QUANDO EDUCAZIONE VUOL DIRE RICCHEZZA: CAPITALE UMANO E SVILUPPO ITALIANO

Press Meeting

“Non c’è tema che ci interessi di più che quello dell’educazione e non c’è tema che vediamo più ignorato e disprezzato di questo”. Così ha introdotto l’incontro di oggi il presidente della Compagnia delle Opere Giorgio Vittadini. Proprio l’anno scorso, qui al Meeting, Giancarlo Cesana aveva lanciato un appello per un maggiore finanziamento all’istruzione, un appello che non ha ancora avuto risposta. Oggi è necessario mettere a tema il riflesso che ha l’investimento sull’istruzione, non solo dal punto di vista della maggiore ricchezza che ne consegue, ma anche da quello di condizioni non quantificabili quali la qualità della vita sociale e la sicurezza.
Il primo a intervenire è stato Bruno Ermolli, presidente Sin&ergetica, che ha esordito ricordando la centralità del fattore “capitale umano” tra i fattori di produzione, tanto che negli USA rappresenta il 90% della ricchezza. Ermolli ha quindi svolto alcune considerazione sulla classe manageriale italiana, che dal punto di vista della “materia prima” non teme alcun confronto. Il punto critico invece è quello relativo a istruzione e formazione. Altro dato da rilevare è il “gap” formativo organizzativo dei dirigenti pubblici rispetto a quelli del settore privato. Il relatore ha quindi formulato la proposta di una privatizzazione della formazione di funzionari e dirigenti pubblici e ha indicato il lavoro estremamente positivo che la regione Lombardia sta facendo in questo settore.
Secondo intervento quello di Enrico Letta, deputato della Margherita (“una delle persone più intelligenti del Parlamento Italiano”, ha detto Vittadini). L’Italia – ha iniziato il parlamentare – non investe più sul capitale umano perché ha deciso di vivere in un presente continuamente dilatato piuttosto che pensare al futuro. È un paese che si sta sedendo e che non si pone il problema di come creare ricchezza nel futuro. C’è bisogno di un “elettroshock di adrenalina”. Letta ha mostrato tramite statistiche lo scarsissimo investimento del nostro paese in formazione, sviluppo, nuove tecnologie e università, e ha sostenuto la necessità di rovesciare il criterio abituale del risultato “giorno per giorno”. Nella pratica, sarà necessario un uso selettivo della leva fiscale a favore di chi investa nella formazione, così come un salto in avanti da parte delle imprese per quanto riguarda le dimensioni aziendali e l’investimento sul mezzogiorno per superare il binomio nord-sud.
È quindi intervenuto Adriano De Maio, rettore LUISS e Commissario CNR, che ha delineato la serietà del momento attuale: sempre il capitale umano è stato importante, ma oggi lo è particolarmente, perché il processo di innovazione in atto va gestito e la capacità di gestirlo adeguatamente sarà sempre più fattore discriminante. Anche i processi di globalizzazione rendono pressante affrontare il problema. L’Italia si dimostra oggi particolarmente debole per quanto riguarda l’innovazione: è un Paese senza innovazione, un Paese vecchio che guarda al presente e non al futuro; ma ci sono anche aspetti positivi, come ad esempio la cultura classica, che tutti ci invidiano e che va mantenuta a un livello alto. Occorre concentrare le università, dare più risorse alla ricerca pubblica, avviare un processo per attrarre le risorse migliori nel nostro Paese. La ricerca – ha concluso De Maio – non è né di destra né di sinistra, è del Paese.
Per ultima è intervenuta Letizia Moratti, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il dibattito sul capitale umano – ha detto – è oggetto di attenzione in tutti i Paesi europei e la presidenza italiana dell’Unione lo ha posto al centro del suo programma. Anche il contesto socio-demografico del nostro Paese va tenuto in debito conto nel valutare il problema. Negli ultimi 40 anni il sistema si fondava su un investimento per famiglie e giovani che si attestava solo sul 3% dell’intera spesa sociale. Oggi alcune circostanze, come l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità, hanno mandato in crisi questo sistema; il tema dell’istruzione è quindi cruciale, ma non solo per la produttività: anche la sicurezza dipende dall’istruzione, è l’istruzione il motore del Paese. Se in questa direzione bisogna ancora molto lavorare, è pur vero che alcuni passi sono stati fatti. Il 2003 è stato il primo anno dal 1991 che ha registrato un aumento di investimenti nel campo della ricerca; gli investimenti nel Mezzogiorno sono stati raddoppiati; molto si è fatto per aumentare il numero dei dottorati di ricerca nelle Università, che ora sono in linea con la media europea. Certo c’è bisogno di più investimenti, ma soprattutto della consapevolezza che l’Italia non ha niente da invidiare agli altri Paesi.
Nel trarre la fila dell’incontro, Vittadini ha riaffermato la centralità del tema dell’educazione che, come insegna don Giussani, è introduzione a un significato della realtà. Oggi la mancata sensibilità per il tema del capitale umano dipende da un sostanziale disinteresse per il problema educativo, e questo disinteresse deriva innanzitutto dalla negazione del senso della vita e dal cinismo: i primi nemici del capitale umano sono proprio i nemici della ricerca del vero. Un secondo nemico sono i residui ideologici che ancora concepiscono il profitto come il motore iniziale dell’azienda. Questo non è vero: l’imprenditore è prima di tutto un uomo che avverte la presenza di un bisogno e quindi crea una risposta. Bisogna riaffermare l’idea di una impresa che nasce da questa passione: solo così nascerà il desiderio di istruirsi e di cambiare. Infine la politica per servire la società deve essere realista nella gestione delle risorse.
Bisogna dare i soldi all’istruzione in modo giusto – ha concluso Vittadini – Vogliamo che i poli prendano una posizione sul tema, perché questo non è “un” problema, è “il” problema.

T. P.

Rimini, 29 agosto 2003