Una comunità alle periferie: la chiesa “Villera” a Buenos Aires

Press Meeting

Rimini, 21 agosto 2015 – “Ricevere tutta la vita e tutte le vite così come vengono”; questo è l’invito lanciato nel 2008 dall’allora cardinal Jorge Mario Bergoglio a Carlos Olivero, sacerdote della parrocchia della Virgen de los Milagros de Caacupé nella villa 21-24 di Buenos Aires, durante l’inaugurazione del centro per giovani in difficoltà.
Alle ore 15.00 nel Salone Intesa San Paolo B3, con l’introduzione del direttore della rivista Tracce, Davide Perillo, si è potuta ascoltare l’intensa esperienza di questo giovane sacerdote. Già ospite delle passate edizioni, quest’anno è presente al Meeting con un gruppo di ragazzi della sua parrocchia. Seduti nelle prime file, con le loro polo azzurre, racconteranno per tutta la settimana della “Villa 21-24” in piazza C1. Basta incrociare un attimo i loro sguardi per capire che sono davvero felici.
Perillo è baldanzoso quando parla di Olivero, amichevolmente “Charly”: “La Villa è un quartiere alla periferia di Buenos Aires, abitato da sessantamila persone, un posto pieno di problemi, dal quale la gente di Buenos Aires tende a star lontana ma padre Carlos Olivero ha deciso di vivere lì perché ha trovato un tesoro di umanità, un posto di bellezza da poter scoprire. Oltre a decidere di vivere con la sua gente, nella sua parrocchia, ha collaborato alla nascita dell’Hogar de Cristo per rispondere a uno dei problemi più grandi del quartiere: la droga a basso costo, il Paco”.
Olivero dopo i ringraziamenti inizia il suo intervento con passione. “Il tema del Meeting è davvero suggestivo, la ricerca a cui si riferisce il poeta è la nostra ricerca”. Eppure il percorso religioso, ricorda il sacerdote argentino, ci insegna che non possiamo soddisfare questa sete. “La Bibbia è piena del tema a cui fa riferimento questa ricerca. La vita è piena di notizie che accedono il cuore, che ci mettono alla ricerca verso Dio, ma questa possibilità è messa in questione da parte della nostra cultura. Di fronte alla sete che abbiamo ci si propongono soluzioni inadeguate: come se alla fame di qualcuno offrissimo del cibo spazzatura”. Per don Charly troppo spesso si suscita nei giovani una promessa di felicità effimera: possedere quelle scarpe, possedere quel cellulare. Nei ceti più ricchi tale promessa, attivata dalla speranza di essere felici, produce una sorta di anestesia. Nelle situazioni di maggior povertà tutto ciò produce morte e distruzione.
“Voi non sapete – prosegue in un auditorium sempre più attento padre Charly – quanti giovani finiscono in carcere, prostituiti o assassinati per ottenere quelle scarpe o quel cellulare. Quel desiderio di soddisfare la sete del cuore con questi palliativi, noi lo diamo per scontato, non lo mettiamo più in discussione ma in tanti quartieri poveri sta distruggendo la società”. Padre Olivero legge un brano di papa Francesco, pronunciato lo scorso Luglio durante l’incontro mondiale dei movimenti popolari in Bolivia: “Si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea, uno dei primi teologi della Chiesa, chiamava lo sterco del diavolo. L’ambizione sfrenata di denaro che domina. Questo è lo sterco del diavolo”. Quello che si vive nelle Villas, dice don Charly, ha a che fare con questo, “fa parte dello stesso sistema. Nel nostro quartiere c’è il Paco, una droga sintetica che si si compra con pochi centesimi. Ha effetto brevissimo e polarizza la vita dei nostri giovani. Non riescono più a vivere, tagliano ogni rapporto, vivono una disperazione che dura una settimana, dieci giorni. Una distruzione totale della loro umanità”. Oggi, aggiunge, siamo qui per raccontarvi come si uniscono queste realtà: la necessità di cambiamento e il desiderio di un quartiere più giusto, “perché non sopportiamo più vedere questi giovani morire.”
Il racconto prosegue. “Con l’Hogar de Cristo abbiamo cercato di rispondere. Di fronte a questi disastri abbiamo aperto un locale, un centro di recupero. Ci siamo resi conto della complessità immensa, abbiamo capito che se eliminavamo la droga i problemi dei giovani rimanevano gli stessi. La società si era allontanata da loro. Abbiamo potuto lasciare Dio parlare e a dirci la sua idea”. Il metodo che viene usato nella “casa di Cristo” è indicato dal Papa: andare a cercarli per fare amicizia e stare con loro. “Dio ci ha convinto – aggiunge Olivero – la Chiesa esce, si propone per poter condividere questo amore. Noi andiamo in giro con le cose da mangiare e un po’ di mate. A volte i ragazzi sono soli, abbandonati, in un momento oscuro, difficile. Noi siamo lì, senza aspettarci nulla. Vogliamo solo essere amici, non vogliamo dire loro cosa devono fare”. Un vero corpo a corpo. “Ci coinvolgiamo con i loro problemi, non possiamo rimanere freddi di fronte a quel dolore. Noi cerchiamo di farci coinvolgere. Così la chiesa si fa vedere, si coinvolge e accompagna”.
Solo condividendo fino in fondo ci si scopre comunità. “Abbiamo deciso di accompagnare qualsiasi cosa bella o brutta: tutto. Ad un certo punto ci siamo accorti di avere molte necessità ma poche risorse. Allora abbiamo proposto che fossero gli stessi ragazzi che avevamo aiutato in passato a coinvolgersi con altri che avevano problemi e a un certo punto ci siamo accorti che eravamo una comunità”. Don Charly alterna il racconto con brani di papa Francesco, che consigliava di cercare “risposte alternative”. “Questa è stata la nostra risposta alternativa. Non c’è tra noi chi ha una risorsa e la dà a chi non ce l’ha. Nella comunità siamo tutti uguali, non c’è una logica verticale. Abbiamo tutti qualcosa da dare. La grande intuizione è che nell’emarginazione Dio ci chiama a fare comunità. Contro una logica verticale abbiamo scoperto che Gesù ci ha donato la sua misura divina facendosi uomo, scendendo fino a noi. Ed è nato un luogo dove riusciamo a guardare la nostra fragilità, un luogo in cui non è necessario competere, dove non serve nascondere le proprie fragilità”. Questo è il luogo dove si nasce la comunità, “perché qui troviamo tracce di Dio, capiamo che stiamo facendo la strada giusta. Le cose che fanno brillare il cuore confermano che questa è la via da seguire: comunità cristiana e opzione verso i poveri”.
L’incontro termina con un applauso lunghissimo, dal mega schermo lo sguardo intimidito di padre Charly abbraccia tutti. Perillo conclude con una domanda: “Incontrando una realtà così non ci viene voglia di andare li? Quale corrispondenza ci ha suscitato? Grazie a padre Charly perché ci fa capire cosa ci sta chiedendo il Papa e questo è il motivo per cui siamo al mondo” .

(M.G.D’A.)

Scarica