Spedalità e carità. Il caso della Ca’ Granda di Milano

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“La Ca’ Granda di Milano, cioè la casa grande, chiamata anche ‘Glorioso albergo di Dio’, è grande innanzitutto non per le sue dimensioni, ma qualitativamente: per ciò che offriva a chiunque avesse bisogno e per la cultura che la sorreggeva”. Sono affermazioni di Pier Alberto Bertazzi, docente di medicina del lavoro all’Università di Milano, che ha introdotto l’incontro alle ore 11.15 nella Sala D3. “Fondata da Francesco Sforza nel 1456 – ha proseguito Bertazzi – dal tardo Medioevo al primo Rinascimento ha rappresentato un esempio da seguire”. Coniugava ospedalità e carità, strettamente unite. Infatti, come scrivono autorevoli storici, fu nel Medioevo cristiano che emersero concetti (e pratiche) molto importanti per la medicina. La Ca’ Granda oggi è conosciuta come Ospedale Maggiore di Milano.
Tocca poi a Francesca Vaglienti, docente di Storia medievale e Storia delle donne all’Università di Milano, tratteggiare un affresco storico sul tema in questione. “A partire dalla seconda metà del Duecento – ha detto la studiosa – opera a Milano un gran numero di medici e chirurghi che conoscono e praticano l’anatomia. Quando nasce la Ca’ Granda, ‘lo spedale de’ poveri’, la città viveva una stagione fertile per la partecipazione laica all’accoglienza e all’assistenza del prossimo”. Milano aveva ben 17 ospedali, quando nasce il Maggiore. Il nuovo arrivato non elimina i precedenti ospedali, ma li coordina e razionalizza. “Francesco Sforza – prosegue la professoressa Vaglienti – si limita a donare un proprio palazzo, dei terreni e a garantire esenzioni, ma poi il cantiere della Ca’ Granda è sostenuto dalla carità della popolazione: dal portare acqua alle maestranze, al contributo offerto col proprio lavoro, ai lasciti”.
La studiosa prosegue nel suo excursus, corredato da diverse immagini, proponendo un’ampia esemplificazione delle innovazioni e della qualità che contrassegnano l’attività della Ca’ Granda: “Tra le prime innovazioni, quella di avere uno speziale specificamente dedicato alla preparazione dei medicinali. Ci fu una grande attenzione al contributo delle donne ed è qui che nacque la prima scuola di ginecologia”. I malati dormivano su materassi di piume in un letto singolo, c’era una grande cura della pulizia, un bagno (una latrina) per ogni due letti: un rapporto “che non abbiamo neanche oggi”. Dopo aver sottolineato che la Ca’ Granda era il cuore pulsante della città (“forse più di piazza del Duomo”), la Vaglienti ha concluso: “L’ospedale dei poveri era così efficace nelle cure che ad un certo punto, anche i ricchi, pagando, vogliono essere curati lì”.
Ampio e articolato anche l’intervento di Giancarlo Cesana, presidente della fondazione Irccs Ca’ Granda, Ospedale Maggiore di Milano, che ha evidenziato il grande impegno e le elevate difficoltà nell’opera di ristrutturazione che caratterizzano il suo mandato. “Ho accettato l’incarico di presidente della Fondazione in seguito a una proposta di Formigoni. Non avevo grandi esperienze in ambito gestionale e amministrativo, per cui ho dovuto inizialmente ascoltare vari pareri e valutare più possibilità strategiche”. Al suo arrivo, racconta Cesana, la struttura faceva capo ad una fondazione che accorpava due aziende ospedaliere, Regina Elena e Mangiagalli; l’ospedale maggiore, con il suo immenso patrimonio storico-sanitario “era in realtà sottotono”. “Ho cercato di recuperare la tradizione – ha proseguito il presidente – impostando un’opera di ristrutturazione basata sull’ottica di sussidiarietà. Ho dovuto innanzitutto scegliere persone competenti e di fiducia con cui impostare i lavori. Non è stato facile, mi sono scontrato con i vincoli e le lungaggini della burocrazia”.
Un altro grande ostacolo, racconta Cesana, è stato il reperimento dei fondi: il policlinico ospitava inizialmente 800 posti letto e dava lavoro a 3800 dipendenti. “Iniziai allora a trattare – prosegue il presidente – con i politici della regione, inizialmente un po’ titubante vista la precedente situazione politico-economica del milanese, con indagini in corso, riuscendo a reperire duecento milioni di euro. Abbiamo proceduto alla ristrutturazione, in primo luogo, della chiesa, quindi degli archivi e infine della biblioteca”. Il patrimonio librario della Ca’ Granda infatti è immenso e contiene testi letterari sanitari molto antichi.
La presidenza di Cesana ha poi dovuto scontrarsi con altre difficoltà (locali appartenenti al policlinico erano abitati da famiglie affiliate ad una nota cosca della ‘ndrangheta, in seguito vi sono state ben 56 denunce penali), riuscendo infine a recuperare i locali e quindi a ristrutturare la zona di via Festa del Perdono.
Cesana va particolarmente orgoglioso di essere riuscito a recuperare l’antica abbazia abbandonata da cinque secoli chiamata Mirasole. Con una gradita sorpresa: grazie alla collaborazione dell’arcivescovado, “in pochi giorni l’antica struttura si è popolata di un piccolo gruppo di monaci premostratensi, che dopo cinque secoli hanno riportato la vita religiosa nella struttura abbandonata”. Il medico e manager brianzolo intende proseguire l’opera di ristrutturazione anche nei prossimi anni: “Sempre in linea con la tradizione, contiamo di recuperare il patrimonio agricolo della struttura”. Così il patrimonio (peraltro immenso: 85 milioni di mq, 90 cascine, 300 case ex-coloniche) verrà gestito da una Fondazione, chiamata Sviluppo Ca’ Granda, “che consentirà di poter investire e riutilizzare queste aree come anticamente veniva fatto”.
(V.C., F.Po.)

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