Spirto gentil – La versione di Belloni

Press Meeting

Evidentemente i 700 posti della Sala Neri non reggono il passo col favore che incontrano gli ascolti dal vivo di Spirto Gentil, la rassegna di musica classica del Meeting. Pier Paolo Bellini, scusandosi con il pubblico in piedi, e con quello che non ha trovato posto nella sala, introduce immediatamente l’ascolto della Sinfonia n. 8 di Schubert “incompiuta” con la chiave di lettura suggerita da don Giussani: “l’incompiutezza della sinfonia è solo formale, o forse è strutturale?” e passa la parola a Luca Belloni, compositore e direttore d’orchestra, che spiega che i due movimenti mancanti in realtà sono stati quasi certamente individuati anche se in forma grezza.
Belloni condivide l’ipotesi di don Giussani, e chiede all’uditorio di condividere i metodi investigativi che lui stesso ha usato per dirimere la questione: “essere aperti, disponibili, indagare con intelligenza, scoprire strutture, cercare analogie”, ed entra nel vivo dell’analisi del materiale musicale. Gli sono di aiuto Claudio Miotto al clarinetto, Luciano Chillemi alla chitarra e Michele Zappaterra al pianoforte, ai quali saranno affidati sia gli esempi musicali che l’esecuzione dell’intera sinfonia, nella riduzione per i tre strumenti del 1880.
Il lavoro promesso da Belloni si snoda alle orecchie dell’uditorio con ampia ricchezza di citazioni (singole note, interi passaggi, modulazioni, temi e sviluppi), che in poco tempo fonda il suo discorso su precisi indizi, resi evidenti anche all’orecchio meno allenato. Si scoprono quindi appena tre note, variamente proposte, che caratterizzano i primi due temi musicali, segnando “l’identità del primo movimento e il principio della sua costruzione, la domanda che Schubert si pone”. E tale domanda non riesce a svilupparsi. “Ogni volta che sembra si stia costruendo qualcosa, Schubert interrompe con fratture, crepe, salti. Possiamo veramente pensare che stia parlando dell’uomo, che è insufficiente a se stesso”
L’ascolto dell’intero primo movimento, diretto da Belloni ed eseguito con grande cura del particolare e forte tensione interpretativa, lascia a ciascuno la possibilità di convincersi della bontà della chiave interpretativa proposta.
L’analisi del secondo movimento è altrettanto serrata. Le stesse tre note, stavolta in maggiore, caratterizzano anche questo movimento, in cui “apparentemente la tensione finisce”. Ma è solo apparenza. Schubert introduce “altre fratture, crampi di sesta aumentata”, e cerca di evitare il problema, trasformando il cantabile in fanfara, ma “la questione non è risolta dal sogno, la musica scoppia, la soluzione non può essere un sogno ma deve esserci”. All’indagine manca solo l’ultimo tassello, cioè come Schubert ha risolto la faccenda. Le stesse tre note vengono in aiuto, anche se riproposte in modo sempre nuovo dal genio musicale. Stavolta in modo ascendente, ostinatamente ripetute, come la domanda di chi mendica. “Una domanda di felicità desiderata più del pane – conclude il direttore – una mano tesa verso l’alto, verso qualcuno che certo verrà a prenderla”.
L’indagine è conclusa. Anche il secondo movimento è offerto alla riflessione degli spettatori, interpretato con grande sensibilità e con la forza e la delicatezza che il discorso musicale richiedono.
Risuonano, dopo le ultime note di Schubert, i lunghissimi applausi di un pubblico che, col felice espediente dell’indagine, ha rivissuto in un’ora il dramma e la speranza umani.

(A.C.)

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