Per ‘L’ultima cima’ la sala cinema D3 non è sufficiente. Chi alle 15.00 non è riuscito a entrare lo segue dai maxischermi delle piscine. Sono in tanti, il passaparola ha detto che è da non perdere. È l’ultima proiezione per ‘Storie dal mondo’, la rassegna di reportages internazionali a cura di Roberto Fontolan e Gian Micalessin. Dopo averci mostrato l’emergenza uomo nei conflitti del Medio Oriente ci mostrano l’emergere di un prete dentro la vita di tutti i giorni.
Il regista è seduto in sala, con Fontolan e Micalessin. È anche nel documentario che inizia proprio con un’inquadratura su lui. Dallo schermo i suoi occhi verdi guardano dritti lo spettatore: “Sapevo di mettermi nei pasticci – inizia – raccontando la storia di un prete. Perché non rubava, non era pedofilo. Era un bravo prete. Ma c’era un problema. Dovevo raccontare perché l’avevo conosciuto”.
La cima del titolo è quella del Moncayo, 2.300 metri, il picco più alto del sistema iberico. L’ultima, per padre Pablo Dominguez, morto durante la discesa. Aveva 42 anni, era dottore in filosofia, in teologia, quattro i libri pubblicati, docente alla facoltà teologica di San Damaso. Teneva spesso conferenze. A una di queste lo incontra Cotelo. Quel prete provocatorio, ironico, incisivo lo colpisce. Si conoscono, decidono di rivedersi. Dodici giorni dopo, il telegiornale dà la notizia della morte di un sacerdote durante un’escursione. Pablo Dominguez.
Cotelo a quel punto poteva fare quello che tutti noi, probabilmente, avremmo fatto. Lasciar perdere, dedicarsi ad altro, la realtà è tanta, ci sono mille cose di cui occuparsi. Invece decide di seguire lo stupore di quell’incontro. Riluttante a volte, come si è raccontato al termine della proiezione. Obbediente, altre volte. Sempre onesto nel cercare di conoscere l’uomo che lo ha stupito.
Va a cercare gli amici, i parenti. Fratello, sorella, nipoti. Studenti della facoltà dove insegnava. Sacerdoti che lo avevano cresciuto. Sacerdoti cresciuti da lui. Uno è Curry. A otto anni Pablo gli annuncia: “Tu sarai sacerdote”. Frase eccezionale considerando che il bambino è fuori dall’aula del catechismo, cacciato dalla maestra esasperata. Quando Curry dice la sua prima messa incontra Pablo in sagrestia che gli dice: “Potevo perdermi questo?”
Ci sono i nipoti Tomás e Mateo, avranno forse 10, 12 anni: “Stare con lui era il massimo. Confessarsi era divertentissimo”. Tomás aggiunge: “Ho in mente diverse professioni. Ma la numero uno è sacerdote”.
Gli amici, come Cachas e Negrete: “Potevi dirgli: ‘ho ucciso mio padre’ e lui: ‘non importa, l’importante è rialzarsi’. Il giorno del mio matrimonio ci disse: ‘Individuatevi perché ieri ho sposato una signora con il fotografo’. Era simpaticissimo”.
Torna il regista a riempire lo schermo, i suoi occhi verdi. Sottolinea che don Pablo non era “missionario nella selva” eppure viveva in questa giungla “dove i comandamenti sono: pensa te stesso, appari più di quanto sei, compra molto, godi in fretta perché la vita è breve”. Ci viveva senza paura. Non allontanava nessuno, si confrontava con chi incontrava. Omosessuali. Atei. Anarchici. Con questi ultimi, le Edizioni Libertarie, pubblicò i suoi testi.
Una mamma, Marya, racconta di quando, al terzo mese di gravidanza, riceve una diagnosi infausta sul bambino che porta. Le viene consigliato l’aborto. Chiama Pablo, piange, e lui: “È giusto! Devi piangere!”, si arrabbia con Dio, e lui: “È giusto! Devi arrabbiarti!” Sullo schermo c’è una foto: Marya stesa nel letto di ospedale, il pancione, Pablo seduto al suo fianco. Due sorrisi impressionanti a sapere che lei è alla fine della gravidanza, il suo bambino deve nascere e subito morire. Padre Pablo battezzerà il piccolo Juan ancora vivo e due giorni dopo ne celebrerà il funerale.
“Saliva sulle montagne per pregare, non per record – racconta un sacerdote – Raggiungeva la vetta per dire: qui ho pregato Dio”. Con lui muore l’amica scalatrice Sara. Le ultime parole in una telefonata ai familiari sono state: “Sono arrivato alla cima”. Al suo funerale c’erano tremila persone. Ventisei vescovi.
Pablo era morto quando Marya, di nuovo in ospedale, partorì la piccola Blanca. Arrivò un fattorino con un mazzo di fiori bianchi. Da parte di Pablo. Afferma Marya: “Un piccolo miracolo, lui voleva esserci”. Lui c’è. Questo documentario è su un uomo vivo.
Micalessin annuncia che da ottobre sarà distribuito su tutto il territorio italiano. E Cotelo rilancia: “Pensate a tutte le persone che non hanno fede. Proponetegli il film”.
(D.T.)