Università, non di solo tablet: Il futuro degli atenei dipende dalla qualità del rapporto educativo e non solo dalle innovazioni tecnologiche

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Rimini, giovedì 23 agosto – “L’università in un mondo che cambia” è stato il tema dell’incontro delle 19, nell’Arena della Storia A5. Coordinati da uno studente della Cattolica di Milano, Stefano Buongarzone, sono intervenuti Juan Carlos De Martin, delegato del Rettore del Politecnico di Torino per la Cultura e la Comunicazione; Javier Prades López, rettore dell’Università San Dámaso di Madrid; Gianfranco Viesti, professore ordinario di Economia Applicata nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università “Aldo Moro” di Bari.
A Viesti il compito di tracciare un quadro impietoso della situazione degli atenei italiani. Secondo l’economista, le nostre università, soprattutto del Meridione, da dieci anni a questa parte sono state abbandonate dalla politica, perdendo un quinto delle loro risorse finanziarie e delle iscrizioni. La Germania spende per le sue università trenta miliardi di euro, la Francia 24, l’Italia solo sette. “Nel 2008, paradossalmente, si stava meglio – ha osservato Viesti –. C’erano, sì, alcuni docenti che entravano per nepotismo ed erano scarsi i rapporti internazionali, ma la nostra università, di piccole dimensioni, aveva un buon posizionamento nel campo della ricerca. Oggi il turn over è bloccato e una generazione di giovani studiosi si trova davanti alla prospettiva di un precariato sottopagato. Non c’è da meravigliarsi se decidono di andare all’estero”. In compenso, sono aumentate le tasse di iscrizione, diventate le più alte di Europa, mentre la percentuale di giovani laureati ci vede fanalini di coda, insieme alla Romania. “È un fatto tragico – ha commentato Viesti –, perché senza istruzione le differenze sociali si accentuano e la società impigrisce, diventa meno dinamica”. Per l’economista, nell’università italiana si è proceduto in un modo selettivo dal punto di vista territoriale, con burocrati e politici che hanno investito al Nord e lasciato a piedi Isole e Meridione. “Assistiamo a delle vere e proprie migrazioni studentesche – ha denunciato – che portano via dal Sud i giovani migliori e aumentano gli squilibri nel nostro Paese”.
Le preoccupazioni di Viesti sono state fatte proprie da De Martin, che ha subito ricordato come, in Italia, da otto anni a questa parte si siano persi 18.500 posti di ordinari di ruolo, “un deficit che ha contribuito non poco a trasformare l’anima dell’università italiana, riducendola ad un’organizzazione di tipo utilitaristico”. De Martin, da buon ingegnere informatico, fa molto affidamento sulla tecnologia, ma non intende assolutamente farne la panacea di tutti i mali del mondo accademico. “La tecnologia – ha asserito – non soppianterà mai il sistema educativo come pure da qualche parte si sente auspicare. Questo non sarà possibile perché l’educazione non si risolve con qualche software in più, l’educazione è un rapporto interpersonale dei docenti fra loro e con gli studenti. Ben vengano tablet e quant’altro, ma al centro di deve essere il docente, consapevole degli strumenti a disposizione ma libero di usare quelli che ritiene più opportuni: dal vecchio gessetto ai moderni dispositivi”.
Il professor Prades, rettore di una università ecclesiastica che ha solo sette anni di vita, ha spostato l’attenzione sulla natura del sapere accademico. “Oggi la frammentazione del sapere è considerata inevitabile – ha esordito –. Eppure io non mi rassegno ad un sapere parcellizzato, credo che sia possibile un significato unitario del reale. La vita universitaria, la ricerca debbono essere caratterizzate da un sapere che abbia un’esigenza di universalità. Dico così perché si tratta di una esigenza fortemente umana”. Oggi si parla spesso di interdisciplinarietà, “ma quali sono le condizioni di una vera interdisciplinarietà? – si è chiesto il docente madrileno – Si può approdare ad una conoscenza che si arricchisca del contributo di tutti?”. Per Prades gli atenei hanno bisogno di docenti coinvolti con quello che insegnano e con i loro studenti. Infine una stoccata ai docenti stessi: “Nelle università c’è un individualismo feroce fra gli insegnanti, la gelosia degli ordinari è peggiore di quella fra uomo e donna”.
“Ci sono vie di uscita?”, è stato chiesto dal pubblico. Per Viesti occorre raggiungere un equilibrio fra l’aspetto professionalizzante e la formazione di cittadini capaci di apprendere nell’intero arco della vita. Inoltre bisogna ridisegnare il rapporto fra tecnici e politici, abbandonando la leggenda seconda la quale i primi, con la loro dittatura dei numeri, sarebbero migliori dei secondi.
De Martin, infine, è ritornato sull’importanza del rapporto docenti-studenti, “che in Italia è il peggiore di tutti i Paesi dell’Ocse”.

(D.B.)

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