Terzo e ultimo appuntamento con le guide all’ascolto al Meeting di quest’anno. Sala Neri GE completamente piena. E grande attenzione del pubblico. Prende la parola Pier Paolo Bellini, general editor della collana “Spirto gentil”. “Finiamo oggi un percorso un po’ particolare, partito con i vespri di Rachmaninov, che hanno fatto emergere come il rapporto con l’infinito citato nel titolo del Meeting sia “quasi pacificato”, come diceva Giussani. Abbiamo proseguito con la quarta sinfonia di Brahms, la cui prospettiva era più aspra e virile del primo, “cosmica”, diceva il maestro Andreoni. Per finire oggi c’è Chopin, che Giussani definiva ‘genio della malinconia, della tristezza’”.
Bellini parte da due domande: “Vorrei questa sera andare a fondo di questa tristezza, interrogandoci sulla sua dinamica: quando e perché succede. Per fare questo mi faccio aiutare da Pascoli, partendo da questa sorta di dialogo tra il poeta e il compositore polacco”. Il maestro parte dalla lettura della poesia pascoliana “Il libro” e dai suoi tre temi. “È il poeta che la divide in tre parti. Si parte proprio dall’oggetto del titolo. Il libro dice qualcosa perché ha un contenuto. Entra un uomo e con un gesto deciso va verso l’oggetto, il senso. Inizia qui il movimento, l’urgenza di capire”. La ricerca di quella specifica pagina continua senza posa a più riprese. Sembra trovarsi, ma è solo un illusione. “I due avverbi che il poeta usa per descrivere la ricerca sono ‘ancora’ e ‘sempre’, che portano la durata della ricerca verso la verità dell’esistenza”. Anche il preludio n.15 (La goccia), eseguito dal maestro Giulio Giurato dal vivo, ha tre temi. E percorre la stessa traiettoria della poesia. “È il brano più monotono della storia della musica. Dall’inizio alla fine una notina, un la bemolle, continua ad essere ribattuta prima piano, poi emergendo con più rilievo, poi nuovamente piano”. “Si sente la malinconia che c’è in ogni cosa che si fa” diceva Giussani parlando di questo preludio.
“Dal ‘quando’, ora passiamo a ‘perché’ viene a galla questa tristezza”, prosegue Bellini, leggendo una lettera del 1848, che Chopin manda al suo amico Fontana. “L’unica sventura è che siamo opera di un celebre liutaio, di uno Stradivario sui generis, che ormai non è più qui per aggiustarci”, scriveva il pianista polacco un anno prima della sua morte. “C’è indifferenza da parte dello Stradivari da quello che ha creato. Chopin sente che non ha un padre presente. È orfano”. E proprio a partire da questa osservazione Bellini legge la poesia pascoliana “I due orfani”, nella quale “il soggetto è l’assente, è ciò che c’era e adesso non c’è più”. “C’è una totale incertezza, dominata dal forse. L’unica cosa che rimane è lo stare vicini, al caldo, e l’essere buoni. Tutto ha origine dal venire meno di una presenza”. E si ricollega alla ballata n. 1 op. 23, eseguita anch’essa dal maestro Giulio Giurato. “Chopin riscopre il genere della ballata dalla tradizione letteraria e la utilizza per raccontare senza usare le parole. Allora immaginiamo due che si incontrano e vogliono raccontarsi un fatto”. Il compositore polacco comincia con un’introduzione scarna di dialogo, dove prevale solo l’indecisione, “di uno che non riesce a parlare. E sospira. Racconta del presente, che non è brutto, ma triste”. La ballata, però, incalza e trascina l’ascoltatore in un ricordo dolcissimo, che “rievoca un passato felice. Ma è destinato a finire. In dissolvenza. E ritorna il tema e il presente”.
Lasciando la coda della ballata al giudizio del pubblico, che non risparmia gli applausi, Bellini riprende le domande iniziali della guida all’ascolto e lascia la parola al messaggio inviato dal Papa all’inizio del Meeting. “L’esistenza, dunque, non è un procedere cieco, ma è un andare incontro a colui che ci ama. Sappiamo quindi dove stiamo andando, verso chi siamo diretti e questo orienta tutta l’esistenza”.
(D.O.)
Rimini, 24 agosto 2012