Sunset Limited, un treno chiamato desiderio

Press Meeting

Se uno vuol capire il titolo di questo Meeting deve leggersi il libro di Cormac McCarthy oppure, con meno fatica e forse maggior risultato, andare a vedere lo spettacolo che Fabio Sonzogni (che ne è anche il regista) e Fausto Hieme Caroli hanno messo in scena questa sera al teatro Frecciarossa.
Sunset limited è il dialogo fra un bianco, ricco professionista senza problemi economici e disperato, e un nero, uscito di galera, povero dei bassifondi di New York, che una ragione di vivere, Gesù, l’ha incontrata proprio in carcere. L’ “emergenza”? È tutta nel leit motiv del bianco professore: “non significa nulla”. La vita, la morte, l’amicizia, niente significa qualcosa, niente può trattenerci dal buttarci sotto le ruote del Sunset limited. Come stava per fare il disincantato bianco, salvato in extremis proprio dal nero, che si è trovato lì, sulla ferrovia, convinto di avere una missione da compiere.
Il dramma si svolge nella modesta casa del nero: un frigo, una cucina economica, due sedie intorno ad un tavolo, un divano e un crocefisso alla parete. Un ambiente disadorno (“un lazzaretto dello spirito”, dice il prof), nel quale arrivano i rumori della vita: clacson, stridore di ruote, sferragliare di treni, e del degrado: spari, grida, vetri rotti, sirene. In questo “posto orrendo, abitato da gente orrenda”, si consuma un duello verbale fra chi ha perso per strada le ragioni del vivere, dopo l’illusione riposta “nelle cose culturali”, e chi dice che Gesù è in quella stanza non perché lo pensi ma perché lo sa. Una sfida fra uno per il quale “è difficile fare finta di niente” e un altro che invece rivendica per sé, e per gli altri disperati come lui, il diritto di ammazzarsi in santa pace, nella totale indifferenza degli altri.
“Tutta questa questione di Dio è una grande cazzata”, sbotta il bianco, per il quale la felicità non esiste per nessuno e al mondo si soffre e basta. Ma se Dio non ci fosse, cosa sarebbe la realtà, gli fa capire il nero. E gli racconta come solo per la grazia di Dio egli sia sopravvissuto ad un accoltellamento in carcere, con 280 punti di sutura. Ma il nichilismo del bianco, del prof, non è scalfito da nulla. Nemmeno dall’offerta di amicizia (il nero gli dà del “tu”, lui lo ricambia, fino alla fine, con un “lei”), neanche da un pasto consumato insieme. “Devo andare”, ripete fino alla monotonia, accostandosi e allontanandosi dalla porta d’ingresso, che il nero ha sprangato. Il nero parla di tutto, nel disperato tentativo di ridestare il suo compagno alla vita, di trovare una maglia che non tenga nel suo cinico ragionare, nel suo rifiuto di una realtà che non accetta ma che gli si è imposta misteriosamente davanti, quella mattina, lungo i binari.
Per il nero che crede nel vangelo, il bianco deciso a farla finita è comunque un bene prezioso: “Dio proteggi il professore perché abbiamo bisogno di lui”, invoca quando in uno scoppio d’ira l’altro se ne va. Nell’aria resta l’ultima battuta del bianco, che dice tutta la sua domanda, la domanda dell’emergenza uomo: “Voglio il perdono ma non c’è nessuno a cui chiederlo”.

(D.B.)

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