L’ESPERIENZA ELEMENTARE. LA VENA PROFONDA DEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II
L’omaggio al Papa per i venticinque anni del suo Magistero è al centro dell’incontro per la presentazione dell’ultima fatica di mons. Angelo Scola, Patriarca di Venezia (“L’esperienza elementare. La vena profonda del Magistero di Giovanni Paolo II”, edito da Marietti 1820), cui hanno partecipato Alberto Savorana, Direttore di Tracce e Stanislaw Grygiel, Docente di Filosofia presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Roma.
La testimonianza del Papa è l’esaltazione della libertà dell’uomo ed egli stesso ne diventa infaticabile segno – ha iniziato Savorana –: Mons. Scola nel suo libro sottolinea il contributo di un uomo che dall’incontro con Cristo diventa Suo testimone, nell’appartenenza a Lui non come riduzione, ma come avvenimento di libertà.
Il mio intervento – ha invece dichiarato Grygiel – non vuol essere un resoconto del libro di Scola, ma una meditazione rispetto a ciò cui ho pensato mentre lo leggevo. Sembra che il pensiero di Scola voli come una rondine in diverse direzioni, creando l’impressione di voler arrivare a diversi fini; ma in fondo non è così, perché non si verificano né interruzioni né spazi vuoti, avendo egli come unico scopo la costruzione del nido sul tetto dell’orizzonte, della casa dell’altro che è Dio. Mons. Scola, ha proseguito Grygiel, pensa in senso teologico e filosofico al tempo stesso, al contrario dei tomisti, che invece dividevano il pensiero teologico da quello filosofico. Si nota nel libro che egli è un profondo conoscitore delle opere poetiche di Giovanni Paolo II, e questo gli permette di entrare in maniera più profonda nell’opera del suo magistero. Dall’esperienza del destino della persona nasce il pensiero antropologico; da questo presupposto si capisce in Scola come l’uomo appartiene alla verità che lo genera, in un ordine che non è statico, perché desidera sempre di più. In questa dinamicità l’uomo non cessa mai di essere se stesso, perché è sempre “nascituro”, addirittura fino alla tomba. La conoscenza della persona, intesa alla maniera di San Tommaso d’Aquino, inserita in questa dinamica, avviene nella collaborazione tra l’uomo e Dio, nella continua tensione per l’Altro. Se si parte dal “dove sei?”, “perché ti nascondi?” della Genesi, ci accorgiamo che l’uomo non riesce a vincere queste domande. La questione del “donde vengo e dove vado” prima o poi viene a galla, e l’antropologia di Giovanni Paolo II aiuta a far emergere questa coscienza primordiale, che Scola chiama appunto esperienza elementare. Penso, ha continuato Grygiel, che Scola abbia inteso bene l’etimologia polacca del termine esperienza, che significa appunto testimonianza. In questa esperienza primordiale, l’uomo si rivela come nascituro, e quindi trascendente da se stesso, compiendo il passaggio dall’etica della persona a quella della comunione: le domande che descrivono l’esperienza primordiale allora diventano preghiera, e dove manca questa coscienza di domanda ci si trova di fronte ad una “massa”. Scola, seguendo Giovanni Paolo II, tenta di ricucire tutti i fattori in una dinamica che sembra andare a ritroso: dalla fine al principio. Perché l’uomo diventi soggetto occorre che si ritrovi sul Calvario, perché solo diventando vittima egli è testimone agli altri, essendo avvinto in una logica di affidamento, che in se è esperienza di verità. Il testimone vive disinteressatamente, perché vive una bellezza, e colui che contempla un testimone entra nel suo tempio (cum templum). Sono convinto, ha detto Grygiel, che mons. Scola abbia messo a fuoco l’antropologia di Giovanni Paolo II. Altro aspetto fondamentale, del libro di Scola, è l’evento della libertà dell’uomo intesa in senso mariano e non come quella del giovane ricco che, non sapendo soffrire, si allontana afflitto. Sia per Scola che per il Papa è fondamentale il lavoro pastorale verso l’uomo: da qui lo spirito missionario, che la vera natura dell’uomo. La Chiesa non proclama interessi, ma l’affidarsi l’uno all’altro, che trova il suo esempio più alto nell’esperienza matrimoniale: chi attenta a questo sacramento commette un grosso reato. Ritornando alla libertà, ha concluso Grygiel, l’altro aspetto importante è descritto nell’ultimo capitolo del libro, quando Scola parla della penitenza e afferma che solo gli uomini liberi confessano il loro peccato: l’uomo che perdona e chiede perdona appare cristallino.
G.F.I.
Rimini, 29 agosto 2003