Incontro sulle prospettive di una nuova didattica universitaria a cura dell’associazione “UniversitasUniversity”, che ha lo scopo – ha sottolineato il moderatore Daniele Bassi – di fornire un aiuto a docenti e ricercatori di ogni Paese che desiderano confrontarsi sulla natura e le modalità del proprio lavoro.
“Desideriamo aiutarci a svolgere il compito di ricerca, di educazione e di formazione, così da favorire giudizi critici sulla realtà nella quale viviamo e lavoriamo e far sì che essi diventino operativi. Un giudizio, infatti, nasce dal paragone tra la nostra esperienza e ciò che ci accade e ci interessa; esso diviene operativo nella misura in cui costituisce un’ipotesi di lavoro sperimentabile”.
“I giovani cercano una sintesi, un valore che possa dare significato alla vita”, ha detto Nikolaus Lobkowicz. Direttore del Centro Studi sull’Europa dell’Est e sulla Mitteleuropa. “È una cecità quasi ideologica a suggerire che la trasmissione di una conoscenza neutra e di capacità professionali non educhi, perché questo presuppone che il linguaggio dell’insegnamento possa essere neutrale, ma ciò è possibile solo nel caso della formule matematiche”.
“Nelle Università medievali – ha sottolineato Giancarlo Cesana – il concetto era quello di ‘unità del sapere’. Oggi il concetto di esperienza, cioè di universalità del sapere, non c’è più. Il problema è che non si sa più che il significato della vita è in una compagnia. La cultura specialistica è il sapere di oggi.
La nostra società non ha una proposta, un discorso da fare ai giovani. Il ‘College’ è un sistema di vita, un modo in cui gli studenti cominciano ad essere indipendenti. È una formazione generica a basso livello, che non insegna molto. A livello di formazione superiore, il problema è che l’unità del sapere è concepita solo come scientifica, ma l’amore, l’affezione, sono cose che non si possono misurare. Oggi non si insegna più un metodo per fare esperienza, secondo l’insegnamento di San Paolo: vagliate tutto e trattenete quello che vale.
È impossibile una dedizione alla scienza senza un’origine che ne metta in chiaro le ragioni. Perché faccio il medico? Per curare la gente . E perché? Per noi è importante partire dai concetti che ci sono cari di libertà di ricerca e di insegnamento, che consentano di reintrodurre la nozione di ‘universitas’ del sapere oggi emarginata e dimenticata, come una compagnia di ricerca, non come teoria, come un rapporto tra maestro e allievo. Dentro la compagnia si può acquisire il senso della vita . Il rapporto è fattore di conquista dell’unità di sé. E’ necessario perciò che ci sia un concetto forte, una compagnia di uomini forte, capace di giudicare se stessi e la realtà”.
M. T.
Rimini, 27 agosto 2004