Tecnologia: un grande bene o idolatria?

Press Meeting

Rimini, 24 agosto 2015 – Le nuove tecnologie fanno bene all’uomo o lo rendono schiavo di un proprio idolo? Il dubbio di crescente attualità nell’ultimo decennio, a seguito di una forte espansione del settore tecnologico e di progressive possibilità applicative, interroga le coscienze.
Sul tema è stato dedicato un incontro nella sala Neri Conai, delle ore 19, dove esperti e accademici si sono confrontati in maniera propositiva ed efficace. Al dibattito, coordinato da Andrea Simoncini, docente di diritto Costituzionale all’Università di Firenze, hanno partecipato Marco Carrai, presidente del Cambridge management consulting labs, il direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia Roberto Cingolani, Fabio Pammolli, docente all’istituto di studi avanzati di Lucca, il presidente della fondazione Isi (Institute for Scientific Interchange) Mario Rasetti e Maximo Ibarra, amministratore delegato di Wind Telecomunicazioni.
Simoncini nell’introdurre i relatori ricorda il richiamo contenuto nel terzo capitolo dell’enciclica di papa Francesco “Laudato sì” dedicato alla tecnologia fra creatività e potere: “L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte a un bivio”. Al bivio c’è la persona, la sua libertà, la sua educazione.
Nel versetto di Mario Luzi, scelto come titolo di questa edizione del Meeting, “l’uomo – dice Marco Carrai – è mancanza, ricerca e tensione verso l’infinito. Le nuove tecnologie sono nate per due motivi: per aiutare l’uomo a risolvere problemi pratici, pensiamo alle ‘app’ che hanno rivoluzionato il nostro modo di agire, oppure come esigenza di infinito. Ma attenzione, come ci ricorda il Papa, dietro alle tecnologie si nascondono dei pericoli”. Per Carrai “occorre coraggio, coscienza e libertà”.
“Ci troviamo nella fase dei Big Data, una vera rivoluzione paragonabile all’invenzione della stampa – commenta Rasetti. La stampa ha consentito una diffusione di strumenti della conoscenza, prima di allora impensabili e prerogativa di pochi, ad una comunità allargata con costi economici contenuti. Allo stesso modo oggi abbiamo a disposizione una grande quantità di dati che ci consente di acquisire una mole di informazioni, attraverso il sistema degli algoritmi.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia, come facciamo ad acquisire, a ordinare, le informazioni da un insieme di dati? “Oggi il mercato del lavoro richieste questo segmento di conoscenza e professionalità – evidenzia Rasetti -, un aspetto della tecnologia dove c’è ancora una scarsa formazione”.
Entro la fine del 2016 negli Stati Uniti le aziende e i centri di ricerca avranno bisogno fra i 150 e i 190 mila ricercatori per gestire e utilizzare questi big data; a questi si devono sommare altre figure professionali per oltre tre milioni di addetti. Un numero esorbitante di laureati che difficilmente il sistema formativo statunitense riuscirà a produrre. E i nostri laureati? “Una cosa che non riesco ad accettare dell’Italia è il dato sulla disoccupazione giovanile a livelli record: il 42 per cento, come è possibile? Esiste un problema culturale, una scarsa cultura scientifica e una formazione carente” – conclude Rasetti.
Per l’ad Wind, Ibarra occorre un cambio di mentalità, uno sforzo da parte delle istituzioni. “Se vogliamo metterci al passo dobbiamo partire dai bambini e investire sul loro futuro. I bambini, insieme ai giovani, hanno grandi capacità di utilizzo delle tecnologie. Bisogna partire della scuola con una visione olistica. Oltre alle doti intellettive occorre che valorizzi le capacità emozionali, la passione insita in ogni individuo. Non bastano le nozioni, il paese ha bisogno di persone formate nel campo delle nuove tecnologie e formate anche dal punto di vista umano. Una visione etica diventa centrale nel processo formativo”.
Le tecnologie sotto molteplici aspetti sono utili all’uomo, basta pensare alle applicazioni nel campo medico, nella ricerca e diagnosi di gravi malattie, nella condivisione da un capo all’altro del mondo di dati e informazioni. “Non dobbiamo demonizzarle – sottolinea Pammolli – ma per farlo è necessaria la libertà personale di ogni uomo, la sua capacità di scelta e di utilizzo responsabile”.
Anche per Cingolani “esiste un problema di coscienza che non si insegna a scuola, ciò che è bello può anche essere anche pericoloso. Sono questioni culturali, piuttosto che demonizzarle bisogna cercare di capire come utilizzarle attraverso una nuova cultura scientifica”.

(G.G.)

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