Rimini, 23 agosto 2015 – Non è bastato lo scroscio di applausi dopo gli ultimi canti. Non è bastata l’intera arena Frecciarossa1000 in piedi dopo l’ultimo canto. Il coro Cet ha continuato a cantare in disparte anche dopo lo spettacolo, con amici, parenti e curiosi.
Cet significa Canto e Tradizione. Nato nel solco dell’esperienza cristiana di Cl, il gruppo canoro prende origine proprio da un innamoramento e un’educazione al canto tradizionale. Nei suoi quindici anni di vita è progressivamente migliorato, ha cercato nuovi maestri e si è esibito ormai su vari palcoscenici. In particolare, nel 2009 è stato insignito dello stemma della Sat con la motivazione: “per aver risvegliato la gioia del canto popolare nei giovani e per essere accanto a noi nel mantenere vivo, con lo stesso spirito, il patrimonio di cultura, tradizione e musica”.
“Un cuore più grande della guerra”. I canti che i soldati si portarono al fronte sono stati veramente l’occasione per riscoprire il segno di un’umanità ancora più grande. Il repertorio tratto dalla tradizione musicale e di alto valore artistico ha rivelato la profondità del cuore dell’uomo, nella quotidianità come nelle prove della storia.
Il concerto ha collocato la Grande Guerra nella prospettiva più propria di guerra europea, in particolare attraverso i canti raccolti nei campi di confino dell’Europa centrale durante la deportazione dei trentini che all’epoca erano sudditi dell’Impero austroungarico. E così lungo la serata si ascoltano canti intensamente patriottici (La mia patria), capaci di raccontare un momento storico come la Belle Epoque (Schneewalzer) – il cui ottimismo non seppe intravvedere lo scoppio uno dei più devastanti conflitti che il mondo ricordi -, canti d’amore struggenti, per la perdita dell’amato (Sui monti scarpazi), canti che raccontano episodi bellici specifici (Ta-Pum!, Monte Canino) e momenti della quotidianità della vita al fronte (Era una notte che pioveva).
A presentare ed accompagnare lo spettacolo, Massimo Bernardini, giornalista e conduttore televisivo. “Che cosa faccio io qui? – ha esordito – Che cosa c’entra un giornalista? Cercherò di aiutarvi a cantare”. Bernardini ha così introdotto ogni brano aiutando il pubblico a immedesimarsi in ogni brano assieme alle immagini del ’15-’18 che scorrevano sullo sfondo. Ha invitato a riflettere su parole come ‘onore’, “il cui significato noi oggi non sappiamo neanche più quale sia, mentre per questi italiani aveva un valore ben preciso”, o come ‘patria’: “allora era un ideale”.
Le esperienze drammatiche di chi ha vissuto in prima persona il dramma della guerra, il cuore di milioni di soldati al fronte si è rivelato attraverso i canti a spettatori che ne hanno percepito tutta l’attualità. Per questo motivo lo spettacolo non ha voluto assumere una caratteristica storico-rievocativa ma piuttosto quella di un evento in grado di ripetere l’esperienza viva del modo con cui un cuore umano affronta e attraversa il conflitto in ogni epoca.
(A.B.)