“La Chiesa non può vivere senza Gerusalemme e neanche l’Occidente, perché sono nati lì”. Con queste parole padre Pierbattista Pizzaballa, custode dei Luoghi Santi dal 2004, ha richiamato al riconoscimento, e alla conseguente responsabilità, che se siamo quello che siamo è per l’avvenimento dell’incarnazione di Cristo, di cui le pietre della Terra Santa custodiscono la memoria. “E dire hic, proprio qui è fondamentale”, ha aggiunto il frate francescano, che ha offerto la sua testimonianza al pubblico del Meeting, rispondendo alle domande del giornalista Roberto Fontolan, Responsabile del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.
Il frate ha dapprima presentato un breve excursus storico sulla presenza francescana in Terra Santa, che fu meta di un pellegrinaggio dello stesso San Francesco. Nel 1342, Papa Clemente VI, con una bolla, che è tuttora in vigore, diede ufficialmente all’ordine francescano il compito di custodire i luoghi sacri, cioè di “recuperare e custodire i luoghi della Chiesa a nome della Chiesa e per la Chiesa” e di riorganizzarvi la presenza cattolica. Quest’ultimo aspetto del compito è fondamentale, perché la creazione di attività sociali e pastorali nei luoghi della Terra Santa realizza “l’unità tra le pietre della memoria e le pietre vive, cioè le comunità ecclesiali”.
Riguardo alla presenza, non solo dal punto di vista numerico, della comunità cristiana, padre Pizzaballa è certo del fatto che i cristiani non scompariranno mai del tutto da lì; tuttavia il calo numerico delle presenze (i cristiani non sono più di 170mila: meno del 2% della popolazione) ha come conseguenza una minore incidenza nella società. Alla provocazione di Fontolan: “Perché rimanere in una realtà così ostile?” il custode di Terra Santa ha replicato: “Perché siamo tutti nati lì” e il compito dei cristiani è quello di stare lì, a nome di tutta la Chiesa, e “testimoniare quella presenza con la ‘p’ maiuscola”. Comunque, ha aggiunto Pizzaballa, il problema delle emigrazioni non riguarda solo i cristiani ma “per loro è più acuto”. Come si può spiegare il dramma che vive il popolo che abita la Terra Santa (termine che il padre francescano non ha nascosto di preferire, pur non avendo paura di usare i termini Israele e Palestina)? “Gerusalemme è il cuore del mondo, dove convergono tutte le nostre aspirazioni, ma anche le tensioni. Non nascono da lì, ma arrivano lì”. Gerusalemme è lo specchio del mondo: sconta i conflitti e le tensioni che sono in tutto il mondo. È vero che quando si mette piede a Gerusalemme balzano subito all’occhio le divisioni “ma non è tutta la verità: c’è anche tantissima condivisione”. Padre Pizzaballa ha utilizzato l’immagine del condomino per spiegare come, in una realtà, unica al mondo, dove vivono insieme confessioni cristiane e varie religioni, che hanno quindi approcci diversi anche al concetto di convivenza, si possa anche arrivare allo scontro, quando si affrontano problemi che potrebbero sembrare banali, come la collocazione di un impianto elettrico o il percorso di una processione, ma che “sono problemi che ci rendono comuni fratelli”.
Alla domanda di Fontolan sulla possibilità che i cristiani facciano da ponte tra la società israeliana e quella palestinese, Pizzaballa ha risposto che è molto difficile che ciò accada, perchè un ponte necessita delle fondamenta su entrambi i lati e la comunità cristiana deve lavorare ancora molto per gettare queste fondamenta. “Quello che la Chiesa può fare è testimoniare un modo di vivere diverso in quella realtà”.
Giancarlo Cesana, concludendo l’incontro, ha ringraziato padre Pizzaballa per la sua testimonianza e la sua opera ed ha aggiunto che in Terra Santa “la drammaticità della verità si percepisce realmente”. Cesana, infine, riprendendo il don Giussani del Senso Religioso, ha affermato che “se la tradizione non è un avvenimento presente è solo occasione di curiosità, di turismo o di analisi politico-sociologica”.
V.V.
Rimini, 21 agosto 2007