IL LAVORO COME ESPRESSIONE DELL’IO
Doveva esserci anche Brigitte Jabonè Affonè Choutou ma non è riuscita ad ottenere il visto di uscita dalla Costa d’Avorio. Così a raccontare la sua esperienza di condivisione del bisogno, di organizzatrice di piccole cooperative femminili nel campo dell’agricoltura e di società di vendita e di commercializzazione ha provveduto don Paolo Zuttion.
È stato un incontro un po’ atipico: racconto di esperienze di lavoro come esperienze di espressione dell’io e, quindi, di liberazione dell’uomo, anche in situazioni di particolare drammaticità, come quella della Costa d’Avorio, o in contesti di difficoltà sociali ed economiche, come in Brasile ed in Argentina. Tale originalità è stata subito dichiarata dal moderatore, il prof. Marco Bertoli, nell’introduzione ai vari interventi. “Il lavoro è uno strumento per la felicità dell’uomo, perché aiuta a palesare l’infinito che è in ciascuno”, ha detto. È ovvio allora che un simile taglio è apparso subito anomalo in un contesto educativo come il nostro ed in una realtà sociale come l’attuale, nei quali il lavoro nella migliore delle ipotesi è qualcosa che si deve fare e in ogni caso è qualcosa che interrompe la vita che l’uomo desidera. Perché Brigitte, come ha raccontato don Zuttion, ha organizzato 850 donne di 50 villaggi diversi, in un contesto di emigrazione, di miseria e di guerra civile? ”Perché ha visto il bisogno della sua gente, è naturalmente generosa ed ha capacità organizzative”. E tutto ciò è stato scoperto da Brigitte dopo la conversione.
Certo quando uno lavora così significa che ha cambiato modo di essere e di vedere: ha cambiato cultura. Questo cambiamento è risultato evidente dai racconti di Enrico Novara e di Stefano Montaccini, responsabili AVSI rispettivamente in Brasile e in Kenya. Due contesti diversissimi: un enorme problema di redistribuzione del reddito e della ricchezza nello stato-continente americano; un problema di miseria e ignoranza a Nairobi. Eppure, ha detto Novara, attraverso i progetti di urbanizzazione e di stabilizzazione urbana dei favelados AVSI li ha scoperti come risorsa. Occorre condivisione, perché solo la condivisione fa conoscere veramente la realtà, e si può scoprire che il povero può combattere la povertà. Infatti “il povero è un uomo che non può mettere in gioco i talenti che Dio gli ha dato”. Attraverso interventi di tipo educativo e formativo, allora AVSI rimette in moto l’io; e con un io in moto e possibile fare sviluppo. Perché il lavoro è espressione dell’io.
Lo stesso scenario è stato raccontato, per quanto concerne Nairobi, da Montaccini. “Tutto il nostro lavoro è teso a mobilitare l’io, la persona e la sua libertà”. Per questo AVSI ha avviato a Nairobi una scuola di formazione professionale ed una agenzia per l’inserimento nel mondo del lavoro.
Il dottor Carlos Garavelli, argentino, presidente di una grande O.N.G. che opera nel campo dell’educazione e in quello sociale, ha raccontato l’opera e le motivazione degli interventi della Fondazione Opera Padre Pio Pantaleo. Recentemente la Pio Pantaleo è entrata in rapporto con AVSI scoprendo una reciproca simpatia.
L’ultimo racconto, in simpatico duetto, è stato tutto italiano; protagonisti don Antonio Villa, fondatore della scuola Domus Mariae di Tarcento, e Bepi Forgiarini, uno dei ragazzi passati dalla scuola e oggi titolare della AIMEC s.r.l.: un metodo educativo e uno dei frutti di questo metodo a confronto.
E. P.
Rimini, 27 agosto 2003