Un cuore più grande della guerra

Press Meeting

Rimini, 21 agosto 2015 – “Un cuore più grande della guerra. I canti del popolo soldato nel primo conflitto mondiale” è il titolo del concerto del Coro CET – Canto e Tradizione Milano sabato 22 agosto alle 21.45 all’Arena Frecciarossa, a 100 anni dall’entrata dell’Italia nella Grande Guerra.
È l’occasione di riscoprire, nei canti che i soldati si sono portati al fronte, il segno di un’umanità ancora più grande. Tale repertorio autentico – esaltato dalla tradizione musicale, di straordinario valore artistico – rivela la profondità del cuore dell’uomo, nella quotidianità come nelle prove della Storia: amore e guerra, lavoro e riposo, pace e fraternità umana, nostalgia e attesa… quando si sciolgono in canto trovano la loro espressione più vertiginosa.
La settimana del Meeting ospita anche l’esposizione dallo stesso titolo. Uno dei temi più suggestivi e caratteristici della tradizione alpina (e in generale di tutte le espressioni più alte del canto popolare) è la nostalgia, la malinconia, l’avvertita mancanza o lontananza di qualcosa (Qualcuno) che colmi il cuore umano.
La semplicità delle esperienze umane consegnate ai canti più belli giunge a questo vertice di attesa (spesso inconsapevole), all’espressione del bisogno costitutivo del cuore umano. Sovente il testo è fatto di evocazioni elementari, riguardo alla vita e alla morte, all’amore e alla guerra, ai mestieri e alle stagioni; nelle parole si troverà la verità delle storie e una domanda umana solo abbozzata o ancora confusa: ma nella dimensione musicale, il presentimento della reale profondità del desiderio umano e di una possibile pienezza si fa esperienza. Nel cantare assieme, nella comunione dei cuori di chi scioglie in canto la propria umanità, e soprattutto nella bellezza espressiva delle armonie musicali, lì si inizia a intuire una risposta possibile, che supera la somma delle umanità individuali, così come l’armonia musicale sfonda la misura delle singole voci.
“Questa esperienza, propria di qualsiasi popolo che canta”, raccontano i giovani cantori, “è la stessa che si ripete oggi per chi come noi prova a servire il repertorio alpino e la sua bellezza, segno piccolo ma autentico della Bellezza che riempie il cuore”.
I canti sono il racconto della capacità di affrontare avvenimenti anche di gran lunga superiori alle forze di singoli e gruppi (come nell’esperienza della guerra), senza che questi possano ridurre o sopraffare il cuore di chi li vive. Nei canti, anche i più tristi e drammatici, non vi è traccia di recriminazione e di disperazione ma anzi un chiaro senso di compassione e di speranza. La violenza della tecnica, come fosse in grado di annullare l’umano, non è mai il vero tema. Anzi è vero il contrario e cioè che al centro è l’uomo in grado di desiderare, di amare, di offrire, fino a, anche inconsapevolmente, pregare (come in Monte Canino, Ai preât, In cil e je une stele…), certo di un’origine e di un destino più grandi.
(M.T.)

Scarica