STORIE DAL MONDO: OUT OF TEHERAN La storia di quattro iraniani fuggiti dal regime raccontata da Monica Maggioni

Press Meeting

Nel secondo appuntamento della rassegna “Storie dal mondo”, a cura di Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Comunione e liberazione, e da Gian Micalessin, giornalista e reporter, è stato proiettato il documentario “Out of Teheran”, prodotto da MediaKite e Rai Cinema. Presente in sala (ore 19), oltre a Micalessin, anche Massimo Ilardo, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) Italia, e l’autrice del documentario Monica Maggioni, caporedattore della redazione esteri del Tg1 e documentarista, ormai ospite fissa del Meeting, accolti con un caloroso applauso in una Sala Neri General Electric piena.
Il documentario riporta le storie di quattro iraniani che, a causa delle oppressioni del regime, sono dovuti fuggire dal loro paese e vivono tuttora lontani dalla loro patria. I protagonisti raccontano la loro esperienza alle telecamere che li riprendono spesso in primo piano. Racconti contrappuntati da numerose scene che riprendono la loro vita quotidiana nei luoghi che ora li ospitano.
“Il mio viaggio è cominciato da piazza Azadi, che vuol dire ‘libertà’” commenta con amara ironia Abbas Khorsandi, circa cinquant’anni, già attivista in rete contro il regime prima delle elezioni del giugno 2009 nelle quali, con accuse di pesanti brogli, venne riconfermato Ahmadinejad. Nel luglio 2008 venne condannato a otto anni e rinchiuso nel carcere di Evin. Trasferito in ospedale per gravi problemi di salute, riuscì a fuggire verso il confine turco (di notte, a cavallo) poco prima che lo ritrasferissero in carcere. “Ho la morte nel cuore per il fatto di non poter vivere nella mia terra, per averla dovuta abbandonare” dice Abbas, il volto vissuto e triste di chi soffre da tempo, “giorni come questi non si dovranno mai ripetere per nessuno”.
Ed ha un fondo di tristezza anche lo sguardo di Ebrahim Mehtari, giovane blogger che durante la campagna elettorale nel 2009 militava nel partito di opposizione di Mousavi, sconfitto alle elezioni. Fu quando Ahmadinejad venne riconfermato, il 13 giugno 2009, che scoppiarono le proteste, i movimenti più noti come Onda Verde, a cui il regime rispose con violenza e con un giro di vite della repressione di regime che dura tutt’oggi. “Era il primo giorno di Ramadam, circa le tre del pomeriggio, ci dicevano di non andare molto in giro soli, ma io uscii per andare a comprare le sigarette”. Arrestato, bendato e sequestrato su una macchina, interrogato e torturato per giorni. Appena liberato denuncia le violenze subite tramite la rete, ma la situazione precipita e deve fuggire. Ora vive a Parigi, dove vengono fatte le riprese. “Qui le persone non sono certo cattive – dice Ebrahim – ma io non appartengo a questo posto. Io vivo per tornare in Iran”. In parallelo viene mostrata l’intervista ad un ex guardia carceraria del regime, che potrebbe essere stato collega del torturatore di Ibrahim, che racconta che l’addestramento ricevuto: “Il fine è quello di annullare qualsiasi nostro sentimento, la nostra capacità di pensare, di provare pietà per gli esseri umani”.
Storia a lieto fine invece per Hussein Tabatabei, promettente operatore cinematografico nella tv di stato Irib, mansione raggiunta tramite conoscenze influenti. Nonostante la posizione mantiene uno spirito indipendente: “Fu la compagnia dei miei zii che mi insegnò a guardare i fatti in modo critico”. L’8 luglio 2009 si unisce con la moglie alle proteste contro Ahmadinejad e nei pressi del parco Laleh si oppone a dei poliziotti che stavano bastonando due donne. Viene picchiato a sangue. Nei giorni successivi riprende con la sua telecamera i disordini e le atrocità della repressione. Gli viene proposto di consegnare i filmati in cambio della libertà e del suo posto di lavoro, ma lui sa che i filmati metterebbero nei guai i suoi amici e che, ritornando a lavorare per la tv di stato, sarebbe costretto a contribuire all’opera del regime contro il suo popolo. Decide quindi di fuggire, lasciando la moglie e le due figlie. Ora vive vicino a Pisa. “Prego di rivedere la mia famiglia e di non perdere la speranza”. A sorpresa nel documentario si assiste alla scena del ricongiungimento, dopo due anni, con la moglie e le figlie, all’aeroporto di Fiumicino, una scena dalla forte carica emotiva.
“Un documentario sofferto e complesso per descrivere un popolo sofferto e complesso come quello dell’Iran, che non può essere raccontato con eccessive semplificazioni” dice Maggioni rispondendo alle domande di Micalessin dopo la proiezione. “Intervistando Ibrahim ero di fronte ad una persona spezzata”. E così anche Narges Kalhor, figlia del consigliere di Ahmadinejad e altra protagonista del documentario, anche lei costretta all’esilio. “Pensate ad una ragazza di 23 anni in Europa per presentare un film al festival di Norimberga, che riceve dalla madre una telefonata che la invita a rimanere in Europa, perché in Iran, nella sua terra, non può più tornare”.
Infine, con Massimo Ilardi, si è parlato delle difficoltà dei cristiani e delle numerose opere che Acs, l’associazione fondata nel ’47 da padre Werenfried per assistere la chiesa in Unione Sovietica e che ora opera in tutto il mondo, sta portando avanti in Iran per aiutare la chiesa (a ottobre uscirà l’undicesimo rapporto Acs). “In Iran c’è la libertà di culto per i cristiani, ma non c’è vera libertà religiosa” dice Ilardi. “Questo non è dovuto al fatto che sono musulmani – precisa – ma dal fatto che c’è un regime autoritario. Speriamo che presto la religione possa uscire dalla sfera liturgica ed entrare nella società”.

(M.F.)
Rimini, 20 agosto 2012

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