Rimini, 19 agosto 2019 – Ancora una figura di spicco del teatro contemporaneo è stata ospite del Meeting: Eugenio Barba, che con il titolo “Verso nuove isole galleggianti” è stato protagonista all’Arena Percorsi A2 di un dialogo con Franco Perrelli, docente in Discipline dello spettacoli all’Università di Torino di un’idea del teatro come qualcosa che sorge dalla passione e dona la luce dando un’altra dimensione alla nostra esistenza, arte che serve a ridisegnare il profilo della città attraverso il nostro sguardo.
Ѐ quindi seguita la proiezione di video relativi a momenti della preparazione del celebre Teatro dell’Odin Teatret. Protagonista di 76 spettacoli portati in 64 Paesi. Fondato e diretto dal regista brindisino, e dello spettacolo “La casa del padre”, uno dei primi della Compagnia, ispirato a Dostoevskij, che Barba definì “suo fratello maggiore”. E altri spettacoli, ha sottolineato Perrelli, che appartengono al genere denominato da Barba “del baratto”, ovvero un vero e proprio scambio e confronto con le “‘tribù urbane”, come nel caso del lavoro di cui scorrono le immagini, realizzato con gli anziani di una casa di riposo torinese. «Con una forza e un’anergia – ha aggiunto lo studioso – capace di contagiare il pubblico. Un viaggio, un prisma di mille sfaccettature di luci e colori».
Perrelli ha quindi chiesto a Barba si raccontare le diverse tappe attraverso cui si è sviluppata la sua ricerca teatrale, dapprima in Norvegia al fondamentale incontro avvenuto in Polonia con Jerzy Grotowski, dall’apertura alla contaminazione dei generi tra oriente e occidente alla formazione dell’antropologia teatrale come vera e propria disciplina, e infine alla fondazione dell’Odin Teatret a Holstelbro in Danimarca nel 1966, anche con le ultime esperienze condotte in Kenia. Qui grazie alla collaborazione con i padri Comboniani è stato possibile avviare alla pratica del teatro anche bambini vittime del vizio di “sniffare colla”.
Suo intendimento, ha risposto Barba, è sempre stato quello di sovvertire l’ordine dandogli una positività che lo renda l’ordine della creatività. Un caos organizzato, creativo e liberatorio, come un nuovo codice, sempre alla ricerca di uno spaesamento del pubblico, posto soprattutto di fronte al tema della sofferenza causata dall’ingiustizia e dalla violenza (”il tavolo di macelleria del mondo”). «L’attore dev’essere un viaggiatore» ha sottolineato ancora Barba che ha aggiunto: «Deve andare a cercare il pubblico e per questo l’Odin viaggia. Anche quando è capitato di avere una sera una sola persona, due persone, non mi sono mai posto questo come un problema. Se presenti vuol dire che hanno bisogno del teatro, anche se sono poche e questo ha formato il nostro modo di pensare ed agire, ritornando alla semplicità del nostro lavoro quotidiano. La proposta che faceva Grotowski di riproporre testi classici abbattendo la distinzione tra attori e spettatori in quegli anni, parlo del 1961, 1962 era una bomba, e resa dolorosa dalla consapevolezza che infondeva della grandezza di questi testi riproposti in questo nostro tempo. Un teatro di libertà che rompeva tutti i limiti, si liberava da tutte le pastoie. Poi in Norvegia, chiamando al lavoro i giovani attori che erano stati rifiutati dalla scuola statale teatrale. Con quattro di loro facemmo dopo un anno il primo dell’Odin. Un teatro archetipo, dell’amore, del dolore, la tenerezza, le esperienze che ogni spettatore può vivere con noi. Anche la nostra concezione di partire per il lavoro attoriale dal lavoro fisico è stata rivoluzionaria».
(M.T.)
Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org