«I limiti sono traguardi. Noi scienziati siamo ignoranti, ma questa ignoranza è una speranza, è un guardare al futuro, a quando forse sapremo di più e forse sapremo anche perché ci siamo noi».
L’astrofisico cosmologo George Coyne ha partecipato al Meeting per tre volte, due come relatore e una come curatore di mostra. Raccogliamo volentieri in eredità la domanda di senso, fortissima in lui, che anche a Rimini ha manifestato, a partire dall’incontro ‘L'uomo, i limiti, le speranze. Una rotta verso il terzo millennio’ a cui l’allora direttore della Specola vaticana partecipò il 21 agosto 1995 insieme all’allora rettore dell’università di Milano, Paolo Mantegazza, e a Marco Barbetta.
Padre Coyne ci ha lasciati solo pochi giorni fa, l’11 febbraio 2020. Già nella sua prima visita al Meeting, condivise con noi le sue domande più profonde. «Io ho passato molte notti a guardare le stelle; facendo questi turni, mi sono venute spesse volte due domande: perché c'è la civiltà umana? È una domanda puramente scientifica alla quale come scienziato non ho una risposta. È una domanda seria perché se la massa di elettroni fosse per un millesimo più grande o più piccola del protone, non ci saremmo noi, perché non ci sarebbe stato idrogeno. Se la velocità dell'espansione dell'universo all'inizio fosse stata per un miliardesimo più grande o più piccola di quanto sia stato, non ci saremmo noi. Se fosse stata più grande l'universo si sarebbe espanso troppo velocemente e non ci sarebbe stata la possibilità di formare una galassia o una stella; se fosse stata più piccola, l'universo si sarebbe collassato subito e non ci saremmo noi. Non ci sarebbe stato un universo o ci sarebbe stato un universo vuoto, senza materia. Potrei fare una ventina di esempi delle costanti della natura che sono sintonizzate tra loro in modo da rendere possibile la vita». Perché ci siamo? «A questa domanda negli ultimi anni i cosmologi si sono dedicati moltissimo, ma nessuna spiegazione scientifica offerta risulta soddisfacente: è una domanda scientifica alla quale non c'è una risposta scientifica. Occorre pensare oltre le scienze senza dare risposte troppo facili, creando un Dio a nostra immagine per dare spiegazione e risposta alle nostre ignoranze».
La seconda domanda è: «Ci sono altri esseri come me, che stanno guardando me mentre io sto guardando loro? Cioè: c'è la vita extra-terrestre? Il solo ammettere questa possibilità cambia la nostra mentalità e la nostra conoscenza di noi stessi. Ricerche recentissime hanno portato alla scoperta di altri pianeti, ma nessuno di loro promette la possibilità della vita. Vorrei proporvi un ragionamento di carattere statistico. La nostra galassia contiene sui cento miliardi di stelle, il sole è una stella, normalissima, di media età, non è troppo alta, non è troppo piccola, non pesa troppo, la temperatura è media. Quante delle stelle nella nostra galassia sono come il sole? Un 30%. Quante di esse avranno un sistema planetario? Sappiamo che per una stella doppia sarebbe difficile avere intorno un sistema di pianeti. Allora possiamo escludere una certa quantità di stelle e concludere che il 2% delle stelle nella nostra galassia sono come il sole e avranno sistemi planetari. Quante avranno un pianeta come la terra, proprio alla distanza giusta, per avere la temperatura giusta, un'atmosfera? Un mezzo per cento di quel 2%. Ma quando uno considera che nell'universo ci sono almeno cento miliardi di galassie, ognuna delle quali contiene cento miliardi di stelle, allora alla fine, statisticamente parlando, le condizioni per la vita altrove nell'universo sono sicurissime, al 99,99999%. C'è realmente la vita? Silenzio assoluto. Non abbiamo nessuna evidenza. Ma uno potrebbe dire: come mai Dio avrebbe creato un mondo tanto proficuo per la vita, cioè con tante possibilità, con tante condizioni per la vita, per limitare la vita a questo granello di sabbia che chiamiamo la terra? Che Dio sarebbe questo? Ma di nuovo, io non posso ragionare così, io non posso dire cosa ha fatto Dio. Sto di nuovo creando Dio a mia immagine, assumendo Dio per spiegare una cosa che non so spiegare altrimenti».
Nel 1997 Coyne tornò per presentare il libro ‘La favola dell’universo’, insieme a Giulio Giorello ed Elio Sindoni. «L’importante nel mondo non sono gli oggetti isolati, qua e là, ma il rapporto tra diversi oggetti o fra tutti gli oggetti insieme: l’importanza è il rapporto. Il rapporto tra il mondo e me, come investigatore, è indeterminato, ha una certa inesattezza intrinseca. La novità principale della nuova scienza è dunque questo: indeterminismo, in un senso macro dell’universo». Se noi «conosciamo Dio, solo per analogia, Dio risponde a questa nuova fisica: se per Newton Dio era il creatore e dominatore che controllava il mondo, per me Dio è un creatore che ha lasciato andare il mondo, e questa è una favola, è una favola nel senso stretto della parola, è una favola scientifica. Dio ha creato il mondo non in modo determinato, ma in modo da lasciare al mondo stesso la libertà degli esseri umani. Il mondo indeterminato è la creatura di Dio, non di un Dio dominatore del mondo, ma di un Dio che lascia andare il mondo».
Nel 2003 aveva curato la mostra “Cercatori di verità” insieme a Euresis, Raffaele Cossa, Mario Gargantini, Gabriele Mangiarotti, Lorenzo Mazzoni, Franco Parrocchetti, Marcelo Sanchez Sorondo, Alberto Strumia, Giuseppe Tanzella-Nitti.