SMALL, MEDIUM, LARGE: QUALE IMPRESA PER QUALE SVILUPPO?
L’economia italiana sta rinunciando alla propria capacità di competere? La perdita dell’export mondiale, in netto calo, e le difficoltà negli investimenti sono davvero fenomeni reali? Ma, soprattutto, la dimensione delle imprese influisce su questa situazione? Sono stati questi i tre grandi interrogativi che hanno caratterizzato l’incontro promosso dall’Unione nazionale delle Camere di Commercio, a cui hanno cercato di rispondere Nicola Aliperti, amministratore delegato di Hewlett Packard Italia, Ferruccio Ferranti, amministratore delegato di Consip Spa, Mauro Moretti amministratore delegato della Rete FS, Alberto Tripi, presidente di Cos e Fidercom, e Roberto Schisano, presidente di Geotronics Italia. Il dibattito è stato moderato da Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere.
In Italia il numero di imprese si aggira attorno ai 6 milioni, di cui il 95% costituito da aziende di piccole e medie dimensioni: si tratta di un sistema che, pur con molti difetti, è riuscito, specie negli ultimi anni, ad aumentare il livello occupazionale. Per Aliperti, se il sistema italiano è una ricchezza per il Paese, la vera competizione va affrontata con l’innovazione; per troppo tempo infatti l’economia nazionale si è retta su strategie, oggi perdenti, come quella della svalutazione. La ricetta è quella della sfida a Paesi emergenti come la Cina, o a grandi potenze come gli Stati Uniti; essa è costituita da più elementi base. Una prima ancora di salvezza per l’Italia è la creazione di distretti industriali: aziende piccole e medie, ciascuna con la propria specializzazione, che si inseriscono e creano a loro volta una rete di collaborazione integrata. Tali distretti industriali, secondo Tripi, grazie alla tecnologia informatica, non rimarranno più ristretti negli ambiti territoriali, ma potranno svilupparsi in tutta la penisola, oppure specializzarsi all’interno di una stessa azienda. La competitività non deve trasformarsi in conflittualità, per cui servono normative valide che facilitino le nuove imprese, in particolare per l’accesso ai crediti. Per Ferranti è fondamentale lo sviluppo delle infrastrutture informatiche e la garanzia che le macro aziende non siano sempre e comunque le vincitrici delle aste. Di qui la sua proposta di definire singoli lotti suddivisi e limitati per numero. Moretti, parlando della cosiddetta ‘sindrome della tenaglia’ (“L’Italia schiacciata tra giganti innovatori – Usa – e della low cost – Cina e Giappone”), ha affermato che occorre rispondere con adeguate infrastrutture commerciali. In tal senso, le FS, seppure in ritardo, hanno avviato una decisa azione di modernizzazione. Schisano ha sintetizzato il punto cardine dell’intero dibattito: “Il vero problema del nostro mondo imprenditoriale non sta nella dimensione delle imprese, ma nella cultura degli operatori del settore”. Acquista dunque fondamentale importanza la formazione e qualificazione del personale, ma soprattutto il coraggio di fare scelte competitive giuste al di là della dimensione. L’uso della tecnologia, se comporta un cospicuo investimento iniziale, oggi difficile per le piccole imprese a corto di crediti agevolati, nel tempo potrà rivelarsi l’unica risposta alla manodopera a basso costo della Cina, o alle strategie di marketing degli Usa. L’Italia riuscirà a superare questo periodo di crisi? La risposta è affidata all’evoluzione culturale del Paese.
P.P. Rimini, 25 agosto 2003