Trattare la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono”, che spesso però manca della sua seconda, e fondamentale, parte: “Per noi uomini, la natura è più in profondità che in superficie”. Ecco, questo è Cézanne, la cui pittura è animata da uno struggente desiderio di verità – “Io voglio essere vero, cavare la verità da tutto” – sostenuto da un metodo ben preciso: “Il mio metodo, il mio codice, è il realismo. Ma sia chiaro, un realismo alla grande, senza dubbi. L’eroismo del reale”.
La visione della realtà che emerge dalle sue opere è una visione cosmica, proprio nel senso di kosmos: una realtà varia e complessa, molteplice ed eterogenea, alla quale però sottende un ordine ultimo che la rivela come unità, come un Tutto indivisibile. Questo ordine, questo principio di eternità che sta dietro ma anche dentro la realtà è cercato e scoperto dal pittore francese in un continuo rapporto con essa; da questo rapporto tra l’io del pittore e il dato di natura, fatto di fedeltà e lealtà reciproca – mai uno prevale sull’altro – scaturiscono le sue opere, che rappresentano non eventi straordinari o incredibili, ma la realtà eroica del quotidiano: “La novità di Cézanne non è penetrare in una terra sconosciuta e tornare ricco di impressioni inattese e nuove, ma addentrarsi sempre di più in una regione mille volte percorsa per vedervi, senza cambiare niente alle cose viste, ciò che prima di lui nessun occhio aveva visto” (D. Coutagne).
La modalità attuativa di questo rapporto per Cézanne è la pittura, che è il compito della vita. Se infatti, come scrive, “la natura è sempre la stessa, ma nulla resta di lei, di ciò che appare”, è la pittura che “deve darle il respiro della durata […], deve farcela gustare come eterna”. E il pegno per questa eternità è un’inesausta ricerca. Ha scritto il filosofo francese Merleau-Ponty: “Se il pittore vuole esprimere il mondo, bisogna che la disposizione dei colori rechi in sé questo Tutto indivisibile. E’ questo il motivo per cui Cézanne meditava anche un’ora prima di darla [la pennellata]: essa deve contenere l’aria, la luce, l’oggetto, il piano, il disegno e lo stile. L’espressione di quel che esiste è un compito infinito”.
Il filo conduttore della mostra è la vicenda biografica e artistica del pittore francese, dal periodo iniziale in cui studia i maestri del Louvre, in particolare i veneti e gli spagnoli, all’incontro con Pissarro e gli altri impressionisti, fino all’isolamento volontario a Aix en Provence, per un lavoro metodico, costante, a tratti maniacale ma sempre sincero sui “motivi” a lui da sempre cari (Nature morte, Ritratti e Autoritratti, Mont Saint-Victoire, Bagnanti). Con un respiro più ampio, però. E’ innegabile infatti che, in un’epoca di grandi rivolgimenti e insicurezze come è stato il passaggio tra ‘800 e ‘900, Cézanne si sia posto, anche suo malgrado, come un punto fermo, un faro stabile. E’ così diventato il riferimento di molti, pittori e non, che da lui si recavano o che si rifacevano alle sue opere, prima e dopo la sua morte, fino ai giorni nostri. Lungo il percorso espositivo la mostra permetterà di aprire lo sguardo su quanti, artisti, poeti, romanzieri, critici, filosofi, contemporanei (a partire da Van Gogh, Gauguin e Gertrude Stein) e non (Picasso, Matisse, Rilke, per esempio), nel corso degli anni lo hanno interrogato, hanno guardato, hanno pensato, hanno scritto, senza posa.