“L’educazione è uno dei problemi più sentiti nel nostro paese. Se manca il legame tra università e mondo del lavoro il rischio è che i giovani universitari diventino periferici” così ha introdotto l’incontro dal titolo “Università e lavoro” in sala D3 alle 11.15 Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ricollegandosi al titolo del Meeting di quest’anno. Stimolati dalla premessa, i relatori hanno preso la parola di fronte a un pubblico numeroso composto per la maggior parte di giovani.
Maurizio Carvelli, amministratore delegato di fondazione Ceur, ha sottolineato la necessità per ciascun giovane di scoprire il proprio talento. Spesso questa parola viene mal interpretata, ma indica semplicemente “la forza di gravità che porta un uomo e una donna ad occupare il proprio posto nel mondo, perché è il suo modo unico e irripetibile di relazionarsi con la realtà”. Riprendendo la parabola dei talenti, Carvelli ha spiegato che ognuno deve investire il suo talento e farlo fruttare, perché esso ci è stato donato e dobbiamo in qualche modo restituirlo. “La difficoltà evidente nel prendere consapevolezza dei propri talenti – ha aggiunto – può essere superata attraverso l’incontro diretto con adulti in grado di sollecitare le capacità del giovane e di mantenerlo curioso e attento nei confronti della realtà circostante”. “Solo così – ha concluso il manager – il talento diventa una chance e non un peso”.
Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, riprendendo le parole di santa Chiara ha puntualizzato: “Siamo in un periodo di carestia, è vero, ma non dimentichiamo che anche in periodo di carestia il contadino taglia su tutto ma non sulla semina”. E la semina deve essere effettuata con la dovuta cura. Plutarco ripeteva: “I giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere”.
Parole riprese anche da Francisco Marmolejo, Lead Tertiary Education Specialist della Banca mondiale. “L’educazione – ha esordito – è un pilastro fondamentale nella nostra società, perché garantisce non solo vantaggi economici ma anche sociali; prima di tutto forma le coscienze individuali”. Keynes scriveva: “Non c’è nulla che un governo odi di più dell’essere ben informato; poiché ciò rende molto più complicato e difficile il processo che conduce alle decisioni”. L’educazione infatti, ha aggiunto il relatore, favorisce la tolleranza verso le altre culture, la mobilità sociale, un maggiore rispetto per l’ambiente.
La relazione tra educazione e sviluppo economico-sociale è molto stretta: in un mondo globalizzato e competitivo, profondamente cambiato negli ultimi cinquanta anni, è necessario rinnovare anche il sistema universitario. “Se abbiamo di fronte una nuova realtà – ha argomentato Marmolejo – bisogna guardarla con un paio di occhiali diverso”. Questa urgenza è sottolineata dal divario crescente tra la formazione universitaria dei giovani e le competenze che l’ambiente del lavoro richiede. I due mondi dovrebbero invece comunicare e collaborare insieme. Di qui, è la proposta di Marmolejo, è necessario un nuovo modello universitario che coinvolga maggiormente gli studenti. Questi ultimi da parte loro devono disporsi in modo attivo nell’apprendimento universitario (coloro che fanno esperienze di studio all’estero, di tirocinio o stage vengono assunti più facilmente) e nel mondo del lavoro. I giovani devono essere disposti a cambiare occupazione, a lavorare in squadra e in ambienti multiculturali, a imparare bene almeno un’altra lingua straniera e soprattutto a mantenere vivo il desiderio di continuare a imparare per tutta la vita.
(C.S.)