Tutta la vita chiede l'eternità
In un articolo comparso su “Il Corriere della Sera” giovedì 17 agosto 2000, a commento del Giubileo della gioventù tenutosi a Tor Vergata davanti al Papa, Indro Montanelli scriveva: “Ma è proprio questo, credo, che i giovani inconsciamente cercano e vogliono in un mondo dell’effimero come quello in cui noi li abbiamo fatti nascere: qualcosa che non abbia tempo perché è eterno, e che gli offra alcunché di stabile su cui posare –e riposare- i piedi”. E poi aggiungeva: “Mi chiedo se questo raduno, che si svolge nell’ordine e nella quiete, non sia in realtà una rivolta, o almeno una protesta, contro un modo di vita dominato dall’ansia del nuovo, che a sera ha già reso decrepito tutto ciò che ha inventato al mattino”.
E’ molto interessante questa riflessione che, partendo da un punto di vista dichiaratamente laico, coglie l’esigenza fondamentale della vita dell’uomo: il problema del suo rapporto con l’eternità, cioè con un Ente –poiché l’eternità non è qualcosa di astratto- che, oltre il tempo, ma nel tempo, assicuri continuità al vivere.
Tutta la vita chiede di non finire, ma sarebbe folle se chiedesse di durare fisicamente oltre il tempo naturale concesso all’uomo, e ogni tentativo perpetrato dalla scienza in tale direzione rischia di tramutarsi in un atto di violenza contro l’uomo stesso.
La caducità del tempo biologico non si supera attribuendogli artificialmente una durata sopratemporale, bensì investendo la dimensione temporale della vita di un significato sopratemporale. In tal senso il presente, come anche l’istante vissuto, si carica di un valore che oltrepassa i suoi limiti cronologici e tutto ciò che avviene non si consuma, poiché si compie con la certezza che la totalità del suo effetto non si riduce a una breve dimensione soggetta a calcoli e misurazioni. La grandezza dell’uomo –del singolo uomo- cresce, anche sul piano intellettuale, in proporzione con il crescere della sua sete d’infinito e di eternità, e la vita, perché non venga considerata come un episodio effimero, durante il quale ogni atto è destinato a perdere sostanza, chiede l’eternità, il che equivale a dire chiede soddisfazione. Ma può ottenere risposta solo se la domanda viene rivolta a Qualcuno che, per essenza, abbracci il tempo e la storia sovrastando il tempo e la storia. Capite che è un’esigenza vitale per l’uomo confrontarsi con Dio, un Dio riconoscibile perché incarnato e tale da metterlo nella condizione di poter dare contenuto di eternità alla sua esperienza razionale e affettiva, e di concedergli di assaporare, almeno parzialmente, il possesso di una vita che non muore. Come è possibile all’uomo soddisfare tale aspirazione? Nel ripetere instancabile quella domanda d’infinito e d’eternità che è stato dato alla sua libertà di porsi. Allora l’ansia del nuovo non è un sentimento effimero e illusorio, e il nuovo non è soltanto la facciata di qualcosa che è già decrepito sul nascere.
Il desiderio del “nuovo” è sacrosanto, perché, a ben pensare, coincide con il desiderio d’eternità. Come sarebbe una vita che non chiedesse di rinnovarsi continuamente? Come sarebbe, se l’uomo non avesse la certezza che il suo tempo non finirà con la morte? Quale slancio, invece, è dato quando egli abbia la sicurezza di affidare all’eternità ogni atto compiuto; anche quello apparentemente più banale, e di salvarlo così, dal dissolversi nel rapido scorrere del tempo.
Al di là delle critiche che, spesso senza cognizione di causa, gli vengono mosse, il Meeting è una manifestazione molto libera e non si può non riconoscerle il merito, quanto meno, di essere varia e difficilmente classificabile. Siamo consapevoli che lo è perché ciò che lo anima è un respiro vitale molto più grande del limite temporale entro il quale si svolge.