Stato e prospettive della pesca tradizionale in Adriatico

Press Meeting

Lo sfruttamento illimitato del mare e delle sue risorse ittiche, accompagnato dal fenomeno dei cambiamenti climatici e dall’aumento delle temperature ha creato in tutto il mondo gravi problemi alle attività di pesca. Dieci anni fa in Italia si mangiavano 10 chilogrammi pro capite di pesce l’anno. Oggi la quantità si è alzata a 20. Per tre miliardi di persone il pesce rappresenta elemento essenziale della dieta e 700 milioni sarebbero a rischio fame se il pesce dovesse uscire dalla loro catena alimentare. Un problema globale che trova manifestazione anche nell’Adriatico, dove pesca intensiva e utilizzo di pescherecci di alto tonnellaggio hanno impoverito le risorse ittiche.
Il tema lega insieme tutela e rispetto dell’ambiente, filiera alimentare, lavoro e occupazione. Se ne è discusso questo pomeriggio durante l’incontro, realizzato in collaborazione con Regione Emilia-Romagna: “Stato e prospettive della pesca tradizionale in Adriatico”. Al dibattito hanno partecipato Massimo Coccia, co-presidente di Alleanza cooperative italiane ed Emilia Romagna settore Pesca; Arnaldo Rossi, presidente Cooperativa pescatori Cesenatico; Guido Milana, vicepresidente della Commissione per la pesca Ue; Corrado Piccinetti del Laboratorio di Biologia marina di Fano dell’Università di Bologna; Attilio Rinaldi, presidente di Fondazione centro ricerche marine; Piergiorgio Vasi, responsabile Emilia-Romagna gestione delle politiche della pesca e dell’acquacoltura. A introdurli al pubblico Simone Pizzagalli, della Compagnia delle Opere Agroalimentare.
Il quadro presentato è complesso e contraddittorio. Come ha spiegato Massimo Coccia la legislazione e le indicazioni dei commissari Ue su questa materia appaiono spesso non adeguate o incapaci di leggere le reali esigenze del mare e dei pescatori: “Per vent’anni è stata finanziata la costruzione di pescherecci di grandi dimensioni e di fronte all’impoverimento del mare si è invece cominciato da un giorno all’altro a finanziarne il disarmo. Fino al trattato di Lisbona, poi, il potere decisionale dei commissari non passava al vaglio del parlamento europeo ed era impossibile avere politiche in grado di cogliere le necessità di ogni Paese”.
Insomma l’Adriatico non è il mare del nord e le sue necessità sono differenti da quelle di chi fa pesca d’altura in Atlantico. Infatti, come hanno ricordato i pescatori di Cesenatico, l’uso di barche di alto tonnellaggio con reti di profondità ha impoverito il loro mare, rendendo necessari periodi di fermo pesca, e per essere efficaci dovrebbero essere rispettati anche dagli altri Stati che si affacciano su questo mare. Per loro, risposta al problema è potenziare la pesca tradizionale con piccoli battelli, reti più piccole e in grado di sviluppare una pesca stagionale e selettiva.
E in regione Emilia Romagna qualche obiettivo se lo sono dato. Si parte dalla riduzione dello sforzo pesca tornando alle metodologie della nostra tradizione, per arrivare alla creazione di zone a cattura zero dove il pesce può riprodursi, e alla protezione delle specie a rischio. A questi Attilio Rinaldi ha aggiunto due altri elementi interessanti. Primo, ridurre la produzione di farina di pesce per uso alimentare animale, perché prodotto con pesce azzurro di piccole dimensioni. Cosa che interrompe alla base la catena alimentare del mare. Secondo, lavorare su scelte e comportamenti dei consumatori. Educare a mangiare pesce più piccolo, quello azzurro è buonissimo, costa poco ed è ricco di proprietà straordinarie per la nostra salute. Lasciare da parte quello da fondo, di grande taglia o i predatori. Il rischio scomparsa del tonno rosso mediterraneo o la diminuzione del numero dei merluzzi, lo scorso anno ne sono stati pescati l’80% in meno rispetto al 2011, dovrebbero essere segnali sufficienti a spingerci in questa direzione.
“Il mare deve essere un campo da coltivare e non una miniera da cui estrarre all’infinito ciò che vogliamo e aiutarlo a produrre di più – ha concluso Guido Milana – abbiamo bisogno di un piano regolatore del mare e che non si fermi al bagnasciuga. Pensiamo a quanti danni e cambiamenti hanno portato l’immissione nell’acqua di fosforo e azoto provenienti dal loro utilizzo in agricoltura. Risultato anossia, meno ossigeno in acqua, meno vita per i pesci”. E meno lavoro per i pescatori aggiungiamo noi.

(C.B.)

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