“Siamo creati per essere felici”: l’evidenza di questa frase, udita con stupore dal giovane Christoph Schönborn sulla bocca del parroco della sua comunità, unita alla testimonianza offerta dalla vita di quest’ultimo, è ciò che più ha persuaso il futuro cardinale della certezza della sua vocazione. Ma cosa vuol dire essere felici? Anzitutto è un’esperienza, da sorprendere in sé e negli altri. Schönborn distingue inoltre tra piccola e grande felicità: la prima è un “presentimento” della seconda, ma spesso è stata ingiustamente condannata da ideologi e filosofi come evasione “piccolo borghese”. Questo disprezzo è in realtà profondamente inumano e trova tragiche applicazioni nella storia, laddove il potere politico si arroga il compito di creare la “grande felicità” sulla Terra, luogo non destinato alla perfezione. Chi è incapace di godere delle piccole gioie, ricordate anche nel libro biblico del Qoelet, non si accorgerà neppure della “grande felicità”. La ricerca di questa si traduce naturalmente in un giudizio continuo sulla realtà, come testimonia con costanza il magistero sociale della Chiesa su temi quali la pace, la difesa della vita e dei diritti dell’uomo: temi riassunti dalla tutela del “bonum commune” come espresso dalla Gaudium et spes, senza la quale, ha detto Schönborn, “non c’è spazio per la vita felice”.
Le piccole felicità di cui spesso ci accorgiamo solo nel momento della loro mancanza – ha proseguito – sono alimentate da una sorgente, da una promessa di bene, giustizia e verità cui Socrate si era avvicinato, e che l’avvenimento cristiano rivela compiutamente all’uomo. La felicità infatti “non è costruibile, ma accade”: non è un capriccio del fato, ma un fatto cui aderire dando la vita. La chiave della possibilità di essere felici, così emblematicamente testimoniata dalla vita di Santa Teresa di Lisieux, è il sacrificio, cioè il “dono di sé per una meta”. Per questo i santi sono “uomini in senso pieno”, la cui prima caratteristica, più che una irreprensibilità morale, è quella di avere una vita felice e riuscita. In conclusione, Schönborn si è concentrato sul legame tra la felicità e i concetti cristiani di perdono e misericordia: il primo si pone come condizione necessaria per una convivenza felice, ma è concepibile solo in forza di un amore smisurato, quello della Misericordia divina entrata nella storia con l’avvenimento cristiano, di cui il Papa ha ripetutamente invitato a farsi testimoni.
Al termine, don Stefano Alberto, docente di Introduzione alla Teologia dell’Università Cattolica di Milano, ha ringraziato l’Arcivescovo per il potente richiamo al “materialismo” del cristianesimo, che è proprio ciò che consente l’esperienza di questi giorni, figlia di una passione per la realtà in tutti i suoi aspetti, perché effimeri ma non vani.
M.C.
Rimini, 27 agosto 2003