La canzone napoletana al Meeting
Primo appuntamento dello “Spirto Gentil”
Rimini, 23 agosto 2021 – Musica napoletana in scena, ieri sera, in Sala Ravezzi, al primo appuntamento di guida all’ascolto sul programma musicale della collana “Spirto Gentil”, fondata da don Luigi Giussani. Il curatore Pier Paolo Bellini, compositore e musicologo, ha condotto la serata insieme agli ospiti in sala e in collegamento: il giornalista Giuseppe Corigliano e il musicista Ambrogio Sparagna. Il “Trio Napulammore melodie napoletane” ha eseguito dal vivo alcuni dei brani più rappresentativi della tradizione musicale.
Bellini ha ricordato che don Giussani ha spesso affermato quanto la canzone napoletana abbia a che fare con il “non essere mai tranquilli” come lo intendeva lui, con “le cose grandi” per cui la vita è fatta. «I monaci buddisti del Monte Koya», ha aggiunto, «gli confidarono di cantare “Torna a Surriento” come archetipo della malinconia umana: una tristezza mai astratta, bensì amorosa e stringente». Giussani diceva che nella parola “malinconia” ci riconosciamo tutti e che è simile alla tristezza, senza la quale vivremmo tutti nella disperazione. «Per Giussani», ha sottolineato Bellini, «la tristezza è la capacità dell’uomo che aspira all’infinito e secondo lui, che pure era un prete, i canti napoletani introducono al mistero di Cristo più di ogni altra produzione artistica».
Giuseppe Corigliano, detto “Pippo”, giornalista e ingegnere, portavoce ufficiale dell’Opus Dei in Italia, è un napoletano verace e profondo amante della musica, e per questo è stato coinvolto nell’idea editoriale dello “Spirto Gentil”. «Napoli è tutta una canzone», ha esordito. «Tutto il Regno di Napoli era contaminato dalla canzone napoletana e oggi l’accento napoletano ci fa sentire a casa. Sono “napoletani” pure Dalla, Arbore e il maestro Muti. L’imperativo napoletano è il buon umore e questo atteggiamento positivo verso la vita è un atteggiamento religioso. Il beato Escrivá de Balaguer affermava che “tutto è sentiero per Dio” e in questo senso “anche le canzoni d’amore sono ottime orazioni perché più una cosa è umana e più porta a Dio”».
Ambrogio Sparagna, musicista di fama internazionale, ha lavorato con autori come De Gregori, Dalla, Branduardi. “Canta che ti passa” è secondo lui il motto della canzone napoletana, che alleggerisce il peso dell’esistenza. «”Canta che ti passa” vuol dire che la canzone ti aiuta a sostenere ogni momento della vita. Cantare è una necessità quotidiana e il canto segna il tempo e accompagna ogni passo della vita».
Bellini e i suoi ospiti hanno sottolineato alcuni passaggi dei canti che sono stati eseguiti. Dal rispetto religioso della realtà di “I’ te vurria vasà” (“ti vorrei baciare, ma il cuore mi suggerisce di non svegliarti”) all’identificazione con Dio dell’amore fra un uomo e una donna di “”Mandulinata a Napule”, fino alla nostalgia de “’O surdato ‘nnammurato”, che nelle trincee della Prima guerra mondiale ripensa alla sua fidanzata. Il partenopeo Corigliano ha raccontato aneddoti e rivelato l’origine di questa o quella canzone. Ha ricordato, ad esempio, come dal Giappone volessero mandare ad Arbore trecento spettatori ad un suo concerto e come Elvis Presley abbia tenuto “’O sole mio” per settimane in vetta alle classifiche statunitensi. «I’ te vurria vasà” la scrisse un giovane calzolaio innamorato della figlia di un gioielliere», ha raccontato, «era ricambiato ma la famiglia di lei li contrastava. Poi il poveretto morì». Più movimentata la storia di “Comme facette mammeta”, composta da un giovanotto che aveva fatto la quinta elementare e che con quella canzone, nel 1906, aveva vinto la Sanremo napoletana dell’epoca: il concorso musicale della Madonna del Carmine. L’aveva scritta per un amore non ricambiato e andò a cantarla sotto la finestra dell’amata, che finì per sposare suo fratello.
(D.B.)