L’IMPRESSIONANTE ESPERIENZA DEGLI OPERATORI NEGLI OSPEDALI PEDIATRICI, TRA RELAZIONI UMANE, TERAPIE, SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE
Rimini, 19 agosto – «C’è un modo per stare davanti al dolore innocente senza considerarlo una maledizione?». Con questa domanda diretta Camillo Rossi, direttore sanitario Asst Spedali Civili di Brescia, ha introdotto i lavori in Arena Meeting Salute C3 sul tema “La cura dei più piccoli”. Una domanda forte, che ha subito girato agli ospiti Mariella Enoc, presidente Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, e Momcilo Jankovic, fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma.
È stato Jancovic a sviluppare il tema: «Oggi di tumori pediatrici guarisce l’80 per cento dei bambini, dunque l’obiettivo è la guarigione di tutti ma con l’ulteriore obiettivo del 100 per cento della qualità di vita che oggi non è possibile garantire, in particolare per le malattie croniche. Per fare questo – ha aggiunto – manca l’impegno sulla guarigione psicologica e sociale. Chi ha superato la malattia ha diritto ad entrare nella società senza subire pregiudizi e discriminazioni». Bisogna quindi lavorare sulla crescita di persone resilienti con capacità di adattamento «e questo lo possiamo fare se crediamo al nostro lavoro senza togliere la speranza. Un giorno – ha raccontato – in reparto due ragazzi malati mi hanno regalato un prosciutto ma subito dopo hanno precisato che il regalo non era niente in confronto alla speranza che davamo loro. Questo episodio ha creato molta forza in chi ha assistito e ha indicato una direzione da seguire. La relazione, dunque, è una cura importante. Il malato» ha continuato Jancovic che è pediatra-ematologo-oncologo «è un guerriero ma non è l’eroe perché gli eroi sono quelli che gli stanno vicino».
«Chi sono i piccoli?» si è chiesta Mariella Enoc, che ha risposto: «Questo concetto non va ridotto. I piccoli sono gli invisibili per la loro fragilità di fronte alle circostanze: gli anziani dimenticati in casa o negli ospizi, i malati che non possono curarsi e anche quelli che danno fastidio nelle strutture di cura per i problemi che portano, sono i bambini con malattie che non si sa come curare come quelle del disagio psicologico. Nell’ultimo mese al Bambin Gesù sono arrivati tanti bambini e ragazzi che hanno tentato il suicidio. Ma siccome la cura si costruisce sulla relazione non bisogna concentrarsi solo sui bambini malati ma soprattutto sulle loro famiglie: questo deve fare un ospedale, prendere in cura la famiglia del bambino, un bambino è la sua famiglia. Bisogna dunque lavorare su più fronti. Per questo la ricerca scientifica è importante ma oggi ci sono poche risorse: toccarle per toglierle è la cosa peggiore che si possa fare. Ma purtroppo succede dappertutto, anche in posti impensabili come i luoghi di sanità. Spesso si pensa alla ricerca come al lavoro di grandi scienziati e invece ci sono schiere di giovani che lavorano sodo per mille euro al mese: questo dobbiamo pensare quando stiamo dando risorse alla ricerca. Tra questi giovani da sostenere ci sono anche gli infermieri che sono importanti nella relazione col malato. La relazione è una base importante e decisiva della cura. A questo proposito, mi viene in mente che una volta il Santo Padre in visita all’ospedale ha detto che la cura più difficile per questi bambini è la carezza perché significa dare sé stesso all’altro, e questo a volte è molto costoso. La speranza nasce dalla relazione tra le persone».
A questo punto Rossi ha incalzato: «Se la cura è relazione, allora come deve essere la comunicazione?». Per Jankovic «la cosiddetta alleanza terapeutica, ossia la sinergia tra operatori sanitari, famiglia e associazioni, non funziona se alla base non c’è un’attenta e curata comunicazione che abbia caratteristica di verità e di accuratezza descrittiva. C’è paura a parlare di tumore ma bisogna dirlo, e prima prepararsi per dirlo. Se non lo facciamo viene minato il rapporto di fiducia col malato».
Infine, Enoc ha ricordato che «un bambino ingannato non crede più a nessuno. Una volta ho girato i reparti dei bambini col Santo Padre e ad ogni persona che gli chiedeva conforto lui non ha mai detto di avere fiducia nella certezza della guarigione. Questa è la posizione corretta. Ogni operatore a contatto col malato faccia il suo dovere di servizio alla verità. Questo è il primo aiuto».
(A.L.)
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