Il tradizionale ciclo d’incontri “Spirto gentil”, guida all’ascolto delle opere musicali dell’omonima collana ispirata alle scelte musicali di Luigi Giussani, propone quest’anno tre appuntamenti: come ha illustrato Pier Paolo Bellini, ricercatore dell’Università del Molise e General Editor della collana, obiettivo sarà approfondire, anche dal punto di vista musicale, la domanda proposta dal titolo del Meeting, andando al fondo dell’apparente paradosso che è l’esser pieni di una mancanza. Proprio l’ipotesi che la struttura umana sia costitutivamente caratterizzata dal desiderio di essere riempita da qualcosa di adeguato, e che ciò sia precipuamente intuibile attraverso la bellezza, è all’origine dell’esperienza di Giussani. Il sacerdote lombardo prese le mosse proprio da una contemplazione estetica, l’ascolto, durante una lezione in prima liceo, di una romanza cantata da Tito Schipa. “Quando il bravissimo tenore intonò “Spirto gentil, ne’ sogni miei…”, al vibrare della primissima nota io ho intuito, con struggimento, che quello che si chiama “Dio” – vale a dire il Destino inevitabile per cui un uomo nasce – è il termine dell’esigenza di felicità, è quella felicità di cui il cuore è insopprimibile esigenza. Appena udito “Spirto gentil”, in quel preciso istante della mia vita, per la prima volta io capii che Dio c’era”.
Proprio questa, insieme ad altre arie d’opera contenute nel cd n. 53 della raccolta, è stata proposta all’ascolto durante il primo incontro, con il commento di uno degli autori del libretto illustrativo, Ermanno Calzolaio, docente di Diritto privato comparato all’Università di Macerata. La romanza “Spirto Gentil”, tratta dal IV atto de “La Favorita” (1840) di Gaetano Donizetti, descrive perfettamente – spiega Calzolaio – quell’intuizione che papa Francesco ha ricordato nel messaggio inviato agli organizzatori e ai partecipanti del Meeting 2015: “Come ha scritto il servo di Dio monsignor Giussani, «le esigenze umane costituiscono riferimento, affermazione implicita di una risposta ultima che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili. Se venisse eliminata l’ipotesi di un “oltre”, quelle esigenze sarebbero innaturalmente soffocate»”.
Diversamente, ricorda il relatore, come osservato da don Julián Carrón, l’uomo diviene “straniero a se stesso, niente gli è meno evidente del contenuto della parola «io», delle sue dimensioni esistenziali”. “Lo struggimento di Fernando – aggiunge Calzolaio tornando a Donizetti – che vede svanire il sogno d’amore per Leonora ma al contempo ne avverte tutta l’intensità, richiama il presentimento di felicità fondamentale in ognuno di noi, che più grida quando è ridestato da una bellezza che rimanda a quella infinita”. Ciò fu evidente al giovane Giussani: “In quella prima liceo, in quel timbro di voce avevo percepito il brivido di qualche cosa che mancava, non al canto bellissimo della romanza di Donizetti, ma alla mia vita: c’era qualcosa che mancava e che non avrebbe trovato appoggio, compiutezza, risposta, soddisfazione, da nessuna parte. Eppure il cuore esige una risposta, non vive che per essa”.
Il secondo brano ascoltato, non presente nel cd, tratto da “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini (1830), è un’invocazione d’amore di Giulietta a Romeo, sentimento che meglio di ogni altro si fa emblema di questa esperienza di ricerca che il cuore fa. Per Giussani, ricorda il relatore, fondamentale nell’approfondimento di tale esigenza fu la vita familiare, in specie il rapporto col padre, che gli trasmise la passione musicale e che amava scherzosamente citare versi di arie d’opera, come la terza proposta, il duetto tra Rosina e Figaro nel primo atto de “Il Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini (1816) (“Donne, donne, eterni Dei, chi vi arriva a indovinar?”).
Di nuovo una sensazione di attesa piena di speranza è al centro del quarto brano ascoltato, l’Ave Maria di Desdemona nell’atto IV dell’“Otello” di Giuseppe Verdi (1887), canto che si caratterizza per il passaggio da un’intonazione iniziale quasi parlata ad un’esplosione di melodia sulla parola “Prega” e poi all’intensità dell’“Amen!” finale, che esprime la certezza che caratterizza il desiderio in fondo al cuore di ogni uomo.
Come ha ricordato il Papa nel messaggio inviato al Meeting, “la vita non è un desiderio assurdo, la mancanza non è il segno che siamo nati ‘sbagliati’, ma al contrario è il campanello che ci avverte che la nostra natura è fatta per cose grandi”. Nulla – ha osservato Calzolaio – come la romanza di Nemorino “Una furtiva lagrima”, dal secondo atto de “L’elisir d’amore” di Donizetti (1830) – esprime la sensazione di felicità che si prova quando la realtà offre tale campanello che disvela quella ancora più grande che ci aspetta. “Quando l’uomo ‘pre-sente’ questo – conclude Calzolaio sempre citando Giussani – immediatamente piega l’animo ad attendere l’altra cosa: anche davanti a ciò che può afferrare, attende un’altra cosa; afferra ciò che può afferrare, ma attende un’altra cosa”.
(V.Car.)