Un fuoco sempre acceso

Press Meeting

Dopo il grande successo di “Torniamo a casa. L’imprevisto: storia di un pericolante e dei suoi ragazzi”, Silvio Cattarina ha presentato alle 21.45 all’Eni caffè letterario il suo nuovo lavoro “Un fuoco sempre accesso” pubblicato da Itaca. Emozione e commozione in sala per la testimonianza di Veronica, Susanna, Dario e Federico. Quattro ragazzi che fanno parte della comunità terapeutica “L’Imprevisto” fondata dallo psicologo trentino. Ad introdurre e ad accompagnare la chiacchierata è stato Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano.
Il libro, con prefazione della saggista Mariella Carlotti e postfazione del comico Paolo Cevoli, raccoglie una serie di riflessioni. “Ho scritto questo libro perché molti desideravano conoscere meglio come lavoriamo e il nostro metodo. È un racconto dettagliato della nostra esperienza”. Cosi apre il suo intervento l’autore. “Ho voluto descrivere gli occhi dei miei ragazzi – prosegue Cattarina – che esprimono la stessa anima: sembrano parenti tra loro”. In questi ragazzi ciò che pesa non è il passato, ma il presente: non è il dolore che è insopportabile ma la speranza di essere felici. Ma “non può essere che Dio ti dia un dolore senza poi darti l’amore. Quello che il tuo cuore ha sempre atteso c’è e si trova fuori, capire questo è la chiave di volta: occorre gridare e lì fuori qualcuno ti ascolta e risponde”.
L’imprevisto nella vita è proprio trovare un padre e la salvezza è nel saperlo riconoscere. Come ha fatto Federico, 17 anni di Aosta. Adottato a un anno e sette mesi di vita ha sempre sentito la mancanza di un padre cercandolo in luoghi sbagliati e finendo in comunità. “Credevo di finire in una prigione, invece i cancelli erano sempre aperti e mi sono sentito libero. Alla scadenza del periodo di recupero, ho chiesto di restare per riprendere in mano la mia vita”. Una libertà che non prescinde dalle regole, come racconta Susanna, 28 anni: “La fatica è stata nelle regole, ma giorno per giorno capivo che era fantastico. Sono stata scelta e ho capito che più si fa fatica e più si ha. Ho iniziato la tossicodipendenza per nostalgia, che non è sparita ma oggi guardo il cielo e sono lieta. Da quattro mesi sono sposata e aspetto un bimbo”.
Per misurare regole e libertà occorre una presenza costante degli educatori. Una presenza che ha stupito Dario, 24 anni di Porto San Giorgio. “Nelle altre comunità gli operatori erano presenti, tutti, il primo giorno. Quando sono arrivato qui ho pensato: ci sono tutti. Be’, certo, è il primo giorno… Invece era cosi sempre e mi guardavano non per ciò che avevo fatto ma per cosa desideravo nel presente”. Per questi ragazzi non vale l’equazione ‘hai sofferto tanto, ti chiedo poco’, al contrario, viene chiesto di più. Come racconta Veronica, 26 anni: “Sono entrata perché ero convinta di essere pazza, ma anche nelle situazioni più drammatiche loro mi chiedevano tanto e ho scoperto che c’era bisogno della mia presenza. Se all’inizio le uniche cose che vedevo erano i miei pensieri e le mie paure, adesso alzo gli occhi sicura di trovare un cuore che mi accoglie”.
Come non confondere la risposta che dobbiamo cercare fuori?, chiede Fornasieri a Cattarina. “Occorre stare attenti al bisogno del proprio cuore e cercare chi risponde a questo bisogno. Ai miei ragazzi diciamo sempre: ‘Non guardate a noi, ma a dove noi guardiamo’. E anche: ‘dovete essere entusiasti’ che in greco significa essere dentro Dio”.
(C.R.)

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