Storie dal mondo, Bisagno, la resistenza di Aldo Galdini

Press Meeting

Rimini, 24 agosto 2015 – Marco Gandolfo è il regista del documentario che racconta la storia di Aldo Gastaldi, presentato e proiettato oggi alle ore 19.00 nel salone Intesa Sanpaolo B3.
Torniamo a 75 anni fa. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Aldo Gastaldi, impiegato all’Ansaldo San Giorgio di Sestri Ponente, seguiva i corsi di economia all’Università di Genova. Chiamato alle armi, nel marzo del 1942 diventa sottotenente del Genio. L’annuncio dell’armistizio lo coglie a Chiavari, dov’è al comando di un plotone del 15° Reggimento Genio. È così che a Cichero, nell’entroterra chiavarese, nasce con Gastaldi e alcuni comunisti del luogo, il primo gruppo di partigiani genovesi. Un mese dopo, Gastaldi si trova già al comando della prima formazione partigiana della zona, che sarebbe poi diventata la 3a “Garibaldi”. Il suo nome di copertura è “Bisagno”, che richiama l’omonimo torrente della zona. Audace assertore di azioni di sabotaggio distrugge con leggendario ardimento e tecnica perfetta importanti opere fortificate avversarie, inseguendo, disperdendo e catturando i nemici, che una volta prigionieri rimangono meravigliati dalla sua umanità.
Bisagno è anche un riferimento per tutti i suoi uomini. È altruista, onesto, giusto, leale. I suoi vecchi compagni e amici lo descrivono così nel filmato, come un eroe. “Quando è arrivato lui sembrava che fosse arrivata una compagnia”, dice uno di loro citando l’episodio di un momento critico in battaglia. “Una volta che eravamo in pericolo – continua un altro, di religione ebraica, – mi disse: ‘se non conosci le nostre preghiere recita il kaddish’. Quando lui ti parlava ti sentivi veramente letto dentro”.
Bisagno è profondamente credente e anche in guerra mantiene salda la sua fede, come confermano i familiari nel documentario. Per la messa di Natale va al fiume, rompe il ghiaccio e si lava tutto, perché vuole essere pulito prima di fare la comunione.
Il partigiano non si lega a nessun partito, ma critica aspramente i partigiani comunisti, che nella loro propaganda politica sabotano e oscurano quella altrui. Crede, inoltre, che ad unirsi alla resistenza con i partigiani deve essere un numero ristretto e scelto di persone, non una moltitudine in rivolta. Questi ed altri motivi fanno crescere l’inimicizia e l’odio dei comunisti verso di lui. Con l’avvicinarsi della fine della guerra Bisagno, amatissimo dalla gente e irriducibile ai compromessi della politica, diventa un ostacolo ai piani dei partiti membri del Cln (comitato di liberazione nazionale). Nella riunione di Fascia (marzo 1945) il Comando Militare Unico della Liguria chiede a Bisagno di farsi da parte e questo provoca la reazione dei partigiani che irrompono sul luogo della riunione con le armi spianate contro i rappresentanti del Comando. Solo l’intervento di Bisagno stesso, che richiama alla calma gli uomini, evita una carneficina. Il Comando si deve accontentare di ridurre l’influenza di Bisagno e divide in due la Divisione Cichero.
Nei giorni successivi alla liberazione Bisagno si oppone più volte ai regolamenti di conti che insanguinano le strade di Genova. Per garantire l’incolumità di alcuni suoi partigiani, li accompagna personalmente a casa. Muore il 21 maggio 1945 a Desenzano del Garda, dopo aver riconsegnato alle famiglie tutti i suoi uomini. La relazione ufficiale, redatta dal commissario politico della Divisione, parla di una caduta accidentale dal tetto del camion utilizzato per il viaggio; in realtà la dinamica dell’incidente non è mai stata chiarita in modo convincente e molti hanno subito sollevato dubbi sul reale andamento dei fatti.

(A.B.)

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