Spirto Gentil: Sergej Rachmaninov: Preludi

Redazione Web

Le campane di Rachmaninov

Secondo appuntamento dello “Spirto Gentil”

Rimini, 24 agosto 2021 – Suono di campane ieri sera in Sala Ravezzi, nell’appuntamento con lo “Spirto Gentil”, condotto da Pier Paolo Bellini. Ma non c’erano bronzi, solo un pianoforte da cui il giovane pianista Pietro Beltrani traeva le note di otto dei ventiquattro Preludi composti da Rachmaninov tra il 1892 e il 1910. Il primo e l’ultimo si aprono con un suono di campane, campane di cui Rachmaninov era innamoratissimo. Dall’America, dove era riparato dopo la rivoluzione bolscevica, scriverà: “Io ho perduto le mie radici e non sentendo più quelle campane, non sentendo più quelle, sono un uomo senza radici”. Ma le due campane, quelle del Preludio in do diesis minore eseguito nel 1892 e quello in re bemolle maggiore del 1910, suonano una melodia diversa. «Quelle del primo Preludio», ha distinto Bellini, «sono campane che dicono qualcosa di simile alla morte, quelle dell’ultimo sono di una maestà solare». Tanto che Bellini, quando ne parla ai suoi studenti, richiama sempre “I limoni” di Montale: “Quando un giorno da un malchiuso portone / tra gli alberi di una corte / ci si mostrano i gialli dei limoni;/ e il gelo dei cuore si sfa, / e in petto ci scrosciano / le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità”. «Cosa sia successo in quei diciotto anni, fra i due Preludi, non lo so», ha ammesso Bellini. «Ce lo dirà Rachamaninov quando lo incontreremo».

Presentando questo straordinario compositore, don Giussani scriveva: “In Rachmaninov scorgo l’io umano mentre è tirato su, letteralmente fatto emergere, evocato attraverso e dentro una compagnia, una coralità”. «La differenza fra Rachmaninov da una parte e Beethoven e Chopin dall’altra», ha proseguito Bellini, «secondo Giussani sta proprio nell’appartenenza ad un popolo “che permette un cammino meno tortuoso e più diretto allo scopo”».

Questo cammino, ieri sera, è stato percorso grazie alla straordinaria interpretazione del giovane Beltrani e ai suggerimenti di Bellini e di due grandi musicisti: Nazzareno Carusi e Christopher Vath. Quest’ultimo, in collegamento da New York, ha definito quella di Rachmaninov «una musica super emotiva e romantica, ricca densa e piena di storia» mentre lui, il pianista americano, viene «da una cultura più giovane e meno ricca di storia e tradizione». Quella con Rachmaninov è stata una lotta che Vath ha cominciato tardi, intorno ai trent’anni, proprio per queste differenze (lui, tra l’altro ha un carattere molto riservato). Una sfida difficile, anche perché un pezzo di Rachmaninov non è prevedibile. «Quando lo ascolti o lo suoni devi seguire dove ti porta la sua melodia e non quello che ti aspetteresti».

Carusi, partendo dal titolo del Meeting, ha voluto sottolineare come il palcoscenico sia «il luogo per eccellenza dell’io, che gioca lì il suo rapporto con l’autore e gli ascoltatori. Giussani diceva che “la carità è matrice di cultura”. Un’affermazione verissima, tanto più oggi. Il pianista che segue i precetti di Rachmaninov, avendo il coraggio di dire “io leggo così questa musica”, compie una straordinaria opera di carità».

Oltre ai due già citati, sono stati eseguiti il primo, il quarto, il quinto e il decimo Preludio dell’Opera 23, e il decimo e il tredicesimo dell’Opera 32.

(D.B.)

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