VERITÀ E LIBERTÀ

Press Meeting

Presentato da Sergio Belardinelli, Docente di Sociologia dei Processi Culturali all’Università di Bologna, come “il tema più cruciale del nostro tempo”, quello dell’incontro svoltosi in collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II di San Marino, cui hanno partecipato Robert Spaemann, Docente Emerito di Filosofia a Monaco e S. E. Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro.
“Non facciamo un passo al di là di noi”: con questa frase di David Hume, Spaemann, ha iniziato la sua magistrale lezione, descrivendo la moderna concezione del mondo, e con essa la “formula del relativismo moderno” che spesso appare unita all’affermazione che ogni uomo ha la “propria verità”. “L’uomo, tuttavia – ha proseguito – conosce i propri limiti, e solo grazie a questi è nella verità”. Secondo Spaemann, l’accanimento con cui si afferma il relativismo ha una motivazione pratica: “appare infatti a molti uomini come condizione della libertà”. Molti “ritengono una definizione di libertà il non doversi conformare a qualcosa che è indipendente dall’individuo”: da qui l’esigenza di tolleranza (intesa come il divieto ad avere qualsiasi convinzione) e l’arbitrarietà (ogni vera conoscenza limita l’arbitrio di pensare in un certo modo qualcosa). È una limitazione della verità, che in realtà ha un diverso significato: “verità significa che la realtà si può mostrare per ciò che essa è”. In questo clima di incertezza, secondo Spaemann, ci sono due modi per accedere alla realtà, e sono determinati da due interessi fondamentali: quello per la sopravvivenza che implica uno sviluppo della conoscenza, e quello di ambientarci nel mondo, che invece implica la comprensione di una posizione. A partire da queste considerazioni, si può affermare che “la verità si afferma nel mondo solo sotto forma di opinioni sulla verità e tali opinioni possono essere vere o false. Citando il Vangelo di Giovanni (Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce), ha proseguito, che essere dalla verità “significa non conseguire la propria identità come un risultato di forze esterne e di impulsi intimi, bensì da intima apertura alla realtà stessa: la realtà dell’altro, quella del mondo, la mia propria realtà”, fino ad arrivare ad affermare, passando per l’istintività, che “l’uomo può osservare se stesso dall’esterno solo se è definito dall’amore”. L’amore – ha dichiarato – si potrebbe definire come “il divenire reale dell’altro per me”. Allora “se non facciamo un passo al di là di noi”, non siamo capaci di verità e non siamo neanche liberi. A proposito di libertà, ha precisato, “l’obbligo di dover scegliere senza sapere di cosa si tratta è la forma più estrema di mancanza di libertà”. In questa dinamica “se la libertà avesse lo stesso significato dell’incertezza, si dovrebbe affermare che tutti gli uomini che arrivano a contemplare Dio perdono la loro libertà” e di fronte alle domande importanti (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo) “non esisterebbero delle risposte veritiere, ma soltanto interpretazioni soggettive”. “Tale punto di vista – ha ribadito – si basa su un grossolano errore: non riconosce il fatto che anche delle interpretazioni presuppongano la verità e si basano sulla verità”. Oggi, ha poi chiosato, “in Europa esiste un uso linguistico relativistico inconciliabile con il significato della parola vero” (è vero per te ma non per me). Prima di avviarsi alla conclusione, Spaemann ha dichiarato che “la misura, il criterio della verità, non è la fermezza dell’idea di un uomo, ma un dato di fatto oggettivo (esser qui in questo luogo non può essere soggetto a mutamenti). Infine si è soffermato sulla relazione tra “la nostra fede in Dio e la certezza di oggettività e immutabilità della fede”, passando attraverso la tesi che l’illuminismo produce il nichilismo, al cui culmine si trova spazio per nuovi miti. “Nessuna argomentazione può indurre a credere nell’esistenza di Dio chi ha deciso di vivere nell’assurdo: queste persone non hanno bisogno di argomentazioni, ma di un buon amico, di un uomo che le ami”. Solo chi è uscito dal regno polveroso dell’assurdità, chi ha imparato a prendersi sul serio, è aperto ad una riflessione che gli faccia fare quel passo oltre se stesso che Hume riteneva impossibile”.
“Più che concludere voglio aprire”, ha detto Mons. Negri all’inizio del suo intervento, “perché le parole del prof. Spaemann inducono ciascuno di noi a una responsabilità di comprensione, riguardano il conoscere e l’agire”. Il suo intervento, ha continuato, è un’offerta ad uscire dal “regno polveroso dell’assurdità”. Questo può “avviene attraverso un giudizio” in cui innanzitutto ci si domanda “dove e come si rivela la verità”. La verità si rivela quando l’uomo è movimento verso il Mistero, perché altrimenti “l’uomo è incomprensibile a se stesso” (Giovanni Paolo II). L’altra dinamica riguarda il fatto che “la verità si rivela nel movimento di Dio nel cercare l’uomo”. Poi, riprendendo Sant’Agostino: “la verità è un uomo presente, Cristo (qui la libertà diventa amore). La Fondazione Giovanni Paolo II, ha concluso, vuole essere la casa in cui queste due dinamiche si intrecciano: “solo in questa casa la verità e la libertà diventano l’unica cosa che l’uomo desidera veramente: la felicità”.

G.F.I.
Rimini, 22 agosto 2007